Le comunità di montagna e l’idea di una nuova economia della neve

Le comunità di montagna e l’idea di una nuova economia della neve
di Aldo Bonomi bonomi@aaster.lt
(pubblicato suIl Sole 24 Ore il 1° aprile 2025)

Abbassare lo sguardo al territorio per commentare un lavoro di ricerca come quello portato avanti da Legambiente nel suo monitoraggio annuale sullo stato dell’industria delia neve nella montagna italiana, può apparire esercizio velleitario, perché la crisi ecologica morde, ma non certo quanto la crisi da riarmamento, che sostenibile non potrà mai esserlo per definizione. Il rapporto sullo stato dell’inverno liquido ha il merito di porre in luce il confronto tra due visioni della comunità locale in evoluzione dialettica sui territori alpini e appenninici.

Da un lato, ciò che resta dell’industria fordista che insegue sempre più in alto la ritirata delle nevi a suon di investimenti, non sempre razionali a quanto pare, in nuovi impianti di risalita e in bacini artificiali di raccolta delle acque per alimentare la produzione di neve a quote medie.

Dall’altra, tracce di comunità in itinere che, partendo dalla coscienza di luogo, sperimentano modalità dolci di fruizione turistica della montagna cercando di tradurre anche sul piano degli interessi materiali le istanze di un cambiamento strutturale reso necessario dal cambiamento climatico. Così, se da un lato il rapporto censisce 265 impianti dismessi in Italia, cui si aggiungono le centinaia presenti nelle Alpi francesi, svizzere e austriache, residui della stagione d’oro fordista, e i numerosi casi di “accanimento terapeutico” sostenuti dalla mano pubblica, dall’altra si riporta una lunga casistica di nuove modalità di fare economia della neve, rifacendo al contempo comunità locale.

Ho avuto modo di assistere al confronto tra queste due comunità nel corso della presentazione del rapporto, non a caso organizzata a Milano guardando a Cortina, in un luogo simbolicamente posto all’ombra del bosco verticale. Lì si sono confrontati i rappresentanti dell’associazione degli impianti di risalita con le nuove forme di turismo alpino, riuniti nella rete trans-nazionale Beyond Snow. Sindaci di rinomate stazioni sciistiche interessate dal circo olimpico di Cortina e organizzatori di reti locali di sviluppo locale di valli non toccate dalla stagione fordista come la Val Maira.

Denominandosi “Neve diversa”, partendo da istanze critiche marginali da “minoranza attiva”, hanno posto il tema di come si sta affrontando la crisi dispiegata di un modulo di sviluppo. Che interroga anche Legambiente su come ingaggiare la cultura ambientalista non più al margini, ma al centro della crisi, misurandosi anche sul terreno sconnesso degli interessi a partire da quelli messi in discussione dalla crisi del modello di sviluppo dell’industria dello sci.

Parliamo, da un lato, di “risorse” fondamentali come l’acqua, l’aria, il suolo, la flora e la fauna, le nostre terre rare, dall’altra delle lunghe derive delle vite minute che questi processi di cambiamento tendono a subirli dove, appunto, la conversione ecologica non è ancora una terza via desiderabile. Pur andando in direzione ostinata e contraria, le due visioni si incontrano al crocevia dell’abbandono, dello spopolamento e del ripopolamento delle terre alte dei piccoli comuni del lavoro stagionale nell’industria dello sci e della coscienza di luogo messa al lavoro per produrre senso e reddito.

In questo essere tra il disincanto del “non più” e il “non ancora” di un nuovo incanto, le due comunità artificiali, quella della crisi del fordismo alpino e quella della conversione ecologica, si confrontano e si compenetrano nella sfera economica e sociale valle per valle, a livello micro, ma anche a livello di piattaforma alpina.

Ai crocevia le risorse connesse e necessarie non sono solo acqua, ma l’abitare in montagna e il welfare. Guardando al Manifesto europeo per la governance dei ghiacciai e delle risorse connesse, cui aderiscono 65 soggetti europei tra Ong, enti di ricerca, parchi e università. Questione non semplice, da “metro-montagna”, non da “aree interne”. Questione complessa e non affrontabile solo nella dimensione locale.

