La nouvelle vague dell’Antelao – 2

La nouvelle vague dell’Antelao – 2
di Marcello Mason
(Questo post è ricavato tramite l’unione di due articoli, entrambi a firma dello storico Marcello Mason, apparsi su Le Alpi venete, primavera-estate 2025 (dal titolo La nouvelle vague dell’Antelao) e su Le Dolomiti bellunesi, estate 2025 (dal titolo Antelao, nel cuore della parete sud-ovest)
(continua da)

Nel 1988 Valmassoi, Renato Da Pozzo e Renato Panciera sono sulla Sud-ovest del Torrione San Vito, superando difficoltà di VII.

Nel 1989 lo stesso Torrione, da sud, vede la cordata Panciera-Svaluto Moreolo-Valmassoi aprire una via di VII. Nel 1990 questi ultimi si presentano sui Becett (Antelao) dove tracciano un itinerario nuovamente di VII. Nel 1992 ai piedi della parete sud dell’Antelao fa la sua comparsa Lorenzo Massarotto, una delle figure più silenziose, discrete e sbalorditive degli anni Ottanta: un uomo che amava definirsi il continuatore delle idee di Enzo Cozzolino, in grado di salire grandi pareti in estate e in inverno specialmente da solo, usando un numero essenziale di chiodi, rifiutando sempre quelli a pressione. Risalivano invece al 1984 due vie da lui aperte in solitaria: una sull’Anticima Fanton, l’altra sulla Cima Fanton (parete sud), delle quali purtroppo non è rimasta traccia.

I versanti sud-ovest e sud di un Antelao con il cappello. Foto: Paolo Lazzarin.

Luca Visentini – un altro nome che di certo non ha bisogno di presentazioni – interpellato al riguardo, conferma l’attuale assenza di dati: «Entrambe le vie partivano dal vallone del Rio Rudan, ma lui non ha lasciato niente al riguardo. Ho consultato tutto il suo archivio e non è saltato fuori nulla, c’è solo, in un giornale dell’epoca, la vaga notizia dell’apertura della via. Sappiamo unicamente che una delle due vie si svolge su un avancorpo della Cima Fanton – sembrerebbe trattarsi di IV – e dell’altra Lorenzo diceva che era di VI». Scalate perciò destinate a rimanere una sua segreta e privata esperienza, pur se realistico è immaginarle segnate da quelle emozioni che la montagna non manca mai di riservare a chi, come lui, sapeva mettersi in armonia con l’ambiente che andava di mano in mano scoprendo. Dal canto loro gli amici, nel descrivere il suo stile, sottolineavano che «sapeva scalare sfruttando tutti gli appigli che la roccia offriva, anche utilizzando i piccoli anfratti utilizzati dai fiori per crescere. Ripeteva sempre che la montagna era una cosa sacra che doveva essere rispettata perché dovevamo tramandarla così ai nostri figli». Comportamento che fu una costante della sua vita, a dimostrazione dell’ammirevole rapporto con la montagna. Come quell’agosto del 1992 sull’Antelao che lo vide, assieme all’amico di sempre, Fausto Conedera, salire la via dell’Uomo in Strach (1400 m, difficoltà fino al VII e AO: in alto esce in comune per sette lunghezze con la via Stösser-Schutt, NdR).

Parete sud-ovest dell’Antelao. 1=via Stösser-Schutt; 2=Ma perché ti ga roto i fiori?

