Via Buhl alla Cima Canali

Metadiario – 207 – via Buhl alla Cima Canali (AG 1996-007)

Il 2 giugno 1996 nella chiesuola del comune di Sagron-Mis c’è stato un evento importante: il parroco Renzo Corona ha battezzato ben cinque bambini, quattro nati nel giro di un mese nel comune e uno nato a Rovigo da madre natia di Sagron! Per un paese che nel 2021 avrebbe contato 175 abitanti, già nel 1996 ogni nascita era un valore.

Il bambino nato a Rovigo si chiama Alessandro. Suo padre è quel Maurizio Lazzaro che nel 1988 mi aveva accompagnato nella ricognizione al Canalone del Gigio. E io sono stato scelto come padrino. E’ l’occasione per una bella gita con tutta la famiglia a Sagron, dove presto la famiglia Lazzaro andrà ad abitare, coronando così un sogno a lungo accarezzato.

Santuario di Notre-Dame-de-Guérison, di fronte al Ghiacciaio della Brenva: Bibi, Elena e Petra, aprile 1996.
Paola Mazzucchi porta a spasso la figlia Costanza nelle stradine di Entréves, aprile 1996

Dal 28 luglio al 10 agosto 1996 ci fu una lunga vacanza nei pressi di Nova Levante, concordata ancora una volta con Birgit Kerl. L’ufficio del Turismo offriva ospitalità a noi quattro (più Maria Elescano, la nuova tata) per un servizio da pubblicare non ricordo più dove.

Già il 29 eravamo attivi con una bella gita alla Malga La Mens (Oberholz), una passeggiata per far giocare le bambine e per fare qualche foto. Il 30 ripetiamo il copione, anche se in luogo molto più frequentato, il Lago di Carezza.

L’articolo apparso su Alto Adige del 7 giugno 1996. In piedi, a sinistra: Maurizio e Gemma Lazzaro con il neonato Alessandro.
Levanto, luglio 1996: da sinistra, Petra, Elena, Tommy Ferrari, Pierandrea Lattuada e Pietro Giusto
Elena a Levanto nel luglio 1996

Il 31 luglio, dato il bel tempo pomeridiano, salii da solo alla Cima del Pascolo 2646 m. Da Malga Laner 1826 m seguii una strada forestale verso nord-est che raggiunge pressoché in piano e tra i boschi lo sbocco del Circo del Forcellone, a nord dell’elevazione del Monte Corona. Da lì salii a sud-est per il sentiero segnalato per il Forcellone. Finito il bosco lasciai la traccia per il Forcellone e salii direttamente per ghiaie e mughi all’immenso ghiaione che scende dalla Cima del Pascolo, che correttamente si chiama Kirchtagweid. Individuato il canalone di salita (unica possibilità) lo percorsi su terreno assai instabile fino alla forcelletta finale. Da lì, in breve, per la friabile crestina nord-ovest, arrivai in cima. Questa meta volevo a tutti i costi, perché sapevo che da lì la visuale sul quasi intero versante settentrionale del Latemàr sarebbe stato pressoché “inedito”, mai fotografato.

Nova Levante, agosto 1996: Bibi ha appena messo Elena a cavallo.
Nei pressi del Passo di Pampeago, agosto 1996: Elena e Ale.
Petra al Lago di Carezza, agosto 1996
Petra, Nova Levante, agosto 1996
Ospiti dell’Innerfohrer Hof, la cui proprietaria è parente di Ingrid Robatscher
Innerfohrer Hof
Petra, Bibi ed Elena si affacciano dall’Innerfohrer Hof
Wuehnleger, nei pressi di Tires, agosto 1996
Petra, Nova Levante, agosto 1996
Maria ed Elena, Piramidi di terra di Steinegg, agosto 1996
Petra, Ale ed Elena alloa Fossa del Lupo (Nova Levante), agosto 1996
Elena e Petra a Wuehnleger, nei pressi di Tires, agosto 1996
Elena a Wuehnleger, nei pressi di Tires, agosto 1996
L’inusuale panorama dalla vetta del Kirchtagweid (Cima del Pascolo): da sinistra, Schenòn, Torre Christomannos, Cimòn del Latemàr, Torri Occidentali, la larga Forcella dei Campanili, la Torre di Lavina Rossa (circondata da guglie minori e fiancheggiata a destra dalla Torre del Rosario), la pencolante Signorina, la Torre della Miniera, la Cima del Forcellone e, più arretrato, il Corno di Val d’Ega.
Bibi e Petra corrono nei prati attorno all’Edenhof nei pressi di Collepietra/Steinegg, a cavallo tra la Valle di Tires e la Val d’Ega, agosto 1996.

