Montagna innevata – 2

L’obiettivo degli incontri del ciclo Sicurezza e Montagna: diritti, doveri e responsabilità era di intervenire culturalmente sul dilagante e pericoloso concetto di sicurezza costruita sulla base di certezze e certificazioni e non sulla responsabilizzazione dell’individuo. “In sala pochissimi i giornalisti, e un pubblico quasi inesistente. E’ stato veramente come discutere a tavola con degli amici (Ettore Togni)”. Anche per questo motivo purtroppo non vi fu seguito a questo workshop e il ciclo s’interruppe. Abbiamo diviso in due puntate gli Atti del Convegno di Sondrio.

(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/montagna-innevata-1/)

Montagna innevata – 2
(scivolare tra leggi, ordinanze, bollettini e buon senso)
Atti del Convegno, Sondrio, 24 maggio 2008
a cura del Collegio Regionale Guide Alpine della Lombardia

Francesca Manassero
Montagna e sicurezza: diritti, doveri e responsabilità nella montagna invernale

In tema di sicurezza in montagna, è opportuno valutare l’atteggiamento del legislatore e degli interpreti di fronte agli incidenti che si possono verificare sulla neve e come le eventuali responsabilità vengono regolate. Tali incidenti possono essere ricondotti a tre grandi categorie:
– Œgli incidenti tra due o più sciatori (collisione);
– gli incidenti che si verificano in pista diversi dalla collisione tra sciatori;
– Žgli incidenti che si verificano fuori pista.

Responsabilità degli sciatori
In caso di collisione gli sciatori rispondono ex art. 2043 cod. civ. (qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno). Lo sciatore che pretende un risarcimento per i danni subiti in caso di incidente sarà a tale stregua onerato di provare, oltre ai danni subiti, la colpa ed il nesso causale (vale a dire la responsabilità dello sciatore con il quale è entrato in collisione e la riferibilità dei danni subiti al comportamento colposo di questi). La giurisprudenza aveva in passato oscillato tra diversi orientamenti, volti ora ad interpretare e disciplinare la responsabilità come per l’esercizio di attività pericolosa; ora come responsabilità per custodia (custodia dello sci); infine si erano anche tracciate similitudini con la responsabilità del conducente di veicoli. Oggi, come detto, uniformemente si riconduce detta responsabilità alla figura c.d. aquiliana (art- 2043 cod. civ.). Ne consegue una piena responsabilizzazione dello sciatore.

La l. 363/2003 ha inoltre introdotto la presunzione di concorso di colpa, per il caso di assenza di testimoni, mutuandola dalle norme relative alla circolazione stradale (art. 2054 cod. civ.). La disposizione lascia perplessi, posto che la giurisprudenza aveva escluso categoricamente l’applicabilità delle norme relative alla circolazione stradale in campo sciistico.

Responsabilità dei gestori degli impianti
Dopo diversi orientamenti (responsabilità del vettore; responsabilità ex art. 2043 cod. civ. c.d. aquiliana (1); attività pericolosa), grazie anche all’intervento legislativo della l. 363/2003 che ha specificato i singoli obblighi gravanti sui gestori degli impianti (vale a dire non solo la tenuta degli impianti, ma anche la tenuta di piste sicure per la discesa), la giurisprudenza ha tipizzato il contratto c.d. di skipass (o contratto c.d. bianco), riconducendo alla fase della risalita su impianti la disciplina del contratto di trasporto, in forza della quale il vettore risponde, ex art. 1681 cod. civ., se non prova di avere adottato tutte le misure idonee in concreto ad evitare i danni ai trasportati, ed alla fase della discesa sulle piste la disciplina del contratto di custodia, in forza del quale il custode risponde per i danni cagionati dalla cosa in custodia se non dimostra il caso fortuito, cioè che l’incidente si è verificato per un evento imprevisto ed imprevedibile. Sotto questo profilo va sottolineato come l’imperizia anche estrema dello sciatore non può essere considerata come evento fortuito e non esclude la responsabilità del gestore; le piste sono infatti aperte a tutti gli sciatori, anche quelli inesperti e debbono essere sicure per tutti.

Il gestore dovrà quindi mettere in atto tutta una serie di precauzioni (segnaletica, rimozione di ostacoli, rivestimento di pali, segnali ed altro, chiusura delle piste ghiacciate, apposizione di paravalanghe e/o dispositivi per determinarne la caduta (a piste chiuse), apposizione di reti di contenimento nei tratti esposti, manutenzione delle piste al fine di prevenire incidenti che possano determinare la sua responsabilità, tanto lungo le piste quanto nella risalita con gli impianti (personale diligente pronto a fermare l’impianto in caso di bisogno, ad aiutare gli sciatori in difficoltà, ecc.)

Nell’ottica delle misure precauzionali potrebbero astrattamente rientrare anche prescrizioni obbligatorie per gli sciatori (divieti, limitazioni, etc.); va ad ogni modo considerato che l’ambiente alpino, di per sé variabile e mutevole come ogni ambiente naturale, è poco suscettibile di essere “domato” attraverso la semplice imposizioni di limiti e divieti e che, oltretutto, la imposizione di regole tende a deresponsabilizzare il destinatario (lo sciatore) che ritiene di essere “al sicuro” una volta attenutosi alle prescrizioni imposte. Occorre invece che le norme eventualmente imposte dai gestori degli impianti o dalle autorità deputate, tra l’altro, alla sicurezza degli sciatori, siano norme più che altro di buon senso, che non impongano comportamenti specifici (proprio perché negli ambienti naturali è difficile, impossibile, sapere in anticipo con esattezza come è opportuno comportarsi), ma stimolino la riflessione del destinatario, lo mettano in relazione con l’ambiente e con le proprie capacità (per esempio, più che un limite di velocità specifico, imporre agli sciatori di commisurare la velocità con le proprie capacità, con le condizioni di visibilità, della pista e di affollamento).

Talune norme di comportamento già introdotte dal decalogo FISI del 1967 sono state recepite della citata 363/2003, anche se talvolta con formulazione poco felice (v. art. 9 che omette il fondamentale riferimento alle capacità dello sciatore per determinare la velocità, e si limita a considerare le condizioni della pista e di visibilità). Le norme del decalogo hanno ad ogni modo il vantaggio di essere norme non troppo specifiche, che forniscono indicazioni di carattere generale e possono essere riferite genericamente all’ambiente alpino.

Si potrebbe a questo punto fare un parallelismo con la disciplina contrattuale, segnatamente con l’art. 1366 cod. civ., norma di carattere generale che impone che i contratti vengano interpretati secondo buona fede. La norma trova la sua ratio nel fatto che senza la buona fede dei contraenti anche le dettagliatissime e numerosissime norme contrattuali sono vane. Occorre in altre parole un principio generale, sovraordinato, che impronti tutto il sistema.

Nel nostro ambito il concetto generale e supremo di buona fede può essere sostituito con quello di buon senso; un buon senso particolare, che si può tradurre con la parola esperienza. Nessuna norma e nessun divieto possono essere efficaci se non letti col buon senso, vale a dire con la speciale esperienza che la montagna richiede.

Va ulteriormente aggiunto che la norma giuridica (il divieto, l’imposizione di una regola) è per sua natura formulata in modo generale ed astratto, vale a dire si deve adattare alla generalità dei cittadini (degli sciatori) ed in condizioni generiche o comunque predefinite. Ne consegue che, note le infinte variabili degli ambienti naturali, le restrizioni imposte per ragioni di sicurezza potrebbero dimostrarsi ragionevoli in taluni casi e irragionevoli (insicure) in altri. Se invece, al contrario, si tentasse di formulare norme e/o divieti con riferimento specifico a singole condizioni, si lascerebbero indisciplinate tantissime situazioni, e si avrebbe comunque un proliferare di norme quantomeno caotico.

Il messaggio della serie di incontri è, a tale stregua, quello di sensibilizzare gli utenti della montagna sulla necessità di creare un comune buon senso, in altre parole una educazione, una cultura della montagna, che rappresentano l’unico strumento per rendere quanto più sicura possibile la frequentazione della montagna.

Sci fuoripista
Sotto il profilo giuridico, lo sci fuoripista e lo scialpinismo si equivalgono; si potrebbe affermare che lo sci fuoripista per il gestore degli impianti non esiste. Questo perché la l. 363/2003 e, sulla scia, le leggi regionali sono molto chiare nel definire le aree sciabili attrezzate (le superfici innevate, anche artificialmente, aperte al pubblico e comprendenti piste, impianti di salita e di innevamento, abitualmente riservate alla pratica degli sport sulla neve quali: lo sci nella sue varie articolazioni; la tavola da neve denominata snowboard; lo sci di fondo; la slitta e lo slittino; altri sport individuati dalle singole normative regionali), deputate all’esercizio dell’attività sciistica e sottoposte alla responsabilità dei gestori. Il gestore delle predette aree sciabili non ha alcuna responsabilità per i fuoripista, né (infatti) è tenuto al soccorso al di fuori di esse. In al senso l’art. 17 della citata 363/2003, che esclude la responsabilità dl gestore.al.di.fuori.delle.piste (2).
I divieti di uscire dalle piste imposti dai gestori non trovano in tale situazione alcuna giustificazione né, si soggiunge, sono legittimi.

