Il ricordo dei pionieri

Metadiario – 187 – Il ricordo dei pionieri (AG 1994-015)

Fino al 1801 il nome Gran Paradiso non esisteva se non forse in qualche scritto od orazione religiosa, come accrescitivo del sem­pre vagheggiato “giardino perduto” e premio dei buoni. Più o meno, dove oggi sorge la nostra vetta, le carte geografiche riportavano un’alta montagna a cui veniva dato il nome di “Monte Soana”, to­ponimo in seguito sostituito da quello di Monte Ise­ran. Ma era questione di tempo: le nazioni avevano sempre maggior neces­sità di definire i loro confini che mutavano al termine di ogni guerra o scher­maglia. E vista le frequenza delle controversie territo­riali, si intuisce che l’arte della cartografia dovette fare bal­zi da gigante. Anche le cime dei monti, in gene­re trascurate da­gli antichi cartografi, assunsero nel secolo XIX una loro impor­tanza. Per qualche tempo, su carte diverse, comparvero per indi­care lo stesso monte sia i toponimi di Iseran che quello di Gran Paradiso, poi quest’ultimo ebbe il sopravvento. Sulla sua origi­ne ci sono diverse ipotesi. Ci fu l’interpreta­zione mistico-reli­giosa che, avvalorata dalla teoria di santi cui sono dedicate molte vette intorno, attribuiva valori paradisiaci alla cima più alta. Altra ipotesi si richiama al fatto che l’alta Valnontey era detta dagli alpigiani, ai quali era proibita la caccia ai tempi delle “Patenti Reali”, il paradiso degli stambecchi. Altri, e forse a ragione, si rifanno ad una distorsione del termine patois Grande Paroi o Gran Parei (Grande Parete).

Dai pressi del bivacco Leonessa verso il Ghiacciaio della Tribolazione e il Gran Paradiso
Dai pressi del Bivacco Leonessa verso il Ghiacciaio della Tribolazione e il Gran Paradiso, Valnontey

Su questa grande montagna c’era una volta, fin sotto i 2000 metri, la testata finale di un fiume di ghiaccio, unione del Ghiacciaio della Tribolazione e di quello di Gran Crou. La Valnontey dunque era coronata da masse glaciali enormi che lambivano gli ultimi pascoli con un fronte scricchiolante. Oggi Tribolazione e Gran Crou sono separati e continuano gradualmente a regredire, ma ancora conservano le ca­ratteristiche dei grandi bacini.

Popi ed io abbiamo appena finito di risalire la lunghissima valle che da Cogne punta verso sud-sud-ovest al Gran Paradiso, senza mai accennare ad un lieve cambio di direzione. Giunti nei pressi dello scomparso ghiacciaio, saliamo più ripidamente verso i Caso­lari dell’Herbetet che raggiungiamo nel tardo pomerig­gio. Gli ul­timi gitanti che hanno voluto attardarsi per godere di questi mo­menti ci salutano e scendono a valle. Qui il panorama si è assai allargato, rivelando la reale dimensione di questo Gran Paradiso, che ancora non vediamo e che con­cede a poco a poco le sue misure e le sue bellezze.

Il cammino per il bivacco Leonessa è ancora lungo, ci arriviamo alle ultime luci, in tempo per tornare in basso circa dieci minu­ti a prendere un secchio d’ac­qua per la comunità. Infatti gli ot­to occupanti, nostri compagni per stanotte, l’avevano finita fa­cendo cucina e stavano già coricandosi.

Dai Casolari di Herbetet verso l’alta Valnontey, Torre Gran San Pietro, Roccia Viva e Becca di Gay
Dai Casolari di Herbetet verso l'alta Valnontey, Torre Gran San Pietro, Roccia Viva e Becca di Gay

A quell’altezza viene freddo improvvisamente, appena il sole è calato. Il cre­puscolo, complici le montagne, ti entra dentro ed ecco che avvertiamo il primo brivido, forse un vago timore ance­strale del buio e della grande montagna. In fondo, abbiamo sempre un po’ di paura di esistere. Vien voglia d’infilarsi sotto le co­perte, a coccolare la propria stanchezza. Sappiamo d’essere gli ultimi, ma domattina saremo certamente i primi ad alzarci.

