Limite della tolleranza

Quante volte abbiamo sentito il fastidio per le espressioni altrui? Quante volte le abbiamo giudicate con definitivi aggettivi dispregiativi? Quante volte non abbiamo esitato a sentirci dalla parte giusta? E quante volte invece abbiamo accettato, dando pari dignità a quella che chiediamo per noi stessi, prospettive che mai avevamo sospettato esistessero? Quante volte ci siamo comportati secondo le leggi egoiche e quante volte ne abbiamo dimostrato l’emancipazione?

Limite della tolleranza
di Lorenzo Merlo
(scritto il 27 marzo 2021)

La Cultura della tolleranza
La cultura della tolleranza trova il suo fondamento nel concetto di Carità cristiana. Porgi l’altra guancia ne è emblema. Ma una certa disponibilità nei confronti del prossimo è presente anche in altre culture. Sebbene tra i cinque precetti dell’Islam non ve ne sia uno dedicato specificamente alla tolleranza, si trova la zakāt (dono, elemosina, devoluzione), che riguarda l’obbligo di aiuto ai bisognosi. In certe culture rurali e tradizionali come in il Pashtunwali afghano, nel Kanun del nord Albania, nel Codice barbaricino della Barbagia sarda, nel Bushido dei Samurai giapponesi, l’assistenza ai viandanti, con alloggio, cibo e cura, è un momento sostanziale di concreto rispetto delle norme sociali. Per quanto l’applicazione di queste premesse sia personalizzata, vi si può riconoscere l’origine della cultura della tolleranza e della reciproca assistenza.

Man mano che la condizione sociale da comunitaria è divenuta materialista e individualista, l’obbligo di attenzione e tolleranza è andato perdendosi nella prassi, è andato calcificandosi nella politica. La tolleranza, da pratica sociale è involuta in concetto intellettuale. Da carnale e sentimentale a principio morale, da essenza a feticcio, spesso ben travestito da buonismo come dogmatica pillola quotidiana per sentirsi bene.

Si è perso nell’abitudine al rispetto del canovaccio delle formalità. Un buco del mondo dell’apparenza nel quale siamo precipitati, dove a mezzo del principio della rana bollita, non c’è ragione per interrogarsi in merito alla Tolleranza, in merito alla sua vera natura. Diamo così per scontato di possederne a sufficienza, di poterla applicare con le pennellate dei nostri gesti e delle nostre parole, di essere in diritto di colpevolizzazione di chi non dimostra pari indice specifico. Ma tutto ciò accade dentro quell’edulcorato buco, senza avvederci degli imperativi che ci impone, che è solo teoria e del tutto corrispondente all’immagine ideale di noi stessi. Quella che cerchiamo di farci riconoscere dal prossimo, nella quale amiamo riconoscerci. Che è poca cosa nel computo delle potenzialità umane.

Nel buco ci si dimena nel groviglio delle dinamiche che riguardano il dominio dell’io su noi stessi. Ovvero di una volontà emessa dalla vanità, dall’orgoglio, dall’importanza personale. L’io è anche l’utero della generazione dell’altro, come entità separata da noi; della cosiddetta oggettività; e più in generale del dualismo e della sua sussistenza, nonché inconsapevole celebrazione.

Il dominio dell’io genera e sostiene i suoi motti di avidità. Non a caso la cultura della competizione, celebrata come naturale, tramandata come insostituibile o anche solo riducibile da valore assoluto a relativo, ne è sufficiente dimostrazione. Sotto il giogo egoico produciamo le ragioni della legittimazione dell’accumulo, quindi quelle dell’avere come minimo comune multiplo della vita.

Cosa dice il principio della rana bollita? Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.

Verità condizionata
Avviluppati dalla suggestione dell’io, il meglio che possiamo esprimere riguarda la moralità. Questa è tanto più consistente e rappresentativa di noi quanto siamo in grado di argomentarla dialetticamente. Un processo che implica il Giudizio, il quale castiga o elegge in funzione di quanto sappiamo cognitivamente mettere in campo. Per quanto la questione riguardi e si esaurisca nella dimensione intellettuale, ovvero la più superficiale, la meno incisiva e necessaria alla nostra evoluzione, ne andiamo fieri come i mostruosi Generali di Enrico Baj. Il mondo delle apparenze è soddisfatto. Il buco egoico è saturo, tutto il resto gli è superfluo.

