L’esplorazione continua – Sardegna

L’esplorazione continua
(Note di arrampicata sarda)
Scritto nel 2014

Quasi alla fine del nostro viaggio, mi volto e vedo l’enorme massa di storie sulle quali non ho potuto investigare, sapendo che non avrei mai avuto lo spazio né per raccontarle né per citarle. Ho fatto una continua selezione, dura e necessaria, e così gli amici che mi hanno aiutato con le loro testimonianze. Di fronte a questo sconforto ho pensato che avrei almeno potuto fare un elenco, una scarna lista di ciò che non è mai stato citato nel corso di questo libro. Personaggi che avrei voluto conoscere meglio, imprese che non si possono tacere e quindi dimenticare.

E invece ho dovuto accontentarmi di lasciare nelle pagine delle guide grigie del CAI, in Internet e in guide bellissime come Pietra di Luna o Di roccia di sole la possibilità di esplorare il passato: ancora una volta dovrò accettare che sia la storia a fare selezione, giusta o ingiusta, e non io. Sperando che nessuno me ne voglia per la mia parte di responsabilità. So bene che qualcuno mi accuserà per aver dato troppa rilevanza ad alcuni personaggi e di aver sottovalutato altri: forse potrebbe aver ragione.

Ci sono tante salite, come a esempio quelle di Manolo dell’autunno 1981 (Rosa shocking allo sperone ovest di Monte Jogliu o Hantayo alla Falesia di Margheddie), che non hanno lasciato traccia, probabilmente neppure nei ricordi dell’autore. Come nei cassetti dei poeti, a frugare si trovano chicche e appunti che sarebbero andati persi, se nessuno ci metteva mano. Ci sono opere bellissime che non hanno mai trovato un editore…

C’è un Umberto Marampon che il 2 maggio 1982 affronta lo spigolo sud-est di Pedra Longa, dove neppure Marco Bernardi aveva avuto voglia di andare. Una specie di torre appena appoggiata, gialla su un giallo da paura, terrorizza chiunque. Marampon vi sale da solo, con uso di chiodi a pressione (via dell’Ospitalità).

C’è un Eugenio Pinotti, piacentino, che ha aperto km di vie, mai banali, mai terrificanti: valgano per tutte Linea blu a Donneneittu (giugno 2005 con Oviglia), Compagni di Viaggio al Monte Oddeu (22 giugno 2000 con F. Cappa e P. Romanini), La nostra svizzera, 200 m sino al 6c, Monte Oddeu, con Oviglia e Cecilia Marchi, aprile 2012.

Mi rendo conto di non aver neppure citato le salite di Yves e Claude Remy a Punta Cusidore, la lunghissima Via dell’Amicizia (aprile 1989) e Supercrack (8 maggio 1989), con i loro radi spit pionieristici.

Marco Marrosu non si è dilungato su piccoli capolavori fatti con Lorenzo Castaldi in stile clean, rimedio parzialmente: Torre delle Capre (Monte Albo), 11 gennaio 2005, Tranello alle porte, fino al VII+; Punta Cusidore, Sole d’inverno (30 dicembre 2004) e La Martora e il Deserto (4 maggio 2006).

Ma vediamo di dare un ordine, regionale e storico, prendendo in considerazione solo alcune grandi pareti.

Sulla Est del Monte Oddeu la guida francese di Pau, Christian Ravier, in compagnia di Vincent Seger ha portato a termine due notevoli realizzazioni in stile tradizionale: nel novembre 1997 ha salito Mission sarde, con difficoltà fino al 7a, dove per una ripetizione sono necessari chiodi a U e a lama, oltre a nut e friend. I due hanno poi salito la parete rossa del Monte Tondu (a nord dell’Oddeu) con una via denominata La Paroi Rouge, difficoltà fino al 6b, usando solo 4 chiodi, dadi e friend.

Ancora sulla Est del Monte Oddeu ci sono state altre aperture significative come Bo-Tep (Crescenzio Zampatti, Nadia Tiraboschi e Lucia Ceron, 200 m, 6c+, 11 giugno 1998), Por el pueblo oprimido (Paolo Pezzolato e Sara Gojak, 240 m, 6c, 26-27 dicembre 1998), Est-Asia (Oviglia-Sarti, 170 m, 6c, 1 e 16 settembre 1999), Appointment with the beer (i tedeschi Jo Bassier e Michi Schaefer, 200 m, 6c+, novembre 2012).