E del 1995 è la nuova via Sabotaggio (500 m, VI) che vede impegnate le cordate formate da Anna Sommavilla, Gian Pietro Poles, Ernesto Querincig, Lucia Del Favero, Michele Barbiero e Angelo De Polo lungo lo sperone sud dell’Antelao. Ancora nel 1995 gli stessi Sommavilla, Poles più Fabio Bertagnin e Mauro Valmassoi, tracciano un’altra via (500 m, VI) sullo sperone medesimo. Ma è anche l’anno in cui Antonio Mereu e Orfeo Da Via salgono sulla Rocca dell’Antelao (contrafforte a nord-est della Cima Fanton) aprendo una via di grande soddisfazione con passaggi di VIII: non meravigli in questo caso il nome dato alla stessa, I crostoli di San Lorenzo, visto che quel 10 agosto il calendario ricordava San Lorenzo. Nel 2004 il Pilastro Gemelli (Cime Cadin, Antelao) sarà oggetto di un nuovo itinerario (280 m, VII) da parte dei triestini Marino Babudri e Ariella Sain. Prima ancora Paolo Beltrame e Sisto Degan, rispettivamente delle Sezioni CAI di Maniago e Pordenone, nel 1991 erano stati protagonisti di una nuova via lungo lo spigolo sud-ovest di Cima Fanton: dislivello 750 m, difficoltà fino al VI.

Il tracciato della via dell’Uomo in Strach (che in alto termina con sette lunghezze in comune alla via Stösser-Schutt).

Nel 2005 si avrà dimostrazione di quanto avara sia stata la vita con Lorenzo Massarotto, concedendogli come limite quel 10 luglio, ricordato dall’amico Mauro Favaretto, presente il giorno della tragedia sulla Torre d’Emmele nelle Piccole Dolomiti vicentine: «Il fulmine che ha colpito Lorenzo non è stato l’unico. In precedenza un’altra saetta aveva colpito me e solo per miracolo sono ancora vivo: mi ha attraversato tutto il corpo, uscendo dalle mani che mi sono rimaste inutilizzabili per molti minuti. Con gli altri compagni di cordata avevamo deciso di scendere e, proprio a causa delle mie mani colpite dal fulmine, Lorenzo voleva aiutarmi portando la pesante corda. Insisteva, e presala, la stava sistemando, mentre assieme agli altri avevo iniziato a scendere. Pochi minuti dopo, ci siamo accorti che lui non c’era. Siamo tornati indietro e dopo alcuni minuti abbiamo visto che un fulmine lo aveva scaraventato su un terrazzino più in basso della piazzola dove ci eravamo fermati al termine della scalata. Chiamati i soccorsi, l’elicottero non ha potuto intervenire a causa del temporale e lui è stato raggiunto da una cordata salita dal basso, ma ormai non dava più segni di vita».

Il gigantesco versante meridionale dell’Antelao. A destra (est-sud-est) della vetta sono le cime di 1) Punta Menini, 2) Punta Chiggiato e 3) Punta Fanton. a=via Bettella-Scalco (a sinistra è l’enorme camino della via Bettella-Barbiero; b=Petrucci-Smith-Da Col; c=via Cozzolino-Corsi; d=via Phillimore-Raynor-Dimai-Pompanin-Innerkofler.

Poi sulla Sud-ovest torna ancora il silenzio, tanto che bisognerà attendere il 2018 e il 2023 per trovare scalatori nei paraggi alla ricerca di nuove proposte. L’impressione diffusa era che la grande parete non avesse più molto da dire, non suscitando perciò ulteriori interessi, quand’ecco comparire altri innamorati che avevano esaminato attentamente la montagna sul posto o attraverso fotografie. Si tratta di giovani dalle diverse provenienze, accomunati dalla passione per un monte del quale hanno colto i valori più profondi, a cominciare probabilmente dalla posizione isolata, in grado già da sola di costituire una delle più affascinanti peculiarità. Non preoccupandosi del non semplice né comodo accesso, sapendo che in cambio, una volta lì giunti, vivranno l’immersione in un ambiente selvaggio abitato dal silenzio e dalla quiete più solenni. Lì dove si riesce ancora a provare la sensazione netta ed impagabile di accostarsi alla montagna dei primordi.

L’Antelao visto da Cortina d’Ampezzo

Non diversamente da quanti lo hanno fatto in precedenza, a chi decide di frequentare simili luoghi vengono inevitabilmente chieste qualità non comuni di ordine fisico, dovendo superare difficoltà di alto e talora estremo livello, tali da richiedere particolare attitudine e una preparazione frutto di costante allenamento. Ma sovente si rivela determinante soprattutto la spinta psicologica, ossia la determinazione di fronte ad incognite assolute, non sapendo mai a priori e con certezza quali ostacoli la roccia possa all’improvviso presentare. Ciò a maggior ragione qualora si decida di arrampicare da soli, ossia quando si intenda tracciare un itinerario senza poter contare su compagni di cordata.