Nei giorni seguenti, al di là di una salita al Passo Santner per la via ferrata dal rifugio Coronelle che feci da solo, rimasi sempre con Bibi e le bambine. Furono giorni assai felici anche se, a ben sentire, qualcosa d’inespresso si stava insinuando tra noi. Eravamo così presi dalla contemplazione delle nostre piccole, così rapiti dalla loro gioia e dal loro amore, che non sentivamo la necessità di un momento che fosse solo nostro. Solo qualche pensiero che, scacciato, rientrava da qualche finestra psichica come una mosca fastidiosa. Negli ultimi giorni girammo assieme ad Ernesto Fabbri e a una sua amica, Maria Grazia.

Riportata la famiglia a Levanto, mi trovai con Ernesto per salire assieme la Chandelle, ancora per la via Bonatti, già tentata a suo tempo con Nella. Era il giorno di Ferragosto e anche questa volta non riuscii ad arrivare sulla vetta vera e propria: ci fermammo alla sosta prima dell’ultima lunghezza. Dormimmo al rifugio Torino e nella notte partimmo alla volta della via normale della Tour Ronde: lo scopo era fotografico. La Tour Ronde è il miglior balcone naturale sull’intero versante della Brenva del Monte Bianco. Arrivammo in vetta giusto nel momento in cui il primo raggio di sole la colpiva. Lavorai con tutta calma, catturando una bellissima serie di immagini.

Panorama dalla vetta della Tour Ronde, 16 agosto 1996: da sinistra, Aiguille Noire de Peutérey, Aiguille Blanche de Peutérey, Pilier d’Angle, Monte Bianco, Mont Maudit.

Ma l’estate era soprattutto dedicata alle Dolomiti: Marco Milani le batteva per itinerari che avevamo stabilito assieme, in modo da non sovrapporci.

Il 19 agosto, dopo una notte passata al Passo Cereda 1361 m, salii con Giovanni Alfieri al Monte Feltraio 2295 m e alle successive Rocchette, una lunga sgamellata per riprendere all’alba l’intero versante meridionale delle Pale di San Martino. Il 20 agosto ci trasferimmo al rifugio Pradidali dove, tra una foto e l’altra, riuscimmo a salire la Torre Pradidali per la via Franceschini. Il 21 attaccammo di buon’ora la via Buhl alla parete ovest della Cima Canali, una classica che mi mancava, entusiasmante. La discesa, addomesticata dagli ometti di segnalazione, non fu affatto un problema: eravamo di ritorno alla mia Mondeo molto presto. Dopo un giorno di brutto tempo, il 22 agosto prendemmo la funivia del Sass Pordoi e da lì ci spostammo in zona Piz Boè per salire il panoramico Antersass, fermandoci alla Quota 2526 m.

Da Monte Feltraio alba su Cimerlo, Cima della Stanga, Passo della Stanga e Sass Maor (in ombra si vede parzialmente la contigua Cima della Madonna), 19 agosto 1996
21 agosto 1996, Alessandro Gogna in arrampicata sulla via Buhl della parete ovest della Cima Canali

Con Giovanni era molto piacevole girare. A lui piaceva sia camminare che arrampicare, non poneva mai condizioni al suo impegno. Aveva un umorismo del tutto particolare, giocoso. Pensai che presto avremmo potuto fare qualche uscita meno “lavorativa”, facendogli conoscere le mie bambine per vedere come l’avrebbero preso. Ma la realizzazione di questo progetto non fu immediata.

