Quando arriva la calura della prima estate, esplode la voglia di trascorrere la domenica al fresco. Si scappa verso le mete fuoriporta che garantiscono un po’ di sollievo. Il flusso di auto è continuo e, specie al ritorno, ci si trova imbottigliati in code mostruose: spesso l’aria buona respirata durante la giornata è ampiamente neutralizzata dai gas di scarico del rientro. Non solo gli esseri umani soffrono gli effetti perversi di questo assalto: anche la montagna patisce le conseguenze dell’orda domenicale. C’è da interrogarsi se ne valga la pena, far pagare un prezzo del genere all’ambiente. Piuttosto che accalcarsi in grigliate sul ciglio della strada o infestare le acque turchesi dei laghi alpini, non sarebbe meglio provare modi alternativi di vivere la domenica in altura?

I due articoli che vengono proposti sono stati pubblicati entrambi sul quotidiano La Stampa del 2 luglio 2019. Per combinazione coinvolgono la Valle di Viù, una delle tre Valli di Lanzo: si tratta di una tradizionale meta fuori porta per noi torinesi. Nei due articoli, però, vengono descritti due modi antitetici di trascorrere il proprio tempo. Sovraffollamento e problemi di sicurezza in un caso, riscoperta della vita alpina nell’altro, con in più il sostegno ad un’iniziativa utile per non abbandonare le valli (Carlo Crovella).
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(1)
L’assalto dei turisti spaventa le montagne: “Non è sostenibile”
(Bollino rosso domenicale nelle valli del Torinese. E da Usseglio a Ceresole, rispunta il numero chiuso)
di Gianni Giacomino
Quello appena trascorso è stato davvero un week end da bollino rosso sulle montagne del Torinese. Dove migliaia di persone a bordo di macchine, moto e camper si sono arrampicate fino a dove finisce l’asfalto per sfuggire ad un sole torrido. Con aree pic-nic e ristoranti esauriti, litigi per conquistare un parcheggio e, come è avvenuto al Pian della Mussa, un allarme per dei pericolosi fuochi accesi durante la notte. Questo è il quadro del primo fine settimana d’estate.
E così rispunta l’idea del «numero chiuso» per le auto in alcune zone e in certi orari. Come avviene già a Pian del Re: dopo un tot di mezzi in sosta, si sale solo con la navetta.
Domenica ha perso la pazienza Piermario Grosso, il primo cittadino di Usseglio. Che è salito fino ai 1800 metri del Lago di Malciaussia molto più che preoccupato. «Ho contato 260 automobili e una ottantina di moto, più 67 macchine parcheggiate lungo la strada provinciale che raggiunge il lago – dice – e poi braceri fumanti e persone che si tuffavano nell’acqua gelida. Lo giuro, sono rimasto pietrificato». Incalza: «Per un momento ho pensato: se in questo momento viene giù un temporale e si scatena il fuggi fuggi, cosa può capitare?». Si sfoga: «Alla fine il responsabile della sicurezza sono sempre io e non ho né i mezzi né il personale per gestirla. Spero proprio che, con l’appoggio della Regione e dell’Enel, si riesca finalmente a vietare l’accesso alle auto intorno al lago e che si arrivi a un turismo consapevole, rispettoso della natura». Grosso non vede l’ora che diventi realtà il parcheggio da circa 130 posti nell’area delle vecchie caserme, da realizzare entro il prossimo anno.

E da lì, o anche da più in basso, partiranno le navette, ma da non più di 17 posti. Quelle che, nei giorni di fuoco, attraversano la Valle dell’Orco per raggiungere il Colle del Nivolet. Anche se domenica Ceresole Reale è stata invasa da migliaia di turisti «mordi e fuggi». «Dobbiamo assolutamente individuare e costruire altre tre aree parcheggio – riflette il vice sindaco, Mauro Durbano – Il nostro obiettivo è quello di trovare un equilibrio del flusso turistico, in modo che le attività commerciali possano lavorare regolarmente tutto l’anno e chi arriva a Ceresole sappia dove lasciare la machina».
Ai 1800 metri del Pian della Mussa, nelle Valli di Lanzo, chi arriva in auto paga 3 euro di ingresso e può sostare tutto il giorno. Anche perché spazio ce n’è molto. «Con il ricavato riusciamo a pagare un po’ di smaltimento rifiuti – calcola Gianni Castagneri, ritornato alla guida di Balme la primavera scorsa – ma il nostro problema sono le frequentazioni notturne del Piano, con persone che, senza rispettare nulla, tagliano legna e accendono fuochi, oppure sparano la musica a tutto volume. Per questo occorrerebbe un po’ più di controllo da parte delle forze dell’ordine». «Abbiamo ben chiaro il problema del super traffico in alcune zone alpine che, alla fine, se fa bel tempo, si limita a qualche weekend estivo– riflette Fabio Carosso, l’assessore regionale alla Montagna – Proprio per questo, a partire dai prossimi giorni, inizieremo ad incontrare tutti i sindaci delle vallate piemontesi. Vogliamo che siano loro a segnalarci le criticità in modo da poter indirizzare le richieste dei fondi europei. Perché siamo convinti che, nell’immediato futuro, ci sarà un ritorno a vivere in montagna».