Chi sono ora i nuovi aspiranti alla parete sud? Provengono in entrambi i casi da luoghi diversi, probabilmente sinora non è nemmeno capitato loro di incontrarsi. In ogni modo ad accomunarli sono i valori che da sempre spingono l’uomo in tali imprese, nella ricerca irrinunciabile della bellezza che risiede nell’avventura, assieme al voler sperimentare le proprie capacità nel rispettoso relazionarsi con la natura, in ambienti non di rado mai calpestati in precedenza da alcuno.

1987, vetta dell’Antelao, dopo la prima ripetizione della via di Riccardo Bee. Luca Vallata (a sinistra) ed Enrico Paganin. Archivio: Enrico Paganin.

E quanto succede, ad esempio, a Enrico Paganin, che vive con la famiglia a Venezia. L’alpinismo l’ha amato fin da ragazzo e i maestri ai quali ispirarsi, non a caso, li ha individuati in Walter Bonatti, Riccardo Cassin e Renato Casarotto, continuando così ad interpretare il loro alpinismo dai grandi valori nel quale si è a sua volta identificato, fatto di romantico corteggiamento della montagna, seguendone le linee di salita che essa offre senza forzatura alcuna. Nei giorni del carnevale cittadino – era ormai una consuetudine – capitava di notarlo nell’inconfondibile costume di Spiderman, appeso a un lampione o agilmente in bilico lungo il parapetto di un ponte. Senza esibizionismo alcuno, come allo stesso premeva sottolineare: «Arrampicarsi a Venezia, stupire i bambini e far parte della loro allegria non ha prezzo».

2018, Enrico Paganin in cima all’Antelao dopo aver concluso la sua via Mamabi. Foto: Enrico Paganin.

Può a prima vista sorprendere la sua scoperta, come del resto è accaduto ad altri veneziani, della passione che lo ha spinto a frequentare la montagna, immaginando che da un simile mondo circondato dall’acqua non se ne abbia percezione alcuna, ben diverso essendo il paesaggio che lo cinge. Esaminando più attentamente la questione, si scopre però quanto le cose stiano diversamente. Realizzando, ad esempio, che la locale Sezione del CAI, che si trova proprio nel cuore della città lagunare, è tra le più antiche d’Italia, e risale addirittura al 1890. E già questa è una bella premessa; ma soprattutto esiste il richiamo, altamente spettacolare quanto irresistibile, che le montagne sanno esercitare, quasi per grazia, nel loro improvviso e stordente apparire in certe giornate terse. Allorquando un occhio esercitato è in grado di distinguere nitidamente più di una vetta dolomitica, ossia le sagome di monti che sembrano emergere direttamente, quanto magicamente, dal mare.

Enrico Paganin, mascherato da Spiderman, arrampica lungo un ponte veneziano. Archivio: Enrico Paganin.

Tuttavia niente lì è semplice, sia chiaro, come lo stesso Enrico cerca di far comprendere a chi non sia del luogo: «Da Venezia bisogna calcolare sempre tempi più lunghi e considerare che al ritorno, dopo aver lasciato l’automobile a Mestre o al Tronchetto (situato all’ingresso di Venezia, subito dopo il Ponte della Libertà, è il parcheggio più economico della città, vicinissimo all’imbarco dei traghetti) si devono portare a piedi fino a casa tutte le attrezzature, spesso pesanti». Eppure queste complicazioni non sono mai riuscite a dissuaderlo, ed è stato proprio il suo legame speciale con l’Antelao a spingerlo a frequentarlo anche nelle stagioni più severe, lungo i più affascinanti itinerari, canaloni nevosi compresi.

La grotta del primo bivacco su Oltre il Diau all’Antelao.

