La qualità del rispetto

La qualità del rispetto
(scritto nel 1995)

Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)

In prima analisi, si può dire che si rispetta un ambiente quando non si sfrutta a proprio uso, consumo o proprietà il territorio con la sua fauna e la sua flora. Ma non ci può essere un reale rispetto dell’ambiente se, in ana­lisi più approfondita, la nostra disponibilità non investe anche l’uomo in generale. Come è meglio diffidare di chi ama gli anima­li ma non sopporta gli uomini, così è impor­tante l’equilibrio tra ambiente naturale, noi stessi e gli altri.

La Svizzera è sempre stata di grande esempio in questo senso. Il montanaro ha cura del suo territorio almeno quanta ne ha il cit­tadino che paga per poterne godere. Ci sono delle evidenti buone norme che è meglio osservare non so­lo per la nostra o l’altrui sicurezza ma anche per dimensionare più globalmente il nostro rispetto.

Per un rispetto di qualità, prima di tutto occorre osservare i regolamenti territoriali, se ci sono.

L’escursionista dev’essere capace di stimare la propria esperienza, le proprie forze fisiche e quelle dei suoi compagni, adulti e non. Spesso la marcia esige piede sicuro, abitudine al vuoto, resistenza. Valutiamole attentamente, non solo per buon senso o sicurezza, ma proprio per essere certi di non voler compiere nulla al di fuori della nostra giusta dimensione: si è discreti solo se autosufficienti.

Per essere seriamente preparati dobbiamo consultare tutto il materiale informativo a disposizione: non basta chiedere al custode di rifugio, al guardiaparco o alla guida alpina. Occorre che leggiamo le guide e che ci procuriamo le carte.

È indispensabile un buon equipaggiamento, calzature adatte, abbigliamento caldo, impermeabile e dai colori non eccessivi: e tutto ciò non solo perché il tempo può cambiare ma anche perché un’operazione di soccorso, con l’uso di elicottero e di altri mezzi, oltre che dispendiosa è parecchio dannosa. Ed è per i medesimi motivi che è buona norma trascrivere sul libro del rifugio la propria destinazione, oppure confidarla ad un amico, assieme all’orario previsto di ritorno.

Il rispetto della proprietà privata è un’altra tappa fondamentale. Spesso la popolazione locale è infastidita da com­pagnie di gente schiamazzante; così è spesso diffidente nei con­fronti del cittadino. Tante volte il gitante dimostra di non te­nere in nessuna considerazione i sacrifici che un campo richiede. Così calpesta i prati prima della falciatura, ruba la frutta, danneggia i recinti, lascia rifiuti e sporca l’acqua dove si ab­beverano gli animali. Non è questo il sistema per aprire un dia­logo vero con chi la montagna l’ha sempre vissuta e conservata per tutti.

Dalla Croix de Culet sulle Dents du Midi al tramonto. Foto: marcomilani.com

Infine v’è il rispetto per gli abitanti del luogo: non entriamo nelle loro case senza chiedere il permesso, non deridiamo certi atteggiamenti spontanei o certe differenze, non chiediamo infor­mazioni come se ci fossero dovute. Si può scherzare sulle infles­sioni dialettali anche senza offendere nessuno, è questione di modi.

Se ci rechiamo in terre lontane, non ci si lasci deludere dal vedere i locali che indossano i jeans o si portano dietro la radiolina. La realtà è ben diver­sa da quella stampata sui pieghevoli: meglio accettare quel che si presenta, piuttosto che inseguire inutilmente un’immagine che ci è stata promessa. Spes­so la popolazione locale agghindata con i vestiti tradizionali è me­no spontanea dei jeans e della radio.

Non si deve esitare a rimproverare con garbo chi, per ignoranza o per indifferenza, non osserva le regole di buona concordia con l’ambiente e con la popo­lazione locale. Se al garbo è associata la fermezza, la reazione dell’interes­sato sarà di completa accettazione del rimprovero, senza alcuna voglia di alterco. Ciò sarà così umiliante da incoraggiare per il futuro un compor­tamento più corretto.

Di fronte invece ad evidenti trasgressioni (caccia e fuoristrada in zone vietate, costruzioni abusive, abbandono di grosse quan­tità di rifiuti, danneggiamenti) non escludiamo di denunciare i responsabili all’Autorità, segnalando se non basta l’accaduto al­le associazioni ambientaliste.

Gli enti preposti alla promozione turistica dovrebbero agire su questa stessa lunghezza d’onda. Perché proporre copertine di abi­tanti vestiti con abiti tradizio­nali che nessuno di loro usa più? Perché voler continuare quest’inganno, quasi una truffa? Così si calpestano tutte le dignità, quella degli abitanti e quella dei cittadini.

