Per un’etica nel restauro delle vie alpinistiche.
Curare il drago
di Gianluigi Giangi Angeloni
(pubblicato su Annuario 2024 del CAI Bergamo)
“L’idea alla base dell’incontro è stata quella di esplorare la relazione tra tradizione e innovazione, affrontando il tema della sicurezza in montagna e il ruolo delle attrezzature moderne, come spit e chiodi, nell’alpinismo attuale…“.
Il 7 maggio 2024 presso la sede del GAN di Nembro si è svolta una serata molto partecipata, dedicata alla conservazione delle vie di arrampicata storiche e al concetto di patrimonio alpinistico. L’incontro è stato organizzato da Yuri Parimbelli (Guida Alpina), Ennio Spiranelli (CAAI e presidente del GAN) e Giangi Angeloni (CAAI), per raccogliere opinioni diverse e favorirne il confronto.

Sono stati invitati alcuni rappresentanti delle diverse realtà che frequentano la montagna: Guide Alpine, membri del Club Alpino Accademico Italiano, istruttori del CAI, operatori del Soccorso Alpino e semplici appassionati scalatori di diverse generazioni. L’idea alla base dell’incontro è stata quella di esplorare la relazione tra tradizione e innovazione, affrontando il tema della sicurezza in montagna e il ruolo delle attrezzature moderne, come spit e chiodi, nell’alpinismo attuale.
Di seguito una sintesi di ciò che è emerso con alcuni degli interventi. Qui sotto è la video registrazione con la relazione completa degli interventi.
Il mito dell’impossibile e l’eredità di Messner
Giangi introduce la serata con un riferimento a L’assassinio dell’impossibile, un articolo di Reinhold Messner pubblicato nel 1968. Messner denunciava l’abuso delle vie “direttissime”, realizzate con l’uso intensivo di chiodi e attrezzature artificiali che consentivano la scalata in tratti altrimenti impossibili. Messner sosteneva che queste pratiche avevano ucciso lo spirito d’avventura (l’eroe Sigfrido che affronta il drago, nell’epopea della tradizione nordica), trasformando le arrampicate in attività puramente tecniche. Secondo Giangi, queste parole conservano la loro attualità e costituiscono una critica all’addomesticamento della montagna. Ennio concorda, affermando che ogni generazione di alpinisti ha apportato il proprio stile e che le vie storiche sono testimonianze culturali da proteggere e tramandare.
Differenze tra preservare e riattrezzare le vie storiche
Ennio sottolinea la necessità di conservare le vie nella loro forma originaria, come specchio dell’evoluzione dell’alpinismo. Tuttavia, emerge un contrasto: alcuni ritengono che la riattrezzatura possa compromettere la sfida e il rischio insiti nell’alpinismo tradizionale, mentre altri vedono nella sicurezza un’esigenza da contemperare con il rispetto della tradizione.
Questo punto solleva un dibattito: dovrebbero le vie classiche rimanere inalterate per conservare il loro valore storico o essere modificate per accogliere i nuovi alpinisti? Per esempio, si discute se l’aggiungere spit sia accettabile nelle vie più frequentate o se si debba intervenire solo nelle soste.
Etica dell’intervento e condivisione delle decisioni
Darlo Bertoletti solleva un tema cruciale: chi ha l’autorità di decidere quando e come modificare una via? Yuri sostiene che ogni intervento deve rispettare le scelte degli apritori delle vie, richiedendo il consenso di chi ha già operato su quelle pareti e di chi è attivamente coinvolto nella comunità alpinistica locale (Guide Alpine, CAI, Soccorso Alpino). Tuttavia, la discussione evidenzia l’importanza di mantenere un equilibrio: da un lato, si dovrebbe evitare di “preconfezionare” le vie, limitando la possibilità per i nuovi scalatori di affrontare sfide autentiche; dall’altro, in alcune circostanze, può essere necessario riattrezzare con spit per motivi di sicurezza.
Montagna come luogo di formazione personale
Ennio e Yuri discutono dell’idea che la montagna non dovrebbe essere resa accessibile a chiunque, ma piuttosto riservata a coloro che sono disposti ad affrontarla consapevolmente. Gli alpinisti devono accettare l’incertezza e il rischio come parte integrante dell’esperienza. Questo approccio, sostengono, permette di vivere la montagna come percorso di crescita personale e di scoperta dei propri limiti. Un intervento uniformante, che modifichi tutte le vie storiche, potrebbe privare le nuove generazioni dell’opportunità di vivere esperienze simili a quelle dei primi esploratori.
Riattrezzatura e sicurezza: prospettive diverse
Romele Facchinetti (INA), Pietro Gavazzi (CAI) e Davide Bonzi Balduzzi con Gregorio Savoldelli del Soccorso Alpino affrontano il tema della riattrezzatura con un’attenzione specifica alla sicurezza che coinvolge anche chi opera in parete non per diletto ma perché riceve una chiamata di aiuto. Facchinetti e Gavazzi sostengono che aggiungere chiodi e spit in alcune vie può essere necessario, ma senza stravolgerne il carattere originale. Bonzi, capo stazione del Soccorso Alpino, spiega che una buona chiodatura semplifica e accelera gli interventi di soccorso in condizioni difficili. Riferendosi a vie molto frequentate come la Bramani-Ratti in Presolana, egli sostiene che una migliore attrezzatura delle soste potrebbe ridurre i rischi per i soccorritori e facilitare l’intervento in caso di emergenza. Angelo Fantini, Michele Cisana (INA) e Fulvio Zanetti condividono questa visione, evidenziando che la sicurezza (soprattutto alle soste) è un valore importante da bilanciare con l’originalità delle vie. Diego Manini (Guida Alpina) riflette invece sul fatto che la maggiore frequentazione indotta potrebbe aumentare paradossalmente i pericoli.