Possono invece assumere rilevanza le ordinanze dei sindaci che proibiscono lo sci fuoripista, purché, tuttavia, entro determinati limiti: vediamoli.

Tra i soggetti legittimati ad emanare ordinanze vi sono i Sindaci dei comuni. La giurisprudenza in più occasioni si è pronunciata sui presupposti ed i limiti di tale potere; utilizzando le parole del Consiglio di Stato ( 11.12.2007 n. 6366): Il potere del Sindaco di adottare, quale ufficiale del Governo, provvedimenti contingibili ed urgenti… è strettamente finalizzato a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini e può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni”.

I caratteri delle ordinanze c. di necessità sono dunque la necessità ed urgenza di intervenire; la straordinarietà nel senso che possono essere emanate solo allorché non sia possibile fronteggiare la situazione con atti tipici; la loro efficacia è necessariamente limitata nel tempo; debbono essere motivate e pubblicizzate.

Al di fuori di queste condizioni le ordinanze impeditive di esercitare lo sci fuoripista si palesano illegittime. Lo stesso può dirsi per ordinanze emesse legittimamente, ma che vengono poi applicate anche dopo la cessazione dell’effettivo pericolo (per esempio, un’ordinanza emessa con pericolo valanghe 5 che continua ad essere applicata anche quando è stato emesso un nuovo diverso bollettino).

Vista la equiparazione tra sci fuoripista e scialpinismo, ragionevolmente le ordinanze che vietano il fuoripista dovrebbero allora riferirsi anche allo scialpinismo, quindi anche all’alpinismo ed in generale a tutte le attività sportive e/o ricreative potenzialmente pericolose, vale a dire praticamente tutte le attività che si svolgono all’aperto in ambienti naturali (equitazione, ciclismo, navigazione da diporto, escursionismo in montagna). È comprensibile che gli amministratori degli enti territoriali locali si preoccupino maggiormente dei luoghi che, per loro accessibilità al pubblico, sono maggiormente a rischio di incidenti (come appunto i fuoripista serviti dagli impianti di risalita) e, nei limiti sopra esposti, i divieti sono leciti e condivisibili. Tuttavia non va dimenticato che le attività alpinistiche, alle quali, come detto, lo sci fuoripista può essere equiparato, sono attività protette da diritti di rango costituzionale e, come tali, incomprimibili da atti o provvedimenti di qualsiasi natura.

Adesso lascerei la parola al Presidente del Collegio Regionale dei Maestri di Sci Massimo Zanini e al collega avvocato Mezzadri, Segretario del Collegio stesso. Entrambi pienamente inseriti, dunque, nel ruolo che il maestro di sci ha nel fuoripista. Prego.

Note
(1) Questa forma di responsabilità, che è quella, come visto, che si applica in caso di scontro tra sciatori, non è sembrata sufficientemente protettiva nei confronti dello sciatore che si ferisce in pista per cause diverse dalla collisione con altri sciatore, soprattutto in termini di onere della prova. Applicando questa forma di responsabilità (come avviene in caso di scontro tra sciatori), il danneggiato sarebbe infatti onerato di dimostrare che la colpa dell’incidente è imputabile al gestore delle piste. Le figure di responsabilità contrattuale che vengono oggi applicate onerano invece il gestore delle piste della dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, e ciò rende più facile la posizione dello sciatore danneggiato che ha solo l’onere di dimostrare l’incidente.

(2) Va, tuttavia, segnalata un’inspiegabile incongruenza della menzionata l. 363/2003 la quale, al secondo comma dell’art. 17, stabilisce che “I soggetti che praticano lo scialpinismo devono munirsi, laddove, per le condizioni climatiche e della neve, sussistano evidenti rischi di valanghe, di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di soccorso”. La norma, oltre che discutibile quanto al contenuto (è norma di prudenza infatti munirsi di ARVA in ogni caso, con qualunque condizione di neve e meteorologica) esula completamente dalla materia disciplinata, riferendosi ad attività che non ha nulla a che vedere con l’ambito di applicazione della Legge, come descritto all’art. 1.

Massimo Zanini
Buongiorno, prima di tutto voglio ringraziare, anche a nome dei maestri di sci della Regione Lombardia, le autorità, gli organizzatori, i relatori e tutti i presenti per il cortese invito a questo tavolo tecnico che sicuramente porterà un concreto contributo al concetto di sicurezza in montagna che tanto sta a cuore ai maestri di sci. Quando il Collegio delle Guide Alpine della Regione Lombardia ha reso partecipe di questa iniziativa la Presidente del Collegio dei Maestri, subito si è voluto aderire al progetto, proprio per l’attualità e l’importanza dell’argomento.

È, infatti, vero che sempre più numerose sono le richieste di chiarimenti che giungono al Collegio dagli stessi maestri di sci della Regione Lombardia e dagli utenti in merito alle normative di sicurezza oggi vigenti: qui proprio si rientra in un discorso di semplicità che forse non è stato proprio centrato dalle norme nel modo in cui sono state sviluppate. E così sono sempre più numerose purtroppo, anche le vicende giudiziarie portate davanti alla Magistratura, sia essa civile o penale, relative agli incidenti occorsi sulle piste di sci che vedono sempre più spesso coinvolti anche i maestri.

Premesse queste brevi considerazioni, che per altro riteniamo assolutamente necessarie, vogliamo cercare di far sapere al mondo della montagna come il Collegio dei maestri e i maestri stessi si stanno muovendo all’interno delle nuove normative e cosa intendono comunicare come categoria professionale al mondo della montagna. Adesso, perciò, lascerei continuare l’intervento a Luca Mezzadri che oltre avvocato è anche maestro di sci e segretario del Collegio Regionale, perché sempre più spesso ha a che fare direttamente con quello che accade in diverse stazioni della Lombardia.

Rispetto agli interventi precedenti, credo che i maestri di sci siano proprio nel bel mezzo del problema della delega di responsabilità ad altri quando, invece, dovrebbero essere proprie. È tanti anni che faccio il direttore di scuola di sci, ho interi faldoni, enormi, che diventano sempre più giganteschi, di allievi che quando vengono a sciare pensano di poter delegare totalmente la loro responsabilità al maestro di sci. I maestri di sci ben volentieri si pongono verso i propri allievi nell’ambito della sicurezza, cioè si propongono come persone che possono evitare il più possibile gli incidenti, ma non possono garantire che nulla accada durante l’insegnamento, perché qualsiasi attività sportiva si vada a praticare un minimo di rischio è sempre implicito. Invece c’è proprio una mentalità per la quale, se succede qualcosa, c’è qualcuno che deve pagare, per cui fioccano lettere di avvocati e nelle scuole si accumula una quantità di carta enorme di gente che pretende di essere risarcita, anche se l’incidente è accaduto al principiante che stava percorrendo una pista semplicissima, con tutte le garanzie che potevano essere date, ma nel cadere, nell’appoggiarsi sulla neve ha preso una storta. Da fatti come questi nascono casi che devono essere assolutamente portati davanti a un giudice.

L’avv. Mezzadri ora entrerà nei dettagli più legati alla normativa, ma i maestri di sci non devono smettere di educare i propri allievi a frequentare le piste in una maniera responsabile, non pensando, cioè, che vanno in giro con la balia. Vi auguro un buon proseguimento di lavoro.

Luca Mezzadri
Il Collegio Regionale dei Maestri di sci negli ultimi cinque o sei anni, ma soprattutto con la nuova gestione del direttivo, ha cercato di formare nei maestri di sci, sia attraverso gli incontri triennali obbligatori di aggiornamento e sia ancora di più durante la formazione, come aveva ricordato poco fa la dott.ssa Borghini, la consapevolezza di quelle che sono le normative vigenti.

Ma questo perché? Cosa è il maestro di sci?
È un professionista estremamente specializzato cui l’utenza si deve e si vuole affidare per l’insegnamento della tecnica dello sci. Questo è quanto prevede la normativa che ha istituito questi Collegi Regionali, la legge 81/91: con essa si è data una dignità a questa professione, e una dignità vuole anche dire tutelare l’utente. Questo si è fatto attraverso un’uniformità di formazione che è sostanzialmente uguale in tutte le regioni, creando o cercando di creare non solo il tecnicismo del gesto, che per altro è molto importante, ma anche una conoscenza a 360 gradi di quello che è l’ambiente montano, il pericolo in montagna, le eventuali attività necessarie per il soccorso, l’assistenza al cliente, gli obblighi, ma anche i diritti che il professionista ha e deve avere.