Megalodon a Punta Argennas

Una parete un po’ dimenticata è sicuramente la Nord-est di Punta Argennas: grigia, quasi biancastra, le viene di sicuro preferita la più solare parete di Punta Giràdili. Dopo Capo ferito nulla si fece fino a Tutti i colori del buio, di Maurizio Oviglia e Simone Sarti, 10 ottobre 1995, un itinerario che supera con quattro lunghezze la parete sulla destra, con difficoltà fino al 7a, un po’ più difficile ma assai simile alla successiva e vicina Peanuts (Oviglia con Edoardo De Marchi, 16 marzo 1997). Qui fu sperimentato l’uso dello spit salendo dal basso e piantando le protezioni grazie al cliff-hanger, il gancio metallico cui ci si sospende per fare i fori. Ancora Oviglia, con Cecilia Marchi, nell’agosto 1997, sale L’inventore dei sogni, sei lunghezze fino al 7a poco a destra di Capo ferito. Nella prima parte grosse difficoltà di apertura per via della scarsa lavorazione della roccia. Dopo un altro silenzio di tredici anni il genovese Guido Cortese con Renato Delfino, nel marzo 2010, apre un itinerario molto difficile a spit distanziati (sette lunghezze, fino al 7c+): L’incredibile De Walt, mai ripetuta. Tocca poi ai cechi Jan Kares e Slavke Dostal, tra il 2009 e il 2013, salire un itinerario più lungo molto a sinistra, quasi sulla verticale di Pedra Longa: Megalodon, otto lunghezze fino al 7b+. Lo stesso Kares, seguendo l’usanza della maggior parte degli arrampicatori di punta, provvede a salirla in libera assieme a Lenka Frühbauerova, maggio 2013. Nella relazione viene detto di portare 22 rinvii, dunque questa volta ci si deve aspettare una salita non così “cattiva”.

Punta Giràdili è invece una parete molto estetica affacciata sul mare, alta circa 400 m, ormai celebrata in tutta la comunità arrampicatoria. Dopo la Via del Carasau, la prima via moderna è della primavera 1995, purtroppo aperta dall’alto da Enzo Lecis e in parte irrispettosa della via del Carasau. La via si chiama Wolfgang Güllich (400 m, fino al 7a).

La storia riprende il suo corso naturale con l’apertura di Mediterraneo (260 m, 7a+). Il 23 e 24 ottobre 1997, salendo dal basso, in stile tradizionale, Maurizio Oviglia e le guide piemontesi Mario Ogliengo e Patrick Raspo terminano di creare una grande classica, oggi tra le più ripetute. Qualche tiro un po’ disomogeneo non ha per nulla influito sul successo di questo itinerario. Gli autori sono stati dunque premiati per la determinazione e l’onestà dimostrate nell’apertura.

(1) Mediterraneo; (2) L’intelligenza emotiva; (3) Sette anni di solitudine; (4) Wolfgang Güllich; (5) Angelo blu.

Ancora Oviglia e il giovane e fortissimo Simone Sarti sono i protagonisti del nuovo itinerario del 1998, Intelligenza Emotiva (260 m, 7c+), una via molto più “psicologica” della precedente Mediterraneo, quindi molto più riservata a un’élite. È dello stesso anno una via, non particolarmente attraente, aperta sulla destra della parete dai grandi Patrick Gabarrou e Richard Goedeke, la Voie des Arbres (450 m).

Spetta però ai trentini Diego e Mauro Mabboni il record dell’itinerario più expò, con parecchi tratti difficili e mortalmente pericolosi, quando nel 2002 aprono, sulla destra della via del Carasau, la loro via Angelo blu. La loro impostazione risente dell’ambiente dolomitico e della Valle del Sarca, dove di certo non ha ancora attecchito la cultura del multipitch sportivo. Vedi anche l’esempio Dal Pra.

Nel 1995, dal 29 al 31 ottobre, una cordata d’eccezione aveva percorso la prima metà di un itinerario al pari suo: Michel Piola e Manlio Motto si erano spinti ben in alto su quella che poi hanno chiamato “Incompiuta”. Ebbene, ci sono tornati sette anni dopo, e dal 26 al 27 maggio 2002 hanno terminato quella che Oviglia giudica la via perfetta della parete, dove per perfezione s’intende il giusto miscuglio di difficoltà e bellezza, calcare stupendo ma senza una lunghezza mediocre e senza trascendere. Bellissimo il nome: Sette anni di solitudine (400 m), abbordabile da un pubblico vasto, perché non estrema (7a), chiodata e pulita con meticolosità elvetico-biellese.