Rischio e valore culturale dell’alpinismo
La serata prosegue con interventi che richiamano l’importanza del rischio come elemento essenziale del patrimonio alpinistico. Claudio Inselvini (CAAI) argomenta che eliminare il rischio equivale a ridurre la montagna a un ambiente controllato e prevedibile, privandolo del fascino dell’ignoto. Anche Matteo Piccardi (GA) insiste sul valore dell’accettazione del rischio, affermando che la montagna dovrebbe essere un ambiente non per tutti, ma per coloro che sono disposti anche a rinunciare a una salita. Yuri aggiunge che i clienti accompagnati nelle scalate dovrebbero comprendere l’importanza dell’insicurezza nella montagna, accettandola come un aspetto fondamentale dell’esperienza alpinistica. Elio Verzeri sottolinea l’importanza della capacità di saper autovalutare e gestire se stessi. Per Maurizio Panseri il campo della discussione è di carattere culturale: non dovremmo modificare una via se non ne conosciamo la sua storia, quella della parete e degli alpinisti che ci hanno scalato sopra.
Prospettive internazionali e approcci diversi
Alcuni partecipanti, tra cui Paolo Panzeri, sottolineano le differenze tra l’Italia e altre nazioni. In Svizzera, ad esempio, molte vie sono completamente spittate, mentre nel Regno Unito prevale un approccio più “puro”, con vie prive di attrezzature fisse. L’Italia si colloca in una posizione intermedia, con una regolamentazione che cerca di bilanciare la sicurezza e la responsabilità individuale. Anche gli aspetti economici influiscono: le aziende produttrici di attrezzature promuovono sempre più spesso l’idea di “sicurezza assoluta”, con un aumento di vie molto attrezzate, ma questo rischia di alimentare un “alpiconsumismo” che potrebbe alterare l’approccio culturale all’alpinismo.
La trasmissione della cultura alpinistica alle nuove generazioni
Claudio Inselvini conclude con una riflessione sulla trasmissione dell’esperienza alpinistica alle generazioni future. Egli teme che, con l’avvento dei social media e della cultura della “prestazione”, si perda il senso della disciplina alpinistica come esperienza di sfida interiore. Yuri e Matteo Piccardi sottolineano l’importanza di mantenere vive le esperienze alpinistiche come avventura e
crescita personale, piuttosto che banalizzarle in un’esperienza sicura e controllata. Si ribadisce che l’alpinismo è nato come attività rischiosa, e la capacità di fronteggiare il pericolo dovrebbe rimanere parte integrante della formazione di ogni alpinista.
Conclusione e sintesi del dibattito
Giangi chiude l’incontro con una riflessione sull’importanza di investire nello sviluppo della consapevolezza storica e culturale nelle giovani generazioni di alpinisti. Per preservare lo spirito dell’alpinismo che ci hanno tramandato gli scalatori delle epoche passate, bisogna però preservare lo spazio dove sia possibile praticarlo, imparando gradualmente le modalità della tradizione e apprezzandone i valori.
Infine, Claudio Inselvini invita tutti i partecipanti al Convegno Nazionale del CAAI, a novembre 2024, dove si approfondiranno i temi trattati durante questa serata.
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Il moschettone della foto “Particolare di una sosta con spit” forse va sostituito.
Per me gli interventi che sono stati fatti sulle vie “storiche” ( Direttissima, Placido Piantoni, Bosio, ecc.)della Presolana Nord sono un esempio di rispetto e conservazione che andrebbe bene per molti ambienti e pareti.
Ho letto l’ articolo, e l’ ho trovato anche molto interessante, soprattutto perché tutti questi forti rappresentanti dell’ arrampicata moderna, alpinisti, accademici ecc. alla fine hanno lo stesso approccio che abbiamo noi comuni mortali riguardo a questo tema del fixare o lasciarle come stanno le vecchie vie storiche. Una cosa però ho notato: a nessuno dei tanti è venuto in mente che si discute di due discipline sostanzialmente diverse e che in comune hanno solo il fatto che ci si muove alla stessa maniera su roccia. È come se discutessero di motociclismo quelli della moto gp con quelli che fanno enduro: hanno tutti e due una moto in mano ma stanno su due pianeti diversi. Qui questi parlano di alpinismo e arrampicata come fossero la stessa cosa. In pratica chi fa arrampicata pretende di spostarsi sulle vie classiche e trovare la stessa chiodatura e sicurezza della falesia o delle vie nate plasirper svariate ragioni tra cui la più importante è sacrosanta: la sicurezza. Sono però due mondi diversi che a mio avviso andrebbero lasciati separati perché la componente che li divide è ” interiore”, una componente psicologica a tratti riferita all’ inconscio di ognuno. Anche perché i TRAD- dizionalisti così ragionando vorrebbero e pretenderebbero tutto schiodato. Che si lasci il ” vecchio” così come è, di roccia da chiosare con i fix in titanio da 15 mm c’è n’ è in giro quanta ne vogliono. Purtroppo a mio avviso sta mentalità promiscua serpeggia anche tra noi comuni mortali rischiando così di finire per snaturare molte bellissime e storiche vie.
Perché?
Quelli sono passati, hanno vissuto la loro vita, il loro alpinismo secondo le loro visioni.
Questi sono discorsi di ripetitori, discorsi da imbianchini e non da pittori.
Stopposissima accademia.
Ancora?