Per questo, ad esempio, quando parliamo di Alpi è utile parlare di “piattaforma alpina”. Piattaforma come prospettiva di ricucitura nella verticalità dei dislivelli tra fondovalle urbanizzati, medie montagne dell’abbandono e terre alte premium, ma di giuntura orizzontale tra città medie dei saperi e delle reti (Sondrio, Trento, Bolzano, Aosta. Cuneo, ecc. per rimanere sul versante italiano), città snodo di valle e pulviscolo dei piccoli comuni.

In questo senso parlare di “Neve diversa” vuol essere anche un segno interrogante il grande evento che si annuncia da Milano a Cortina.

Le comunità di montagna e l’idea di una nuova economia della neve ultima modifica: 2025-04-28T05:04:00+02:00 da GognaBlog

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31 pensieri su “Le comunità di montagna e l’idea di una nuova economia della neve”

  1. Infatti! Questa è la stagione dello scialpinismo. L’alta stagione!
    Anche se sono in Nepal spero di rifarmi…

  2. Da Pian dei Fiacconi (nella foto) siamo finiti a Cala Luna.
    Sarà la Primavera.

  3. Spesso in queste discussioni è in ballo la valutazione della qualità dell’esperienza. 
    Penso che non sia un approccio utile alla risoluzione del problema

  4. Anch’io ho avuto un’esperienza simile a quella di ratman (#22), con la differenza che io arrivai a Cala Luna, a piedi, ben prima del primo battello, quindi per un po’ ci godemmo il posto soli soletti. Con l’arrivo del primo battello, fine della magia.
    Che l’affollamento rovini l’esperienza è un dato di fatto e non lo scopro certo io.
    C’è poi da dire che l’affollamento a Cala Luna è “causato” dei solerti battellieri, che portando i turisti ci guadagnano da vivere (sulla carta ci sono delle limitazioni sul numero di persone contemporaneamente presenti -se non a Cala Luna ci sono sicuramente a Mariolu, Biriala, Goloritzè,…-, ma non ho idea se e quanto siano rispettate).
    Fosse per me vieterei l’attracco, e chi vuole andare a Cala Luna ci vada a piedi o vada altrove, ma, come al  solito, questo è solo un lato del problema.
    In questo caso le navette sono l’esatto equivalente degli impianti di risalita in montagna.

  5. un pensiero: non è che quello che piace a me piace a tanti? Non è che nell’incanto in cui contemplo me stesso nella mia unicità si perdono anche i molti, gli altri

    Premesso che a Cala Luna ci sono andato molte volte, sempre per sentiero da Fuili, sempre con corda e materiale, sempre in agosto e sempre per scalare (ma non solo), sono convinto che non tutti quelli chi ci arrivano via mare abbiano la percezione della enorme differenza che c’è con Rimini o altre spiagge con i grattacieli a bordo arenile a sostituire grotte e paesaggi unici. Ci vanno perché l’hanno vista sui social e quindi bisogna esserci. Per quello le radioljne, la caciara, gli schiamazzi ecc. Non c’è il rispetto che meritano luoghi del genere. 

  6. I numeri chiusi (senza ticket) dovrebbero proprio servire a evitare fenomeni come qlli descritti nel commento precedente. A Cala Luna ci sono stato pure io un bel po’ di anni fa e nn ricordo accalchi come quelli descritti. Dipende molto dalla stagione (noi eravamo lì all’inizio di luglio). Bisognerebbe imparare ad andare in vacanza come fanno all’estero, nn tutti insieme. Ma siccome qsti sono comportamenti sociali difficili da cambiare, nn rimane ke il numero chiuso (indovinate ? Senza … ? ticket 🙂).
    Va considerato ke il numero chiuso (senza … vabbè …) deve essere applicato in modo diverso a seconda della location in questione. Dove si può  si useranno tornelli o sbarre di accesso. Dove invece nn si può (mica possiamo recintare migliaia di siti) bisognerà istituire dei controlli (magari a campione) per verificare ke ki è presente in quel luogo abbia il diritto di starci.  E poi bisognerà fare delle belle indagini sui flussi turistici per capire i periodi in cui ha senso contingentare le presenze. Lo stesso posto può essere sovraffolato o deserto a seconda del periodo dell’anno.
    Forse mancherò di fantasia, ma nn vedo alternative.

