Metadiario – 76 – Dal Diedro del Mistero alla Groenlandia (AG 1978-004)
Il 25 giugno 1978 ci ritroviamo ancora sotto al Sergent in Valle dell’Orco.
Il Diedro del Mistero
Roberto Bonelli è scatenato, oggi ha deciso di seppellire una parte del «mito» di Danilo Galante. Questi, quattro anni prima, aveva scritto un bell’episodio sulle placche del Sergent: dopo parecchi voli era passato in libera lungo un diedro verticale che poi si arcuava a sinistra per morire sbarrato da uno strapiombo. Lo chiamò Diedro del Mistero. C’erano state delle ripetizioni, questa sarebbe stata la terza, ma nessuno aveva avuto la freddezza di affrontare in libera un probabile scacco. Con noi sono quattro ragazzi della Finanza di Predazzo, tutti veneti (Daniele Ruggero, Aurelio De Pellegrini, Giacomo Corona) meno Ben Laritti, un vecchio amico di Lecco, cui piace passare per il «vecio» della sua compagnia. A Roberto pochi giorni prima era riuscito di salire la fessura Kosterlitz (1a ripetizione, NdA) sul masso omonimo ed era ancora tutto sull’onda di quel successo. Commemorai degnamente l’impresa sulla Rivista della Montagna e ancora oggi ricevo telefonate di ragazzi sconosciuti che sono andati a sbucciarsi le mani in valle dell’Orco, sul masso Kosterlitz. Pochi di loro capiscono che ho sparso miele per le mosche e quelli che lo capiscono si ribellano e riversano su di me la loro insoddisfazione: «Non era poi così difficile quella fessura!», credendo di ferirmi. Io rido pensando al buco che a poco a poco si sta scavando nel prato alla base della fessura… Ma questo per me non è più un mistero.
Dopo una prima lunghezza che termino con una robusta assicurazione sul terrazzino, Roberto mi segue e s’avventura nel Diedro del Mistero. Procede rapido per un po’, poi comincia a proteggersi con l’uso di nut piuttosto grossi che inserisce e incastra nella fessura. Dopo cinque o sei metri è costretto ad appendersi per riposarsi. Lo farà altre quattro volte, ma glielo concediamo volentieri, viste le scene che succedono sopra le nostre teste. Roberto è incastrato nella fessura mani e piedi, che bisogna torcere fortemente, altrimenti non si sta su. Dopo un po’ i polsi dolorano e così i gomiti, il dorso delle mani. La sua è una lotta selvaggia. Non è una libera pulita, ma non c’importa perché siamo contenti lo stesso. E quando tocca a noi provare, a digiuno di questa nuova tecnica, pur con la corda dall’alto non ci riusciamo ed usiamo le staffe. Ogni tanto provo ad inserire una mano e a penzolare su di essa, ma il dolore della posizione, certamente erronea, me la fa scivolare.
Già prima sapevo che umilmente avrei dovuto re-imparare ad arrampicare, se volevo apprendere i primi rudimenti d’incastro. Perciò non mi stupisco e accetto questa ennesima prova con sufficiente rassegnazione.
Quando anche Ben tenta di imitare Roberto è fatica sprecata: le sue forti mani non riescono ad aggrapparsi a nulla nell’interno della fessura, perché là non c’è nulla. Con una smorfia di disappunto moschettona la prima staffa e con quel sistema arriva fino a noi. La smorfia non l’ha abbandonato e il viso s’è incupito. È malinconico, mi pare, e taciturno, ma osservo con piacere che non tira in ballo la solita scusa dello scarso allenamento ai primi di stagione. Più tardi, mentre attendiamo che Roberto concluda un altro tentativo di libera ad oltranza, mi rivolgo a Ben, perché siamo solo noi due, e gli dico di non prendersela. Nel mio sguardo è sottinteso che per tutti viene il momento di non essere più i migliori. Ben mi ricambia con occhi che mi ringraziano, stupito che io abbia capito. Più tardi mi sembra più risollevato e, in risposta a qualcosa che non ricordo, mi dice: «Tu sei più “vecio” di me!».
