Spending review, in rosso anche le funivie pubbliche
di Luigi Franco (tratto da www.ilfattoquotidiano.it, 5 settembre 2014)
Nella lista delle partecipate stilata dal commissario Carlo Cottarelli ci sono oltre 60 aziende che gestiscono impianti di risalita, da Trento Funivie a Skiarea Valchiavenna e Monterosa spa. Le perdite complessive superano i 16 milioni di euro. Secondo l’esperto pesano i costi degli impianti d’innevamento artificiale e la decadenza complessiva del modello, che ormai si regge solo grazie ai clienti stranieri.
“Il modello del turismo invernale va rivisto, altrimenti si rischia di buttare via altri soldi pubblici”. È netto Giorgio Daidola, docente di Economia e gestione delle imprese turistiche all’università degli Studi di Trento nonché maestro di sci. Per niente stupito che nella lista delle partecipate pubbliche stilata dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli siano finite oltre 60 aziende di gestione di impianti di risalita, gran parte delle quali in rosso. In base ai dati pubblicati sul sito revisionedellaspesa.gov.it, riferiti al 2012, le perdite complessive, sottratti gli utili delle poche società in attivo, superano i 16 milioni di euro. Solo per fare qualche esempio Skiarea Valchiavenna, che in Lombardia gestisce gli impianti del comprensorio di Madesimo, ha registrato un risultato negativo di 1,1 milioni nel 2012 e di 760mila euro nel 2013, Trento Funivie ha perso 1,2 milioni nel 2012 e 480mila euro nel 2013 per portare gli sciatori sul Monte Bondone mentre per la società del comprensorio valdostano di Gressoney-Champoluc, Monterosa spa, il rosso è stato di 1,3 milioni nel 2012 e di 2,1 nel 2013. Numeri che forse colpiscono chi per uno skipass sborsa ogni volta anche fino a 40-50 euro, ma non gli esperti del settore.
“Gli impianti di risalita molto spesso non danno utili”, spiega Daidola, “ma permettono a tutto l’indotto di vivere. In passato alcuni gestori di funivie e seggiovie chiedevano un canone agli alberghi della zona”. Non mancano certo alcuni casi fortunati di stazioni in utile, come per esempio gli impianti dell’Alta Badia, nelle Dolomiti, che portano gli sciatori in cima alla famosa pista Gran Risa. Buoni risultati che valgono per tutto il Dolomiti Superski, il grande comprensorio che si sviluppa tra Alto Adige, Trentino e Veneto. Più spesso, però, “gli impianti hanno perdite fisse, in molti casi ripianate dagli enti pubblici azionisti non si sa bene perché”.
Dietro le perdite anche i costi per la neve artificiale
Le perdite, secondo il docente, sono causate soprattutto dall’evoluzione che il turismo sciistico ha avuto negli anni: “Un’evoluzione demenziale. Si è creato il bisogno di sciare anche quando non c’è neve, in tutto il periodo da dicembre a marzo. E gli impianti di innevamento artificiale incidono sui costi anche per il 40%”. Cosa che ha innescato un circolo vizioso, secondo il ragionamento di Daidola: l’aumento dei costi fissi è stato in parte trasferito sul prezzo degli skipass, cosa che ha contribuito a diminuire il numero degli sciatori. Risultato, un ulteriore incremento delle perdite. Queste, come detto, vengono ripianate dal pubblico, che interviene anche per finanziare la costruzione degli impianti e l’innevamento artificiale attraverso società che tra gli azionisti hanno gli enti locali. Così tra i soci di Skiarea Valchiavenna ci sono la comunità montana della valle, il comune di Madesimo e la provincia di Sondrio, l’azionista principale di Monterosa spa è la finanziaria regionale Finaosta mentre Trento funivie spa è partecipata dal Comune e dall’agenzia provinciale Trentino sviluppo.
Crisi generalizzata per il turismo invernale
Succede così dappertutto? “In altri paesi”, risponde Daidola, “ci sono casi di stazioni in cui si è sviluppato un modello di tipo ‘corporate’: una stessa società gestisce sia gli impianti di risalita che le strutture ricettive. I primi sono in perdita, mentre le seconde guadagnano. Tale modello da noi non ha avuto fortuna”. “In Italia l’intervento del pubblico c’è sempre stato. E ora c’è ancora più di prima, perché sono aumentati gli investimenti necessari per la costruzione degli impianti, i costi di gestione e i costi per l’innevamento artificiale”. Per quanto sia difficile generalizzare, secondo Daidola l’intervento pubblico spesso è da censurare: “L’unica argomentazione per giustificarlo, usata da chi è a favore, è che così si consente lo sviluppo di un’economia che nella zona va a vantaggio di tutti”. Un’argomentazione che per il docente permetterebbe però di giustificare qualsiasi tipo di investimento. “La verità è che si è sviluppato un turismo invernale che non ha più alcuno sbocco, non ha futuro. In seguito alla diminuzione dei flussi, tutto il turismo invernale è in crisi, non solo le aziende che gestiscono gli impianti. In Val di Fassa e a Madonna di Campiglio, che sono il cuore del Trentino, il tasso di occupazione delle camere durante l’anno ormai è del 30-35% e buona parte degli alberghi è in perdita”.