L’attenzione che poniamo a non far rumore mentre traffichiamo al fornello è in armonia con l’insolita educazione di questi nostri provvisori e riservati compa­gni: di qualcuno ho intravvisto solo gli occhi e il naso al fondo di un lussuoso saccoletto. C’è poca luce, prepariamo la cena con una sola frontale, tutti sono silen­ziosi, una ragazza legge con l’aiuto di una piletta microscopica. Tra poco ci coricheremo anche noi.

Quando ero ancora al liceo prendevo a prestito i libri di monta­gna della biblio­teca del CAI e leggevo, leggevo senza tregua. Le guide invece le copiavo, con una calligrafia ferma e ricca di ab­breviazioni. Avrei voluto andare sulle vie di tutte le montagne delle Alpi, ma alcune le ritenevo più belle e quindi le co­piavo. Tra le tante storie lette sul Gran Paradiso risaltava quella di Frassy e Jeantet. Pur non conoscendo ancora di persona i luoghi, mi avevano impres­sionato la velocità, la tecnica e la resistenza alla fatica di questi due alpinisti dell’Ottocento che peraltro in seguito non fecero più nulla.

Questo settore di Gran Paradiso è stato comunque teatro di tante altre notevoli imprese di pionieri dell’alpinismo. La vetta più alta era già stata conquistata dall’altro versante nove anni pri­ma, ma c’era chi pensava che valesse la pena salirlo anche da questa parte, da Cogne.

Sto parlando di una cordata che per quel tempo compì un’impresa davvero ec­cezionale, per l’idea, per i mezzi e per l’esecuzione. Il progetto era di salire la parete est del Gran Paradiso, al fondo dell’interminabile traversata del Ghiac­ciaio della Tribola­zione.

Pier Giuseppe Frassy, di Valgrisenche, era da poco laureato in legge; Eliseo Jeantet era la guida di Cogne che lo accompagnò. Il vero ideatore dell’impresa era il Frassy: questi era un alpinista di giovane formazione ma di notevole esperienza e grande volontà. Il loro equipaggiamento comprendeva solo due spezzoni di corda e un’ascia da ghiaccio.

A mezzanotte del 3 agosto 1869, dopo un’eccitata libagione con l’abate Gor­ret, i due partono. Perfino la guida non conosceva il Ghiacciaio della Tribola­zione, le sole informazioni serie Frassy le aveva avute poco prima dall’abate! Incespicando al buio abban­donano il fondovalle, la luna li aiuta solo più tardi e alle 7 giungono per errore al Ghiacciaio di Tsasset. Si accorgono con racca­priccio del precipizio che li separa dal Ghiacciaio della Tribolazione, si avven­turano in discesa e con una manovra di cor­da sventata si trovano nell’impos­sibilità di risalire. Allora continuano a scendere , terrorizzati di essere prigio­nieri della montagna. Jeantet è calato più volte di peso e Frassy costretto ad inventarsi ingegnose manovre similari alla corda doppia, scor­ticandosi a san­gue le mani. Giunti in fondo, non si danno per vinti, risalgono il ghiacciaio e affrontano i pendii di quello che credono essere il Gran Paradiso. Frassy in­taglia i gradini con le mani spellate. Se uno dei due scivolasse dalla cresta, l’altro è deciso a gettarsi dalla parte opposta per fermare la caduta. Solo quasi in cima si accorgono dell’errore: devono ac­contentarsi della prima ascensione del Piccolo Paradiso. Sono le 17.30. Devono tornare.