Ben ed io abbiamo dissotterrato una fetta di mistero, in quel diedro; e mentre Roberto continua a seppellire una parte del suo mito personale, cercando di uguagliare Danilo, noi viviamo equamente, e in armonia, quella fetta.
Il Diedro del Mistero è sempre là e ciascuno ci vedrà i propri segreti riflessi come in uno specchio. Ma se ne comprendi uno, hai visto come funziona il meccanismo della scoperta e quindi hai imparato a vivere veramente quegli stessi momenti che prima non eri capace di vivere. Capire qualcosa non vuol dire sapere come funziona: vuol dire vivere quel qualcosa stesso: è un capire che non uccide, non soffoca un mistero, perché questo non sarà rivelato ma vissuto.
Il fallimento della Groenlandia
Nella ed io, nelle pause della preparazione del trekking della Groenlandia sud-occidentale, ci godevamo una meritata solitudine nel nostro eremo delle Fate Nere. Per arrivarci bisognava camminare un totale di cinque minuti dalla chiesa del centro di Champoluc. Ricordo che, all’ultima casa dell’abitato, c’era un enorme cane San Bernardo, non particolarmente amichevole. Una volta fui costretto a minacciarlo con la piccozza in mano… Dopo il cagnaccio ci si addentrava nel bosco per qualche minuto (il sentiero è quello per il Crest) fino a che si scorgeva sulla destra un bel prato abbastanza in discesa: alla sua sommità era la casetta, in pietra e in legno dipinto di scuro, con le ante delle finestre in rosso. Passando accanto a queste, su una specie di passatoia con balaustra a sbalzo sul prato, si accedeva auna stupenda terrazza e alla porta di casa. Da lì Champoluc non si vedeva. Il panorama era solo sul prato, sui boschi, sulla parte opposta della valle (Monte Zerbion) e sulla sovrastante Punta Piure 2902 m con il suo bellissimo canalone settentrionale (salito in data imprecisata da Ottavio Bastrenta, Massimo Mila e un compagno), una fucilata di circa 600 metri di neve, che mi sarebbe piaciuto prima o poi scendere con gli sci dopo averlo risalito. Ma non feci mai né l’una né l’altra delle due cose.
Una mattina (17 luglio) con Nella, usciti di casa e preso il sentiero per il Crest, c’incamminammo per una delle gite più classiche, la salita alla Testa Grigia 3314 m, via Ostafa e Colle di Pinter 2777 m. La giornata era stupenda, davanti a noi era dispiegato l’intero gruppo del Rosa con il Cervino.
Il 21 partimmo nel pomeriggio da St.Jacques, salimmo alla Punta Bettolina e da lì raggiungemmo il rifugio Quintino Sella. Il giorno dopo infatti salimmo al Colle del Felik e la cresta sud-est del Càstore. Fatta tutta a piedi e comprensiva di ritorno, vi assicuro che questa gita ha modo di stancare chiunque non sia uno skyrunner di professione! Allora non si usava questo termine, ma neppure c’era alcun impianto da St.Jacques…
Della Groenlandia ricordo assai poco. Dopo essere arrivati in ritardo di due giorni a Narsassuaq per colpa dei voli (e quindi aver fatto un breve e carissimo giretto in macchina per l’Islanda, con pioggia, vento e cielo grigio per Reykjavík e geyser d’acqua calda, nessuna emozione particolare) l’agenzia con la quale avevamo preparato un trekking lungo la costa ci comunica papale papale che, essendo noi in ritardo, non possono darci i servizi che avevamo concordato… Inizia un’estenuante trattativa, condotta anche a colpi di minacce ed esibizioni di contratti con clausole maledette (avevano purtroppo ragione loro) siamo riusciti a preparare un minitrekking di due giorni partendo con delle barche. Qualche giorno prima di partire, il 28 luglio, facemmo tutti un giretto allo sbocco del ghiacciaio che dall’Ice Cap groenlandese scende fin quasi al mare. Niente di spettacolare, anche perché spesse nuvole coprivano il ghiacciaio da una certa quota in su e tutto moriva in un grigio disperato. L’umore dei nostri clienti non era certo al massimo. Il primo di agosto partimmo per andare a sbarcare in una baia di cui non ricordo il nome. Da lì, sfiniti da una marcia di tre ore esposta a nugoli di moscerini e zanzare, arriviamo a destinazione, una casetta di un pescatore esquimese che, gentilissimo, si mise a preparare il pesce per tutti. Con grande sorpresa vediamo che non sta cuocendo nulla, anzi ci serve dei gran pezzi di salmone crudo di una bontà tale da non poter ricordarne di uguale.