Anche per prendere un po’ di distanze dalla guida della Mesolcina-Spluga, che letteralmente ci stava sfiancando anche in qualche serata di agosto a Milano, ritornai in Dolomiti con Angelo.

Angelo Recalcati, dalla vetta del Comedòn ammira Sass de Mura, Forcella Cimònega, Piz de Mez e Piz de Sagròn; a destra le Pale di S. Martino e la catena del M. Agnèr. 6 settembre 1996.

Il 6 settembre, con lui scelsi un itinerario davvero spettacolare, in quel gruppo di Prealpi Feltrine che sovrasta il Passo Cereda e fronteggia le Pale di San Martino. Avevo individuato la cima del Comedòn 2325 m come il balcone più naturale sulle cime più importanti di quel sottogruppo, il Sass de Mura e il Piz de Sagròn. Non mi sbagliavo. Massiccia piramide all’estremità sud-est della catena del Cimònega, il Comedòn è caratteristico per l’evidente stratificazione della roccia dolomitica ripiegata a gomito (da qui il toponimo). Lasciata l’auto a Matiuz Alto (Sagròn) 1293 m, prendemmo una strada forestale che traversa il ripido versante boschivo verso sud-est con la segnalazione dell’Alta Via n. 2. Qualche centinaio di metri prima della fine della strada deviammo a destra per un buon sentiero (non facilmente individuabile, nessuna segnalazione) che sale piuttosto irregolare fino al fondo di un torrente secco. Risalimmo questo per un centinaio di metri, poi obliquammo a sinistra con traccia più marcata per mugaie fino a raggiungere la base del roccioso versante settentrionale del Piz de Sagròn. Eravamo in un posto davvero selvaggio e non c’era anima viva. Il vecchio sentiero di cacciatori, l’Intaiàda, spesso intagliato nella viva roccia risale lungamente al Passo turistico del Comedòn 2125 m c. Abbandonammo il sentiero (che prosegue in discesa per il bivacco Feltre/Walter Bodo 1930 m) e scendemmo con attenzione per roccette al vero intaglio del Passo del Comedòn 2067 m. Da qui risalimmo sul versante sud-ovest una serie di rampe rocciose parallele alla cresta ovest-nord-ovest del Comedòn e, senza itinerario obbligato, raggiungemmo poi la cresta e la vetta (passi di I e II grado).

Dato il tempo stupendo, decisi che quella era la serata per andare ad appostarci a Malga Crel, vicino a San Martino di Castrozza, ed attendere uno dei più fantasmagorici tramonti sul versante occidentale delle Pale di San Martino, dal Cimòn al Sass Maor e alla Cima della Madonna. Fui premiato.

6 settembre 1996: la spettacolare visione delle Pale di San Martino da Malga Crel: in attesa del tramonto.
Sass Maor e Cima della Madonna visti da Malga Crel al tramonto
Dai pressi della Forcella di Sédole verso Val Canali, Sass d’Ortiga, Pala della Madonna, Torre Dresda, Forcella d’Oltro, Cima d’Oltro, Forcella Gamberina e Rocchette di Monte Feltraio, 7 settembre 1996.
Da Malga Segantini verso la Cima della Vezzana e il Cimon della Pala.

