Da un punto di vista sia economico sia ambientale, la parte più costosa di un’auto elettrica è la batteria, pertanto è bene sfruttare tutta la sua vita utile. Tuttavia, il modello di mobilità attuale, basato su molte auto private poco utilizzate, non è né efficiente né sostenibile per un parco auto completamente elettrificato: occorre passare verso un modello di mobilità basato sul car sharing di veicoli a guida autonoma.
Auto elettriche: occorre ripensare il modello di mobilità
di Riccardo Lo Bue
(pubblicato su scienzainrete.it il 28 febbraio 2024)
Nel 2023, in Italia le immatricolazioni di auto elettriche sono state 66.276, con una quota di mercato del 4,22%, contro le 49.053 del 2022 e una quota di mercato del 3,71%. Il parco circolante BEV si attesta così a 220.188 unità.
Su base regionale, le immatricolazioni sono così ripartite: in testa il Trentino-Alto Adige con 12.807 veicoli immatricolati, seguito da Lombardia con 12.509 immatricolazioni, Lazio 7.533 veicoli, Toscana con 6.410, Veneto con 5.327, Emilia-Romagna 5.025 veicoli e Piemonte con 4.299 veicoli.
Nel confronto con gli altri principali Paesi europei nel periodo gennaio-novembre 2023 con lo stesso periodo del 2022, si continua a notare un incremento della quota di mercato delle auto elettriche in tutti i maggiori Paesi europei, con l’Olanda sempre in testa con il 29,99% di quota di mercato, seguita da Belgio (19,02%) Germania (18,07%), Regno Unito (16,29%), Francia (16,39%) Spagna (5,56%), mentre l’Italia si ferma al 4,07%. (Dati Motus-E)
Immagine: Patent US8286743B2, Vehicle battery pack ballistic shield, Tesla Inc 2011.
Nonostante la quota di mercato delle auto elettriche stia crescendo, seppur più lentamente in Italia rispetto ad altri Paesi europei, il dibattito su alcuni aspetti delle auto elettriche è ancora molto acceso. Abbiamo provato ad affrontare alcune di queste tematiche con Sergio Savaresi, professore ordinario presso il Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano, che guida il gruppo di ricerca mOve che si occupa di controlli automatici in veicoli terrestri. Con il team PoliMOVE, nato in seno al gruppo mOve, ha vinto due edizioni della Indy Autonomous Challenge, un torneo per auto da corsa a guida autonoma.
Sicurezza delle auto elettriche
Uno degli aspetti frequentemente dibattuto in rete è la sicurezza, in particolare rispetto al rischio incendio. La questione torna ciclicamente alla ribalta ogniqualvolta la cronaca riporta di incendi in cui sono stati coinvolti veicoli elettrici.
Nelle batterie a litio si possono verificare delle reazioni chimiche indesiderate che determinano il cosiddetto thermal runaway. Come spiega Savaresi: «Si tratta di un’instabilità termica dovuta a un cortocircuito, a un danneggiamento della cella oppure a un’alterazione dei parametri nominali e che può innescare un incendio e propagarsi alle altre celle vicine».
L’agenzia svedese per le emergenze civili (MSB Myndigheten för samhällsskydd och beredskap) ha rilevato che nel 2022 si sono verificati 3,8 incendi ogni 100.000 auto elettriche o ibride, rispetto ai 68 incendi ogni 100.000 auto, prendendo in considerazione tutti i tipi di carburante. Tuttavia, queste ultime cifre includono gli incendi dolosi, rendendo i confronti complicati.
Il Dipartimento della Difesa australiano ha finanziato EV FireSafe per esaminare la questione. Si è scoperto che c’è una probabilità dello 0,0012% che la batteria di un veicolo elettrico prenda fuoco, rispetto allo 0,1% di probabilità per le auto con motore a combustione interna.
Come spiega Savaresi, «È difficile fare una comparativa». Secondo il professore, l’allarmismo sarebbe dovuto all’Ansia da nuova tecnologia. «C’è una vecchia tecnologia che è chiaramente rischiosa, perché portare in giro decine di litri di benzina è pericoloso, ma ci siamo abituati. Le auto elettriche sono una tecnologia relativamente nuova, non siamo abituati a questo tipo di rischio e quindi si è creato dell’allarmismo; ma è difficile affermare che le batterie sono più pericolose di un serbatoio di benzina. Non fa assolutamente notizia se un’auto a benzina prende fuoco a seguito di un incidente, lo si ritiene normale; fa notizia se un veicolo elettrico prende fuoco a valle di un incidente».