Gli interventi legislativi, che sono stati richiamati più volte questa mattina in materia di sicurezza, per alcuni aspetti la Regione Lombardia li aveva già anticipati in quanto i concetti che sono nel regolamento del 2004 erano già stati anticipati con il regolamento del 2003. La Regione Lombardia, dunque, aveva fatto da Regione pilota. Si è dovuto, quindi, informare i maestri di sci di questa nuova normativa che ha regole che a livello giuridico, come ha detto anche il Procuratore Svella, ormai sono regole certe. È vero che derivano da norme di esperienza, da norme di buon senso, come pure dal famoso decalogo della FIS che presumibilmente qualunque buon sciatore, qualunque buon utente della montagna, qualunque buon maestro di sci o guida alpina arriva da solo a mettere in pratica, perché sono comuni norme di esperienza. Ma essendo diventate regole giuridiche devono essere riconosciute.

Quindi noi riteniamo che durante la formazione e l’aggiornamento dei maestri di sci si possa utilizzare la figura del maestro quale veicolo per formare anche l’utenza, perché è proprio il maestro di sci che è a contatto con l’utente, gli insegna e quindi deve poterlo formare non solo a livello tecnico, ma anche a livello di consapevolezza delle regole. Regole che però il maestro di sci dovrà recepire fino in fondo, non tanto come regole per evitare le sanzioni che possono derivare da suoi errori, quanto per insegnare ai propri allievi la doverosità di alcuni comportamenti. non solo nei confronti degli altri che come lui utilizzano la montagna e le piste, ma anche nei confronti della montagna stessa che, comunque, come è emerso chiaramente anche oggi, rimane più forte e imprevedibile di qualunque tipo di soggetto si muova all’interno di essa.

In modo da creare che cosa? Più che un’autoprotezione, una autodeterminazione da parte degli utenti che devono realizzare che nel momento in cui decidono di compiere determinate azioni in montagna, diciamo con gli sci ai piedi, all’interno delle piste, piuttosto che al di fuori, devono essere consapevoli delle loro capacità e del loro rapportarsi con l’ambiente montano. Quindi insistiamo durante i corsi per maestri di sci su quale è il peso, il valore di queste regole di comportamento, di queste normative nuove.

Sia la legge 363, in modo abbastanza discreto, che il regolamento regionale del 10/2004 (quest’ultimo con oneri aggiuntivi alla figura professionale del maestro di sci) fanno riferimento a una figura estremamente centrale in materia di sicurezza: il direttore di pista. Questa nuova figura all’interno della stazione sostituisce quella del gestore perché quasi si assume le sue responsabilità. Un fulmine a cielo sereno per il maestro di sci, perché ci si è trovati di fatto, da un giorno all’altro, a ricevere richieste dai gestori perché non riuscivano a trovare all’interno della loro gestione validi soggetti che potessero legittimamente assumersi quel tipo di incarico. Due o tre anni fa, quando si è cominciato a dover comunicare i nominativi alle Comunità Montane, tanti maestri di sci hanno interpellato il Collegio: cosa facciamo? cosa non facciamo? ma a cosa vado incontro?

Sono delle responsabilità estremamente serie, tanto è vero che abbiamo cercato immediatamente, anche in sede di aggiornamento, di far comprendere ai maestri di sci quanto il nuovo incarico fosse impegnativo, perché ci deve essere una presenza continua, una preparazione costante, bisogna avere i mezzi necessari e conoscere quelle che sono le normative tecniche per la messa in sicurezza oggettiva dell’ambiente montano, delle piste più che dell’ambiente montano così come richiede la legge. Tanto è vero che spesso abbiamo consigliato ai maestri di sci che volevano intraprendere questa carriera di farlo, sì, ma di farlo in maniera esclusiva, cioè di non fare i maestri di sci e insieme anche il direttore di pista, perché occupazioni di impossibile convivenza nella stessa giornata. O io mi presto come professionista e mi rendo disponibile all’insegnamento in sicurezza al mio allievo oppure mi dedico a verificare la sicurezza di tutto il resto.

Fortunatamente oggi la maggior parte di quei maestri che avevano accettato, anche solo per i buoni rapporti con i gestori degli impianti, si sono tirati indietro, anche perché finalmente l’anno scorso la Regione ha fatto un apposito corso di formazione, gestito dalle società impianti (che tra l’altro erano obbligate entro la fine di quell’anno a regolarizzare i propri chiamiamoli dipendenti), quindi il problema si è parzialmente ridimensionato.

Però questa normativa, questo eccesso forse di normativa, ha in qualche modo creato e spalmato questo bisogno di sicurezza oggettiva un po’ su tutti i soggetti che orbitano e girano all’interno della stazione, con evidenti contraddizioni, a volte ridicole, come è apparso ultimamente ridicola la velleità degli impianti ski velox piuttosto che di determinati tentativi di sorveglianza degli utenti sulle piste. Nel regolamento dove si parla di sanzioni c’è la possibilità per il maestro di andare a segnalare agli organi di vigilanza la violazione di alcuni tipi di comportamento, ma non gli è consentito (e giustamente perché non è un agente di pubblica sicurezza) di intervenire direttamente. Quest’assurdità fa assumere al maestro una figura di delatore che non gli compete: quello lì va troppo forte piuttosto che quell’altro, però in rapporto a che cosa? Anche qui pare che si voglia mettere un tutor della sicurezza, di quella sicurezza che il legislatore ritiene di aver creato solo mettendo delle regole, cioè trasformando le regole di condotta in norme giuridiche. Però questo tutor che cosa è, cosa tutela? Tutela le norme della  sicurezza o gli sciatori?

Abbiamo cercato di spiegare queste, diciamo, prerogative nuove dei maestri di sci: il percorso è ancora lungo, perché purtroppo anche oggi noi riceviamo tramite gli aggiornamenti un segnale di una paura quasi manifesta, quella dei professionisti nello svolgere la loro professione.

Come diceva anche Zanini prima, troppe volte anche l’incidente banale di un’ordinaria attività sportiva viene trasportato in tribunale, sia sotto il profilo civilistico, sia sotto il profilo penalistico: i professionisti hanno quasi timore di avere un cliente nuovo che non sanno cosa fa, non sanno come si comporta, non sanno chi è. E si attengono alle più strette regole tecniche di insegnamento senza, secondo noi, dare spazio a quello che è effettivamente il loro ruolo più ampio, quello di inserire l’apprendimento delle tecniche nell’ambiente montano, quindi escludendo la bellezza di andare a sciare fuoripista, di far divertire i propri clienti, di far divertire i propri allievi, immaginiamo i bambini, di far fare i salti ai bambini: tutte cose ben presenti nei corsi di formazione!

Oltretutto, e concludo, proprio per venire incontro anche alle nuove richieste del mercato cui il maestro, le scuole sci, le stazioni montane sono oggi legate mani e piedi, addirittura si è sviluppata tutta una nuova parte tecnica, trasfusa poi in una sezione del testo tecnico metodico di insegnamento, che si chiama “new school” o “free raid” per lo snowboard piuttosto che per lo sci libero. Qual è lo scopo di ciò? Dare all’utente quel brivido, quell’estremizzazione del rapporto con la montagna che forse lo sciatore così classico ordinario aveva un po’ perso, perché oggi si va, come diceva anche lo psicologo prima, si va a cercare un po’ l’ebbrezza, si va a cercare quel qualcosa di diverso in tutti gli sport. Anche lo sci ha dovuto adattarsi, avete sicuramente visto quanti snowpark, quante aree recintate per le evoluzioni sono state create.

Questo bisogno di evoluzioni virtuosistiche ha creato, però, un aumento del rischio in chi si fida, si azzarda a portare questi soggetti all’interno di queste aree, perché in realtà la normativa prevede che possano essere istituite determinate aree per determinate attività, però poi non dice come devono essere regolamentate, chi ne è davvero responsabile in via diretta, perché il problema rimane sempre chi davvero la gestisce È il gestore? E’ chi la crea? Chi la batte ogni giorno? È qui presente il sindaco di Livigno, assai in trincea su queste cose. Lui ci spiegherà come Livigno, che è una stazione sicuramente pilota, riesca a risolvere questi problemi: quando la stazione di Livigno decide di costruire lo snowpark, di chi sono le competenze? Sicuramente ci deve essere un maestro di snowboard, piuttosto che un maestro di sci: entrambi indicano materialmente quali possono essere i modelli di costruzione. Ma se cambia la neve e di conseguenza la velocità di ingresso su un salto, solo per fare un piccolo esempio, e un soggetto qualunque subisce un incidente, chi è responsabile? Chi gestisce e chi sta gestendo tutta la stazione o si può addirittura andare a monte e coinvolgere chi ha costruito il salto? Perché siamo quasi certi che a livello magistratura potrebbero dire: no, quel salto lì era sbagliato, dunque si può discutere con grande ampiezza di chi è la responsabilità.