In questo ambito, nel nostro ambito culturale, dire tolleranza è richiamare un valore e riferire di ciò che abbiamo capito, di ciò che vorremmo. Sebbene appaia che più di così non si può, non è che il culmine cultural-intellettualistico. Da quelle altezze crediamo si possa guardare in basso con diritto di superiorità. Inebriati di merito, inconsapevoli del processo autopoieutico e quindi autoreferenziale, ci riteniamo in diritto di autocelebrazione. Ci da diritto di vita e di morte non solo simbolica, allegorica e metaforica, nei confronti dell’altro. È questa la tolleranza che vantiamo, con la quale preferiamo non fare i conti.

Il sistema egocentrico di realtà può realizzare solo il succedaneo della Tolleranza. Un prodotto desiderato, considerato acquisito, ma che nasconde in sé il necessario per riconoscere quanto è stato sopravvalutato, quanto è limitato. Ha in sé tutto per essere contraddetto alla prima circostanza utile, alla prima occasione in cui l’importanza personale istintivamente si sveglia e alza la cresta.

Il dominio occulto dell’io ci impone identificazioni varie: a ideologie, morali, sentimenti, ruoli, cose. Ce li fa credere nostri. Segreta riduzione del nostro infinito, alla quale rispondiamo convinti e ubbidienti, con la difesa di quanto è nostro e perciò sacro. Il dominio dell’io sugli esseri umani è indispensabile alla loro storia di guerra.

Ma tutto ciò significa che il nostro gradiente di tolleranza dipende dal punto in cui ci consideriamo autorizzati ad intervenire per difendere qualcosa di noi, qualcosa che coincide con noi, qualcosa che siamo noi.

Dalla trincea di quel punto, nel buco dell’apparenza, combattiamo secondo leggi che, a parole, non avremmo accettato, e che nei fatti avremmo condannato senza se e senza ma, se da altri rispettate.

In nome dell’autodifesa la tolleranza diviene neve al sole.

La Tolleranza
Emancipati dalla rete dell’io e dal mondo che ci mostra, il registro cambia. Non c’è più nulla da difendere. Tutto è temporale e transitorio. Tutti siamo identici. Le suggestioni delle identificazioni ci sono ora evidenti ed identiche per tutti. Tutti reagiamo o non reagiamo in funzione della dominanza o emancipazione da forze apparentemente esterne, ma che invece generiamo. Non essere più identificati a nulla è non avere più nulla da difendere, è non avere più ragioni per sopraffare il prossimo. È un processo che tende all’invulnerabilità e dunque alla Tolleranza incarnata, realizzata. Quel genere d’essere che viene detto amore incondizionato.

Epilogo egoico
Dedicarsi a girare intorno al commento che allora la Tolleranza non è possibile per restarsene nel cantuccio protetto e caldo in cui vivere la nostra rannicchiata vita, significa non trarre materia per evolvere. Per interrompere il tran-tran, per contaminarci con forze che ne rimescolino lo status quo. L’epilogo egoico usa le categorie e le classificazioni separatorie e analitiche che le sono proprie, nelle quali ritiene di poter collocare le parti di realtà che vede. Singole monadi tra loro separate o collegate secondo strumentale necessità. In tali arbitrarie intitolazioni ripone ciò che chiama Conoscenza. Nel nostro caso, come farebbe con un ansiolitico, prenderà dall’opportuna cassettiera in cui ha riposto il vero, il concetto di utopia. Come per l’ansia, modalità utile per risolvere il problema della falsa tolleranza o della tolleranza secondo comodità.

Epilogo evolutivo
Intravedere le forze che agiscono su noi, cogliere quanto e quando siamo capaci di sentirle o meno, prendere le distanze dal nostro giudizio, permette un’esplorazione di sé altrimenti impedita. Permette di arrivare a ricreare l’amore disinteressato di cui alcuni ciarlatani vaneggiano. Intravedere dimensioni sulle quali la cultura non ci ha permesso di soffermarci, è intravedere anche il mondo che contengono. Un mondo dove l’io c’è ma non si burla più di noi.