  7. In questa sede mi concentro solo sul solo sul problema “impianti di risalita”. Il discorso generale sull’overtourism è molto ampio e complesso e le mie posizioni draconiane sono note da tempo. Il problema specifico del turismo incentrato sugli impianti (tra l’altro: impianti così come sono concepiti al giorno d’oggi, seggiovie a più posti ecc ecc ecc) è che, se la neve diventa sempre più rara e si limiterà a quote sempre più alte, gli impianti andranno in disuso, ma nessuno si preoccuperà di smontarli, come sta accadendo già ora. Infatti le montagne sono già piene zeppe di “cadaveri” di impianti, ma questi cadaveri sono destinati ad aumentare a dismisura. In più i comprensori sciistici, quando sono attivi, modificano profondamente il terreno e l’ambiente: scavano, creano terrapieni, creano laghi per la neve artificiale ecc. Quindi incidono sull’ecosistema naturale: gli animali scappano, molte specie vegetali non crescono più. Insomma producono dei danni che sono irreversibili. Ha senso tutto ciò? Da anni io dico di no e indico i modelli alternativi di sviluppo turistico (vedi link). Non parliamo poi di quanto ci si irrita se estendiamo i ragionamenti al fatto che spesso sono coinvolti soldi pubblici, cioè di tutti noi.
    https://www.sherpa-gate.com/altrispazi/gli-scheletri-della-montagna/
    https://www.sherpa-gate.com/altrispazi/crisi-dello-sci/

  8. Esperienze.
    Sardegna, Cala luna.
    Ci arrivammo con il primo vaporetto; il posto era bellissimo, praticamente eravamo soli. Poi fu un tale va e vieni che la spiaggia si riempi degli “altri” e un filo di fumo – lo scarico dei vaporetti  – resto fisso tutto il giorno poco sopra la linea dell’orizzonte marino.
    Il fastidio, il disgusto per tutti questi “altri”, fitti fitti sui loro asciugamanti, con i loro ombrelloni, con i loro figli rumorosi, con le loro radioline impertinenti, le chiacchere insulse, insomma, la normale dotazione di cattivo umore di chi si sente depredato del suo diritto a godersi in santa pace le bellezze della natura, poco a poco furono infiltrate da un pensiero: non è che quello che piace a me piace a tanti? Non è che nell’incanto in cui contemplo me stesso nella mia unicità si perdono anche i molti, gli altri, quelli che fastidiosamente mi ricordano che devo morire?
    E poi, questo posto è meno bello perchè ci sono tante persone? Se  ciò che ci piace non fosse un sovrabbondante di più, un di più che non viene neppure scalfito dagli Altri,  non sarebbe altro che unvuoto parcheggio di un centro commerciale.

  9. Io cmq devo dire ke mi sono trovato poke volte in situazione di Overturism. Ke io ricordi una volta a Venezia in cui ank’io invocai mentalmente l’istituzione del numero chiuso (senza ticket). Certo che se ci facciamo intruppare “alla Roccaraso” poi nn lamentiamoci del fenomeno.
    Relativamente al tema dell’overturism ricordo che l’anno scorso ho polemizzato con una giornalista de L’Espresso ke aveva fatto un servizio proprio su qsto fenomeno. Il servizio con cui avevano fatto la copertina del numero si chiamava “L’ORDA” ed era corredato da immagini inquietanti di luoghi tipo Romane Firenze affollati da una marea umana. Poi se leggevi bene scoprivi ke le immagini erano state create dalla AI generativa (Chat et similare). Certo che se l’informazione viene fatta così …