Un modello da ripensare. E senza soldi pubblici
Motivo della crisi? “Lo sci moderno è arrivato a un epilogo”, risponde Daidola. “Siamo di fronte a un prodotto che si è sviluppato nella seconda metà del secolo scorso, ha avuto la sua fase di maturità e oggi è in decadenza. Lo dimostra il fatto che l’età media degli sciatori italiani è aumentata e i giovani sono poco attratti dallo sci di discesa per gli alti costi ma anche perché la sciata su neve artificiale è meno appagante. Il turismo invernale ormai si regge sui clienti stranieri e la lotta è per accaparrarsi i flussi provenienti da paesi come Russia e Polonia, dove il turismo invernale di massa è considerato ancora una novità”. La soluzione per il professore è una: “Va rivisto il modello del turismo invernale, che deve tornare a essere meno legato alla tecnologia, con costi meno esorbitanti, più sostenibile e più rispettoso dell’ambiente. Se non si capisce questo, tutti i soldi pubblici investiti sono mal spesi”. L’intervento pubblico, aggiunge Daidola, dovrebbe essere ridotto. “E bisogna smettere di costruire impianti nuovi”. In Trentino, solo per fare un esempio, sono stati fatti nell’ultimo periodo diversi investimenti sugli impianti a bassa quota, come Folgarìa: “Una scelta che si scontra con l’aumento delle temperature, follia pura”. Il rischio, per il docente, è quello di ripetere gli errori fatti con Monte Bondone oltre dieci anni fa: “Si è voluto portare questa stazione sopra a Trento al rango delle grandi stazioni delle Dolomiti, con la costruzione di alberghi e strutture. Ma il risultato è stato un flop, sarebbe stato meglio rendersi conto che il Bondone doveva rimanere semplicemente la stazione della città di Trento. Invece si sono buttati via un mare di soldi pubblici e privati”.
postato il 6 novembre 2014
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Chi dice di chiudere tutto si vede chiaramente che non appartiene al mondo della montagna e alla sua economia. Al di là della non razionalità di alcuni impianti, collocati a basse quote o in zone non nevose e poco adatte, il modello migliore è quello citato nell’articolo, ovvero quello di compartecipazione di una stessa società che gestisce sia gli impianti di risalita che le strutture ricettive.
Per coloro che dicono: basta battiture e solo freeride, sappiano che si va a perdere una fetta immensa di mercato perché ad oggi solo una piccola parte di sciatori attua questa forma di sci
Soluzione del futuro in crisi: tenere aperto solo l’impianto o gli impianti che portano al punto più alto della stazione + niente battitura + niente neve artificiale.
Vero freeride senza elicotteri.
Il passo chiave: chi si prende la responsabilità per valanghe e infortuni?
è un pò come la storia delle grandi opere…spesso e volentieri servono solo a mungere soldi pubblici, a creare cattedrali nel deserto e GRANDI VORAGINI nelle casse dello stato.
Con la scusa del Turismo invernale si sono fatti con i soldi Pubblici, degli Impianti di Risalita anche laddove si sapeva benissimo prima, non avrebbero portato benefici ne turistici ne economici, solo soldi nelle tasche degli amministratori e politici locali. In alcuni casi l’impianto di Risalita va a rovinare certi luoghi che avevano la peculiarità di un ambiente “Integro”. Invece che puntare su un turismo responsabile e non dannoso per l’ambiente, si vedono sempre più cadere i divieti come L’Eliski, le Motoslitte che vanno ovunque e la continua richiesta di nuovi o di ampliamenti di impianti di risalita. Io sarei per un divieto integrale di nuove opere e farei pagare i costi di eventuali rifacimenti di cose preesistenti alle SPA che prendono i ricavi, mentre gli esborsi sono sempre sulle spalle della Collettività, che poi deve pagare cifre improbabili per risalire oppure per gli Scialpinisti che si vedono negare il permesso di Risalire con le pelli a Bordopista dopo come cittadini, aver contribuito a pagare queste inutili opere che alcuni di noi devono Subire.
La logica generale è chi è ricco scia anche coi soldi (delle tasse) di chi è povero. Ignoro che si possa fare… ma per me chiuderei tutto e la finirei coi contributi pubblici.
anche questo è un ulteriore esempio che il nostro mondo è in decadenza.