Lo stesso Piola affronta in seguito (2003) un’altra linea, Jonathan Livingstone le Goeland (350 m, 7a/b), che poi è liberata da Manolo e Rolando Larcher. Il parere dei ripetitori è che la via è un po’ meno bella di Sette anni di solitudine.

Nel giugno 2006 ecco in azione un’altra cordata con grossi nomi. Larcher e Oviglia, con Roberto Vigiani, aprono Mezzogiorno di fuoco (270 m, 7c obbligatorio, vedi cap. 100). Quando i giochi sembravano finiti su questa parete, ecco l’itinerario più elegante, aperto tra l’altro nella disidratazione di un caldo opprimente. Il giudizio di tutti è unanime.
Come Piola, anche Vigiani si dev’essere innamorato secco della parete. Nell’aprile 2009 ci ritorna, con Davide Benacci, e apre un’altra supervia sulla parete: Ci salverà la bellezza, subito a destra di Mezzogiorno di fuoco, e a essa abbastanza simile.

«Sono tornato a distanza di due anni sulla Punta Giràdili in Sardegna perché il posto mi ha stregato; il mare come una piscina riflette l’ombra della Pedra Longa, in lontananza il golfo di Arbatax con le sue spiagge fa da sfondo alla cartolina dei nostri occhi e tutto intorno il profumo del Supramonte ci invade… Cosa volere di più?
Semplice! Una delle pareti più belle del Mediterraneo e una via logica da aprire!

Logica? Direte voi, per essere logica una via su una parete deve seguire una serie di fessure oppure una struttura rocciosa evidente come uno spigolo o un diedro. Io invece voglio essere un po’ più lungimirante e voglio dire che una via per essere logica non deve seguire per forza le regole sopra indicate, ma deve invece seguire una serie di appigli che naturalmente fanno salire una parete.

Cosa c’è di più bello per un apritore che trovare su una parete, a prima vista impossibile, una serie di appigli che lo portano in arrampicata a superarla? La logica è data dalla natura e dal nostro bagaglio psico-tecnico nel trovare le giuste sequenze (Roberto Vigiani)».

Lo stesso Vigiani il 12-13 ottobre 2009 con Luisa Siliani sale Parthenia (220 m, 6b+), a sinistra della grande grotta Pintada che caratterizza la parete. È proprio la vista che da Parthenia si gode sulla grotta e sulla parete vicina, tutto considerato arrampicando su difficoltà umane, che rende imperdibile questo itinerario.

Per fare poker, nel marzo 2010 Vigiani, con Carlino Malerba, inventa Senza indugio (400 m, 6c/6c+, subito a destra di Angelo blu). Questa volta il nostro si sbizzarrisce in una chiodatura a fix assai distanziata, 10 tiri di 6c “obbligatorissimo” data la distanza degli spit che può variare dai 4 ai 6 metri. 

Vigiani voleva una via nuova che partisse dal punto più basso e arrivasse in vetta e naturalmente doveva essere su roccia perfetta come le sorelle da lui già aperte sulla stessa parete. Il grado non aveva importanza ma la linea doveva essere elegante. «Una cosa che mi dà soddisfazione è, dopo aver individuato la linea dal basso con il binocolo, passare proprio dove avevo immaginato».

Ben più a destra di Senza indugio, e a destra anche di Voie des Arbres, si svolge l’itinerario incompiuto di Oviglia e Giampaolo Mocci (2010): The old days. Oviglia racconta: «Dopo 8 tiri, arrivati alla grande cengia, non abbiamo continuato come era nel nostro progetto originario perché… litigammo. Capita anche questo. È comunque la via più facile di Giràdili (solo un tratto di 6b).

Questa estate ero a bere una birra con Christoph Hainz e mi sono molto divertito al suo racconto quando, con clienti, voleva ripetere la Voie des Arbres. Costretto a scendere perché, secondo lui, per passare ci sarebbe voluta una motosega, trovò The old days e iniziò a salire. Giunto alla cengia non riusciva a vedere la continuazione al di sopra (perché non c’è) per cui lasciò i clienti legati alla sosta e andò a esplorare per cercare la via. Dopo un bel po’ di avventura slegata, a un certo punto, mi ha detto, incontrò una capra che lo guardava negli occhi. Per cui ridiscese sconsolato… ma secondo me, quando me lo ha raccontato, aveva già bevuto diverse birre…».