Riteniamo, in conclusione, che la soluzione sia quella di avere certamente delle regole, magari il semplice famoso decalogo dello sciatore trasformato in norma giuridica. Questo finalmente risolverebbe il problema di come giudicare in tribunale determinati tipi di vertenze o determinati tipi di incidente. Perché oggi si giudica copiando le regole del codice della strada, con sentenze a volte veramente assurde che non stanno né in cielo né in terra. Ma perché? Perché non c’è una norma giuridica ad hoc, e in più secondo noi imbrigliare l’attività sciistica e l’attività dei maestri di sci in gabbie troppo ristrette con troppe regole diventa addirittura deleterio, nel senso che comunque si rischia di avere mani e piedi legati anche in montagna, limitando quella che riteniamo essere una libertà costituzionalmente garantita e da garantire, cioè che l’utente possa con la massima libertà andare in montagna e fare quello che desidera, sempre che sia informato e formato, anche sul rispetto di quelle che sono le regole. E siccome il Collegio cura anche la formazione dei formatori, riteniamo che l’obiettivo sia avere un veicolo privilegiato, cioè il maestro di sci, che faccia da esempio non solo nella sua quotidianità di professionista, ma anche come insegnante alla nuova utenza. Grazie.

Attilio Lionello Silvestri
Anzitutto un cordiale saluto a tutti, con un ringraziamento al Collegio Regionale delle Guide per avermi scelto per questo intervento. Qual è il problema oggi per gli amministratori? Decidere cosa fare con questa normativa, per scongiurare comunque quegli eventi dannosi anche per la località stessa, per i quali anche noi amministratori in alcuni casi ci sentiamo responsabili. Si poteva fare di più, questo magari si poteva evitare, ecc. Per darvi un dato significativo, negli ultimi dieci anni a Livigno sono morte nove persone sotto le valanghe, tra le quali anche qualcuno di Livigno.

Ma procediamo con ordine. Prima di tutto occorre dividere in due il territorio sciistico, pista e fuoripista.

In pista è valido tutto quello che abbiamo detto prima sul comportamento: noi abbiamo affrontato il tema obbligando gli impianti, ma lo facevano già comunque, ad esporre sia alla partenza che all’arrivo nelle tre lingue il decalogo della FIS, che è quello poi che secondo me è il più giusto e il più semplice. Quando ho sentito parlare di tele laser e altre diavolerie ho pensato a quanto fossero inapplicabili. Già è difficile applicare quelle poche norme da parte di chi è sulla pista: per fare un esempio concreto, tutti gli anni vengono elevate delle contravvenzioni sulle piste, ma sono assai poche rispetto a quelle che dovrebbero essere. Non bastano i due poliziotti o i vigili o chi fa il controllo delle piste, su una pista ce ne dovrebbero essere dieci, quindici, se non di più per poter monitorarla come si deve, perché abbiamo dei giorni con folle di dieci, undicimila persone che sciano. Come fai a controllare? È impossibile.

Abbiamo analizzato anche l’aspetto del risarcimento, visto che oggi per qualsiasi cosa si chiedono i danni. Cominciamo a chiedere, la gente dice, magari qualcosa mi arriva… Un’idea è quella, di assai prossima realizzazione, magari per la prossima stagione, di allegare allo skipass un’assicurazione obbligatoria, quindi con un piccolo costo in più obbligatorio (altrimenti non funziona) avendo la garanzia che tutti gli utenti siano coperti da un’assicurazione. Un altro problema a questo riguardo, e poi chiudo su questo argomento, è che ci troviamo di fronte a mercati nuovi, Polonia, Repubblica Ceca, ecc., dove spesso chi provoca incidenti non è nemmeno assicurato, non ha le possibilità di risarcire o anche non è più reperibile in seguito: con lo skipass di nuova generazione saremmo garantiti anche da queste eventualità. Passiamo ora al fuoripista che è l’argomento del quale mi sono interessato in modo particolare. È vero che in tanti comuni si è risolto negli anni scorsi, anche in quello passato, con ordinanze che più o meno significano: vietiamo il fuoripista, così siamo tranquilli e ci mettiamo al riparo.

C’è l’aspetto, come ha sottolineato l’avvocato, che è quello dell’ordinanza contingibile e urgente, quindi giustamente non sta in piedi un’ordinanza tout court per l’intera stagione: il provvedimento dovrebbe essere attuato nel momento effettivo di emergenza, di contingibile emergenza. Perciò noi siamo partiti istituendo nel comune di Livigno la commissione valanghe, composta da esperti: un rappresentante delle guide, un rappresentante del soccorso alpino, un esperto neve/meteo (nel nostro caso un geologo che si è specializzato sulle valanghe), un rappresentante della forestale e ora stiamo pensando di allargare agli svizzeri del servizio meteo di Davos, nell’ottica precisa di comprendere proprio tutti i soggetti. La commissione, dopo aver analizzato il problema valanghe e il connesso problema fuoripista, ha sostanzialmente delineato un progetto che vorremmo applicare durante la prossima stagione invernale. L’abbiamo battezzato progetto freeraid.

Per darne un’idea in generale, siamo partiti dalla considerazione che in molti casi, pur in presenza degli obbligatori cartelli, la gente era uscita fuori pista proprio dov’era il cartello o addirittura scavalcando la fettuccia tirata con pericolo valanghe. C’era un confine che diceva: guarda che se vai al di là c’è questo pericolo. Ma il cartello era presente  tutto l’anno, sia quando c’era pericolo veramente che quando questo non esisteva. Un cartello così era ignorato, perché percepito come avvertimento normale. Siamo allora andati a monte di questo problema, pensando di creare un messaggio anzitutto variabile, cioè diverso ogni giorno, perché le condizioni cambiano ogni giorno.

Tutto il progetto quindi si basa sull’obiettivo di creare un servizio di previsione locale valanghe con aspetti applicativi associati di prevenzione e di educazione. Tale sistema rappresenta un valore aggiunto nel contesto dell’offerta per il turismo invernale consapevole, aperto a nuove iniziative ed esigenze in linea con le nuove tendenze: perché il freeraid è uno degli sport complementari allo sci, come il fuoripista con lo snowboard. Tutto oggi spinge in quella direzione, la larghezza stessa degli sci, fatti apposta per quel tipo di sciata. Non stiamo parlando di un alpinista classico che parte con le pelli di foca, va su e poi scende, ma è l’utente dell’impianto che poi invece di scendere dalla pista scende fuori pista.

Il progetto prevede l’adozione di pannelli a messaggio variabile, segnalazioni ottiche visive, pannelli info, canali informativi locali. Con l’aiuto della televisione locale, con un sito Internet ad hoc per la località e per la commissione valanghe, con campi scuola ARVA, serate di sensibilizzazione e divulgazione. Gli spazi freeraid saranno controllati con cancelletto elettronico. Sono anche assolutamente d’accordo con quanto diceva il procuratore: se avessimo in Europa una normativa unificata potremmo arrivare ad una gestione uniforme. Segnalo che Francia e Svizzera in alcuni casi regolano già il fuoripista con dei messaggi molto semplici, un semaforo ad esempio, alla partenza e all’arrivo dell’impianto d’arroccamento, illuminato a seconda della giornata. Può essere verde, rosso o arancione, ma da solo non garantisce alcuna vera sicurezza. Si può insistere sulla diffusione dell’uso dell’ARVA, perché ad oggi pochi sanno cosa è e soprattutto come si usa, e lo si può fare a livello d’insegnamento base. Avere un campo ARVA, dunque, dove all’inizio un po’ per gioco, ma in seguito seriamente, si possano fare simulazioni fino ad avere completa padronanza.

E per quanto riguarda la comunicazione, riuscire tramite tutti i mezzi a disposizione a dire che quel giorno è a rischio x e dare contemporaneamente avviso di ulteriori aggiornamenti in giornata del messaggio variabile. Non solo un grezzo semaforo, dunque. All’inizio del fuoripista si passa da un cancello che avvisa se l’ARVA è inattivo, se ha le batterie cariche e quindi se si è idonei ad uscire. Con ciò si ottiene che il messaggio ti permetta di uscire, perché verde, ma anche tu sia avvisato con mezzi efficaci che sei sempre tu il responsabile di quella giornata. La stessa cosa succede al mare, quando c’è bandiera rossa. Anche lì si verifica quanto detto prima dallo psicologo, ognuno è responsabile di se stesso e deve valutare se ha le capacità di poter uscire e se è a posto con l’attrezzatura.

Quest’anno abbiamo avuto almeno due casi mortali in cui forse arrivare al cancello e vedere semaforo rosso e cartello variabile con il divieto avrebbe fatto riflettere di più sulla negatività della giornata. Allora anche l’ordinanza avrebbe senso: emessa in caso di pericolo estremo, deve essere sollecitamente ritirata al rientro dell’emergenza. Spezzare, dunque, la routine del divieto tout court, coinvolgendo anche gli uomini dell’impianto se è il caso. Abbiamo anche pensato a fare una mappa delle pericolosità dei singoli percorsi, ma ci siamo fermati di fronte alla considerazione che la montagna, con la sua mutevolezza, non ce lo permette.

