Massimo Manavella, rifugista per scelta tra lupi e mufloni: “Questo è il posto della mia maturità, frutto di incontri fortunati”. E ogni giorno mostra escursioni e avvistamenti alla comunità social.
Il custode della montagna
di Enrico Camanni
(pubblicato su La Stampa del 15 luglio 2024)
“Tutta quella sterminata notte carica d’abissi – scriveva lo scrittore francese Samivel – ruotava intorno alla minuscola conchiglia di latta dove riposavano gli uomini. Là dentro c’era uno spazio addomesticato, ancora fremente di gesti umani… La capanna navigava, come un’arca carica di tepore e di vita, tra le lunghe onde del silenzio e della morte».
Era l’immagine romantica del rifugio alpino, l’avamposto isolato e completamente separato dal mondo in cui gli alpinisti riposavano e trepidavano in attesa dell’ascensione.
L’idea del ricovero estremo oggi nutre forse qualche nostalgia, ma non corrisponde alla maggior parte dei rifugi perché da quando è divampato il turismo e la montagna è diventata di moda, sempre più frequentata, anche la vecchia “casa dell’alpinista” è cambiata nelle forme e nei significati.
Il rifugio ai tempi di internet è ormai un edificio abbastanza simile agli hotel di fondovalle, con camere, docce, bar, ristorante e grandi vetrate che si affacciano sul mondo esterno. Gli architetti non lo concepiscono più come un romantico spazio di attesa, ma piuttosto come luogo d’incontro, conforto e ristoro. Sono più quelli che mangiano di quelli che pernottano, nei rifugi di oggi. Tuttavia si diventa ancora rifugisti più per scelta che per necessità. E qualche volta è una vocazione.
Massimo Manavella, nato a Bagnolo Piemonte 59 anni fa e residente a Ostana in valle Po, a casa non c’è mai perché ha scelto di vivere in alta montagna. Dice che è stata la conseguenza di situazioni e incontri fortunati, ma se non avesse la vocazione farebbe altro perché un rifugista delle Alpi Cozie non diventa né ricco né famoso. Da quasi due decenni gestisce il rifugio Selleries in Val Chisone, tutti i giorni dell’anno, anche quando non sale nessuno. Lui non aspetta il cliente: presidia un territorio. Che ci sia il sole o faccia tempesta, al Selleries sai che c’è qualcuno che ti aspetta e ti fa stare bene.
Si può dire che sia un posto da lupi, dato che da quelle parti c’è almeno un lupo che a volte, la sera, passa al rifugio a cercare da mangiare. Anni fa la zona era popolata di mufloni, oggi decisamente ridimensionati dalla fame dei carnivori. Ma niente paura, è soprattutto un bel posto per bambini, famiglie e collezionisti di panorami facili, perché ai duemila metri del Selleries arriva la sterrata e chi non vuole faticare passa dal sedile dell’automobile alla panca del ristorante. D’estate il pubblico si divide in due categorie – quelli della polenta e quelli con gli scarponi ai piedi – ma d’inverno bisogna camminare. Il rifugio è inserito nel parco naturale Orsiera-Rocciavrè, una di quelle ricchezze di cui i torinesi non si rendono conto; per arrivarci si sfiora la fantastica barriera del Forte di Fenestrelle, la nostra muraglia cinese. Il piccolo altopiano del Selleries è spalancato a sud sulle Alpi Marittime e il Monviso, mentre per vedere il nord bisogna raggiungere le creste dell’Orsiera o della Cristalliera, gli storici terreni di arrampicata degli alpinisti piemontesi.
Per Manavella è il rifugio della maturità, dopo le tante esperienze giovanili e le prime stagioni negli hotel, poi il Pian Munè in valle Po, il rifugio Lago Verde in val Germanasca, l’albergo del Pian del Re e soprattutto il rifugio Jervis in val Pellice a fianco di Roberto Robi Boulard, guida e gestore carismatico. Al Jervis, Massimo ha incontrato la solitudine invernale della montagna – 64 giorni senza scendere a valle – e ha conosciuto la compagna Sylvie. Nel 2005 è nato Leonardo, giusto in tempo per salire al Selleries.
Come quasi tutti i gestori di rifugio, Manavella ha imparato a fare di tutto, dall’elettricista al falegname, dall’idraulico al cuoco, dal chiodatore di pareti all’operatore turistico, ma a differenza di altri ha messo ogni tassello al suo posto, elaborando un’idea del mondo che nasce al rifugio e si estende altrove. Anche molto lontano.
«Questa mattina, una frase in mente al risveglio: ‘… è stato bello sentirti cantare…’. Buon giorno a tutti dal rifugio Selleries. Oggi c’è una foschia alta nel cielo e niente vento. Immobilità silente. La temperatura minima della notte è stata di +6°. Ieri un cielo torbido, poi una nebbia cupa. Infine è venuta la pioggia, senza furia».