Oiscura… l’eco del baratro (230 m, 7c obbligatorio, 2 tiri chiave ancora da liberare) è l’ultima creazione di Gianni Canale, Aldo Mazzotti, Stefano Salvaterra, Franco e Adriano Cavallaro, aperta in cinque giorni tra il 2012 e il 29 marzo 2013. La via, che è stata aperta dal basso con l’uso del trapano e dei cliff senza l’utilizzo di protezioni intermedie, supera il grottone a sinistra della bellissima via Mediterraneo. Tutti e cinque si sono avvicendati nel vano tentativo di superare in libera la terza e la quarta lunghezza, la vera e propria grotta Pintada, un’arrampicata “troppo” fisica. L’intera via è caratterizzata da una chiodatura molto distanziata, tranne per l’ultimo spit prima dalla sosta del quarto tiro che è stato messo in A0. «Prima di prendere questa decisione, abbiamo combattuto per due giornate senza risultati, non riuscivamo a passare; a malincuore ecco l’A0! Successivamente il passaggio è stato provato e risolto studiando le prese dall’alto… (Gianni Canale, che si augura che qualche “big” voglia risolvere questa sfida, prima o poi)».

Sull’abbastanza ombrosa Parete di Donneneittu, nell’agosto 2006, il Ragno di Lecco Marco Vago aveva lavorato parecchio, prima con Fabrizio Fratagnoli, poi con Matteo Della Bordella: il completamento della via era stato con Simone Pedeferri. Però Amico Fragile (8 lunghezze fino all’8a) non lo aveva soddisfatto appieno: sentiva che il grande strapiombo, spezzettato com’era in due lunghezze, era in qualche modo “castrato”… Così è ritornato, assieme ad Adriano Selva e Ricky Felderer, e il 2 maggio 2007 ha realizzato il concatenamento del 3° e 4° tiro. Il risultato sono 55 metri di un lungo viaggio che, unendo senza interruzione il 7c+/8a del terzo tiro al 7c+ del quarto, è risultato un bel 8b… “un’unica grande cavalcata su canne con la schiena rivolta verso un grande vuoto, un vero affronto alla forza di gravità”.

Vago racconta: «Al quarto giorno in parete per ben due tentativi le braccia mi hanno abbandonato al penultimo spit, a soli dieci movimenti dalla sosta. Questa fu per me una mazzata morale: benché non ci fossero passaggi estremi non riuscivo più nemmeno ad azzardare anche solo il fatto di staccare una mano per tentare il movimento successivo e, dopo il volo, ero talmente pieno che per cinque minuti non riuscivo nemmeno a staccare lo spazzolino dall’imbrago per pulire le prese. Decisi di lasciare comunque i rinvii sul posto e di sacrificare due giornate di vacanza al completo riposo per tentare un’ultima volta.
Tre giorni dopo tornammo quindi all’attacco ma già al primo giro sentivo che le braccia non giravano bene e si indurivano subito. Inoltre il tiro era bagnato ma soprattutto la testa non reggeva, non avevo più voglia e pensare di concatenare quei 110 movimenti mi dava il voltastomaco. Dopo il tentativo di Adriano, mentre infilavo le scarpette ed ero sempre più scoraggiato e stanco, decisi che quello che mi accingevo ad affrontare sarebbe stato l’ultimo tentativo, poi avrei tolto tutto perché la cosa non mi divertiva più.
Stranamente riuscii ad arrivare in continuità alla sosta intermedia e a proseguire fino alla base dell’ultima canna di 12 metri che porta alla sosta di arrivo. Decisi che se dovevo tentare il tutto per tutto infischiandomene della stanchezza, degli avambracci gonfi e della vista appannata, se dovevo cadere sarebbe stato perché le mani si sarebbero aperte da sole… ma non successe. Misi la corda in sosta con un urlo liberatorio, felice come poche volte mi era successo e non so se lo ero più per il fatto di aver chiuso un tiro meraviglioso o se per essermi finalmente tolto un grande peso dallo stomaco»
.