Dietro già così c’è un grosso lavoro, la gestione dei dati, nonché una grossa responsabilità dal punto di vista giuridico per chi gestisce quei dati. Se un giorno si sbaglia semaforo e c’è il verde al posto del rosso, è un fatto grave. Per evitare questo la centrale operativa non deve solo raccogliere i dati ARPA e METEOMONT, ma anche altri dati più “locali”, fino a sei, sette punti di raccolta giornalieri, anche qui con il supporto degli impiantisti, il soccorso alpino, le guide alpine, ecc., perché abbiamo visto che da un versante all’altro, da una zona all’altra cambiano le condizioni e solo una confluenza corretta di questi dati potrà essere riassunta nei pannelli in modo efficace. Grazie.

Francesca Manassero
Io volevo chiedere, a proposito dei pannelli indicatori coi semafori, questi sarebbero di tipo informativo? Cioè il rosso esprime “attenzione, è molto pericoloso, ma non è vietato”, oppure se vai sei multato?

Attilio Lionello Silvestri
Allora, quando c’è il rosso ci scappa anche la famosa ordinanza con le sanzioni, quindi quel giorno il pannello dirà: guardate che è assolutamente vietato, ed è in vigore un’ordinanza. Quindi se sbagli tu e solo tu hai la responsabilità. Deve essere proprio un deterrente che ti fa capire che quel giorno non devi proprio muoverti; ci sarà purtroppo sempre chi lo ignorerà, però, anche rifacendomi all’ultimo caso cui accennavo prima, sono convinto che se quel tizio avesse avuto anche solo quel messaggio la scelta si sarebbe orientata sul no. Lo scopo principale è quello di dare un’informazione sempre diversa, in modo che il messaggio sia davvero riferibile a QUEL giorno. Non lasciar pensare che il cartello è lì, pericolo o non pericolo. Dobbiamo togliere tutti gli automatismi. Se non c’è pericolo bisogna dirlo. Ci sono giorni sì e giorni no, e quando noi diciamo no deve essere chiaro per tutti che è no. Questo è un po’ il senso, abbiamo visto anche dal punto di vista giuridico che noi non stiamo dando sicurezza che non c’è. Nel senso che non stiamo dicendo che sia sicuro fare il fuoripista, stiamo solo dicendo che, se oggi lo si vuol fare, indubbiamente c’è meno rischio, ma questo “minor rischio” è comunque sempre tuo. E naturalmente con tutta l’attrezzatura necessaria.

Insomma, il principio è un po’ quello della bandiera rossa che viene esposta nei giorni di mare grosso e pericoloso. E’ certamente un deterrente che funziona, il bagnino non ha certamente l’autorità di impedire al bagnante di tuffarsi comunque. Ma questo è avvertito: la bandiera rossa non c’è tutti i giorni, c’è solo quando effettivamente deve esserci.

Francesca Manassero
A livello di dubbio, se il pannello è a carattere informativo, quindi attenzione al rosso, pericolosissimo, non andate; con il giallo fate attenzione; con il verde siete comunque a vostro rischio, allora secondo me la manovra ha senso. Ma se il rosso vuol dire divieto, allora automaticamente il verde vuol dire permesso. Perché non dovrebbe scattare la responsabilità dei gestori? Se non è vietato vuol dire che è lecito, se è permesso dall’amministrazione vuole dire che il pericolo non c’è.

Secondo me, forse è più protettivo, adesso provo a fare quest’ipotesi, è più protettivo nei confronti anche di chi gestisce chiarire a priori che comunque la segnaletica è un’informazione, informazione che è dovuta, perché è vero parlare di auto-responsabilizzazione, di cultura e di esperienza, ma è anche vero che c’è anche chi tutte queste cose non le ha e che comunque si trova lì in quel momento. Perciò diamo, sì, un’informazione sicuramente attuale come quella del pannello, però se questa va oltre all’essere informazione, secondo me c’è anche un rovescio della medaglia, per il quale si consente ciò che non si vieta. E a quel punto qualcuno si può ritenere autorizzato a pensare che la responsabilità sia di chi ha consentito.

Attilio Lionello Silvestri
Un’ordinanza può essere obbligatoria anche perché, in certe condizioni, non è solo necessario chiudere certi fuori pista ma perfino certe piste di fondo, o tratti di esse.

Domanda del pubblico
Una domanda al sindaco: visto che abbiamo qui delle guide che lo possono confermare, cosa succede quando le guide accompagnano i clienti senza prima salire con gli impianti, quindi non essendo informate?

Attilio Lionello Silvestri
Se c’è un’ordinanza, questa è valida anche per le guide. E a maggior ragione la responsabilità sarà della guida.

Domanda del pubblico
Però l’ordinanza di fatto non è resa pubblica, nel senso del termine, cioè è resa pubblica solo agli utenti degli impianti. Se io parcheggio la macchina a Trepalle e non prendo gli impianti, come faccio a sapere che c’è l’ordinanza? Il problema c’è, ed è giuridico, sostanzialmente.

Francesca Manassero
Giuridicamente l’ordinanza deve essere pubblicizzata con tutti i mezzi opportuni, comunque io credo che l’ordinanza tendenzialmente si riferisca al fuoripista, quindi se uno sale in alto con le pelli di foca e fa quindi dello scialpinismo, rientra nell’attività alpinistica, in generale, per la quale non si fanno ordinanze.

Attilio Lionello Silvestri
Abbiamo fatto un’analisi con il legale. Anche lui ha detto quello che lei diceva prima, cioè un’ordinanza di quel tipo deve essere contingibile e urgente in quel momento, se c’è quella condizione particolare che lo richiede. Quando non ci sono più le condizioni, allora mantenere l’ordinanza è scorretto. In più si va contro anche agli aspetti turistici della località, alle nostre pubblicità, ai nostri filmati. Facciamo vedere il fuoripista e poi diciamo: no, tu però a Livigno il fuoripista non lo fai… Questo è il progetto, è in fase ancora di lavorazione, e vedremo cosa ne uscirà, compresi eventuali nuovi problemi.

Francesca Manassero
Adesso invito Erminio Sertorelli, il Presidente del Collegio Nazionale, che voleva fare un intervento sullo sci fuoripista.

Erminio Sertorelli
Grazie, siccome siamo in pochi invito tutti poi a intervenire, anche per darmi una mano in quell’impegno che mi è stato rifilato questa mattina dal procuratore Avella, il quale ha promesso di invitarmi a relazionare al forum della neve di Bormio. Anche in previsione di questo, credo che le indicazioni che escono da questo nostro incontro siano estremamente importanti.

Parlando del fuoripista, naturalmente io porto la mia esperienza, perché in questa attività ho passato tanto tempo e mi riprometto di passarcene ancora tanto. Un ambiente che mi piace perché, non dimentichiamolo, non ha solo regole o aspetti giuridici: la neve è un giocattolo, forse per questo è il gioco che tutti apprezzano. Non dobbiamo dimenticare questo aspetto assolutamente emotivo che influenza l’attività. Credo che sia un gioco che si pratica fino a che si sta in piedi, fino a settant’anni, magari ottant’anni. Si va a sciare e ci si diverte, la neve crea gioia sempre, comunque, basta guardarla alla finestra quando nevica e suscita delle emozioni. Questo qualche volta ce lo dimentichiamo quando diventiamo troppo tecnici, troppo freddi, questa parte emotiva che solo la neve riesce a dare.

Il mezzo migliore per provare questo genere di sensazioni sulla neve senz’altro è lo sci, l’attrezzo che usiamo per scivolarci sopra, per scivolarci in mezzo. Ho finito recentemente di leggere il libro “Polvere profonda”, non so chi di voi lo conosce, e lì è detto che non ci si può mai stancare di sciare in neve polverosa, visto che si tratta di un regalo speciale offertoci dal rapporto fra terra e cielo. Questo la dice lunga sulle emozioni che può dare la neve.

Naturalmente anch’io sono stato toccato da vicino da incidenti, uno per tutti il carissimo amico Ciondolo, Bruno Confortola, che la passione di sciare fuoripista l’ha pagata molto pesantemente: non mi dimentico di questo.

Confesso anche, tra l’altro, che quando si parla di queste cose provo un grandissimo disagio personale nel sentire pareri, commenti che definisco assurdi da parte di persone che non hanno la minima competenza e conoscenza dell’argomento; mi trovo bene a parlare di fuoripista solo con coloro che lo praticano, evidentemente. A volte a certi tavoli, in certe riunioni, avere un dialogo con persone che non sanno di cosa si sta parlando o lo sanno perché ne hanno sentito parlare malamente, c’è una grandissima difficoltà. Questo dal punto di vista personale. Poi c’è l’aspetto professionale.

Le guide alpine hanno la competenza assoluta su quello che è l’attività classica di accompagnamento, accompagnamento anche in terreno innevato, soprattutto su terreno innevato, perché è un ambiente difficile sicuramente e questo rientra in modo perfetto nell’attività di guida alpina. La guida è un gestore del rischio, oggi si è parlato di rischio e l’attività della guida è proprio questo, gestisce un rischio, senza eliminarlo evidentemente, ma riducendolo con una serie di comportamenti appropriati.