Le materie critiche per la produzione delle auto elettriche
Un altro aspetto, che riguarda sempre le batterie, è la reale disponibilità dei materiali per la loro produzione. Le quantità variano a seconda del tipo di batteria e del modello del veicolo ma, secondo i dati dell’Argonne National Laboratory, un singolo pacco batteria agli ioni di litio per auto potrebbe contenere circa 8 kg di litio, 35 kg di nichel, 20 kg di manganese e 14 kg di cobalto.
L’U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries 2024 stima che, grazie alla continua esplorazione, le risorse di litio siano aumentate sostanzialmente in tutto il mondo e ammontino a circa 105 milioni di tonnellate. Tuttavia, solo 28 milioni si possono considerare riserve, ossia effettivamente sfruttabili.
Mentre per il cobalto si stima che le risorse terrestri siano di 25 milioni di tonnellate, per lo più concentrate tra Congo e Zambia, cui si aggiungono 120 milioni di tonnellate sui fondali oceanici sottoforma di noduli polimetallici. L’estrazione di queste ultime è però controversa, poiché manca una regolamentazione per lo sfruttamento di tali risorse che in parte ricadono in acque internazionali.
Il riciclo delle batterie delle auto elettriche
Una via per ridurre il consumo di materie prime è il ricorso al riciclaggio delle batterie, che, come spiega Savaresi, «È ancora all’inizio. È chiaro che va sviluppata una filiera e tutti i Paesi che stanno puntando sull’elettrico si stanno attrezzando. Non è ancora ben sviluppato perché la stragrande maggioranza delle batterie per uso automotive non hanno bisogno di essere riciclate: la necessità di riciclarle la vedremo non prima di cinque, dieci anni».
L’industria si sta già preparando ad affrontare lo smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici, anche perché il riciclaggio non solo preverrebbe l’inquinamento ma aiuterebbe anche i governi a rafforzare la loro sicurezza economica, aumentando le forniture di metalli chiave per le batterie, controllati da una o poche nazioni. Dunque, se da un lato lo smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici è un problema di gestione dei rifiuti, dall’altro è un’opportunità per produrre un flusso secondario sostenibile di materiali critici.
Tuttavia, non manca qualche difficoltà. Le batterie differiscono notevolmente tra i vari costruttori, sia in termini di composizione chimica sia nel modo in cui sono costruite, il che rende difficile creare sistemi di riciclaggio efficienti. Ciò fa sì che spesso per i produttori di batterie sia più economico acquistare metalli estratti piuttosto che utilizzare materiali riciclati.
Inoltre, le batterie dei veicoli elettrici hanno una struttura annidata: un pacchetto principale contiene diversi moduli, ciascuno dei quali è costituito da numerose celle più piccole. All’interno di ciascuna cella, gli atomi di litio si muovono attraverso un elettrolita tra un anodo di grafite e un foglio catodico composto da un ossido di metallo. Le batterie sono solitamente definite dai metalli nel catodo. Esistono tre tipi principali: nichel-cobalto-alluminio, ferro-fosfato e nichel-manganese-cobalto.
Le aziende che si occupano del riciclaggio sono più interessate ai metalli del catodo, come il cobalto e il nichel, che hanno prezzi elevati, ma a causa delle piccole quantità presenti nelle batterie sono difficili da trovare e recuperare.
La tecnica più comune per il recupero dei metalli è la pirometallurgia, in cui la cella viene prima distrutta meccanicamente e poi bruciata, per procedere infine al recupero dei metalli. Il principale vantaggio di questa tecnica è che chi ricicla non ha bisogno di conoscere la struttura e la chimica della batteria; lo svantaggio è che si tratta di una tecnica altamente energivora. L’idrometallurgia, invece, prevede l’immersione dei materiali delle batterie in soluzioni acquose acide, producendo un liquido carico di metalli. Questa tecnica consente il recupero di materiali non recuperabili tramite la prima, ma talora rende difficile il recupero di altri metalli dal liquido ottenuto. Inoltre, occorre che la batteria sia scarica e vengono utilizzate sostanze pericolose per la salute. Infine, va tenuto conto che entrambi i processi producono grandi quantità di rifiuti ed emettono gas serra.