  10. @18
    Giusto
    Comunque sia, il turismo è predazione dei luoghi.
    Alcuni, i critici dell’overturism, vorrebbero essere tra i pochi invitati al banchetto: nascondono il loro odio per la massa dietro alti pretesti morali.
    Il fatto è che turistico diventa un luogo il cui spirito è già defunto. Luoghi
    la cui quotidiana e tradizionale destinazione d’uso, quella nella quale viveva la gente del posto, hnon hanno più senso di esistere.
    L’attacco “tailoristico” alla montagna è portato già alla base della sua rinominazione nel generico “terre alte”.
    Predata anche nella sua denominazione, che incuteva timore, la Montagna, diventata terra alta, è diventata più manipolabile.
    Il tailorismo è stata una forma di controllo industriale diretta e evidentemente coercitiva, ma ormai desueta.
    Quella attuale è più sottile, astuta, infida e ha tra i suoi adulteri i critici dell’overturismo.

  11. E se … lasciassimo fare alle natura ? Una volta nevicava tanto e si realizzavano impianti anche in località a quote basse. Poi piano piano la neve ha cominciato a diminuire e man mano che diminuiva molte stazioni che si trovavano ad essere “operative” solo pochi giorni a stagione hanno chiuso (lasciando i rottami da rimuovere ma qsto è un altro discorso).
    Alla fine chi comanda è la natura e i processi economici che stanno dietro alla redditività di una stazione sciistica. Se nevica poco la redditività scende fino ad annullarsi e anzi a trasformarsi in perdita di dinero. E siccome a nessuno piace perdere dinero le stazioni vengono chiuse. Idem con patate per l’innevamento artificiale se c’è acqua in abbondanza per tutti si spara come se nn ci fosse un domani. Ma qdo il prezioso liquido comincia a scarseggiare sarà gioco forza dover scegliere se lasciare l’acqua alle abitazioni oppure riempire gli invasi per i cannoni. E non credo che nessuno priviligerà gli invasi …
    Le stazioni, quindi, continueranno a diminuire stagione dopo stagione e molti “pistaioli” che nn vorranno fare centinaia di km per raggiungere le poche stazioni ancora aperte e/o spendere cifre sempre più alte per glimskipass, si troveranno a dover scegliere tra convertirsi ad attività affini a quella che praticavano (es. lo skialp) oppure cambiare proprio sport. I più giovani o i più volenterosi (o … entrambe le cose) diventeranno skialper, ciaspolatori, sciescursionisti, fondisti, etc. mentre  quelli a cui la fatica nn piace emigreranno verso i campi da tennis, da golf, da ping – pong, da calcetto … da biglie.
    Io sarei per lasciar fare alla natura (e alle regole impietose del mercato) senza provare a tutti i costi … “a radrizzar le gambe ai cani”.

  12. ma come fate a trovare “consumistico” un modello di turismo totalmente privo di impianti di risalita? 

    Sono solo gli impianti a fare la differenza? Non credo proprio. Il turismo può portare a cambiare totalmente l’anima dei luoghi. Vedremo se la val Maira riuscirà ad evitarlo. Altre valli che non hanno impianti, non ci sono  riuscite.

  13. A proposito del numero chiuso (che in certi casi tipo Veneia è una necessità), non capisco perchè finisca sempre ad associarsi “intimamente” con un ticket. Vuoi limitare l’accesso o vuoi fare cassa ? Perseguire entrambe le finalità ritengo sia volere troppo.

  14. A parte i numeri della presenza turistica, che in Val Maira non sono certo quelli delle Dolomiti, ma come fate a trovare “consumistico” un modello di turismo totalmente privo di impianti di risalita? Certo, non solo gli impianti sono il cancro del consumismo in montagna, ma certamente sono un suo pel bezzo. E cmq mi pare che l’articolo, volere volare, su quelli sia principalmente incentrato.
     