Il 7 settembre puntammo alla Forcella di Sédole. Dal posteggio in Val Canali a 1320 m c. seguimmo la strada forestale della Val Canali. Ad uno slargo nei pressi della Malga Canali lasciammo a destra il largo sentiero per il rifugio Treviso e prendemmo a sinistra nel bosco seguendo la segnalazione del bivacco Minazio. Presto il sentiero portò ad addentrarci nel selvaggio e ripido Vallon delle Lede. Salimmo fra mughi, coste franose e qualche roccetta fino a che la pendenza diminuì appena e si incominciò a vedere il bacino superiore. Qui lasciammo il sentiero per il bivacco e prendemmo a sinistra una deviazione. Ormai su terreno erboso e con splendido panorama sulle pareti dell’alta Val Canali, guadagnammo senza difficoltà la Forcella di Sédole 2298 m e la Punta Nico Gusella 2333 m. La Cima Canali (preceduta dal Sasso delle Lede) e la Fradusta s’imponevano sopra di noi, felici raccoglitori di immagini e di sensazioni nel tripudio di quella giornata.

Dopo un intenso periodo lavorativo, la sera del 9 settembre 1996 raggiungo le Piccole Dolomiti. Sono solo e la mattina presto dal rifugio di Revolto 1336 m seguo la forestale chiusa al traffico privato per il Passo Pertica 1522 m. Questa fu costruita dal genio militare italiano tra il 1916 e il 1917 e continua fino al rifugio Scalorbi 1767 m nei pressi del Passo Pelagatta 1776 m, tra il Monte Plische e il Fumante. Il mio obiettivo era quello di riprendere qualche immagine di questa parte occidentale delle Piccole Dolomiti. Puntai decisamente a sud e seguendo un bellissimo sentierino salii al Monte Plische 1991 m, con un meraviglioso ma un po’ perturbato panorama su tutto il gruppo della Carega, sul Fumante (Monte Obante) e sulla catena delle Tre Croci. Non soddisfatto di tutta quella nuvolaglia, salii anche il Monte Obante 2072 m, purtroppo senza migliorare i risultati.

Alpe Campogrosso e Piccole Dolomiti sud-occidentali (Monte Carega e Monte Obante)

Più fortunato fu il giro che feci con l’amico Giovanni Alfieri due settimane dopo.

Il 26 settembre, dopo aver passato la notte ai Prati di Manzana 1020 m c. vicino ad Agordo, seguimmo ancora al buio una sterrata che sale lungamente nei boschi fino alla Malga d’Agnèr di Fuori 1618 m. Da qui, senza sentiero, risalimmo i prati in direzione nord verso la Costa della Madonna fino a raggiungere un’antiestetica, ma probabilmente utile, serie di reti paravalanghe. Da qui traversammo e scendemmo a destra all’intaglio 1850 m c. dal quale ci arrampicammo (I e II grado) sulla breve parete ovest della Cima Valtorta 1937 m. Avevamo calcolato bene i tempi e giungemmo in vetta nel pieno dello splendore di luce su ciò che di più selvaggio e solitario offre il gruppo dell’Agnèr unitamente all’intero gruppo delle Pale di San Lucano proprio di fronte. Dire che questa visuale sia insolita è poco: non si era mai vista.

Dalla Cima Valtorta verso il gruppo dell’Agner e verso le Pale di San Lucano

La giornata, durante la discesa, si deteriorò per la presenza di parecchie nuvole, ma ugualmente ci spostammo al Passo Pordoi per seguire il Viél dal Pan (Sentiero del Pane) fino al rifugio Fredarola 2388 m, in zona purtroppo devastata dallo sci invernale. Da lì seguimmo la traccia sulla cresta erbosa fino in vetta al Col de Cuch 2563 m e attendemmo fiduciosi lo squarcio nelle nuvole del sole che tramontava. Fummo fortunati.

Marmolada e Gran Vernel dalla vetta del Col de Cuch, 26 settembre 1996

Oggi, a giudicare i nostri febbrili spostamenti in auto, potremmo concludere che non eravamo certo in prima linea per quella che in futuro si sarebbe chiamata “transizione ecologica”. Il piano di realizzazione del volume VII stava procedendo, ma anche l’inverno (con la conseguente necessaria chiusura dei lavori) si stava avvicinando. Quindi nella notte ci trasferimmo a quelle Piccole Dolomiti che io avevo visitato con poca fortuna.

