Il 16 agosto 1899 due giovani austriaci, Otto Ampferer e Karl Berger, reduci dalla conquista del Pollice alle Cinque Dita, senza nulla sapere del tentativo italiano di Carlo Garbari con Nino Pooli e Antonio Tavernaro, si avviarono all’attacco del Campanile Basso (che i tedeschi chiamano Guglia di Brenta). Presto si accorsero da varie tracce di essere stati preceduti. Giunsero anche loro al Pulpito Garbari e qui lessero il suo biglietto. “Dunque la possente montagna non era stata ancora vinta! Un fremito di gioia scosse i nostri corpi… Giallo rossastra strapiombante, dai contorni finemente scheggiati, si levava davanti a noi la parete della vetta. Non una fessura, non un rientramento ci faceva sperare qui una qualsiasi facilitazione”, raccontò Ampferer. Ma la parete terminale era insuperabile, nonostante Ampferer vi infiggesse due chiodi a martellate. Stavano ormai per retrocedere quando si accorsero della possibile traversata sulla parete nord. Due giorni dopo tornarono ben decisi e raggiunsero la vetta; con la sicurezza di un chiodo su quella che poi sarà chiamata Parete Ampferer. “Altri uomini hanno conquistato grandi isole con piatte coste, noi una piccola con alte, superbe sponde”. 31 luglio 1904. Già 18 cordate si erano susseguite sul Campanile Basso. Ma Nino Pooli voleva salire proprio là dove era stato respinto. Con Riccardo Trenti, dal Pulpito Garbari salì diritto e vinse, di pura forza e coraggio, quegli ultimi 35 metri. In cima, i due avevano portato e issarono la bandiera di Trento.
1 settembre 1985
Proprio ai piedi e all’intorno del Campanile Basso, la Via delle Bocchette è un sentiero attrezzato che, per l’epoca in cui fu concepito, percorre in modo decisamente nuovo un intero gruppo di montagne sfruttandone i punti deboli e i percorsi disegnati naturalmente dall’orografia. Cacciatori, contrabbandieri e montanari in genere avevano sempre scavalcato le montagne seguendo percorsi logici: secondo una loro logica, in funzione cioè delle loro necessità. In Brenta, negli anni ’30, si è voluto puntare sul turismo alpino evoluto, si è voluto cioè creare un percorso che rispondesse alle logiche dell’escursionismo alpino. E alla base c’era la grande scommessa dell’ideare qualcosa che non fosse in contrasto con le esigenze dell’alpinismo e dell’ambiente, qualcosa che permettesse una visita approfondita senza stravolgere il significato di un’intera regione. Ci si è riusciti? In certe giornate di punta si direbbe di no. Le scalette hanno bisogno del semaforo… qualcuno ha detto. Ma la lunghezza è tale che non c’è reale sovraffollamento, a nostro parere.
Già nel 1880 Annibale Apollonio, durante la progettazione del Rifugio Tosa, aveva incaricato le guide Bonifacio e Matteo Nicolussi di allargare a colpi di piccone qualche passaggio per la Bocca di Brenta, in modo che il cammino fosse possibile “anche alle signore”. Nel 1893 fu attrezzata la Sega Alta del futuro Sentiero Orsi. La prima indicazione sulla possibilità di un collegamento tra le Bocchette della Catena centrale del Brenta è già nella storica guida di Pino Prati, nel 1926. Il vero progetto del Sentiero delle Bocchette nacque però nel 1932. Il suo ideatore, Giovanni Strobele, scrisse: “Fu allora durante le lunghe serate trascorse con gli amici al rifugio della Tosa nel tepore familiare della cucina, davanti ad un bicchiere di “rosso” offerto da Arturo Castelli, dopo lunghe discussioni sui tanti problemi da risolvere per valorizzare ancora le nostre montagne, che balenò a Castelli e a me l’idea di sfruttare le cenge per collegare fra loro i rifugi della SAT nel Brenta con un sentiero attrezzato che arrivasse fino al Passo del Grosté, dove inizia il Sentiero delle Palete. La conoscenza della zona, l’esito delle prime ricognizioni, notizie e pareri di tanti alpinisti e guide alpine, le numerose fotografie scattate e, non dimentichiamolo, lo studio della bellissima carta topografica disegnata dall’Aegerter, confermarono che l’opera si poteva realizzare”.