Ogni mattina Massimo sveglia gli amici di Facebook con uno sguardo al cielo e una frase per l’anima, incrociando il locale con uno sguardo universale, e al giornalista che gli chiede della natura del luogo, risponde: «La Natura siamo noi: non siamo solo degli osservatori, ma partecipiamo ogni giorno alla vita del luogo che ci ha accolto. Noi qui all’Alpe Selleries siamo di passaggio e dobbiamo fare del nostro meglio per risultare graditi, e quindi partecipare, sempre, a ciò che accade fuori. Non basta osservare, bisogna vivere nel tramonto o nella bufera, altrimenti non serve a nulla (La Guida.it)».
Il rifugio è aperto all’ospite «senza distinzioni di colori di pelle e di idee», dichiara il gestore, e chi sale avverte la forza di un’idea. La senti, la respiri. Non chi viene ad abbuffarsi di vino e polenta e poi scappa a valle senza guardarsi intorno, l’idea la sente chi è disposto a pazientare aspettando magari che scenda la notte, quando gli animali tacciono e fuori restano solo rumori di vento o selvatico, e il silenzio del mistero. Manavella non si preoccupa che il piazzale sia pieno di automobili: sa che come lui, come noi, come tutto, i motori sono di passaggio e a sera la conca si riprenderà il suo posto.
A guardarlo così sembrerebbe un gestore gentile e competente, ma niente di speciale, custode di un rifugio che non è nemmeno bello perché non è fatto di legno come quelli del Trentino, e da fuori puoi scambiarlo per una casa qualsiasi, e sentirti perfino deluso. Salvo che un rifugio non dev’essere bello, ma accogliente, e il gestore non deve solo ospitare e servire da mangiare, ma è chiamato a consigliare, dialogare, educare e aprire le porte di un luogo delicato come un alpeggio o una prateria di montagna. Il gestore è un ecologo nel senso più impegnativo della parola. E il rifugio un fragile ecosistema.
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La Monica indimenticabile rifugista del rifugio Casera Bosconero sotto la Rocchetta Alta di Bosconero.
#Cominetti.
Sono d’accordo. Fra i virtuosi mi piace ricordare la Mara che per anni ha gestito il rifugio Pontese con grande capacità ed empatia.
Mi ricordo con dolce nostalgia la Babette grande rifugista dell’Envers des Aiguilles, sempre molto gentile e con una mentalità molto aperta.
Un custode che abbia empatia con gli ospiti del proprio rifugio è merce rara.
Sono in giro da giorni tra Envers des Aiguilles, Leschaux e Couvercle. Atmosfere orribili. Custodi incazzati e maleducati!
E in un angolo dimenticato un disegno dell’indimenticabile Samivel (uno che prevedeva il futuro), quello con il vecchio Couvercle e l’alpinista sulla porta con la tazza di minestra in mano. Cose d’altri tempi.
Veramente il concerto c’è già stato.
Agli strumenti c erano i Loscki Bosky e avendo suonato all’interno nessun disturbo è stato dato agli animali.
E poi chi può seriamente sostenere e documentare che un po’ di musica possa disturbare la fauna di montagna?
UN HOTEL A 4 STELLE IN MONTAGNA … Il rifugio Selleries – 2023 m. in Val Chisone. Non interessa l’inquinamento acustico nè ambientale. Ci sono tutte le comodità, non manca nulla. Fra poco si FARANNO ANCHE CONCERTI PER AUMENTARE IL FASTIDIO ALLA FAUNA SELVATICA. Perchè QUESTA PUBBLICITA’ ?
Elettricista, falegname, idraulico non so, ma cuoco lo è diventato sul serio: poche volte mi è capitato di mangiare e stare così bene.
Grazie Max!
Le auto nel parcheggio non sono poi così fastidiose e basta girare l’angolo per trovarsi in posti fantastici
Per arrivarci senza mangiare la polvere delle auto, dalla strada asfaltata sopra Depot deviare per Saret-Larà e seguire la frecce del Sent. “Agostino Benedetto” da poco riscoperto dal CAI di Pinerolo: 2 ore di dolce salita fra boschi, pascoli e…cervi se siete fortunati!
“Il piazzale [del rifugio è] pieno di automobili.”
Purtroppo.
Tutto il resto pare bello, ma le strade rovinano l’esperienza dell’escursionista e attirano folle di gitanti in automobile, pigri e chiassosi, il cui unico desiderio è di riempirsi la pancia al rifugio e concludere con un caffè.
Vale dappertutto, nell’Appennino Tosco-Emiliano e nelle Alpi Cozie.
Ci sono stata portando un piccolo gruppo, poco tempo fa.
Consiglio una visita e una permanenza di qualche giorno per esplorare il territorio fantastico !