Il fuoco dell’anima
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
Ho salutato con enorme piacere il fatto che in quest’autunno 2017, e considerando solo le novità di Corbaccio, figuri in libreria un’opera come Il fuoco dell’anima, a firma di Andrea Di Bari con Luisa Mandrino. Tanto più se, scandagliando gli scaffali e le vetrine, vediamo con quali altri libri si sta accompagnando: ci sono Il passo successivo (di Ueli Steck con Karin Steinbach), Devo perché posso. La mia via per la felicità oltre le montagne (di Simone Moro con Marianna Zanatta) e Push (di Tommy Caldwell).
Sì, perché questi tre in neretto sono tra i massimi nomi mondiali dell’alpinismo: l’uscita dei loro libri è in certo qual modo “scontata”, perché l’interesse del pubblico è più che altro destato dalla loro attuale notorietà, a prescindere dalla qualità che, almeno in questi tre casi, è comunque garantita.
Andrea Di Bari non rientra in questa categoria: famoso scalatore degli anni ’80 e ’90, non ha mai raggiunto le vette di certi nomi, non è legato all’attualità ed è alla sua opera prima (anche se dai primi anni Duemila ha diretto alcuni corto e mediometraggi).
Bene, fatte queste premesse che in teoria la penalizzano, l’autobiografia di Andrea di Bari è un grande libro, che si stacca nettamente dalla mediocrità della letteratura di montagna.
La letteratura di montagna è in genere mediocre perché gli autori, anche se nella maggior parte dei casi in buonafede, non riescono a staccarsi dal cliché che essi stessi ritengono il lettore abbia loro ritagliato. In pratica, gli scritti pregni di questo “peccato originale” non superano mai quanto gli autori credono ci si aspetti da loro. Ne conseguono racconti scontati, farciti di “io”, che nulla concedono alla creatività, rimasta impigliata o a volte “mai nata”.
Questa di Dibba (il simpatico soprannome di Andrea Di Bari) è una storia di volontà e di sentimento che fluisce dalla passione di un ragazzo di borgata romana, dapprima nascente poi sempre più decisa e totalizzante, fino alle riflessioni finali di meditazione e di introspezione.
Il racconto procede senza volontà pirotecniche, bensì nel solo intento di rintracciare la verità, attraverso successi, insuccessi, errori. Sempre leggero ma preciso, con grossa attenzione alla personalità di amici o fidanzate, in definitiva benevolo, anche nei confronti di quei pochi che invece devono averlo fatto incazzare per davvero. Dibba è molto generoso quando si esprime sugli altri e riconosce sempre che anche gli altri stanno tutti conducendo una battaglia personale.
Andrea Dibba Di Bari su Superalcolica al Tempio, Sperlonga
La sua storia, nei primi capitoli, toglie il fiato non perché presenti chissà quali terribili avventure, ma perché i fatti raccontati trasudano quella verità di cui il lettore ha grande bisogno. Le sue vicissitudini di adolescente in mezzo ai vari teppisti lasciano un segno nella memoria, ci viene da ringraziarlo di essersene tirato fuori, grazie alla montagna, con una determinazione che francamente incute soggezione, ammirazione.
Le battute in dialetto romanesco sono il sale di un racconto che ci prende dalla prima parola.
Ma il libro è bello anche nella seconda e nell’ultima parte, perché Andrea ci spiega come è maturato, soprattutto come è riuscito a trovare la sua strada: senza però vantarsene mai, come fosse naturale per tutti…
Francamente credo che ci sia lo spazio per una seconda autobiografia. L’uomo è decisamente interessante, ancora oggi vive nel mondo dell’arrampicata, ma secondo me possiede una vita interiore come pochi altri. Non avrebbe da raccontare solo di Kalymnos…
E noi abbiamo sempre più fame di scritti di questo genere. Lo sa anche lui, forse. Altrimenti non avrebbe scritto “E ancora oggi so che se avessi dimenticato da dove venivo tutto il castello sarebbe crollato. Ma sapevo anche, rispetto a un tempo, che non mollare la presa non solo ti impediva di precipitare, ma ti portava un poco più in alto”.
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Ho letto il libro di Andrea appena uscito.
Quello di Alessandro non lo chiamerei “spottone” ma solamente quello che viene da pensare dopo avere letto Il Fuoco dell’Anima.
Finalmente la vita “vera” si mescola, come è reale, con quella verticale portando il lettore tra le vicende che la costituiscono per intero. Senza autocompiacimenti ma semmai con umana incertezza e con sovrumana certezza.
Lo dovrebbero leggere gli arrampicatori, resinati e non, di oggi perché dentro c’è un bel pezzo di storia: dalle prime gare di arrampicata dette Sportroccia all’affermazione internazionale, passando per le pareti classiche delle Alpi in una completezza che sorprende.
Andrea è stato lo scopritore di Kalymnos. Senza clamore ha cambiato le sorti di un’intera isola in tutti i sensi.
E sono convinto che non solo l’isola greca abbia giovato del suo “passaggio” leggero, segno distintivo dei grandi. Vai mo’.
Ossignùr Visentini, quello lì era un altro Dibba!
Comunque è raro uno spottone così da parte di Alessandro: toccherà proprio comprarlo
Non conosco direttamente Andrea di Bari, ma so di lui da sempre e recentemente lo seguo delle volte su Facebook, lo trovo affine nei valori e lo ammiro per la creatività e la ricerca che intuisco. Ricordo, ormai agli albori, una sua presa di posizione dopo avere assistito a un incidente sulla Cima Ovest di Lavaredo (mi sembra sul versante occidentale). E di “Dibba” ricordo le punizioni fulminanti, senza manco prendere la rincorsa.
Questo bel libro sarà presentato al pubblico (e io ci vado) a
MILANO BOOKCITY
http://bookcitymilano.it/eventi/2017/il-fuoco-dellanima
Venerdì 17 novembre ore 19.00
C/o Museo di Storia naturale di Milano
corso Venezia 55, Milano.