Nell’inverno del 2006 sale in giornata in vetta all’Antelao per il puro desiderio di trascorrere la notte del 30 dicembre nel bivacco Cosi (a poca distanza dalla vetta, successivamente scomparso in seguito a crollo), mentre in una successiva occasione lo si scorge procedere solitario lungo il gelido Canalone Oppel.

Come nel 2017, anno che lo vede in azione in piena parete sud assieme all’amico guida alpina Luca Vallata, nella prima ripetizione della via aperta da Riccardo Bee nel 1980. Si tratta di un itinerario dalle straordinarie difficoltà, noto anche in quanto percorre la linea più centrale e diretta della parete, in un ambiente a dir poco grandioso. È in tale occasione che egli ha modo di notare alcuni punti deboli ed evidenti pieghe che salgono sul lato destro della montagna.

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao (Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth (4-7 ottobre 2023). Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

A quel punto progetta senza indugi la sua nuova avventura, le cui incognite così sottolinea: «Non so nulla, neppure se il mio progetto sia realizzabile, ma è impossibile non ascoltare un ambiente così ricco di fascino, selvaggio ed ampio, ma allo stesso tempo accogliente ed amico».

E infatti l’anno dopo egli è protagonista di «750 metri di pura avventura, di quella che tanto è colma di valore quanto è fuori moda. Il tutto in solitaria e in giornata, cercando tracce di passaggi antichi, mai trovati, fino al Pian del Lenzuò». È questa la sua più recente salita, aperta il 30 giugno sulla parete sud-ovest dell’Antelao. Giunto nel grande anfiteatro, aveva considerato: «D’ora in poi entro in terra inesplorata, in un ambiente di grande fascino, selvaggio ed ampio, ma allo stesso tempo accogliente e amico. Affrontare il terreno inesplorato di una grande parete ti mette in gioco, puoi contare solo su te stesso, le tue percezioni, le tue capacità».

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao. Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

Durante la salita gli capita che sulla corda si formi un’asola che finisce per incastrarsi nel moschettone, determinando una delle eventualità più temute da chi arrampica. Per recuperarla dovrebbe compiere una pericolosa calata su corda singola, perciò giunge alla conclusione che abbandonarla sia la cosa più sensata. In seguito, la roccia presenta una situazione dalla quale non si scorgono vie d’uscita. Fortunatamente alla fine ecco una fessura, che diviene una lama di bel calcare e arriva ad una serie di camini indicanti l’uscita della parete. Di lì al Pian del Lenzuó (caratteristica larga terrazza ghiaiosa situata all’incirca a quota 2700 m) non ci vuole poi troppo, e a quel punto la parte più complessa dell’ascensione si può considerare già alle spalle. Una volta in vetta, a Enrico viene da considerare: «Affrontare il terreno inesplorato di una grande parete ti mette in gioco, puoi contare solo su te stesso, le tue percezioni e capacità. Conoscendo anche l’eventualità della rinuncia, quando ci si trovi di fronte a qualcosa che supera le tue possibilità: una soglia che nel corso della mia scalata non è mai stata toccata».

Il tracciato di Oltre il Diau all’Antelao.

La via presenta difficoltà dal III al VI-, ha carattere esplorativo e individua una nuova linea autonoma per entrare nel grande anfiteatro a destra del “Bus del Diaul”. La battezza Mamabi, acronimo che, come Enrico stesso tiene a precisare, «rappresenta le mie tre figlie – Marta, Matilde e Bianca – per le quali, assieme a mia moglie, ogni volta desidero davvero tornare a casa».

Nel 2020 Alex Pivirotto, Flavio Fiori e Angelo Dolmen aprono una nuova via sul Ciaudierona (750 m, difficoltà di M6 e V+) intitolandola affettuosamente all’amico e collega Urbano Tabacchi da poco scomparso, grande alpinista e trascinatore del sodalizio, nonché tra i fondatori del Gruppo Ragni di Pieve.