Lo sci e gli impianti che lo permettono sono necessari al be­nessere; ma al di là del fatto che occorre contenere le specula­zioni e l’allargamento a macchia d’olio, è importante che il tu­rismo estivo non debba lavare i panni di quello in­vernale. Tan­tissimi impianti di risalita e le loro strutture collegate sono un’offesa estiva. D’inverno la neve tutto ricopre, ma in seguito, a nevi disciolte, i danni e le sporcizie riappaiono senza pietà. Gli impianti della Croix de Culette, sopra Champéry, lasciano i prati e i boschi praticamente intatti e si vede quanta attenzione c’è alla pulizia e all’ordine, forse tipicamente svizzeri.

Gli chalet di questa terra hanno i box per l’autovettura, ma le stalle sono rimaste ed anche gli animali. Questo è il segno che il montanaro non aveva bisogno del turismo per vivere dignitosa­mente ed anche che le tradizioni qui sono an­cora forti. Perché non v’è alcun complesso d’inferiorità.

Ecco quindi che il problema della qualità del rispetto investe l’uomo e lo inve­ste da una parte e dall’altra; si risolve quasi in un rispetto che soprattutto occor­re avere per se stessi.

Al Col de Coux c’è il confine tra Francia e Svizzera, un valico facile e assai frequentato ma privo di strada carrozzabile. Marco e Federico notano un cartello, apposto dagli svizzeri, che obbli­ga gli escursionisti provenienti dalla Francia (senza minacce o termini coercitivi) a presentarsi al posto di polizia di Cham­péry. In tempi in cui il contrabbando non è più praticato, in tempi di unità eu­ropea (anche se la Svizzera ne è fuori) è abba­stanza umoristico imporre un controllo di quel tipo a chi proba­bilmente non ha con sé neppure i documenti.

Le Dents du Midi da Aigle

Ma è un esempio di grande rispetto. Dei doganieri che hanno fidu­cia, dei turisti che non l’hanno insozzato con scritte oscene. Si fa notare che lì il territorio cambia nome, si cambia nazione: senza persone in uniforme si ricorda che esiste un reciproco ri­spetto delle diverse tradizioni. Gli italiani non avrebbero mai messo un cartello del genere.

E alla fine il risultato è che un colle anonimo come questo, che anche se carino è uguale a tanti altri, risulta più nobile e più importante proprio per una divisione artificiale che hanno fatto gli uomini: uomini però che rispettano loro stessi.

Queste le considerazioni al seguito di quella bella gita nel cuore delle Dents du Midi. Sebbene per molti aspetti a loro simile, il massic­cio calcareo delle Dents du Midi non può essere assimilato alle Prealpi del Nord. Situato interamente in Svizzera a dominare Saint Maurice e la Valle del Rodano, questo grande rilievo sembra infatti l’e­strema propaggine occidentale dell’Oberland Bernese. Seppure non altissima, la catena delle Dents du Midi si trova in una sorta di micro ambiente che permette la sopravvivenza nel proprio seno di numerosi ghiacciai. La catena è inconfondibile, così strettamente con­centrata e distribuita su una cresta frastagliata di colli e ardite vette. La si po­trebbe quasi definire un’isola nel mare delle Alpi tanto si differenzia dalle sommità circostanti. Come già accennato, ricorda da lontano alcune catene delle Prealpi sa­voiarde, anzi è probabile che prima di arrivare laggiù a far di­sa­stri il buon gigante Gargantua si sia lungamente addestrato su questa palestra, incidendo colli e scalzando brani di montagna. La più alta vetta, la Haute Cime 3257 m, è una vera vetta d’alta quota e il suo versante nord ovest è solcato da grandi canaloni di neve: il contrasto con la sottostante dolcissima e verdeggian­te Val d’Illez è notevole. La prima salita a questa vetta spetta all’audace curato di Champéry che la compì all’epoca della rivo­luzione francese, quindi poco do­po la conquista del Monte Bianco. La salita riuscì dal Col de Susanfe lungo la cresta meridionale; oggi è poco più di una camminata, ma ne vale la pena.

La qualità del rispetto ultima modifica: 2019-04-01T05:38:39+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “La qualità del rispetto”

  1. Mi collego all’ultima parte del precedente post. Ho fortemente apprezzato il comportamento della Magistratura svizzera in un recente e grave episodio di incidente in montagna.

  2. condivido gran parte di quello che ho appena letto ma non tutto quello che luccica è oro nemmeno qui in Svizzera dove mi sono trasferito. Immondizia abbandonata e plastica ne trovi anche qui e più di quello che uno potrebbe immaginare . Poi se si analizzassero altri settori si scoprirebbero cose interessanti sull’inquinamento chimico del passato e delle conseguenze che ancora oggi non sono del tutto chiare neanche a quelli che abitano in questo paradiso. Sottolineo comunque un fatto, qui è un paese dove la montagna vive perché c’ è lavoro per tutti e non sono i cittadini a venire a spiegare ai montanari cosa devono fare delle loro vite . Anche in caso di incidenti in montagna non c’è un giornalista oppure una televisione oppure un giudice che ci costruiscono una carriera facendo bla bla bla.Ma il discorso è lungo e non voglio annoiarvi.

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