    Non credete ai meccanismo tipo “numero chiuso” ecc? Beh, stiamo a guardare e vediamo come si evolverà la situazione nel medio termine. Neppure a Venezia, in passato, si pensava di vedere il ticket, eppure adesso c’è (per i turisti, necessario prenotarsi online per accedere alla città). Guardate che è un attimo che lo stesso meccanismo arrivi anche sul Cervino… E se non ci pensa l’uomo, ci penserà la natura. Con la scarsità di precipitazioni nevose, oltre ad avere le piste spelate, fino a 1500 sarà impossibile utilizzare acqua per produrre neve artificiale. per cui in certe stazioni “basse” impianti chiusi. Se vuoi andare proprio in quei luoghi, o ti ricicli a fare altro (pelli, ciaspole. escursioni a piedi, MTB ecc) o… ciccia. Questo è una forma di numero chiuso imposto dalla natura.

  15. Premetto che sono uno skialp da sempre e che frequento gli impianti non più di 2-3 volte per stagione (quest’anno 3 compreso una puntata extra-confine a Kitz accompagnato dalla figlia che lavora a Monaco di Baviera), però non mi piace molto il termine di “fordismo alpino” utilizzato in questo articolo.  L’intento è chiaramente dispregiativo nei confronti degli impianti di risalita i quali, oltre ad aver avvicinato tanta gente alle montagne, hanno creato benessere in molte valli alpine. È certamente vero che i cambiamenti climatici in corso costringeranno l’industria dello sci ad “arretrare” verso quote più alte e compatibili con precipitazioni nevose sempre più scarse ed altalenanti (come quelle di questa primavera). Ma richiamarsi al “fordismo”, con tutto quello che ha rappresentato in termini di alienazioni dei lavoratori delle catene di montaggio che ci lavoravano, è, secondo me, ingeneroso nei confronti di un’industria che, comunque, ha prodotto molto benessere e anche … molta felicità in tanti sciatori che amano questo bellissimo sport.
    Nell’industria automobilistica, dopo il fordismo ci furono le isole di montaggio, dove gli operai lavorano in modalità meno ripetitiva rispetto ai metodi fordisti. Forse l’industria dello sci deve ancora trovare la sua “isola di montaggio”.

  16. La Val Maira era un luogo depresso che ha saputo offrire un turismo oggi di successo  senza impegni economici importanti. Sono stati bravi!
    Il Dolomiti Superski, modello che in gran parte detesto, riscuote enorme successo economico e crea un indotto gigantesco che coinvolge migliaia di aziende e centinaia di migliaia di persone. Ridimensionare il comprensorio sciistico più vasto del pianeta comporterebbe il creare migliaia di disoccupati. 
    Indietro non vuole tornare nessuno, mettetevelo in testa. 
    Gli accessi regolamentati da app nelle Dolomiti ci sono già. A me fanno pena quei turisti lì  e infatti evito quei posti, ma le prospettive fatte da Crovella sono pura fantasia.

  17. La Val Maira è uno degli esempi, difatti è molto apprezzata da turisti del Nord Europa (tedeschi, olandesi, svedesi), interessati a quel tipo di approccio

    In val Maira ci sono stato spesso ad arrampicare,  non mi sembra che i turisti che girano siano così limitati da dire che non si rischia un turismo cosumistico.

  18. Dai, sempre le stesse cose bisogna ripetere? A calmierare gli accessi ci deve arrivare da solo il sistema di business, privilegiando attività che in automatico facciamo scrematura di gente. Si può anche evitare una scelta del genere, ma, se guardate in giro, prima o poi arrivano le tagliole ufficiali: numeri chiusi, prenotazioni obbligatorie, click day. Sono tutte forme di contingentamento forzoso e si estendono dalle città d’arte alle spiagge fino alle montagne. Per evitarli il sistema dovrebbe dimostrarsi maturo e anticiparli, evolvendo verso un modello turistico slow, che per definizione NON è consumistico (o lo è in minima parte). La Val Maira è uno degli esempi, difatti è molto apprezzata da turisti del Nord Europa (tedeschi, olandesi, svedesi), interessati a quel tipo di approccio. Se si continua a osteggiare un’ evoluzione del genere, si arriverà a situazioni di insostenibilità oggettiva e la montagna sarà “chiusa” per tutti.