Qualche anno dopo, il 4 ottobre 2023, fanno la loro apparizione al cospetto del Re del Cadore i gardenesi Martin Dejori, Titus Prinoth e Alex Walpoth. Ragazzi non comuni, e comunque già noti, se si pensa che nel 2015 (e qui con loro era anche Giorgio Travaglia) avevano aperto la via degli Studenti, nel cuore della parete nord-ovest della Civetta, con difficoltà fino al VII grado, meravigliando il mondo dell’alpinismo anche perché all’epoca Titus, in particolare, aveva appena sedici anni.

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao. Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

Cos’è che li ha spinti ora in Cadore? Gli interessati si erano accorti che «tra le vie Bee e Bettella-Scalco esiste una bella porzione di parete ancora libera». Libera sì, diremmo noi, ma dalle rilevanti problematiche, visto che i tre incontreranno difficoltà dal IV all’incredibile IX e A2.

Avevano concluso le loro osservazioni con la convinzione che «la parte bassa sarebbe stata facile e poco definita, mentre la cosiddetta headwall (termine che in alpinismo indica il tratto finale della parete, presentante le maggiori difficoltà) prometteva una sfida indubbiamente molto interessante. Capivamo pure che l’accesso alla parete si sarebbe rivelato lungo e faticoso, attraversando un bosco di mughi».

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao. Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

A cose fatte, non pare che in quel giorno autunnale la montagna stia esattamente dando loro il benvenuto, visto l’avvicinamento disagevole, il fastidioso piovigginare e la fitta nebbia che cupamente avvolge ogni cosa. Tutto ciò però non sembra turbare i tre, che poi trovano riparo per un paio d’ore in una piccola grotta: «La visibilità stenta a migliorare, così come il nostro morale. Ormai è già pomeriggio e le giornate di ottobre sono corte». Perciò concludono che sia meglio non perdere tempo e iniziare l’arrampicata con cinque tiri di corda su roccia solida che li conducono in un’ulteriore grotta insolitamente profonda, dove trascorrere la notte senza troppi disagi.

All’alba attacca Martin, incontrando terreno impegnativo ed esposto e successivamente delle placche. Poi è la volta di Titus a condurre la cordata su ottima roccia, le cui difficoltà salgono però rapidamente, arrivando ad un altissimo livello. Il tempo frattanto passa in modo quasi inavvertibile, tanto da accorgersi con sorpresa che già sta imbrunendo, obbligandoli a scendere su una cengia abbastanza pianeggiante e tale da assicurare una notte relativamente comoda.

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao. Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

L’indomani (6 ottobre), risalita la corda alle prime luci, Titus riprende il comando, rendendosi conto di quanto l’impegno continui ad essere elevato, sebbene senza troppa sorpresa, avendo immaginato che l’Antelao avrebbe dato loro del bel filo da torcere. Alex, che non perde alcun particolare di quanto sta avvenendo, ricorderà al riguardo: «Grazie ad alcuni passaggi in libera estremamente difficili, Titus riesce a salire la placca più repulsiva. Ma non è finita, seguono altri quindici metri di scalata impegnativa con protezioni precarie e lontane».

Dopo aver sfinito Titus per oltre tre ore, la parete si dimostra di nuovo benevola e un ultimo tiro della giornata si conclude su una stretta cengia. La montagna però è ancora lontana dal mollare, mostrandosi misteriosa ed invitante come nell’appena incontrata serie di bellissime fessure che caratterizzano i successivi tiri. Ma solo grazie a durissimi passaggi su placca sarà possibile spostarsi poi dall’una all’altra. A complicare le cose si aggiunge la spiacevole circostanza che non sempre i compagni riescono a scorgersi vicendevolmente, a causa della nebbia presente per buona parte della giornata, creando isolamenti anche psicologici, seppur non tali da impensierirli particolarmente. Il tramonto li trova esultanti sull’anticima: se anche manca ancora un po’ alla vetta e il percorso appare complicato, ormai il più è fatto e pure quell’ulteriore bivacco viene accettato serenamente, come osserverà Alex l’indomani: «Assorbiamo i primi raggi di un nuovo giorno, liberando energie nascoste che ci fanno arrivare in cima e ritornare a valle leggeri, anche perché ormai avevamo finito il cibo e l’acqua…».

