Lo Sperone Young della Nord delle Grandes Jorasses
(1a ascensione, Enrico Cavalieri e Andrea Mellano, 13-14 agosto 1958)
di Andrea Mellano
(pubblicato su Scandere 1957-1958)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Al Colle del Gigante nevica. Una neve morbida e compatta che non lascia dubbi: è di quella buona; a noi non resta che imprecare. Siamo un gruppo di amici rintanati di frodo nella sala d’attesa della stazione della funivia. Abbiamo scelto questo posto al solo scopo di non spendere la grana al bar del rifugio ed ora, qui riuniti, cantiamo per mantenerci allegri; ma ad ogni pausa rinnoviamo alte imprecazioni contro l’inclemenza del tempo che rischia di rovinare i nostri progetti.
Con noi vi sono tre genovesi, amici di vecchia data; ed è con uno di questi che domani, tempo permettendo, andrò alle Grandes Jorasses.
Il nostro cuoco di turno ci ammannisce del tè un po’ allungato ma sempre gradito; fuori continua a nevicare: addio buone condizioni di salita: troveremo lungo!

La neve fresca si lascia calpestare senza dar troppo fastidio alla marcia; credevo di peggio. Il cielo è tornato sereno e noi, curvi sotto due sacchi così, camminiamo in silenzio e con attenzione verso il Requin; oggi non c’è pista e si potrebbe anche finire in un buco, il che dispiacerebbe assai. La nostra bella avventura è iniziata; non mi par vero e stento a convincermi che sto andando verso la Nord delle Jorasses: sembra un sogno. Vogliamo salire la parete nord per una nuova via: lo sperone Young. L’idea è di Enrico; cominciò a parlarmene quest’inverno ed io, credendo scherzasse, non lo presi sul serio e non ci pensai più. Al tempo delle ferie eccolo ricomparire con la sua idea fissa; mi ha convinto ed ora eccomi con lui, diretti ambedue verso una meta per noi sconosciuta che in verità mi fa paura, quella magnifica serie di punte che coronano una superba parete: la Nord. Pensare che dobbiamo salire questa parete per una nuova via mi procura un brivido alla schiena; riusciremo a farcela? Enrico è convinto dì sì: beato lui! In vista del Requin il mio compagno rompe il silenzio e, con uno stile quasi perfetto, eccolo presentarmi tutta una serie di vette e relative vie di salita da lasciarmi sbalordito. Secondo lui, noi due dovremmo scalarle tutte: faccio un rapido calcolo e scopro che non basterebbero le ferie di dieci anni per salirne la metà. Gli faccio presente questo piccolo particolare e per ora gli prometto di far insieme qualcuna di queste vie.
Al Requin chiediamo informazioni sul bivacco delle Périades perché la nostra intenzione è quella di salirvi per poi scendere verso la Nord e attaccare lo sperone al di sopra dei seracchi in modo da evitarne le scariche. Così facendo non scaleremo i primi centocinquanta metri dello sperone; è un peccato, ma sarebbe troppo rischioso.

Al rifugio, visti i nostri sacchi, ci consigliano di scendere alla Leschaux per poi risalire il ghiacciaio verso lo sperone: sarà più lungo ma meno faticoso; decidiamo per la Leschaux. Ci avviamo non senza un pizzico di preoccupazione per la mancanza di pane, che speravamo di trovare al Requin; ma per nostra sfortuna il pane era esaurito. Pazienza, tireremo la cinghia. Strada facendo pensiamo di rifarci col minestrone che divoreremo alla Leschaux: che delusione! Enrico, data la sua profonda conoscenza della Guida Vallot credeva di trovare un albergo con cameriera, servizi, eccetera…
Due poveri alpinisti delusi e affamati osservano una specie di baracca contorta non credendo ai propri occhi; purtroppo è vero, quella è la Leschaux! Ridotta in quello stato da una valanga, credo lo scorso anno o poco prima, ora non offre più che un fetido sgabuzzino ricavato in un angolo dello sgabuzzino stesso. Delusi, più per il minestrone mancato che per le condizioni del rifugio, decidiamo di dormire sopra la morena che copre il ghiacciaio, il più alto possibile in modo da guadagnare tempo domani. Prepariamo la cena: una scatola di lingua salmistrata con sei biscotti a testa, il tutto innaffiato con acqua di ghiacciaio: delizioso!
Da un’ora e mezza stiamo brancolando nel bel mezzo di un’intricatissima serie di crepacci. Senz’accorgercene ci siamo tenuti troppo al centro del ghiacciaio ed ora, con questo buio, non riusciamo a districarci. Dobbiamo attendere l’alba ancorati alle piccozze e su un ponte di neve: bella scarogna!
La notte è bellissima. Seduti sotto la Nord che osserviamo estasiati, tanto è verticale e selvaggia, non sentiamo desiderio di parlare, ma preferiamo goderci questo silenzio rotto, di tanto in tanto, da un sordo rumore di crepacci.