Bivacco Leonessa e Ghiacciaio della Tribolazione, Gran Paradiso
Bivacco Leonessa e Ghiacciaio della Tribolazione, Gran Paradiso, Valle di Cogne

Dopo più di un mese il giovane dottore in legge torna a Cogne ed è molto feli­ce che Jeantet accetti di accompagnarlo ancora. A mezzanotte del 15 settem­bre 1869 Frassy e Jeantet lasciano Cogne (raggiunta da Frassy il giorno precedente con sei ore di marcia!), alle 5 transitano ai Casolari dell’Herbetet, alle sette iniziano la traversata del ghiacciaio, questa volta quello giu­sto, tro­vando gravi difficoltà di percorso. Seracchi mostruosi e arcigni crepacci li co­stringono a tornare spesso sui loro passi con andirivieni estenuanti. È soltanto alle 13.30 che i due, sfondando nella neve fino alla pancia, arrivano alla base della parete est sotto la verticale della vetta. Con cinque ore di sforzi sovru­mani, intagliando gradini nel ghiaccio settembrino inclinato a 55 gradi, la cor­data finalmente giunge in vetta, troppo tardi per poter scendere. È il bivacco, temperatura -8°: “senza riparo, senza provviste né coperte… non ci restava che il vigore dell’età, spossato da una salita durata 18 ore. Il matti­no dopo scendo­no verso la Valsavarenche per il Ghiacciaio di Laveciaou, non conoscendo la via normale. Si lasciano scivolare a turno trattenendosi a vicenda con la corda, poi arriva anche la tormenta. Giungono a Valsavarenche alle 14.45 e ripartono alle 16. Frassy arriverà a piedi ad Aosta alle 23. I commenti li fac­cia il lettore che abbia un minimo di conoscenza dei luoghi!

È ancora buio quando il 19 agosto 1994 ci alziamo quatti quatti dai nostri giaci­gli. Ancora pila frontale, ancora fornellino per la colazione. Poi usciamo a scarpinare per breve tratto sulla morena del Ghiac­ciaio di Tsasset. Lo spettacolo ci si apre d’improv­viso, i colori si avventano sulle rocce e sui ghiacci, avvampano per un attimo, poi acquistano quella riposante tonalità giallastra che precede lo spegnimento dell’incendio. Qui respirano gli alti e bassi del­la storia, le gesta di Frassy e Jean­tet: 125 anni fa, due uomini, un ghiacciaio sconvolto, una possente parete. Vorrei che si leg­gesse questo nelle mie fotografie, perché era a questo che pensa­vo mentre ero lì. Avrei voluto seguire le loro orme, ma la pelli­cola non riusciva a registrarle; così i richiami disperati, le battute di incitamento sono persi per sempre. Sopra di noi l’Her­betet si staglia contro il cielo con una cresta assai frastaglia­ta, di fronte è la parete settentrionale della Becca di Gay, om­brosa e solcata da larghi canali di neve. I ricordi dei pionieri sono dispersi nel vento, saltellano dai rossi gendarmi dell’Her­betet alle tetre scariche della Becca di Gay, entrano nei bivac­chi fissi che non ci sono più ma che figurano ancora sulle carte. Sono le paure più ardite i ricordi che in pochi possono ricorda­re. Altrimenti la memoria non sarebbe così preziosa.

Concludiamo la gita traversando al rifugio Vittorio Sella al Lauson nel tentativo di fare qualche foto alla Grivola. Senza successo, perché le nuvole ce lo impediscono: non ci rimane che scendere su Cogne.

Rifugio Vittorio Sella al Lauson. Da destra, Punta Nera, Colle delle Rajes Noires, Colle Louson, Punta del Tuf, Cresta del Tuf (giallo-chiara), Colle del Tuf, Punta dell’Inferno, Punta di Leviona, Colle di Leviona, Colli della Gran Serra, la Gran Serra
Rifugio Quintino Sella al Lauson, Parco Nazionale Gran Paradiso. Da destra, Punta Nera, Colle delle Rajes Noires, Colle Louson, Punta del Tuf, Cresta del Tuf (giallo-chiara), Colle del Tuf, Punta dell'Inferno, Punta di Leviona, Colle di Leviona, Colli della Gran Serra, la Gran Serra

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Il ricordo dei pionieri ultima modifica: 2015-12-03T06:00:26+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Il ricordo dei pionieri”

  1. Anche se con grande ritardo dico che questo articolo è molto interessante per un appassionato dilettante di storia dell’alpinismo, quello dei pionieri in particolare. Il “lo leggerò domani” che avevo detto il 3 dicembre 2015 è diventato “oggi” 26 luglio 2016. Me ne stavo dimenticando e sarebbe stato un peccato.

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