Il giorno dopo, sempre oppressi dalla cappa di piombo e dagli insetti, facciamo ritorno al nostro albergo di Narsassuaq, dove non possiamo fare altro che aspettare il nostro aereo di ritorno. Purtroppo siamo tutti molto tesi, neanche la visita serale di Copenaghen riesce a risollevarci il morale.
La compagnia era per due terzi quella del Sikkim, ci dispiaceva da morire aver fatto una figura così magra di fronte ai nostri amici. Nella e io ci sentimmo in dovere di mandare a tutti un resoconto economico in cui dimostravamo di non aver guadagnato assolutamente nulla. L’amicizia rimase per fortuna, anche se lì per lì ci era sembrato si fosse incrinata.
Questo episodio segnò praticamente la fine della nostra iniziativa del Mandala Trekking. Tanto quanto era iniziata bene con il Sikkim tanto finì ingloriosamente con la Groenlandia.
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A tutti piace l’Islanda ma io penso sia un luogo tristissimo così come i suoi abitanti (poverini). Non ci tornerei neppure pagato. Eppure ci va un sacco di gente che fa sempre le stesse 4 foto che appaiono ovunque quando si parla di questa isola grigia. Chissà….
Ormai la sbirciatina al Gogna blog avvie nelle ore fresche di temperatura e di facolta’ mentali(almeno si spera), prima partono aneddoti e ricordi ,poi partono le faccende domestiche o burocratiche che non conoscono sosta..in attesa della dose ( la seconda diAstra, non dialtro.. e poi si abbassera’ del tutto il “ponte levatoio” .Non fidatevi di chi dice che con la Pensione si ritorna allo stato del Buon Selvaggio!La prole manda foto di gite in montagna …(ambiente che un tempo l’annoiava)..potenza della Morosa Quella Giusta!.
Grande Albert. Generoso, costante, poligrafo, enciclopedico, spiritoso e saggio. Un Voltaire delle terre orientali. Propongo alla Redazione di aprire una nuova sezione del blog Al & Bert. Sono sicuro che verrebbe alimentata ogni mattina all’alba da fresche novità e porterebbe serenità, ispirazione a buonumore a tutti noi, anime inquiete, reattive, permalose, incarognite e qualcuna anche decisamente perduta (parlo per me ovviamente) : fasciopiddini e turatori di naso, apocalittici e integrati, superdotati e tapascioni, vecchie beline e austere madamine, tardopositivisti e sciamani, vaccinati e no, biciclettari e malthusiani, cannibali e vegani….Pensateci amici, il caldo e’ arrivato e c’è bisogno di aria rinfrescante che spazzi via le scorie invernali. Seguiamo l’esempio, con giudizio e a seconda delle risorse disponibili, del grande Reinhold, ingiustamente sputtanato dal figlio sul Corriere (a conferma del rapporto non sempre facile tra padre ed erede maschio dell’impero) Buona estate a todos.
Manualetto di Benvenuto Laritti :Palestra in roccia a Predazzo-1982 con vie aperte dal medesimo..si vede che voleva allenarsi anche in rocce porfiriche , granitiche con fessure, incastri ecc.( zone sottosassa, cava di granito rosa attigua alla statale e Canzoccolli, palestra di Passo Rolle).Peccato!
https://www.outdooractive.com/it/poi/val-di-fiemme/falesia-di-sottosassa-predazzo/47625875/
e questo blog
Ben Laritti, storia di una meteora
2 Aprile 2017
Consiglio lettura di :Meles-Ben Laritti -Storia di una meteora.
Nei bar tra Predazzo e Moena, bisognava evitare di stringere la mano quando altri alpinisti-dilettanti ci presentavano questi “ragazzi ” dei corpi Finanza-Polizia.Indolenzimento e scricchiolio assicurati.