Una tecnica alternativa è il recupero diretto del materiale catodico nella sua composizione chimica e fisica originaria e riutilizzarlo direttamente per la produzione di nuove celle agli ioni di litio. Ciò consente di evitare le costose procedure ad alta intensità energetica per la separazione dei materiali della batteria e il successivo riassemblaggio.
La ricerca per il riciclaggio completo delle batterie continua, sia da parte di chi le deve riciclare sia da parte di chi le produce per realizzare batterie che siano più semplici da riciclare.
Il problema delle batterie non è l’autonomia ma il rischio di non sfruttarne la vita utile
Un aspetto forse poco conosciuto, invece, riguarda l’autonomia delle batterie. «Non è un problema dare lunghe autonomie alle batterie delle auto elettriche. Se volessimo delle batterie che abbiano autonomie reali di 500-600 chilometri, non sarebbe un problema costruirle», spiega Savaresi. «Ma, ironicamente, queste batterie durerebbero troppo. Supponiamo di avere un’auto elettrica con un’autonomia di 500 chilometri: una batteria a litio può essere ricaricata circa 1.500 volte, il che vuol dire che la vita della batteria sarebbe 750mila chilometri».
Secondo dati riportati nello studio L’automobile: italiani a confronto, condotto nel 2022 da UNRAE, Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri, la percorrenza media annua per vettura è pari a 10.712 chilometri. Questo vorrebbe dire che un’auto elettrica potrebbe durare teoricamente circa 75 anni; ma il deterioramento della batteria non dipende solo del numero di volte che viene ricaricata ma anche da quello che viene chiamato calendar aging, ossia l’invecchiamento dovuto al trascorrere del tempo. Dunque, secondo Savaresi, il rischio paradossalmente è quello di non sfruttare integralmente la vita utile della batteria: «L’auto elettrica ha senso solo se usata molto intensamente, quindi 50, 60, 70 mila chilometri l’anno, ma questi non sono chilometraggi da utilizzo privato».
Un nuovo modello di mobilità per le auto elettriche
Per sfruttare a pieno il potenziale delle auto elettriche occorre quindi cambiare il modello di mobilità. «L’attuale modello di mobilità si basa su moltissime auto private, utilizzate pochissimo, mentre l’auto elettrica, per quanto detto prima, si presta molto bene a un utilizzo intensivo compatibile con il car sharing. L’elettrificazione di massa delle auto ha senso solo se si va verso un modello di mobilità basato largamente sul car sharing. Per un pieno sviluppo del car sharing occorre lo sviluppo dei veicoli a guida autonoma», spiega Savaresi.
Secondo il ricercatore, l’elettrificazione delle auto è certamente il punto di arrivo, ma inverte l’ordine con cui questo traguardo sarà raggiunto: prima occorre lo sviluppo dei veicoli a guida autonoma, che permetterà la diffusione del car sharing in modo capillare, e questo consentirà di sfruttare a pieno le potenzialità dei veicoli elettrici. «Un’elettrificazione completa su un parco veicolare privato è sostanzialmente infattibile e insostenibile. Dunque meno macchine ma più utilizzate: questa è la direzione che dobbiamo prendere».
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Che vi sia un effettiva colpa anche degli automezzi nel generale inquinamento è fuor di dubbio. Che la soluzione siano i motori elettrici è discutibile, anzi ridicolo (l’elettricità viene ancora prodotta in gran parte con combustibili fossili). O troviamo altre forni energetiche o si fa solo un gioco delle tre carte ipocrita e ambiguo. In attesa del nucleare di nuova generazione (se va bene disponibile fra qualche decennio), la soluzione è il ridimensionamento della visione consumistica, altresì detto “decrescita felice”. Non sto dicendo che dobbiamo tornare a vivere nelle caverne vestiti di pelli di animali. Sto dicendo che dobbiamo stare più “fermi”, consumare meno, riciclare di più. E’ il contro assioma del consumismo imperante. Apparentemente saltando di palo in frasca, (ma i collegamenti concettuali ci sono), d’inverno dobbiamo tenere più bassi i termosifoni e metterci un maglione in più, così come d’estate dobbiamo creare correnti d’aria naturali ed evitare i condizionatori, o minimizzarne l’uso. Il consumismo è figlio di una visione viziata della vita, per cui si desidera “tutto” e il “contrario di tutto”.
