Grandes Jorasses, la parete nascosta

La SSE delle Grandes Jorasses
di Luca Signorelli

Storia di una “parete-mostro”
C’è un’espressione inglese, “hidden in plain sight” – nascosto in piena vista – che potrebbe riassumere bene la storia di questa gigantesca, terribile e meravigliosa parete, la SSE della Grandes Jorasses, 1200 metri (o 1350, a seconda delle condizioni del ghiacciaio e di come si vuole definire la parete, ma in ogni caso circa 200 m più alta della famosa Nord) a picco sul microscopico ghiacciaio di Pra Sec (ultimo ghiacciaio del Bianco ad essere stato percorso da esseri umani), a sua volta sospeso un migliaio di metri sulla verdissima Val Ferret. Dalla vetta delle Grandes Jorasses 4208 m ai casolari di Tronchey, sul bordo della trafficata strada di fondo valle (1600m), sono 3200 m di dislivello, coperti in poco più di 2500m di spostamento orizzontale.

E’ una delle “prominenze” più significative della catena alpina, ma, nonostante la SSE delle Jorasses domini letteralmente la placida Val Ferret, con i suoi chalet, il suo traffico turistico e il suo improbabile campo da golf, la realtà rimane che dal 1928, questa parete è stata percorsa solo cinque volte, per cinque itinerari diversi. Cinque salite in 88 anni – un altro record. La parete nord della stessa montagna, al fondo della Mer De Glace, nello stesso periodo è stata salita centinaia di volte. Difficile dire il motivo. Forse un sortilegio?

La parete SSE delle Grandes Jorasses (non visibili i primi 200 m di parete): A=parte inferiore della parete est delle Aiguilles de Pra Sec; B, C e D=Terza, Seconda e Prima Torre di Tronchey; 1=Gogna-Machetto, 1972; 2=Phantom Direct, 1985; 3=Plein Sud, 2010; 4=Croux-Croux-Rand Herron, 1928; 5=Cresta di Tronchey (Croux-Gilberti), 1936
signorelli0001

La storia di questa parete inizia quasi per caso. Nel 1923 Guido Alberto Rivetti, Francesco Ravelli (entrambi piemontesi) e la guida di Courmayeur Evariste Croux, salgono in tre giorni la lunga cresta di Pra Sec, lungo un itinerario in seguito ripreso (forse) non più di cinque o sei volte. È durante questa salita che Rivetti formula la sua famosa definizione della parete: “Una muraglia infernalmente viva sembra opposta allo sforzo dannato del ghiaccio che vuole entrarle nel cuore”. Il giorno seguente la cordata risale una parte della sezione superiore della cresta di Pra Sec, poi gira a sinistra, infilandosi nella parete, risale brevemente il tratto “meno” ripido (50°!) del canalone superiore di quella che nel 1985 diventerà la Direttissima Comino, quindi, si infila ancora a sinistra per il couloir che porta prima all’ultimo salto della cresta di Tronchey e infine, per una breve crestina, alla Punta Walker.

Alberto Rand Herron
Signorelli-arh1

Per l’epoca e ancora per oggi, è una salita di enorme rispetto. Ma il sortilegio della SSE (e le Jorasses sono la montagna dei sortilegi!) entra subito in azione: al di là di un bell’articolo di Rivetti sulla Rivista Mensile del CAI e delle relazioni pubblicate sulla Vallot e sulla Guida dei Monti D’Italia del 1967, la via (che tocca solo brevemente la parete, ma in un certo senso ne è attratta) finisce in un totale dimenticatoio, interrotto solo dalle elucubrazioni di pochi, solitari amanti dei luoghi più impervi del Bianco.