Sperduti su questo ghiacciaio, ci sentiamo piccoli e deboli di fronte a questa montagna immensa; basterebbe il movimento di un seracco per cancellare ogni traccia di noi; ma non sarà così, la montagna ora è nostra amica, ci siamo dentro, viviamo con lei, e con lei formiamo come una cosa sola. Per questo siamo tranquilli.
Il primo chiarore dell’alba interrompe i nostri pensieri e si ricomincia a salire; ormai ci si vede e non tardiamo ad uscire dal labirinto e guadagnare il plateau superiore verso l’attacco.
Il sole è già alto quando attacchiamo. Evitiamo, per i primi metri, il filo dello sperone salendo per un canalino e, poco dopo, ci buttiamo sullo sperone. I primi tiri di corda non sono molto impegnativi; unico inconveniente è il freddo che ci irrigidisce le mani. Continuiamo a salire insieme per guadagnare tempo ed intanto volgiamo lo sguardo attorno a noi: magnifico! A destra e a sinistra enormi lastroni di granito, interrotti da scivoli di neve, precipitano verso il ghiacciaio. Poco lontano, alla nostra sinistra, lo sperone della Whymper appare in tutta la sua bellezza. Ci fermiamo su un terrazzino per riposare e calmare il nostro stomaco che, noncurante dell’ambiente in cui siamo e della bellezza del luogo, continua a perseguitarci con richiami insistenti; divoriamo una scatola di frutta sciroppata (l’ultima) e riprendiamo a salire.
Le difficoltà aumentano e la fatica incomincia a farsi sentire. Un primo torrione ci sbarra la strada; lo aggiro sulla sinistra e, su appigli instabili, attraverso; poi, per un diedro, esco sulla cima del torrione, mi metto in posizione di sicurezza e grido ad Enrico di salire. Recupero un paio di metri di corda e sento uno strappo violento: Tieni!! — mi grida. La spalla mi duole maledettamente comunque cerco di resistere. Speriamo si fermi… Ecco: la corda si allenta; sono al sicuro — grida Enrico. Era ora, non ce la facevo più; ritiro in fretta la corda ed eccolo vicino a me, calmo e tranquillo. Nella traversata, un appiglio aveva ceduto ed egli, facendo un discreto pendolo, era andato a finire contro i lastroni del canalino, per nostra fortuna senza conseguenze.

Le difficoltà continuano, mai estreme ma sempre di un quarto grado duro e faticoso. I torrioni si susseguono numerosi; li contorniamo cercando di salirli per la via più logica; la roccia è ottima e abbastanza sicura. Man mano che salgo sento una gran contentezza invadermi; sono qui, sulla Nord, e continuo a salire; mai come ora ho sentito la montagna così intensamente: sono felice.
Un nuovo torrione ci si para dinnanzi; questo speriamo dovrebbe essere l’ultimo e purtroppo sarà il più difficile: un passaggio in artificiale, una placca di quarto espostissima seguita da un duro diedro ci impegnano a fondo. Per fortuna è proprio l’ultimo torrione; un salto di roccette e siamo in punta alla Young. Attorno a noi le vette sembrano sorriderci compiaciute, vestite di luce e di ciclo; siamo commossi. Ci stringiamo la mano e, subito dopo, apriamo la scatola di birra portata fin quassù: che delizia per le nostre gole assetate una birra in vetta alle Jorasses! Sono le 17.30, siamo stanchi; per questo decidiamo di bivaccare sulla cima. La discesa, dato che dovremo ancora superare tutta la cresta ovest, sarà molto faticosa e preferiamo riposarci. Due prugne secche e un pezzo di cioccolata sono la nostra cena; non importa, quassù si riesce a far tacere anche lo stomaco tanto lo spettacolo è grandioso. Il sole al tramonto indora le punte che si stagliano contro il cielo. Avvolti nel sacco piumino, osserviamo estasiati.
Vorrei fermare questi momenti per sempre, ma non posso. Di una cosa però sono certo: questi attimi di gioia e di luce resteranno a far parte di me ed il ricordo di questa ora sarà un viatico che mi accompagnerà e mi darà più forza per affrontare e superare le difficoltà che la montagna oppone alla nostra sete di conquista. Ora è notte. Sotto di me, giù nella valle, vedo le luci del mondo; come sono lontane! Mi sento fuori da quel mondo, qui, sperduto su di una montagna, sotto le stelle che mi fanno da tetto. Voglio assaporare appieno queste ore di pace: io e il mio compagno soli con la montagna.
Domani dovremo scendere, tornare tra la gente a cui la montagna non parla; questo è il nostro destino. Ma in me resterà per sempre il ricordo della magnifica avventura vissuta sulla Young delle Jorasses-Nord.
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