Nessuno però parla delle soluzioni che potrebbero significativamente diminuire l’impatto ambientale e che sono già esistenti e praticabili, nè per il termico nè tantomeno per l’elettrico.
Vale la mia boutade di prima, auto con motori da 40 kW, 600 kg di peso, 20 km/l di autonomia minima, complete ma senza tutte cazzate che le riempiono e progettate per durare 20 anni.
Sono certo che riusciresti a scriverne le specifiche base in un paio di giorni
Invece la direzione, il riferimento è Tesla, 235 kW, 210 km/h, 45000€, vita operativa chissà machissenenfrega (tanto tra 2 anni facciamo un nuovo modello)…purtroppo non si riesce ancora a superare i 400 km di autonomia.
Ma per piacere!
“questa è materia di ingegneri e chimici”
Ovvio Giuseppe, ma gli ingegneri hanno in media la spiacevole abitudine di concentrarsi sulla tecnologia e seguire bovinamente la direzione indicata da altri.
Che non è certo quella della diminuzione dell’impatto ambientale.
Balsamo, so cosa hanno “fatto significare” al car sharing, che non è altro che un noleggio in forma diversa. “Condivisione” è un termine che ha un altro significato nella lingua italiana e che soprattutto non prevede un pagamento a fronte di un servizio, perchè la condivisione non è un servizio. Ma è bello chiamarlo car sharing innanzitutto perchè è inglese, dopodichè perchè lo si identifica come un qualcosa di gratuito.
Chiusa questa parentesi, credo che solo chi abita in determinati luoghi e utilizza molto poco l’auto (max 5000 km all’anno) può trovare conveniente questo servizio a pagamento.
Uno dei problemi più consistenti è che ci stiamo abituando a spostarci tantissimo, sia per lavoro che per diletto. Ma a me preme di più il fatto che si accetti di stare in auto per ore per raggiungere un posto di lavoro, cosa che, oltre che inquinare, sottrae tempo ed energia utili a vivere.
Senza dubbio vi è un sovrannumero di auto, soprattutto nelle famiglie che vivono in città e che, di fatto, le utilizzano pochissimo. Quando si arriva a 18 anni pare normale acquistare un’auto in più, quando si dovrebbe, a parer mio, ricominciare la condivisione delle auto proprio in seno a ogni famiglia.
Penso che, più di tutto, vada rivisto lo stile di vita che, in moltissimi, ha un dispendio di tempo, di denaro ed energia esorbitante.
E’ passato qui, qualche tempo fa, un interessante articolo che esaminava i grossi investimenti richiesti alle case produttrici di veicoli per l’acquisto di nuovi macchinari per la realizzazione di quelli elettrici e, non in secondo piano, la diminuzione considerevole dei posti di lavoro.
@6
Regattin, autonoleggio e car sharing (che potremmo chiamare auto condivisa) sono due cose diverse.
Nel primo, l’auto rimane a tua esclusiva disposizione per x tempo (giorni, mesi, anni), poi va riconsegnata.
L’auto condivisa, invece, è a tua disposizione per un viaggio (breve/medio) e la lasci alla tua destinazione, dove verrà (auspicabilmente a breve) utilizzata da un altro.
@8
Puoi anche non crederci, ma resta il fatto che all’interno di una batteria, nel tempo, avvengono reazioni chimiche che la degradano a prescindere dal suo utilizzo.
Non so cosa tu intenda per “elementi funzionali“, quanto al fatto che “vi si possa ovviare“, o, meglio, migliorarne la durabilità, questa è materia di ingegneri e chimici.
In ogni caso, secondo l’intervistato, il car sharing potrebbe minimizzare a prescindere il problema, consentendo un miglior sfruttamento delle batterie (morte per carica/scarica) e un minor impatto ambientale.