L’ambiente innevato è il top di questa situazione, e chiaramente l’attività delle guide alpine si è sviluppata in conseguenza di quelle che sono le richieste degli utenti, cioè il freeraid o comunque esperienze sempre più avanzate nella neve fresca. È l’utenza che ha determinato questo preciso campo d’azione delle guide alpine, con le loro competenze. Purtroppo negli ultimi tempi le guide si trovano ad affrontare, oltre alle problematiche chiamiamole naturali, anche nuovi ostacoli, che sono le problematiche di tipo giuridico, legislativo, ordinanze, divieti, regole, cartelli, denunce, ecc. Di questi nuovi ostacoli ne abbiamo sempre di più e vanno ad aggiungersi a quelli che la natura già propone.

Posso raccontare il disagio anche in questo caso, e la difficoltà a spiegare ai colleghi stranieri le nostre regole: se noi usciamo dal territorio nazionale e andiamo a confrontarci con gli svizzeri, con i francesi in particolare, è una cosa incredibile. Mi spiace che il procuratore Avella sia andato via, perché era seduto allo stesso tavolo con me e con il presidente internazionale delle Guide Alpine quando ho raccontato il fatto che è successo nel vallone del Vallecetta. Lì delle persone hanno staccato una valanga, senza creare alcun problema a nessuno, non c’è stato neanche un intervento del soccorso. Però sono stati condannati a otto mesi. Quando io raccontavo questa cosa con il mio scarsissimo francese, in prima battuta il mio collega ha pensato che raccontassi una barzelletta e si è messo a ridere, al che gli ho detto che il procuratore era seduto di fianco a lui e che poteva chiedergli spiegazioni.

Solo allora l’ha presa sul serio, perché una cosa del genere in Francia è una barzelletta, rendiamoci conto di questo. Altro aspetto che voglio sottolineare, che però non si disgiunge dai primi due, è il fatto che questo remare contro il fuoripista va a pesare tantissimo nel comparto turistico, sappiamo bene l’importanza che ha lo sci nell’economia alpina: se noi in qualche modo penalizziamo, demonizziamo la neve fresca, noi impediamo uno dei grandi obiettivi di qualsiasi sciatore. Credo che il principiante che si avvicina allo sci inconsciamente ha due grandissimi obiettivi, vincere una medaglia alle Olimpiadi o sciare in neve fresca. Se noi gli togliamo questa possibilità non facciamo nient’altro che allontanare la gente dalla pratica dello sci. È vero che in neve fresca ci andrà il due per cento, il cinque per cento delle persone, ma se penalizziamo quest’immagine ci facciamo del male da soli.

A riconferma di quanto ho detto basta prendere in mano qualsiasi depliant pubblicitario, qualsiasi video promozionale di qualunque stazione sciistica: vi si vede gente che scia in neve fresca, non quelli che fanno spazzaneve sul campetto. Inoltre bisogna rilevare che le potenzialità offerte da questa pratica quasi ovunque in Italia non sono adeguatamente sfruttate: basta portarsi in stazioni come Alagna, in territorio italiano, o la Grave in Francia, per non citare altre situazioni, e vediamo che lì vivono e lavorano principalmente sull’attività fuoripista e non hanno diminuzione di flusso turistico.

È frenante l’aspetto penale sanzionatorio: due anni fa un collega austriaco è caduto in una piccola valanga, ha perso uno sci, la cosa è finita lì, però ha dovuto andare dai carabinieri a spiegare il perché, il per come, ha avuto problemi. Voi pensate che questo collega straniero venga ancora sulle nostre montagne con i suoi gruppi? Sicuramente va in altre zone, in Silvretta, va sul Bernina, nella parte Svizzera però. E ci va perché dice: già sono stato bravo a schivare una valanga, se vado in Italia devo anche schivare i carabinieri. Questa è una perdita, ed è calcolabile. Perché è di grande difficoltà confrontarsi e dialogare con persone che rivestono cariche amministrative e difficilmente si va a spiegare il perché, il per come di queste cose.

Lo sci fuoripista è un’attività di tipo culturale e non sportivo, questo ci tengo a sottolinearlo in modo veramente forte. Quello che succede in una pista è all’interno di una struttura sportiva, quindi giustamente va regolamentato, dev’essere presa ogni precauzione. Quando esco da una pista però sono in un ambiente libero e quindi pretendere che qualcuno si preoccupi della mia sicurezza è una cosa che semplicemente non esiste. La mia è una scelta, il gestore mi deve segnalare con chiarezza fin dove mi protegge e dove non mi protegge più, senza divieti, mi deve solo far capire che da lì in avanti mi devo arrangiare. Un altro problema che viene sollevato a favore dei divieti è il protezionismo sul soccorso: se vai fuori pista metti in pericolo chi viene a cercarti… A proposito di questo basta ricordare che il primo soccorso è un diritto garantito dallo Stato Italiano a chiunque ed esso è erogato in forma gratuita. Dovremmo cambiare la costituzione per minacciare questo diritto: i soccorritori sono tutti volontari, nessuno è obbligato. Il soccorso alpino si basa sul volontariato, quindi il problema non dovrebbe esistere. Se ci sono dei costi questi ricadono sulla società. E se mettiamo in dubbio che la società debba accollarseli, allora bisognerebbe anche sospendere l’assistenza sanitaria a chi fuma, a chi beve, ai tossicodipendenti, agli obesi, perché anche loro sono un costo per la società, costo che va tagliato.

Quando capitano queste cose è l’emotività che la fa da regina, perché noi ci fermiamo sgomenti e non riflettiamo davanti ai numeri. Un numero è che mediamente sull’arco alpino negli ultimi dieci, quindici anni le vittime dell’attività fuori pista, inteso come scialpinismo o fuoripista, sono nell’ordine di 35 unità all’anno, su tutto l’arco alpino, Italia e altri paesi. Due anni fa, nei mesi di settembre ottobre, tra la Liguria e il Piemonte abbiamo avuto quaranta morti fra i cercatori di funghi: ma nessuno ha vietato il risotto con i funghi, quindi è emotività pura questa. Stiamo parlando di piccolissimi numeri, trentacinque persone, vediamo tra tecnici di saper amministrare questa emotività. Quello che io chiedo come guida, ma senz’altro anche a livello personale (e quindi vado in contrasto con Silvestri) è: no regole ma più educazione, le regole le abbiamo già, sono quelle che ci impone la montagna.

Moles e Gogna sono stati chiarissimi, le regole ci sono, ce le impone la montagna, non attacchiamone altre. Quindi più educazione e più informazione, quindi ben venga il progetto di Livigno a livello informativo: voglio sapere, voglio conoscere, poi decido io se andare o se non andare. Il bollettino del mare è chiaro, non mi da un parere se andare o se non andare come il bollettino delle valanghe, mi dice le situazioni, poi ogni marinaio in base alle sue conoscenze, o se ha la barca grande o piccola, decide se uscire o meno. Ma non è il bollettino che dice vai o non vai, mentre quello delle valanghe mi dice di andare o di non andare, e questo non va bene perché il suo compito è solo di dare informazioni.

Quanto all’educazione, è sufficiente dire che i nostri comuni di montagna spendono di più per i corsi di calcio per i ragazzi che non per i corsi di educazione e formazione di comportamento in montagna: abbiamo dei bravissimi calciatori, ma non abbiamo ragazzi che sanno muoversi in montagna. Abbiamo qualche esempio di sponsor privati: il Credito Valtellinese, cosa straordinaria e bellissima, quest’anno ha sponsorizzato una spedizione all’Everest perché l’istituto compie i cento anni della sua attività. Mi auguro che la stessa cifra l’anno prossimo sia devoluta alla formazione per i ragazzi e non per una spedizione extraeuropea. Infatti, se c’è bisogno di risonanza, per il primo anno va benissimo l’Everest, ma poi si deve cambiare. Se la stessa cifra ogni anno venisse stanziata per attività didattiche, forse fra quindici anni o vent’anni avremo un risultato, che non possiamo aspettarci subito ma per il quale dobbiamo lavorare a lungo.

In più i divieti non risolvono il problema, anzi siamo stati tutti ragazzi, che cosa c’è di più bello che trasgredire un divieto, il divieto diventa un incentivo, facciamo la scommessa che tanto ci vado lo stesso.

Chiudo con un esempio chiarissimo sulla necessità di un po’ di chiarezza su questo: lo scorso mese di marzo nel comprensorio del Tonale veniva realizzato un filmato, con la partecipazione di alcuni nostri colleghi. Era uno spot promozionale sulla pratica del fuoripista. Esattamente negli stessi giorni, a Bormio, quindi nella stessa regione, nello stesso stato, e con le stesse regole venivano multati i praticanti del fuoripista. Allora io mi chiedo, se le condizioni della montagna erano identiche, perché da una parte si promuoveva con impiego di molto denaro, quindi con uno sforzo importante, e dall’altra parte si multava? Non è qui il caso di dire chi aveva ragione e chi torto, anche se personalmente lo so bene: cito l’esempio solo per evidenziare le contraddizioni.