  19. Non credo, secondo me occorre mettere in conto di ridurre il numero di turisti in montagna.

    E chi lo decide:  te si, te no?

  20. 7 Antonio, mi sono solo divertito a scherzare su Ratman, spero non se la prenderà.

  21. Un taglio diverso dal solito???
     
    Sul gognablog negli ultimi 2 anni sono usciti almeno 10 articoli che trattano lo stesso tema facendo di tutta l’erba un fascio!
    Gli impianti abbandonati, quelli di auspicata costruzione, l’innevamento artificiale e le olimpiadi Milano Cortina.
    Cose tra di loro agli antipodi e che solo un carrozzone circense come Legambiente può trattare alla stessa stregua.
    A me la salvaguardia della montagna in generale interessa eccome! Nel mio piccolo mi impegno, sia per educare le persone che accompagno e frequento che con azioni concrete. Anche a costo di rimetterci la reputazione, purtroppo. Ma questo è un altro discorso…
    Finché la gente si informerà attraverso aria fritta come quest’articolo dal proprio salotto non cambierà nulla.
    L’esempio della Val Maira dimostra come l’autore non abbia idea di cosa sta parlando. 
    Auguri.

  22. A me l’articolo è piaciuto. Non avanza effettive proposte concrete, certo. Però esprime un’analisi con un taglio leggermente diverso dal solito, anche se il tema è ormai ampiamente trattato e a volte rischia di annoiare. Tuttavia “repetita juvant”, come dicevano gli antichi. Per chi ha a cuore la montagna genuina e integra, il turismo consumistico è fumo negli occhi. E, del turismo consumistico, quello che coinvolge gli impianti di risalita è il peggio del peggio. Bisogna trovare una nuova forma di turismo, capace di tutelare in primis l’ambiente e di garantire le esigenze dei residenti. Basterà solo spegnere i motori degli impianti? Non credo, secondo me occorre mettere in conto di ridurre il numero di turisti in montagna. Ma non è detto che sia l’unica soluzione possibile, per cui ben venga un ampio dibattito su questi temi: vediamo cosa ne esce.

  23. 5/6esattamente Matteo!E’ riferito all’articolo Benassi(ti chiamerei Alberto ma poi si va in confusione) invece per quanto volesse essere nonsense (forse?)il post di Ratman è comprensibile per vie convesse d’ Antani alla quadrata molto più di come sembri.

  24. Secondo me questo articolo non dice in realtà proprio nulla, dicesi “aria fritta”. Leggo così “in che senso”.
    Alberto invece lo vede ideologicamente schierato… dipenderà dalle capacità di analisi personali e peculiari?

  25. “In che senso”
    Antonio ma ti riferisci all’articolo o all’intervento del filosofo “fordista peripatetico nonchè verticalmente epifanico” Ratman, nuovo discepolo di Merlo?

  26. Non riesco a capire lo scopo di pubblicare simili articoli, inutili e ideologicamnte di parte, sbagliata. . Lega ambiente è un altro carrozzone verde verde, inutile e costoso

  27. Sono tutte balle!
    Mi meraviglia che si pubblichino ancora articoli come questo, identico ad altri mille  e con il contributo di un ente inutile come Legambiente.
    Milano-Cortina viaggia su altre strade! Giusto o sbagliate che siano, non c’entrano niente con questi pipponi da salotto.
    Andate a vedere in montagna, non sui giornali.

  28. Caspita che supercazzola prematurata critica al fordismo liquido che si sostanzia nella verticalità dell’incontro epifanico tra l’essere e l’ente.
    Come fosse antani, da un lato l’indurimento del pippero, dall’altro l’esaurimento della forza dell’oscillazione dell’arto destro, fanno volgere l’attenzione dei più all’imposizione del peropatetico con nocumento alle finanze.

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