Nel primo alpeggio didattico s’impara la fatica dei malgari
(I bambini, a Usseglio in Val di Viù, imparano le tradizioni dei pastori mungendo le mucche e preparando il formaggio)
di Gianni Giacomino
Siete attratti dalla vita agreste e dura dei montanari? Volete, almeno per un giorno, provare a faticare come un malgaro e conoscere le tradizioni e le abitudini dei pastori, mungendo le mucche e preparando il formaggio? Ora si può. Perché lassù ad Usseglio, l’ultimo paese della Valle di Viù, a poco meno di una settantina di chilometri da Torino, è nato un «alpeggio didattico».
L’idea di questo singolare progetto è venuta in mente a Chiara Menzio, una maestra di asilo di 37 anni, guardando giocare i bambini del suo asilo di Chieri, sulla collina torinese, dove la sua famiglia è proprietaria di un’azienda agricola da generazioni: «Perché – si è chiesto la donna che ha sempre diviso il suo impegno nell’educazione dei minori con la fatica della cascina – non far divertire i piccoli anche in quota, in mezzo al verde dei pascoli, a contatto con gli animali?».

Fatto. Tutta la storia parte una ventina di anni fa quando, papà Giuseppe ha acquistato l’alpeggio Contessart, a 1650 metri d’altezza, in località Pian Benot di Usseglio, dove da piccolo saliva per pascolare le pecore ai piedi del Rocciamelone. E, ora, quelle pietre – con un robusto investimento – sono diventate una stalla modello e un laboratorio. «Da maggio fino a settembre accogliamo chi vuole stare con noi dal mattino fino al tardo pomeriggio – spiega la Menzio – Si inizia con la colazione, poi vengono “tirati i fili” per delimitare la zona di pascolo del nostro centinaio di vacche e di un migliaio tra capre e pecore». E questo per iniziare. Poi i visitatori faranno anche una full immersion per conoscere le suggestioni della transumanza, le storie e le leggende quasi ancestrali che ruotano intorno alla figura dei malgari.
«Poi – continua Chiara Menzio che, nell’iniziativa, è anche supportata dal fratello minore Matteo – ci si potrà sedere su uno sgabello e mungere. Da lì i nostri ospiti, si sposteranno quindi in un piccolo caseificio, il “laboratorio del tornino” e proveranno a confezionare il formaggio o lo yogurt, seguendo tutte le fasi e i segreti della lavorazione. Ma i protagonisti saranno loro, noi forniremo solo delle indicazioni, altrimenti si perde lo scopo di questa esperienza».
«Abbiamo da subito apprezzato la tenacia con la quale Chiara ha voluto realizzare questa fattoria e siamo convinti che attirerà molte persone, visto che, sempre di più, c’è una riscoperta di questo mondo, lontano dalla frenesia delle grandi città – dice Piermario Grosso, da poco rieletto sindaco di Usseglio – per lanciarsi in iniziative del genere occorre grande coraggio e amore per il proprio lavoro che serve, soprattutto, a salvaguardare una fetta importante di territorio montano».
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Forse la soluzione sta arrivando: mi sembra che non riescano più a fermare Ebola.
“E se i cittadini volessero mettere in atto una scrematura delle presenze in città”
In effetti io sono un po’ stufo di vivere in un comune di circa 1.200.000 abitanti e dover pagare il parcheggio (oltre a TARI, IMU, TARSI e FANGALA) perché ogni giorno ci girano più di 2.000.000 di macchine e c’è sempre traffico…
E se provo ad andare in bicicletta rischio la pelle (una cinquantina di morti all’anno)
E’ il modello di sviluppo che non va; finché non si prova a cambiare quello l’unica legge per cittadini e montanari rimane Produci, Consuma, Crepa
La scrematura o contingentamento va fatto da parte di chi gestisce l’ambiente(Corpo Forestale/Carabinieri o Polizia Locale) e va indicato un numero massimo(40 o 50) di veicoli che possono accedere e stazionare, con una tariffa fissa, ma va indicato anche un orario (ore 7.00 suggerirei) entro il quale si può accedere al sito e un orario per la discesa o uscita.
Il via vai, per esempio, che avviene in Gardeccia, sulle Dolomiti di Fassa, con decine di pulmini diesel è assolutamente deleterio per l’ambiente e dura tutto il giorno rendendo l’area decisamente inquinata.
Non c’è più limite?