Nel 1933, nei paraggi, fu attrezzato con corda metallica il Sentiero dell’Ideale, lungo una “sega” (cengia) sul versante sud della Cima Tosa. E sempre prima della seconda guerra si mise mano ai lavori per il collegamento attraverso le Bocchette centrali: il primo tratto fu eseguito grazie ad Otto Gottstein, commerciante di pellicce, che in seguito si rifugiò a New York per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Si trattava del collegamento tra la Bocca di Brenta e la Bocchetta del Campanile Basso, inaugurato nel 1937. Un professore di Trento, Arturo Castelli, custode del Rifugio Tosa per scelta di vita, volle a tutti i costi il tratto successivo, fino alla Bocchetta degli Sfùlmini (Sentiero Castelli). Nel 1946, per il ritirarsi del nevaio alla Bocchetta del Campanile Basso, si aggiunse un raccordo con intervento finanziario dei Fossati Bellani. Siamo così all’inizio degli anni ’50. Dalla Bocchetta degli Sfùlmini, racconta Alfredo Benini, “cenge e ghiaioni consentivano di procedere oltre, senza però avere alla fine una precisa meta di arrivo, perché un diedro colossale, con pareti a picco, precludeva ogni possibile passaggio”. Nel 1954 si ruppe tuttavia ogni indugio e l’idea di proseguire “venne tradotta in atto con l’apertura di una gigantesca cengia artificiale, larga 80 centimetri e alta due metri, scavata nella roccia a picco del profondo diedro”. Questo tratto venne dedicato a Carla Benini de Stanchina, la prima donna italiana che salì sul Campanile Basso (il 26 agosto 1923). Ed è curioso che l’unico settore ricavato con grande violenza sulla roccia sia dedicato proprio a una signora. Nel settembre 1957 il sentiero venne completato fino alla Bocca degli Armi, con i fondi della sede centrale del CAI: il tratto è dedicato all’allora presidente del CAI Bartolomeo Figari. Ultima nata è la via ferrata delle Bocchette Alte, aperta nel 1969, per iniziativa dei fratelli Detassis.
1 settembre 1985
Bruno Detassis, il decano del Brenta, così parla di tutto il complesso dell’Alta Via del Brenta: “È stato fatto da pochi uomini, senza guadagno, ci son dentro delle grandi fatiche. Ed ha procurato grandi ricchezze alla gente più impensata e più lontana: produttori cinematografici, fotografi, agenzie di viaggio, fabbriche di cordini e moschettoni. Di tutti quelli che ci hanno guadagnato sopra, nessuno dà una lira di contributo per il mantenimento del sentiero. Senza la manutenzione delle guide il Sentiero delle Bocchette non resisterebbe due inverni al gelo e alle slavine. Perché è stato creato il Sentiero delle Bocchette? A parte Strobele, Castiglioni, Castelli che vedevano “bello” un sentiero naturale di collegamento da una quota all’altra – e il sentiero c’era, lavorandolo, con una certa attrezzatura e una certa sicurezza – quello che si vede del Brenta nel percorrere le Bocchette non lo si può vedere né dall’alto né dal basso. È una visione dantesca, è un inferno; soprattutto quando c’è un po’ di nebbia, per chilometri si attraversa proprio un inferno”.
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Concordo. Per percorrere la Via delle Bocchette (nella fattispecie si parla principalmente delle centrali ma lo stesso discorso vale per le Alte) si porta a termine un’esperienza che definirla meramente escursionistica e’ un po’ riduttivo. L’avvicinamento e’ lungo e bisogna transitare su dei nevi, variabili in base alle annate. Il percorso non e’ interamente attrezzato e quindi in certi punti bisogna porre attenzione. Esattamente il contrario delle ferrate di recente realizzazione che sembrano dei percorsi dell’allenamento per marines.
Questo sentiero secondo me rappresenta come dovrebbe essere una ferrata/sentiero attrezzato (anche se forse ha qualche scaletta di troppo): in perfetta antitesi con gli itinerari di recente realizzazione, non cerca mai l’ esasperazione, la scarica di adrenalina, la fisicità, ma aiuta semplicemente l’ escursionista.
Inoltre, sempre a differenza dalle ferrate recenti, non parte da un parcheggio per raggiungerne un altro, ma costituisce una splendida traversata che richiede una bella marcia per essere raggiunta (e per il rientro) e permette di entrare nei meandri della montagna, di vederla da una nuova prospettiva.
Penso che un itinerario del genere possa essere un bel “trampolino di lancio” per quegli escursionisti che vogliano iniziare a mettere il naso nel “casino” per poi affrancarsi dalle attrezzature ed evolvere successivamente nell’ escursionismo esplorativo.
Grande sentiero! E’ vero, a volte si vedono carovane di persone, alcune anche improvvisate, ma va percorso con rispetto perche’ pur non essendo difficile non va sottovalutato. Ci ho visto morire una signora.