L’Amor de mi Vida è la gigantesca parete tra Punta Giràdili e il Monte Ginnircu e il suo Regno dei Cieli: non era mai stata presa in considerazione fino all’ottobre 2005, fino a che cioè i lecchesi Fabio Palma, Matteo Della Bordella e Domenico Dodo Soldarini non ci hanno messo le mani sopra. Senza più Della Bordella, gli altri due hanno concluso dal 15 al 18 aprile 2006 (e quindi in due round) E non la vogliono capire (280 m, 7c/8a, con 7b obbligatorio).

L’Amor de mi Vida: da sinistra a destra, E non la vogliono capire, Genius e Oltreconfine

Racconta Palma: «Io invece l’ho capito il primo giorno che io e Matteo ci siamo incamminati verso la sua base, ovviamente stracarichi, alla ricerca di pertugi fra una macchia mediterranea certamente meno pericolosa della neve dello zoccolo del Wenden ma altrettanto infida, così ho pensato quando me ne sono ritrovata un bel po’ persino nelle mutande, dopo un’ora di pruriti e punture… Insomma abbiamo aperto un sentiero, e alla base abbiamo guardato all’insu e ci è venuto quasi male… era enorme e sono partito pensando che sarebbe stata una roba da mettersi le mani nei capelli. Una parete così, nelle Alpi, sarebbe diventata famosissima, mentre qui, in Supramonte, forse solo qualche pastore si era avventurato alla sua base. Pensai subito a quella frase, Amor de mi vida, e così battezzai la parete prima di cercare un possibile attacco.

Meno male che c’era Matteo, il suo Spirito, io e lui insieme siamo davvero, come dire, la sintesi dell’immaturità concreta, o dell’incoscienza riflessiva. Chiaro e scuro, e una voglia incredibile di fare, quando siamo insieme. A ottobre ci avevano fermato due infortuni, un pietrone che non mi ha staccato l’alluce per due millimetri, e un volo su un obbligato per lui. L’ospedale di Lanúsei è qualcosa che non si dimentica (“Avete un accendino che sterilizziamo l’ago per bucare l’unghia?” “Matteo, portami via di qui, ti prego…)».

L’Amor de mi Vida, scrigno tra i più preziosi nella grande fortezza rocciosa che si estende da Pedra Longa a Cala Sisine, diventa obiettivo seriale per i nostri lecchesi.

Ci tornano nell’ottobre 2006 e poi ancora nel maggio 2007, e per un complessivo di sette giorni di lavoro, Della Bordella, Palma e Soldarini aprono Oltreconfine (220 m, 7c max, 7a obb.), sulla destra della parete, a loro giudizio più impegnativa della precedente E non la vogliono capire (il tiro più facile è 6b tutto da proteggere).

«Dell’apertura, ricorderemo a lungo:
– Matteo che su L4 parte col cliff in bocca perché, dopo 8 voli piuttosto lunghi, ha capito che sulle due ultime due microtacche non avrebbe potuto bloccare con nessuna delle due mani per il tempo sufficientemente lungo a prendere il cliff dall’imbrago… poi un ciuffo ripulito rivelerà un buchetto, e così anche in questo punto l’obbligato è meno di 7b…
– Penultimo tiro, arrivo in un posto comodo, recupero il trapano… batteria scarica… riesco solo a forare per un centimetro, mi rinvio alla punta del trapano (!), slego una corda e la butto giù. Siccome strapiomba,
Dodo deve inventare un sistema alla circo cinese per lanciarsi nel vuoto e prendere la corda. Mi attacca una seconda batteria, la recupero. È passata quasi un’ora… sostituirla, nella posizione dove sono, non è facilissimo. La riuscita dell’operazione e il conseguente sospiro di sollievo è smorzato sul nascere… scarica anche quella! Dodo mi insulta, avevo detto che le avevo caricate tutte. A questo punto penso di dover passare la notte in parete, ma il secondo volteggio nel vuoto di Dodo gode dell’esperienza del primo. Morale, usciamo dalla parete alle 22.30, con le frontali sulle statiche».