Dalla vetta del Baffelàn, panorama su tutta la cresta del Séngio Alto fino al Cornetto, dietro al quale si alza il Monte Pasubio.

Il 27 settembre, dal rifugio Giuriolo 1456 m (Passo di Campogrosso) salimmo in direzione della vicinissima e giallastra parete del Séngio della Sisilla e, incontrata una mulattiera che traversa in piano verso nord-est, la seguimmo per poco e l’abbandonammo per prendere una traccia che sale ripidamente sulla sinistra. Con molte serpentine salimmo un sentiero d’arroccamento sul ghiaione della Gera Bianca, dalle foto oggi ben più mugoso di un tempo. Scavalcammo il costone orientale della Cima delle Ofre 1780 m per giungere poi in discesa sull’erboso Passo di Gane 1704 m, sullo spartiacque principale del Séngio Alto. Continuammo per il sentierino che porta alla rocciosa Forcella del Baffelàn 1738 m, e da lì salimmo in breve il versante occidentale del Baffelàn 1793 m (passaggi di I sup). Tornati alla forcella, scendemmo lo stretto e roccioso Boale del Baffelàn sull’opposto versante (nord) per raggiungere il Passo del Baffelàn 1661 m. Qui l’atmosfera generale cambiò perché la traversata in quota per aggirare i tre Apostoli, mediante un sentiero scavato, con cenge artificiali e gallerie, è davvero suggestiva, soprattutto pensando al perché quest’opera era stata costruita. Giungemmo infine al Passo delle Giare Bianche 1675 m, poi ancora costoloni e qualche galleria fino al Passo dei Formigàri 1760 m e quindi al Passo degli Onàri 1772 m, sempre sullo spartiacque. Qui la marcia verso il Monte Cornetto ci era preclusa da alti risalti rocciosi: ecco perché il sentiero piega a destra e, tramite spettacolari gallerie e in mezzo a scorci grandiosi sui canaloni profondi tra il Priòn del Cornetto e il Dente Rotto, fa infine raggiungere la Forcella del Cornetto 1825 m. Seguimmo una fune metallica e la successiva traccia fino alla vetta del Monte Cornetto 1899 m. Non tornammo per il medesimo itinerario bensì passando dalla bella conca della Malga Boffetal 1435 m.

Dalla vetta della Cima Trappola, panorama sulla Lessinia orientale che sembra immergersi nelle nebbie della pianura. Il sole radente dell’alba disegna i rilievi di un territorio che, solo in apparenza, è sempre tondeggiante. Sulla sinistra però si apre deciso il solco della Val d’Illasi. 28 settembre 1996.

Ancora trasferimento notturno verso i Monti Lessini, il gruppo di dolci montagne pascolive che sovrasta Verona, tutto sommato ben poco conosciuto dal turismo non propriamente locale. Il 28 settembre salimmo la Cima Trappola 1865 m, ma poi ci dirigemmo al più noto Corno d’Aquilio 1545 m. Passammo accanto a una chiesetta dedicata a tutte le vittime della speleologia: lì vicino, circondata da una rete di protezione, si apre la voragine della Spluga della Preta, curioso contrasto con la dolcezza del paesaggio attorno. Il panorama dalla cima è vastissimo: la valle dell’Adige e i tortuosi meandri del fiume prima di incanalarsi nelle strette gole di Ceraino; il versante orientale del Monte Baldo e, oltre il Monte Altissimo di Nago, le Dolomiti di Brenta con le vette innevate di Adamello e Presanella; a est, le Piccole Dolomiti e verso la pianura il tavolato lessinico con i suoi regolari solchi vallivi.

Dai Monti Lessini verso le Dolomiti

Una giornata tutto sommato rilassante, degna conclusione del nostro fruttuoso tour. Dei Lessini, oltre alla bellissima atmosfera bucolica, ricordo in particolare una valletta assai vicina alla frazione di Camposilva­no, cosparsa di massi calcarei dalla caratteristica stratificazione (fenomeno peraltro assai comune in Lessinia).