In apertura di Oltre il Diau all’Antelao (Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth (4-7 ottobre 2023). Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

Nel segnalare al lettore la possibilità di consultare in Internet la bella e dettagliata relazione di quei giorni, ci si limita qui a ricordare la considerazione finale degli scalatori stessi: «Via impegnativa e lunga in ambiente selvaggio e severo. Le difficoltà sono concentrate nei sei tiri della seconda parte. Qui la roccia è solidissima e molto compatta. Diversi passi duri sono in ogni caso da superare in libera. Tutti i tiri sono stati saliti in libera dal secondo di cordata tranne il quarto tiro che contiene due metri lisci e strapiombanti, che dovranno essere valutati da scalatori più forti di noi. Con noi non avevamo spit, nemmeno nello zaino».
Parole, le loro, che sottolineano ancora una volta lo spirito di avventura dei salitori di questo monte, in un atteggiamento rispettoso, pronto a cogliere la bellezza e varietà delle sue forme e il loro continuo mutare. Un modo di rapportarsi con il monte che sarebbe sicuramente piaciuto (affratellandoli idealmente) a chi li ha preceduti in anni più lontani, come Phillimore, Raynor, Bettella, Scalco, Olivo, Petrucci Smith, e in seguito Bonafede, Menegus, Massarotto, Cozzolino, Casarotto, Michelini, Serra, Bee, Paganin, Svaluto Moreolo, Dall’Omo, Valmassoi, De Polo, Querincig, Mereu e quanti hanno realizzato lì il loro personale sogno. Quello di chi nel tempo, animato da coraggio e desiderio di scoperta, ha aggiunto un ulteriore tassello alla storia alpinistica dell’Antelao, impreziosendola. Dal canto suo ogni piega e anfratto della montagna non smette mai, da allora, di ricordarne silenziosamente il passaggio.

7 ottobre 2023. In vetta all’Antelao dopo l’apertura di Oltre il Diau. Da sinistra, Alex Walpoth, Titus Prinoth e Martin Dejori. Foto: Martin Dejori, Titus Prinoth, Alex Walpoth.

Approfondimenti
ALP Grandi Montagne n. 19, K2, CDA&Vivalda, Torino, gennaio-febbraio 2004;
Bonetti, Paolo, La storia del Gruppo Rocciatori Ragni di Pieve di Cadore, Tiziano Edizioni, Pieve di Cadore, 2009;
Mason, Marcello, Antelao in punta di piedi, Idea Montagna, Teolo, 2010;
Paganin, Enrico, Sulla via Bee alla parete sud-ovest dell’Antelao, in Le Alpi venete n. 1/2018;
Peruffo, Alberto, Renato Casarotto, una storia di storie, in Le Alpi venete n. 2/2016;
Rovis, Silvana – Lamo, Francesco, “Icio” Dall’Omo: dallo zoo di Erto alla Groenlandia, in Le Alpi venete n. 2/2018.

La nouvelle vague dell’Antelao – 2 ultima modifica: 2025-09-11T05:10:00+02:00 da GognaBlog

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16 pensieri su “La nouvelle vague dell’Antelao – 2”

  1. Non può essere la stessa, perché le competenze di uno che scala al limite sul 9a sono frutto di un percorso che determina anche l’esperienza stessa, non mi sembra difficile fa capire. Così come Oxford ecc. Ma ormai va di moda dire cosi, i cervelli si sono tarati su questa retorica. È chiaro come vetro che le esperienze non sono le stesse, l’unica cosa che e uguale è “lo scalare al limite” come dici tu, che vi porta alla facilior di cui sopra. Per quanto riguarda la superiorità dell’alpinismo sono d’accordo, le difficoltà non c’entrano, conta lo stile, e a parità di stile, ovviamente entra in gioco la difficoltà, altrimenti solo uno fra i parametri che da sola non determina lo stile.