Francesca Manassero
Si è parlato di regole da parte del sindaco Silvestri e anche da parte di Sertorelli: le regole secondo me dovrebbero tener conto anche di ciò cui ha accennato all’inizio del nostro seminario Moles e cioè il considerare le differenti incompetenze e le capacità tecniche, perché non credo che, soprattutto nell’ambito sciistico o comunque alpinistico anche invernale, si possa pretendere il medesimo comportamento da persone che hanno competenze tecniche molto diverse. La prudenza, il livello di sicurezza sicuramente cambiano molto a seconda delle qualità e delle competenze tecniche dello sciatore o dell’alpinista che sia. È questo dunque un altro aspetto che forse disincentiva un poco al pretendere di regolare la materia con norme. Adesso farei una breve sospensione fino alle 14.30 per poi riprendere i lavori. Invito coloro tra il pubblico che volessero porre delle domande ai relatori o anche solo replicare ai loro interventi a registrarsi in segreteria per un pomeriggio ordinato. Sospendo allora fino alle 14 e 30.

Massimo Zanini
Spero che non ci sia una conclusione oggi, perché sinceramente spero che questo sia un punto di partenza. Al di là del dispiacere di vedere così poca gente presente all’incontro, quindi aver timore che la materia del nostro convegno rimanga tra gli addetti ai lavori, il punto di partenza è obbligatorio se si vuole che questa iniziativa si ripeta di anno in anno, per far sì che domande, dubbi, quesiti che si possono creare durante la stagione sia estiva che invernale, possano poi trovare a questi tavoli di incontro, dove tra l’altro si possono invitare anche altri specialisti del settore, delle risposte che poi permetteranno di risolvere man mano tutte le problematiche. Si parlava prima del forum di Bormio: questo però ha una dimensione di così ampio respiro che spesso diventa difficile riassumere. A noi servirebbe la definizione di punti meno teorici e più pratici, più vicini a quelle che sono le problematiche che viviamo tutti i giorni nelle nostre stazioni, considerando anche le differenti dimensioni delle stazioni, le piccole, le medio-piccole, le grandi. Con il coinvolgimento degli operatori specializzati e sapendo che ci si può trovare per affrontare problemi che di volta in volta si vengono a manifestare. È questo un obiettivo immediato che un convegno di questo genere può perseguire, lasciando ad un secondo tempo il coinvolgimento di più persone non specialiste del settore.

Andrea Sarchi
Buongiorno a tutti, sono maestro di sci, sono guida alpina e sono direttore dei corsi di formazione delle guide alpine della Lombardia: quindi mi occupo principalmente di formazione. Ecco, io ho trovato molto interessanti gli spunti che sono emersi questa mattina e spero che si possa così proseguire lungo questa strada e, potendo approfondire sempre di più queste tematiche che ci toccano e ci riguardano. Il mio intervento di adesso vuole mettere l’attenzione proprio sull’aspetto della formazione. Siccome la sicurezza, come è stato detto da più voci, è un insieme di fattori, è un insieme di circostanze, è un insieme di cose che devono concorrere per creare maggiore sicurezza, ritengo che la strada migliore per favorire questo processo sia quella dell’educazione, dell’insegnamento, del fare formazione completa. I giovani sono il nostro futuro, quindi è lì che dobbiamo lavorare, è lì che dobbiamo mostrare quali sono i comportamenti e le azioni che possono alzare il livello di sicurezza. Quindi inviterei tutti a non tralasciare questo aspetto, perché credo sia assolutamente da sviluppare e da non trascurare. Ritengo che quello che stiamo facendo come guide e come maestri di sci, come operatori, non sia sufficiente. Occorre investire in progetti che possono coinvolgere i giovani, che possono avvicinare i giovani alle montagne, che li possano far frequentare la montagna. Ho detto delle cose generiche, perché naturalmente non ho una ricetta, non ho un progetto, però credo che sia un’indicazione da sviluppare e da portare avanti, grazie.

Francesca Manassero
Ringrazio Andrea Sarchi che ha sottolineato quanto già era emerso nel corso della mattinata negli interventi dei relatori e cioè che la sicurezza, nei limiti in cui si può avere sicurezza nell’ambiente montano, non può che venire dall’educazione di chi frequenta la montagna, quindi dalla responsabilizzazione degli individui. Anche il procuratore Avella, il cui intervento forse era da qualcuno un pochino temuto, perché comunque lui applica le norme in tribunale ed eventualmente chiede le condanne per i pretesi responsabili, ha sottolineato come la radice di queste poche regole, che anche lui ha auspicato vi siano, non possa essere convenzionale. Seppure indirettamente ha fatto capire che questa radice non può che essere fondata sull’educazione, sul buon senso, cioè sull’apprendere come muoversi e come agire. Mi sembra che questo sia sostanzialmente il messaggio che è emerso oggi. Poi sicuramente col tempo riusciremo a fare altre riflessioni e a questo proposito vorrei ricordare che questo è solo il primo di una serie di incontri. Oggi si è parlato per lo più di neve, però poi avremo altri incontri in cui questo tema verrà trattato anche in relazione ad altri situazioni, sempre in ambiente alpino. Non so se ci siano domande da parte del pubblico.

Attilio Lionello Silvestri
Volevo solo precisare due cose rispetto al progetto che ho illustrato stamattina, soprattutto riflettendo su quello che ha detto Sertorelli. È vero che uno deve decidere in autonomia, può decidere se scendere o meno per un fuoripista. Ma un amministratore si trova di fronte ad un turismo di massa, tra l’altro anche straniero, con individui, spesso molto giovani, che di cultura della montagna ne hanno poca. Arrivano, mettono lo snowboard e sono ricettivi alla montagna solo in quella settimana, quei dieci giorni di vacanza. Quindi è lì che è importante il messaggio. Per i nostri ragazzi il discorso è diverso, l’educazione deve essere rafforzata, come diceva Sertorelli: far capire almeno a quelli che vivono in montagne alcune cose basilari, proprio perché quest’inverno abbiamo visto in un posto come Livigno due ragazzi dei nostri rimanere sotto le valanghe. Probabilmente abbiamo peccato in qualche cosa, perché non doveva succedere. Ma il progetto si appoggia sulle esigenze del mercato globale, dove il messaggio deve essere lì in quel momento per colui che sicuramente non è preparato a quell’esperienza, quando però la moda e il trend dicono “andiamo tutti con lo snowboard, andiamo tutti a far fuoripista”. E di questi “tutti”, forse uno solo sa compiutamente quali sono i rischi reali della montagna.

Quindi il messaggio per me importante è che dobbiamo pensare a rispondere a questi turisti che vengono da noi, stranieri e non. Tanto è vero che abbiamo discusso anche sulla modalità del segnale: forse il semaforo è troppo forte, magari basterebbe un segnale di pericolo, il famoso triangolo. Però l’importante è la comunicazione e comunicare il più possibile. L’altro aspetto, quello delle ordinanze, oggi viene applicato per una sorta di paura della responsabilità: vediamo leggi, vediamo sentenze, vediamo oggi che il sindaco per tutelarsi emette un’ordinanza. Non pensiate che non ci stiamo muovendo per uscire da questa logica che è probabilmente troppo rigida. Iniziamo a dare uno spiraglio con questo progetto pilota e monitoriamolo attentamente. Alla fine dell’anno si potrà dire: no, per l’anno prossimo forse conviene cambiare questo e quello.

È stato questo per me un notevole momento di confronto con gli addetti ai lavori, con la Regione, con le guide, con i maestri, che alla fine sono quelli che hanno il problema sulle spalle. Spero anch’io che oltre a questo incontro si vada avanti e ci siano degli scambi, perché poi le cose si definiscono solo quando ognuno mette il proprio contributo, per arrivare a qualcosa di concreto. Grazie.

Luca Mezzadri
Volevo riprendere il discorso che ha fatto il sindaco di Livigno, dicendo subito che sono d’accordo con lui nel dire che si potranno tirare le somme del progetto solo alla fine del prossimo anno, ma già ora lo si può definire, da parte di un’amministrazione comunale, un progetto molto coraggioso, perché va effettivamente incontro alla risoluzione dei problemi, anche se si presta ancora a dubbi e contraddizioni. Lo ritengo un progetto abbastanza rischioso e pericoloso ma non si poteva fare a meno di prendere una decisione. Hanno preferito, per l’immagine del turismo, dire: io non mi sento di poter vietare per sempre o per tutta la stagione, cerco quindi di trovare un sistema per dare almeno dei parametri di sicurezza. Trovo che questo sia in linea con quello che forse stamattina è stato il filo conduttore, cioè l’avere delle regole quanto meno condivise da tutti gli operatori e un’informazione oggettiva. Solo un monitoraggio ben fatto riesce a dire c’è pericolo e quanto pericolo: allora la guida, o anche il turista, a questo punto ha un solido metro di giudizio, cioè un sistema che potrebbe essere la prima base per creare delle regole comuni. Se questo progetto pilota funziona, perché poi non esportarlo altrove in provincia di Sondrio, e in Lombardia nelle stazioni che hanno lo stesso problema di Livigno?