La suddivisione del lavoro con Marco Milani era architettata in maniera tale che mi fossero riservate le mete più sconosciute, quelle che solo io potevo identificare. A volte erano anche le più ostiche: e con questo non intendo le più faticose.

Sfidando le zecche, il 20 ottobre volli visitare da solo un gruppo a me particolarmente caro. Il gruppo dei Monti del Sole è estremamente selvaggio e presenta percorsi assai complicati, spesso privi di validi punti d’appoggio. L’itinerario che avevo scelto richiedeva attenzione perché il sentiero è appena accennato e spesso è stato cancellato dalla scarsa frequentazione. Nessun segnale. Eppure era il percorso più facile che si potesse scegliere, infatti seguendolo si rimane ai margini di quello che può essere considerato il cuore del gruppo, cioè la chiostra di pareti e di valloni profondi che coronano la Val Soffia. Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi possiede proprio nei Monti del Sole la parte più significativa e ricca di interessi.
Salii con l’auto a un posteggio a 890 m c. Dalla strada che fiancheggia il Lago del Mis, lo Zimòn de Gena si presenta come una piramide verdeggiante sulla quale spiccano le piccole frazioni di Gena Media e Gena Alta. Gena Bassa non esiste più perché di qualche decina di metri più bassa della superficie del Lago artificiale del Mis. Una fitta rete di sentieri collegava in passato i due villaggi ai vari mandriz, le malghe poste a livelli diversi sulle pendici del monte, e questi alle diverse zone di pascolo: pochi di essi sono ancora riconoscibili. Nei due villaggi si nota qualche segno di recupero, alcune case sono state ristrutturate dopo un totale abbandono durato parecchi anni. Una sorte, del resto, assai comune a questi villaggi della montagna bellunese.

Dallo Zimòn de Gena veduta sulla Val Soffia e sul gruppo dei Ferùc, Monti del Sole. Da sinistra, Cima Ovest dei Feruch, Cima Larga, Torre dei Feruch, Cima Borala, Forcella de i Pom, Bus del Diaol, Cima delle Coraie, Mont Alt, Fornel, Forcella delle Mughe, Peralora e Zimòn de Peralora. 20 ottobre 1996.

Preso il sentiero per il bivacco Valdo, lo seguii fino a raggiungere un costone con bella vista sui Monti del Sole. In località Sora i Sass lo lasciai e presi una traccia che saliva a sinistra. Questa torna poi a destra per superare un salto di rocce nel punto più debole. La traccia esiste solo a tratti, bisogna intuire parecchio: superati i ruderi del Mandriz de Mez e del Mandriz in Sonch, ormai per costone privo di vegetazione, puntai direttamente alla nuda vetta del Zimòn de Gena 1465 m.  Restai su quella cima parecchie ore, in attesa che le luci e le ombre giocassero a favore di una foto decente, che volevo un po’ drammatica se non altro per sottolineare un ambiente così selvaggio.

Casera Lòngara di Dietro, Altopiano dei Sette Comuni, Asiago. 25 ottobre 1996.

In quei giorni Marco Milani, assieme a Pietro Coerezza, aveva iniziato la campagna per un importante articolo che Airone ci aveva commissionato al riguardo del Parco delle Dolomiti Friulane. Prima di raggiungerli, nel tardo pomeriggio del 25 ottobre deviai sull’Altopiano dei Sette Comuni di Asiago dove salii in vetta al Monte Fiara 1760 m, a ovest di Campomuletto. La sera ero a Cimolais con Marco e Pietro. Ci mettemmo d’accordo con Mauro Corona per salire tutti e quattro il giorno dopo la via normale del Campanile di Val Montanaia, sempre allo scopo di documentare al meglio il servizio per Airone.