Nel luglio 1928 Albert Rand Herron, esploratore-alpinista americano, ingaggia il medesimo Evariste Croux per tentare l’allora inviolata cresta di Tronchey. Evariste a sua volta co-opta come portatore il giovane cugino Eliseo. La cordata sale spedita, ma arrivati in vista del camino che separa la seconda dalla terza torre, la scarsa visibilità e le condizioni ghiacciate convincono il gruppo a cercare una via di uscita diversa. I tre decidono di scendere in doppia il mostruoso canalone-camino che contorna la Tronchey sulla sinistra, sperando che questo porti al di sopra della terza torre. Evariste decide di continuare a sinistra, inventandosi un difficile passaggio della grande torre centrale (quella della via Gogna-Machetto del 1972), poi si infilano nel canalone di sinistra, più o meno all’altezza di dove erano arrivati Ravelli e soci. A questo punto sarebbe facile proseguire per la via del 1923, ma Evariste Croux non è guida da lasciarsi sfuggire una ghiotta occasione di esplorazione sulle Jorasses, quindi la cordata infila il ben più ripido canale che separa la torre centrale della parete dalla cresta di Tronchey. E’ un canale molto duro per i mezzi del 1928 e la cordata risale usando le rocce sulla destra. In cima si congiungono con la Tronchey e di lì arrivano alla Walker.

Gian Carlo Grassi
signorelli0002

Poi, per 45 anni, il silenzio cade sulla parete. L’accesso è troppo difficile, le difficoltà eccessive perché chiunque possa pensare ad una nuova linea. Ed è la parete N, con i suoi immensi pilastri, che monopolizza l’attenzione del mondo alpinistico sulle Jorasses. Tutta la storia della parete SSE sembra congelarsi intorno ad una frase fatale, scritta da Gino Buscaini nella guida “Monte Bianco II”, pubblicata nel 1967 dal CAI. La frase si trova a pagina 160 e credo di non essere stato il solo teenager dell’inizio degli anni ‘70 a sognare ad occhi aperti nel leggerla: “Notiamo infine che resta “da fare” la prima ascensione completa della parete”.

Plein Sud. Foto: Marcello Sanguineti
Signorelli-original_photo_3235

Nel 1972 Alessandro Gogna (già famoso, nonostante la giovane età, per la solitaria allo sperone Walker e per la “quasi” invernale alla Cresta di Peuterey integrale del 1971) quasi casualmente unisce le forze a Guido Machetto, fortissimo alpinista biellese, per salire quella “parte inferiore della parete” che è sfuggita a tanti cacciatori di prime. Percorrono il piccolo Ghiaccio di Pra Sec, ultimo ghiacciaio rimasto inviolato nell’intera catena del Bianco. Nel tardo pomeriggio risalgono l’unico ripido canalone al fondo del grande imbuto, sotto scariche paurose che provengono dai canali superiori. Poi la salita cambia tono e, da tesa ed estremamente difficile, diventa una grande cavalcata sui vertiginosi crestoni del pilastro centrale della parete, con difficoltà classiche, ma molto continue. Poi la vetta e la discesa. È una salita straordinaria, condotta in uno stile pulitissimo, non sempre popolare in quegli anni di vie alpine salite in stile himalayano. Ma, di nuovo, non ha nessuna risonanza, se non sulle riviste specializzate. Nel 1979 Buscaini stesso pubblica la relazione della salita sul volume numero IV della guida Vallot, ad oggi l’ultimo tentativo di fare una guida alpinistica “definitiva” alle Jorasses.

Nello stesso 1979, altri occhi curiosi si posano sul “mostro”, ma in inverno. Appartengono a Giancarlo Grassi. Reduce dall’esperienza del Nuovo Mattino, in quegli anni Giancarlo, assieme a Gianni Comino, sta cercando di portare in ambiente alpino lo stesso spirito esplorativo e trasgressivo dei pionieri della Valle dell’Orco. Insieme a Comino si è inventato lo sport – pericolosissimo – della scalata diretta di seracchi. E sempre assieme a Comino, nel 1978 ha scalato l’Ypercouloir delle Jorasses, la prima goulotte di ghiaccio del Bianco esposta a S che sia mai stata salita. Grassi, che ha un occhio leggendario per le nuove vie, nota che in inverno la parte bassa della parete si congela con un’evidente serie di belle goulottes. In alto, nota la mostruosa spaccatura fra il crestone centrale e la III Torre di Tronchey. Chissà, magari lassù c’è del ghiaccio.