  2. Bellissimo articolo. Solo una precisazione.Il 15 luglio 2023 e’ stata effettuata anche la prima ripetizione della via di Lorenzo Massarotto. “L’uomo in strach”, da parte mia e dei miei giovani compagni di Ravenna, Fabrizio Grimandi e Damiano Ortali. Uscira’ un racconte su Le Alpi Venete.

    Allora me lo leggerò li.

  3. @Enrico Brighante (ennesima iterazione…): io la vedo come Regattin.
    Il tuo amico guida infatti parla dell’esperienza di arrampicare al proprio limite, che è assolutamente comparabile fra persone diverse a prescindere da quale sia il loro limite (6a, 7a, 9a…).
    Né il tuo amico né Regattin (che l’ha anche scritto chiaramente: “il 9c fa la storia, il tuo 6a rimane tuo e basta”) equiparano il “valore” di un 6a con quello di un 9a, o i percorsi per arrivare a salire l’uno o l’altro.
    Quindi anche secondo me sostenere che la frase del tuo amico equivalga a dire che “prendere il diploma di terza media sia la stessa cosa che addottorarsi con magna lode ad Oxford”, è un parallelo che non sta in piedi (esperienza personale vs “valore” assoluto).
    Ciò detto, è assolutamente vero che esiste un “alpinismo superiore”, il cui valore però si misura soprattutto in termini di stile, non (solo) di difficoltà.

  4. Luciano, se parli così evidentemente non hai ottenuto risultati di rilievo nella tua vita, altrimenti saresti ben conscio che una frase del genere, anche se relativizzata al caso specifico, non si regge in piedi. Fare un 9a, come conseguire un titolo di studio prestigioso o altro ancora, presuppongono percorsi personali ed esperienze totalmente differenti, capacità e competenze profonde che non maturi in un corso roccia di un mese o tre anni di scuola dell’obbligo. L’equazione regge eccome, ed era pure facile capirlo anche per te. Ma ormai è di moda dire “siamo tutti uguali, fai quello che ti senti, la tua esperienza equivale alla mia”. Cazzate. 

  5. “per i miei clienti fare un 6a è come fare il 9a per uno come te, l’esperienza è la stessa”, che equivale un po’ a dire che prendere il diploma di terza media sia la stessa cosa che addottorarsi con magna lode ad Oxford. Tempi bui…

    Mah, a me pare che l’equivalenza non si regga in piedi. La guida parlava di termini relativi, tu l’hai spostata su quelli assoluti. Quando stai dando tutto ciò che è nelle tue possibilità, cioè stai viaggiando sui tuoi limiti, che ti chiami pincopalla o Ondra non cambia nulla, l’esperienza è sì la stessa. Ma il 9c fa la storia, il tuo 6a rimane tuo e basta. Non era difficile.

  6. Pochi giorni fa Colin Haley ha salito la ovest del Cerro Torre. Da solo e d’inverno. 
    Per me è alpinismo molto alto.

  7. Pizzo, purtroppo ormai non si può più nemmeno esternare un’opinione normalissima di questo tipo, viene sempre vista come un attacco allincapacita e alla libertà individuale. Si chiama deriva democratica, ovvero arrocco dellegocentrismo. Io lo dico senza problemi: lalpinismo più alto è quello dei ragazzi gardenesi, e tutti vi potremmo tendere (non serve fare il 7c a vista in apertura sui chiodi). Ma è più facile dire che vogliamo imporre la nostra visione…

  8. Dichiarare di preferire un certo stile alpinistico rispetto ad un altro, non credo che voglia dire volerlo imporre agli altri. E’ un confronto sulle idee sugli stili, è un scambio di idee di visione, che se fatto con rispetto, senza polemica fine a se stessa, con critica costruttiva,  non vedo cosa possa avere di negativo. Gli atti di imposizione, di manifesta superiorità, sono ben altri.

  9. Brighante, hai ragione quando parli di “tempi bui”. Infatti si verificano quando la libertà di ognuno viene limitata dalla visione a senso unico di qualcun altro. 
    Chi non cerca “applausi” sta zitto.
    Vale per ogni essere umano.
    In ogni campo.