Il 27 ottobre rimasi ancora con loro, sfacchinando ancora verso un non ben identificato punto panoramico in cresta a sud-ovest della Cima Both 2437 m.
Tornato a Milano, si avvicinavano le feste dei Santi e con Bibi pensammo di tornare ancora a Cimolais: avevamo ormai abbandonato il sogno di una casa da queste parti, ma in ogni modo quel posto ci piaceva proprio. Con le bambine, il 1° novembre percorremmo da Casso il Sentiero del Carbone (solo fino ad un certo punto), mentre il giorno dopo fu dedicato alla bellissima gita alla Casera Casavento e alle marmitte dei giganti. Cercammo e trovammo il masso sul quale sono incise delle orme di dinosauro. Questa scoperta era assai recente. Risaliva alla mattina del 30 settembre 1994, quando una scolaresca, in visita d’istruzione scolastica nei pressi di Casera Casavento, s’era imbattuta per puro caso in un masso di Dolomia Principale (Triassico Superiore) su cui, a distanza di un metro una dall’altra, spiccavano due depressioni del tutto particolari: orme di dinosauro! Quella al centro, perfettamente conservata, è lunga 35 cm e larga 23 cm. L’altra è visibilmente incompleta nella sua parte anteriore, perché in vicinanza del margine del masso. Tra le due orme se ne può riconoscere una terza, più piccola, forse impressa da una zampa anteriore. Le impronte sono tridattili, col dito mediano allungato e i due laterali abbastanza divaricati. L’emozionante scoperta aveva portato a successive ricerche, condotte con perizia dal naturalista Mauro Caldana: furono così censite e classificate decine di altre impronte, ancora oggi non del tutto studiate. Duecento milioni di anni fa lì doveva esserci una grande palude con un sottile strato d’acqua su un fondo fangoso. Il dinosauro, bipede e carnivoro, vi si aggirava a caccia di organismi marini e di erbivori.

Cimolais, novembre 1996: Mauro Corona con Petra ed Elena.
Petra osserva l’orma del dinosauro. Casera Casavento, 2 novembre 1996.

L’intero mese di novembre fu poi dedicato ad altre pressanti questioni lavorative. Solo il 30 potei riprendere il programma, per fortuna ormai quasi concluso, e dirigermi con il pittore Guido Daniele alla birreria di Pedavena. Passata la notte al Passo di Croce d’Aune 1015 m, prendemmo la mulattiera per il rifugio Giorgio Dal Piaz che spesso interseca una jeepabile anch’essa diretta al rifugio: seguimmo quest’ultima per parecchi tratti visto che avevamo gli sci. Scavalcato il Colle dei Cavai, privo di piante d’alto fusto, traversammo lungamente sul versante ovest del Masieron per salire infine il ripido versante sud del Passo delle Vette Grandi 1994 m fino al ben visibile rifugio Dal Piaz 1975 m c. e fino al passo stesso. Da lì seguimmo la facile crestina nord-ovest che in breve ci portò alla vetta del Col Cesta 2068 m, con splendido panorama sul valle del Piave e sulle Vette Feltrine.

Salendo al Col Cesta, panorama sul Passo delle Vette Grandi e sul rifugio Dal Piaz. In secondo piano sono le Vette Feltrine, con il Monte Pavione (il più alto); a destra, da Col di Luna, a Cima Dodici. 1 dicembre 1996.
Dal Col Cesta Guido Daniele ammira il panorama sulle Vette Feltrine. La Cima Dodici è sulla sinistra. 1 dicembre 1996.
8 dicembre 1996, foto di rito della manifestazione di Mountain Wilderness a Cima Rocca della Marmolada.
Dalla vetta della Marmolada di Rocca verso i manifestanti e la Stazione terminale della Funivia, 8 dicembre 1996
Giuliano De Marchi in vetta alla Marmolada di Rocca, 8 dicembre 1996. Di fronte, il Sassolungo e il Gruppo di Sella.