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Limite della tolleranza ultima modifica: 2021-07-08T04:29:00+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Limite della tolleranza”

  1. Oggi  circa 450 licenziati  Gkn con un  sms, da parte di un fondo estero speculativo che  ha le azioni…e gioca a risico sulla base di “trend a breve  termine”. Altrettanti  di altra ditta .In pratica la produzione e’ un pretesto per fare finanza d’azzardo.
    Solo alcuni giorni fa  agli addetti Gks complimenti dei dirigenti per un exploit di fatturato, in 2 soli giorni  l’equivalente di 7 (  naon sapevano o sapevano ma volevano far bollire lentamente le 450 rane?) a meno che  non siano rane velenose e che si ribelleranno.Il fondo estero, avra’  pure a libro paga  manganellatori , smontatori di macchine  o autisti  che le estero trasferiscono .

  2. Se si assiste a proteste di lavoratori la cui  fabbrica sta per essere chiusa, i macchinari trasferiti in concomitanza con le ferie,  aumma aumma ,all’estero…nottetempo , che fare ?Meglio non aspettare di venire bolliti.Rassegnarsi , trattare, costituire cooperativa che rilevi e continui  o “.. come farebbe con un ansiolitico, prenderà dall’opportuna cassettiera in cui ha riposto il vero, il concetto di utopia. Come per l’ansia, modalità utile per risolvere il problema della falsa tolleranza o della tolleranza secondo comodità”. Chissa’se  alcuni stanchi di subire, si  preparano alcune auto col pieno , scorte di cibo, acqua e soldi pronte a seguire passo passo i camion?Magari vestiti da montagnards  muniti in bagagliaio di  zaini con  corde , moschettoni,chiodi , martelli e  piccozze..

  3. L’etologia insegna che per difendersi prima scatta l’istinto di fuga od evitamento, ma se si viene messi alle strette, senza scampo possibile, allora l’assertivo  o mite puo’ scatenarsi nell’aggressivita’estrema.Lo devono sapere quanti della sopraffazione fanno  uso sistematico..chi non ce la fa e  si suicida perche’ “mobbizzato” ha pure sempre parenti ed amici ,  associazioni che offrono fior di avvocati.L’assertivita’ comunque dovrebbe essere insegnata .. a partire dalla scuola materna.Poi qualche astuzia per beffare alla grande i prevaricatori..da studiare e mettere a punto in stage di gruppo tra amici…tipo raccogliere “dossier” nel posto di lavoro.

  4. 1) albert
    Giusto. Naturalmente non è sempre facile.
    Per praticare l’assertività sono necessari alcuni requisiti fra i quali un buon livello di autostima.
    Tanti anni fa assistetti a un esempio illuminante di assertività. In una contrattazione a quattro, due per parte, la spuntò il più giovane, il quale con grande calma ed estrema lucidità espose le sue ragioni e portò a casa il risultato. In seguito ha ulteriormente dimostrato di essere una persona capace e con la testa sulle spalle.
    Se mancano però le basi per credere in sè stessi e nelle proprie potenzialità la paura condurrà all’aggressività.
    Oggi la paura è diventata patologica al punto che si ha paura della paura e in queste condizioni l’ascolto dell’altro diventa se non impossibile quantomeno molto difficile.
    Superfluo sottolineare che la paura sia sempre stata cavalcata con tutti i mezzi e che le potenzialità di oggi siano naturalmente enormi. Però non bisogna cadere nel tranello che la paura sia disseminata da chi non ce l’ha perchè in realtà la stessa colpisce in maniera trasversale, nessuno è immune.

  5. Poco praticata, dato che richiede un allenamento ed un addestramento, l’ “assertività” , che non e’ne’  tolleranza  lentamente  virante nella sottomissione              fantozziana, ne’aggressività autolesionista .  Sul web   vari siti  che trattano “assertivita’ “..in breve si tratta di sostenere con calma e dialogo le proprie ragioni e  regolare il rubinetto in posizione di  “acqua tiepida” …anche se a volte si e’ portati a trascendere o scegliere tra dominare ed essere dominati.Un caso antico:https://www.focus.it/scienza/salute/Ignaz-Semmelweis-chi-era
    ed uno attuale..
    https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/06/19/trento-ginecologa-scomparsa-ora-lasl-apre-unindagine-interna-mentre-il-primario-e-in-ferie-sulle-condizioni-di-lavoro-nel-suo-reparto/6235585/
    Piu’ che  altro oggi.   per noi rane rane in pianura, occorre regolare il climatizzatore..ma esistono sia  addetti al supermercato ibernati in ambiente artificialmente Himalayiano o operai stradali e di cantiere arrostiti…che tollerano  situazioni senza ribellarsi a  dirigenti in comodi uffici a temperatura giusta.

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