Per me ormai siamo a giustificare le nostre gite divertenti in posti che non conosciamo e nemmeno abbiamo mai pensato di visitare, avvolgendo tutto in un’aurea di ecologia e di presa di responsabilità “seriose”.
Non capisco, ma ci sono tutti e qualcosa significherà.
https://www.montagna.tv/143556/firmata-la-carta-delladamello-un-documento-in-difesa-dei-ghiacciai/
Il problema della gente che poi si fa male (verrebbe da dire ben ti sta!) non risolve. In questa società “sicurtaria” (rubo un termine che Alessandro ha usato in un bel convegno) finisce che le istituzioni pubbliche si metteranno in testa di vietare gli accessi… A tutti.
Se non si cerca sempre di combattere la “selezione naturale”, quella che elimina il più debole, il meno adattato, il meno flessibile…, tutto va a posto bene.
Ma noi siamo una società democratica che protegge tutti, sopratutto i più deboli.
Non vi sono possibili soluzioni intelligenti ai problemi che vengono generati dalle masse in movimento.
E’ solo illusione, bisogna aspettare che si facciano male e poi imparano.
Quelli che capiscono qualcosa dovrebbero astenersi dal dare indicazioni a chi non capisce i problemi che genera.
E se i cittadini volessero mettere in atto una scrematura delle presenze in città perché non ne possono piu di tutti quelli della provincia, in special modo i montanari, che anche in settimana invadono i loro spazi?
La montagna a ferragosto va bene solo per lavorare, secondo me. Per godersela sono meglio le mezze stagioni. Mai visto un turista a Maggio o a Novembre
Concordo nell’utilità del dibattito, pur sentendosi preoccupato di misure restrittive. Certamente ridurre accessi stradali, o meccanici (funivie, ecc.) ridurrebbe naturalmente i grandi numeri. È una faccenda complicata.
Per “contingentamento” intendo anche e soprattutto misure e prassi di tipo indiretto, come quelle acutamente segnalate dai commenti n. 3 e 4. Chissà quante altre ne esistono. Ma anche queste soluzioni di tipo indiretto presuppongono che si rompa un tabù, quello dell’indiscutibile “diritto” di ciascuno a poter andare in montagna. Per ora m8 accontento che si apra il dibattito in merito, qui come in altri spazi di confronto. L’importante è ottenere una scrematura della presenza umana in montagna, di questo ormai mi sono convinto.
contingentamento???
e chi lo decide chi ha diritto di andare e chi no?!?! ma vogliamo scherzare ????
Ci sei te per dire agli altri: non ci vai ?
riportiamo la montagna a una condizione più severa, più naturale. E la selezione avverrà da se. Certo che se continuiamo ad attrezzarla sempre di più, a creare Up che ci descrivono ogni metro dei nostri passi, a scrivere nomi agli attacchi delle vie, a segnare ogni metro dei sentieri, sempre più infrastrutture e strade.
Cosa vuoi sperare….
Quali contingentamenti adottare?
Nessun contingentamento, basterebbero due piccoli accorgimenti:
1_ togliere i ponti radio o meglio sopra le quote abitate farli funzionare solo per le chiamate di emergenza
2- ridurre la velocità di intervento dei soccorsi (dopo almeno 1 giorno)
Ci sarebbe un picco di morti per uno, due anni, poi la gente imparerebbe che andare in montagna è molto pericoloso.
E si risparmierebbe parecchio.
Ma la vanità ne risentirebbe troppo. 🙂
Quanto affermato nel commento precedente è assolutamente fondato. Tuttavia se confrontiamo i numeri umani dell’orda di merenderos, che assaltano le classiche mete fuori porta nelle domeniche estive, con quelli degli arrampiacatori (intesi come climber di bassa quota), in genere l’impatto dei primi é molto più devastante. Vi sono chiaramente delle eccezioni: ho ricordi personali di vere e proprie invasioni umane a danno delle falesie di Finale Ligure (in altri momenti stagionali, ovviamente) che mi lasciano atterrito ancor oggi. Analogamente nelle settimane estive si registrano processioni devastanti in molti luoghi di alta quota (Monte Rosa, normali del Monte Bianco, etc) da parte di sedicenti “alpinisti” che si proclamano amanti della montagna. Il problema del contingentamento umano sulle Alpi (sia a livello di merenderos che di alpinisti-arrampicatori) sta raggiungendo livelli di intensa criticità. La vera domanda é: quali criteri di contingentamento adottare?
Il turismo mordi e fuggi danneggia l’ambiente e non porta ricchezza per le popolazioni di montagna. Lo suggerisce il buon senso e lo conferma chi sull’argomento ci ha ragionato. Andrebbe disincentivato in tutti modi possibili. Questo vale per tutti. Per chi in montagna va a fare la paciata e prendere il fresco così come per quelli che vanno ad arrampicare. Posso capire che i secondi sono mossi da nobili sentimenti. Ma l’ambiente dei nobili sentimenti non se ne fa nulla.