Per il 7 dicembre ero stato invitato da Luigi Casanova a Moena: dovevo tenere una relazione nell’ambito del convegno “Per una montagna libera dai rumori – eliski”. Per il giorno dopo Mountain Wilderness aveva organizzato un’escursione dal Pian Fedaia alla Marmolada di Rocca: si voleva sottolineare ancora una volta l’inopportunità di molti dei progetti che vedevano questa montagna protagonista di ulteriore turistizzazione. Salii dunque con un’ottantina di manifestanti, molti dei quali conoscevo, fino alla Stazione di Punta Rocca. Dopo la foto di rito, assieme a Giuliano De Marchi decidemmo di andare in punta alla vera Marmolada di Rocca. Tra l’altro, così slegati e senza ramponi, non fu neppure semplicissimo…
E siamo così giunti alla fine del 1996 (mi aspettano le vacanze di Capodanno a Levanto per l’ormai consueto appuntamento di scrittura del testo, in questo caso del volume VII). Debbo ancora ricordare che il 10 agosto Popi Miotti aveva ufficialmente lasciato la K3PhotoAgency, prima fase del percorso che il 12 dicembre 1998 lo avrebbe portato anche all’abbandono della Edizioni Melograno. Ho fatto fatica a comprendere i suoi motivi, ma il rispetto per i cambiamenti che gli altri sviluppano nelle proprie vedute riuscì a evitare attriti in un’amicizia che ci gratificava da così tanto tempo.

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Via Buhl alla Cima Canali ultima modifica: 2024-05-16T05:50:00+02:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Via Buhl alla Cima Canali”

  1. Fantastica carriera alpinistica e altrettanto fantastica famiglia. purtroppo ti ho incontrato una sola volta sul Valsoera mentre eravamo (io e Marchionni) sulla Mellano Perego.
    Non sapevo che conoscevi Mauro Corona del quale sono un estimatore.
    Ti auguro mille altri successi.
     

  2. Foto delle Pale da Malga Crel: il contrasto generato dal verde scuro dei boschi, il grigio chiaro delle cime dolomitiche, e il blu del cielo è impagabile. Ricordo con piacere una dei miei primi viaggi in quella zona, entrando nelle Dolomiti da Vittorio Veneto (non c’era ancora la superstrada), la visione di questi gruppi montuosi isolati… da brividi

  3. Pure le foto non scherzano…meraviglia pura!
    A.Gogna una vita “spesa” (o acquisita ?)nella montagna!

  4. Anche la via Buhl alla Cima Canali è una bella salita, poi la parete della Canali con quei pilastroni a canne d’organo è spettacolare. La via la trovai rilassante. La discesa dalla normale in caso di nebbia, se non fosse ben segnata, non sarebbe semplice. Anche se oggi quasi tutti scendono a doppie dalla Buhl. Cosa che feci anche io, anni dopo,  dopo aver salito la via Heidi subito li a destra.

  5. Il 6 settembre, con lui scelsi un itinerario davvero spettacolare, in quel gruppo di Prealpi Feltrine che sovrasta il Passo Cereda e fronteggia le Pale di San Martino. 

    Anche io ho girato e arrampicato per le selvagge Dolomiti Feltrine. La prima volta che ci andai fu dalla val Cazoi pernottando al bivacco Feltre/Walter Bodo, luogo magnifico, la sera ricevemmo la visita di un bel branco di camosci.  Il giorno dopo salimmo  diretta DE BORTOLI alla Parete Piatta. In discesa una fittissima nebbia ci fece rognare per ritornare al bivacco. La seconda volta partenza da Matiuz per la banca dell’Intaiada per poi salire la via CHICCHI DI STELLE al Sasso delle Undici. Discesa al Passo del Comedon e ritorno a Matiuz per l’Intaiada. La terza volta per una bella traversata dalle malghe Erera e Brandol ai Piani Eterni,  pernotto al bivacco Feltre/Walter Bodo e girno dopo al rifugio Boz.  Ambienti selvaggi e solitari. Bellissimo!!

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