P.S.: l’auto elettrica mi pare proprio un’eccellente manovra per fa ripartire un mercato saturo, anzi in contrazione (il nostro). Anche perché dove non è in contrazione non sono certo le nostre industrie a poter comandare.
“La vita teorica di 75 anni è di norma irraggiungibile a causa del calendar aging della batteria e questo impedisce di sfruttarla appieno.”
Non credo proprio che il “calendar aging” (ma perkekazzo non chiamarlo “invecchiamento dei materiali”?) riguardi gli elementi funzionali e che non vi si possa ovviare.
Ma in ogni caso oso sostenere che le batterie attuali potrebbero tranquillamente supportare un’autonomia di 500, 600 e anche 1000 km: basterebbe fare auto con motori da 40 kW e di 600 kg di peso, togliendo tutte le inutili cazzate che le riempiono.
Ma se l’auto fosse fatta per durare 20 anni, come potrebbero convincerti a comprarne una ogni 3 o 4? Come detto ipotesi nemmeno prese in considerazione (sia per le auto elettriche che termiche, ovviamente) perché l’interesse non è certo l’ambiente
@ Marcello al 5. Potremmo fare come da ragazzi con le biciclette per renderle rumorose. Si fissava con una molletta dei panni una cartolina piegata alla forcella anteriore in modo che interferisse con i raggi della ruota che girando faceva rumore. Più veloce andavi, più rumore facevi, più attenzione ricevevi. Soluzione green a costo zero o quasi, perfezionabile.
@4.”Ma la domanda vera è un’altra, secondo me:”
Prima di arrivare alla domanda vera, bisognerebbe farsene altre, tipo “quanto è disposta l’amministrazione pubblica a mettere a disposizione dei cittadini una rete di trasporto pubblico efficiente, non solo in centro a Roma/Milano ecc ma su tutto il territorio nazionale?”
Perché chi abita in provincia come fa a poter contare su un servizio di autonoleggio (e diciamolo in italiano!)?
A prescindere dall’utilizzo che poi se ne farà e dal tipo di lavoro. Quindi la tua legittima domanda credo vada collocata dopo una lunga serie fi valutazioni.
Il problema dell’auto elettrica è che non fa rumore.
@3
Forse sfugge un punto.
La vita teorica di 75 anni è di norma irraggiungibile a causa del calendar aging della batteria e questo impedisce di sfruttarla appieno.
Ma, se il veicolo fosse utilizzato in modo intensivo come avviene nel car sharing, la batteria arriverebbe al massimo numero di cicli carica/scarica (equivalenti a 750mila chilometri) prima di esaurirsi per vecchiaia.
Siamo proprio sicuri che una percorrenza di 750mila chilometri sarebbe costata meno e avrebbe inquinato meno con un “motore tradizionale” ?
Ma la domanda vera è un’altra, secondo me: quanti automobilisti sarebbero disponibili a privarsi dell’auto di proprietà per una di uso condiviso?
A prescindere dal fatto che questa sia alimentata elettricamente o che bruci carcasse di dinosauri 🙂
“la stragrande maggioranza delle batterie [attuali] per uso automotive non hanno bisogno di essere riciclate”
“Non è un problema dare lunghe autonomie alle batterie delle auto elettriche. Se volessimo…non sarebbe un problema costruirle…ma, ironicamente, queste batterie durerebbero troppo”
“Questo vorrebbe dire che un’auto elettrica potrebbe durare teoricamente circa 75 anni”
In altre parole lo sviluppo di veicoli di veicoli dalla lunga vita per il car sharing in modo da avere meno macchine ma più utilizzate sarebbe ancora più facile e veloce (e probabilmente meno inquinante) con il motore tradizionale. Ma l’ipotesi non è nemmeno considerata, perché contraria all’interesse dei produttori
Non ho mai creduto e non credo proprio che l’auto elettrica possa essere una soluzione valida e questo articolo non fa che confermare questa opinione.
In particolare, l’approccio capitalistico (ovvero intento al continuo aumento della produzione e quindi del profitto) sotteso a questa transizione lo dimostra chiaramente
Con il motore elettrico il tabù dell’automobile diventa un totem, ma in sostanza rimane l’altare di un dio insaziabile che ai sacrifici umani preferisce l’olocausto della materia: litio nichel manganese e cobalto.