L’ultima realizzazione è sempre della stessa squadra (quella che vince non si cambia…). Ancora iniziano Palma e Della Bordella nel 2007, solo per una lunghezza, poi Palma torna con Soldarini nel 2008 e 2009 e conclude con lui nel gennaio 2010. La nuova via, Genius, corre 15 m a sinistra di Oltreconfine. Genius presenta una difficoltà obbligatoria di 7b e ha una lunghezza, la seconda, che aspetta ancora la libera. Soprattutto però, secondo Palma, è “una delle più belle vie della Sardegna e non solo, grazie alle incredibili sculture della roccia che abbiamo trovato”, su una parete che “costituisce tutt’ora una grandissima sfida per le vie aperte dal basso. Non esiste in Sardegna e forse nel Mediterraneo una parete con ancora queste potenzialità“.
Palma conclude il suo tris con queste parole: «Credo che per me la storia di Amor de mi vida sia terminata. Le altre possibili linee, infatti, promettono difficoltà per me irraggiungibili a meno di un approccio di apertura che ho, e che abbiamo, sempre evitato. Per la lunghezza che resta ancora da liberare di Genius io e Dodo abbiamo lottato per 5 giorni consecutivi in apertura, con il fortissimo dubbio di non farcela. È evidente che per vie più difficili dobbiamo passare la mano, salvo sussulti di livello imprevedibili».

Concludo con una via breve e facile aperta da Marco Marrosu e Filippo Derudas il 31 agosto 2014 sullo spigolo sud-ovest dell’isola Foradada a Capo Caccia. Per Sfida al Mistral (90 m, fino al VI) solo qualche chiodo, friend, nut e cordini. Ed ecco come Marrosu ne ha dato notizia agli amici: «Le idee di salire pareti, torri, versanti nuovi e di esplorare sono come sempre tante e come sempre ho piacere di condividerle per proporre e fare insieme.
Sabato scorso sono riuscito con l’amico Filippo a salire il versante sud dell’isola Foradada, l’unico che ancora non era stato salito e mancava all’appello.
Area parco e protetta, perciò salito in uno stile rigorosamente trad, lasciando alcuni cordini e le soste con maillon per le calate.
Davano maestrale da mezzogiorno e perciò era previsto mare grosso ma, con l’ovvia calma che contraddistingue questi ultimi giorni di vacanza, abbiamo ancorato il gommone al largo e siamo saliti incuranti.
La roccia è bellissima, l’ambiente spettacolare! Alle tue spalle hai solo il Mediterraneo, 180° di blu, e sopra di te roccia compatta e di buona aderenza per difficoltà non eccessive
!». Finché c’è questo entusiasmo, l’esplorazione continuerà, ne sono sempre più certo.

L’esplorazione continua – Sardegna ultima modifica: 2024-04-17T05:19:00+02:00 da GognaBlog

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7 pensieri su “L’esplorazione continua – Sardegna”

  1. Via tra lo sdrucio de la nuvolaglia
    erto, aguzzo, feroce si protende
    e, mentre il ciel di sua minaccia taglia,
    il Dente del Gigante al sol risplende.
    (Giosuè Carducci)
     
    Carducci – D’Annunzio   1 – 0
    Palla al centro.

  2. Dense di celidonie e di spineti le rocce mi si drizzano davanti come uno strano popolo di atleti pietrificato per virtù d’incanti:
    sotto fremono al vento ampi i mirteti selvaggi e gli oleandri fluttuanti,verde plebe di nani;giù pei greti van l’acque della Spendula croscianti.
    Sopra,il ciel grigio,eguale.
    All’umidore della pioggia un’acredine di effluvii aspra esalano i timi e le mortelle
    Nella conca verdissima un pastore come fauno di bronzo,erto sul calcare, guarda immobile ,avvolto in una pelle.
    G.D’Annunzio
     

  3. J’ai aussi de bons souvenirs de Capo Caccia : l’escalade, la mer et tout cela sous le soleil.
    D’ailleurs, j’aime beaucoup la Sardaigne où j’ai grimpé aussi à d’autres endroits, et j’y retournerai avec beaucoup de plaisir.

  4. Quando volete scrivo la storia delle pareti dal 2015 a oggi. 
     

  5. Punta Argennas, a lungo sottovalutata nonostante ci siano vie stupende, si sta lentamente rivalutando. La roccia è da sogno e l’esposizione permette di non dover fare levatacce primaverili come per la dirimpettaia Giradili, perché va in ombra al pomeriggio. C’è già qualche via nuova recente, ma non credo che ci sarà mai la coda.
    Altro posto nella stessa zona dove nascono belle vie come, e più,  dei funghi, è la valle che scende a Pedralonga dove la “gang di Felderer” e altri (M.Pellegrini, N.Lanzetta…), aprono multipitch annastro. Istiddia!

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