Plein Sud: nel colatoio finale. Foto: Marcello Sanguineti
Signorelli-original_photo_3231

Nel 1980 Comino muore, durante un pazzesco tentativo solitario ai seracchi di destra della Poire. Grassi non rallenta minimamente l’attività e, insieme a nuovi compagni, “inventa” la scalata delle cascate di ghiaccio di fondovalle (anche se non è il primo a praticare!), ma non dimentica la sua passione per i couloir fantasma, effimeri, che possono durare solo pochi giorni all’anno e richiedere mesi (se non anni) di appostamenti per essere saliti. Per le Jorasses di anni ce ne vorranno cinque e di tentativi sei. Poi, il 19 giugno del 1985,

Giancarlo Grassi, assieme ai più giovani Renzo Luzi (guida alpina della Val di Susa) e Mauro Rossi, parte per la parete. In cinque ore salgono dai casolari di Tronchey alla base vera e propria (portandosi dietro manici di scopa segati come improvvisati paletti da neve per superare la fronte del ghiacciaio!), e durante la notte salgono i 450 metri inferiori, seguendo per almeno 200 m la via Gogna-Machetto. Poi si buttano nel canale di raccordo superiore, verso “il mostro”: il nero camino dietro la terza torre di Tronchey. Ma ad una rapida occhiata si rendono conto che non è praticabile (nel 1985 il “dry tooling” non esiste!). Traversano lungamente a sinistra, si infilano dell’enorme couloir dove passa la via del 1923 e lo risalgono integralmente, sempre slegati, con difficoltà fino a 90°. Devono fare in fretta, perché una tempesta si sta preparando – escono sul plateau superiore delle Jorasses appena in tempo per evitarla. La via si chiamerà Direttissima Gianni Comino Memorial Route o Phantom Direct.

La parete SSE delle Grandes Jorasses: in verde, Gogna-Machetto, 1972; in rosso, Phantom Direct, 1985; in giallo, Plein Sud, 2010
Signorelli-original_photo_3228

 

Tornato a valle Giancarlo dichiarerà: “È una via che non sarà ripetuta tanto presto”. Profezia assolutamente rispettata! Nei 25 anni successivi nessuno riesce a salire “il mostro” Si parla di tentativi, voci, pettegolezzi nel mondo alpinistico locale che non trovano mai riscontro. Poi, il 22 maggio 2010, tre alpinisti italiani e uno francese (di origini italiane) aggiungono un tassello agli 88 anni di storia della muraglia di Tronchey: Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti e Marco Appino hanno hanno aperto Plein Sud, in tutto oltre 900 m di VI d’ambiente, WI4+/5R, M6+.

Plein Sud termina a poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey. Percorre dapprima i 450 m di goulottes, inizialmente della Gogna-Machetto, poi della Phantom Direct. Dove Grassi & C. avevano traversato a sinistra, Plein Sud prosegue invece pressoché diritta lungo i 250 m circa del couloir centrale, fino al gran camino che nasconde un’incassatissima goulotte di ghiaccio e dry-tooling. Il tutto, realizzato dopo un bivacco a poca distanza dalla crepaccia terminale, ma anche e soprattutto dopo un’attesa e uno studio della parete durati anni: per cogliere il momento giusto, quell’attimo che, se ti sfugge, rende queste pareti inafferrabili.
Plein Sud, infatti, raccoglie l’eredità visionaria di Grassi e Comino. Quella loro “pazza” e per certi versi “insana” passione per i couloir fantasma, quelli che – lo dice la parola stessa – si formano solo in particolari condizioni, o, meglio, quasi mai. Insomma: una situazione da cogliere al volo, ma anche da saper leggere e interpretare. Ultimo particolare – per capire bene di cosa stiamo parlando: quella di Plein Sud è la 5a salita della parete sud delle mitiche Grandes Jorasses!

postato il 23 novembre 2014

1
Grandes Jorasses, la parete nascosta ultima modifica: 2014-12-10T07:30:32+01:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Grandes Jorasses, la parete nascosta”

  1. Più che un tentativo come definito dall’anonimo qui sotto, personalmente la definirei una variante d’uscita, di tutto rispetto senza dubbio ma non certo unalinea originale ed autonoma.

  2. with all the respect…in particolare per Marcellino…Plain Sud e’ solo un bel tentativo… 😉

  3. Bravo Luca bel report su una delle zone meno frequentate del Bianco. Chissa perchė…. -;)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.