  10. Ribadendo esageratamente uno stile si rischia di ottenere l’effetto contrario, sempre secondo me, ovvero quello di volere proporre un alpinismo “superiore” ad altri, mentre il bello dell’alpinismo sta proprio nel poterlo fare come uno vuole.

    Esiste un alpinismo superiore, ed è quello dei ragazzi gardenesi, un modo di stare in montagna che non cerca applausi ma verticalità vere, interiori e tecniche, continuatore di una tradizione sempre più fragile anche a causa di chi, oggi, non è più in grado di dire che esiste un aplinismo superiore. Un giorno un amico guida alpina mi disse: “per i miei clienti fare un 6a è come fare il 9a per uno come te, l’esperienza è la stessa”, che equivale un po’ a dire che prendere il diploma di terza media sia la stessa cosa che addottorarsi con magna lode ad Oxford. Tempi bui…

  11. Bellissimo articolo. Solo una precisazione.
    Il 15 luglio 2023 e’ stata effettuata anche la prima ripetizione della via di Lorenzo Massarotto. “L’uomo in strach”, da parte mia e dei miei giovani compagni di Ravenna, Fabrizio Grimandi e Damiano Ortali. Uscira’ un racconte su Le Alpi Venete.

  12. Quell anno il 95 ci si preparava (gruppo Ragni Pieve)per la nostra piccola sortita in terra Turca mi allenai molto sul apertura di vie nuove e perciò anche su quel torrioncino a dx di punta Rocca(dove nelle parti centrali c’è tantissimo da scoprire se ben preparati) il nome crostoli non solo usci per il patron del paese ma per delle strane e viste veramente poche volte stratificazioni di calcare staccate dalla verticale grigia al di sotto però molto compatta, inoltre avevamo (io e il compare Orfeo)nascosto assieme agli zaini un po dei crostoli in cui zia Luisa era magistrale…sbafandoli al ritorno. Il grado non è affatto di 8° ma ha “solo”un pass. di 7° + è sempre stato sbagliato nelle pubblicazioni e magari distolto qualcuno dal ripeterla ed è un peccato ; ambiente unico roccia ultracompatta con la torretta che incombe sul ghiacciaio  superiore da cui saliva un vento da polo nonostante fosse agosto.
    Periodo del personale alpinismo dove tra le tante passioni avvicinate c era l Haikido e il Tao e le sue profonde acque…la via più bella rimane una non via ; via Carolto lungo l Alemagna dove conobbi mentre correvo una vecchietta (Vincenza)e la sua modesta casa senza luce acqua e riscaldamento dove in seguito portai taniche piene e legna spaccata oltre a chiacchiere e compagnia e seppi che quando era giovane dopo il macello della Prima saliva a piedi per carita’ al mio paesello dove qualcuno gli offriva delle minestre povere ma indimenticabili come la gratitudine che dimostrava con il suo bellissimo sorriso sdentato.
    Scusate l O.T. ma non ho resistito!
    Sanj

  13. Interessantissime storie ben descritte su una montagna che personalmente conosco poco, pur avendola salita qualche volta. Complimenti all’autore. 
    Quello che a mio modesto parere stona è che si rimarca un po’ troppo questa sacralità del muoversi “in punta di piedi” e cose così,  quando si tratta di normale cronaca alpinistica. Lo stile dei protagonisti lo si capisce semplicemente leggendo delle loro gesta e ognuno potrà farsi la sua personale idea.
    Ribadendo esageratamente uno stile si rischia di ottenere l’effetto contrario, sempre secondo me, ovvero quello di volere proporre un alpinismo “superiore” ad altri, mentre il bello dell’alpinismo sta proprio nel poterlo fare come uno vuole.

  14. I complimenti a Marcello Mason li rinnovo anche io, un gran bel lavoro che stimola la curiosità ad andare all’Antelao.
    Complimenti ai 3 giovani gardenesi continuatori di una grande tradizione. Bravi, stile impeccabile.

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