Secondo me Livigno si sta muovendo in una direzione che forse è corretta, magari bisognerà smussare qualcosa anche per avere la collaborazione di coloro che poi effettivamente usufruiranno di questo servizio. Dobbiamo capire quanto meno se questo metodo è davvero comprensibile, se questo metodo raggiunge davvero il risultato, se sia opportuno andare verso l’ordinanza o verso la segnalazione. Anche al forum di Bormio era emerso il discorso delle segnalazioni, previste dalla legge 363 del 2003: eppure, praticamente per tre anni, non c’è stato in giro alcun segnale, ognuno si faceva i segnali che voleva. Solo la Regione Lombardia ha quanto meno indicato il bordo destro e il bordo sinistro delle piste attraverso una diversa dimensione della colorazione, della palinatura delle piste. È stato addirittura necessario costituire una commissione speciale che studiasse quelli che erano i segnali e i cartelli, all’inizio si pensava di delegare la FISI a fare la segnalazione sulle piste. Poi si è capito che era un assurdo, la FISI è organo tecnico che di segnaletica e di incroci probabilmente non si interessa più di tanto.

Oggi c’è un elenco che è stato depositato presso gli uffici competenti di Roma: vi sono definite quali sono le linee guida dei segnali, però alcune stazioni che hanno già investito decine di migliaia di euro oggi si troverebbero a dover completamente modificare la loro segnaletica. Anche questo è un problema che bisogna assolutamente affrontare. Una sentenza, abbastanza recente, del tribunale di Bolzano ha addirittura dato torto a una stazione sciistica che aveva chiuso una pista. C’erano in corso dei lavori con i gatti, quindi c’era il cartello “chiuso”, il cartello di pericolo, e anche il cartello battipista: ma siccome la legge nazionale dice che se non si vuole che un utente entri in pista occorre recintarla dalla fine all’inizio, tutto ciò è stato considerato solo un segnale d’avvertimento e non un segnale di divieto. Quindi il progetto di Livigno dovrà essere utilizzato come pilota, si vedrà se è meglio fidarsi dell’impatto forte di un semaforo rosso piuttosto che del semaforo verde (indicazione probabilmente più nota a tutti), piuttosto che di un cartello di pericolo che può non indicare nulla a uno che non è abituato a vederlo. Io mi immagino i minorenni che non hanno la patente: loro non sono abituati a identificare i cartelli stradali, forse hanno diritto di non sapere che cosa indica un cartello, mentre invece il semaforo rosso lo usano da quando escono da scuola, e sanno che con il rosso quanto meno non si passa. Sono dell’idea che l’indirizzo che è stato dato a questo incontro sia molto utile, più che altro per cercare una linea unica, una linea chiara e univoca della Regione Lombardia.

Gianantonio Moles
Vorrei anch’io concludere la mia partecipazione al convegno con qualche considerazione, non certo per chiudere l’argomento, bensì per avviare ancora di più verso i convegni futuri. Mi fa molto piacere di avere fatto parte di questo gruppo di lavoro, fatto da professionisti della montagna, perché oggi abbiamo sì parlato di sicurezza nell’ambiente invernale e nell’ambiente innevato, ma fondamentalmente abbiamo cominciato ad accennare alle problematiche che i professionisti in montagna hanno per gestire le attività sportive del loro lavoro. È emersa la figura del direttore di pista, figura che deve destreggiarsi tra problemi che una volta non esistevano. Se io guida alpina portavo i clienti sul Pian di Neve dell’Adamello non avevo nulla a che spartire con altre realtà professionali. Oggi invece ci sono spesso gli impianti, quindi si hanno in comune i problemi relativi all’utilizzo degli impianti, perché il fuoripista è tale solo se c’è nei paraggi un impianto di risalita. Le nuove problematiche sono evidenti e bisogna affrontarle modificando ciò che dev’essere corretto. Anch’io ho fatto l’esperienza di fare per tre anni il direttore di pista in una stazione invernale. A volte anche qualche collega ti dice che non è poi un grave danno salire con le pelli a lato della pista. Però occorre provare a stare sveglio tutta la notte su un gatto delle nevi, magari attaccato ad un verricello, e vedere persone che salgono a destra o sinistra. Non lavori più con tranquillità, né riposi più con tranquillità: in effetti qualche incidente è già capitato e di questo problema non si è ancora parlato a sufficienza. L’invito che posso fare è quello di sperare di trovarci ancora in modo che questo incontro non sia la conclusione ma l’inizio. Anche le conclusioni, alla fin fine e allo stato attuale delle cose, non sono certo io che devo trarle. Io non sono un amministratore, ed è il sindaco che decide quando firma…

Erminio Sertorelli
Parliamo ancora di quello che è l’aspetto più positivo del progetto di Livigno. Pur tra mille critiche, c’è un punto assolutamente positivo che va in una direzione specifica, cioè l’informazione di come e in quali condizioni si può andare fuori pista. Perché il messaggio peggiore che è passato in questi anni era che il fuoripista era vietato. In un compito fatto dai bambini delle scuole elementari di Corvara, quindi non Riccione, quando gli hanno chiesto che cos’è che non si può fare hanno risposto il fuoripista! Abitano a Corvara! Il messaggio del progetto di Livigno, pur con tutti dettagli che poi saranno da aggiustare, ti dice invece come puoi fare fuoripista, e questa è la cosa positiva. Per dare poi continuità a questo incontro, che non finisca qua, secondo me bisogna presentare gli atti al Forum della neve, perché è un momento ufficiale a livello internazionale: non ci saranno magari grossi risultati decisivi in quella sede, però bisogna presentare i nostri atti in quella sede, è praticamente obbligatorio. Studieremo anche come continuare questi incontri per trovare (e mi riaggancio a Moles) dei momenti di incontro fra i professionisti della montagna. Accanto ai professionisti storici, cioè maestri di sci e guide, ecco i rifugisti, poi i direttori di pista, i gestori degli impianti, cioè tutte persone con un alto livello di professionalità per attività strettamente legate alla montagna: ai momenti d’incontro dovrebbero partecipare tutti.

Essendo qui presente anche la rappresentante della Regione, mi sento di fare una proposta: in futuro bisognerà lavorare per avere un vero punto di riferimento ufficiale per tutti i professionisti. Io, tra i miei progetti, ho quello di trovare una sede ufficiale dove si possa lavorare fianco a fianco, dove se io devo incontrare il presidente dei Maestri di sci mi basta attraversare un corridoio, quindi mettere a fianco maestri di sci, guide, impiantisti, ecc. anche con una sede concreta, vero punto di riferimento. Questa in futuro potrebbe essere una grossa risposta alle problematiche che abbiamo esaminato assieme oggi. Per realizzarla ci vuole l’aiuto delle istituzioni, ma dobbiamo prima di tutto avere le idee chiare noi professionisti per poter fare questo grosso passo in avanti e per far circolare di più le informazioni.

Un’ultima cosa, che stavo dimenticando e che però è importante. Bisogna assolutamente modificare la forma di come viene stilato il bollettino delle valanghe, perché il bollettino delle valanghe in questo momento sembra dia un parere, non dati oggettivi. I dati devono poter essere letti come oggettivi: gli utenti, educati a leggerli come tali e non come pareri, daranno la loro interpretazione secondo la loro esperienza. Abbiamo infatti assistito a tanti esempi di come il bollettino delle valanghe cambi da un giorno all’altro in base ai titoli dei giornali e non in base a un reale mutamento delle condizioni della neve. I fattori di tipo emotivo non devono più influenzare l’emissione dei bollettini.

Francesca Manassero
Senza voler trarre conclusioni perché abbiamo chiarito che questo è il primo passo di un lungo lavoro, dobbiamo dire che gli spunti emersi nel corso della mattinata sono stati poi ribaditi poi anche nel pomeriggio. Quindi ringrazio tutti per la partecipazione, convinta che il cammino lungo che abbiamo davanti lo si possa fare con gli spunti che sono emersi. Volevo anche avvertire che gli atti di questo seminario verranno pubblicati, per poi essere, come ha detto Sertorelli, presentati al Forum di Bormio. Questo dovrebbe garantire la diffusione di quanto dibattuto oggi. A questo punto rinvio al prossimo incontro, la cui data è ancora da fissarsi, sempre per continuare a sviluppare questo tema, non solo sotto il profilo della montagna invernale. Saluto e ringrazio ancora tutti per la partecipazione.

Montagna innevata – 2 ultima modifica: 2025-06-01T05:28:00+02:00 da GognaBlog

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1 commento su “Montagna innevata – 2”

  1. E’ ben spiegato bene il punto cardine delle ordinanze dei sindaci che vietano, in condizioni di pericolo, la pratica di attività sportive che, in quanto tali, sono legittime, ma in condizioni normali sul fronte della sicurezza. E’ evidente che, rientrato il pericolo, l’ordinanza limitativa perde di fondatezza giuridica, ma questo non significa che possa esser violata in automatico. Infatti in una società sicuritaria come quella in cui, volenti o nolenti viviamo, mai nessuno giudice prenderà provvedimenti punitivi a danno di sindaci  che, anche per disattenzione, non abrogano immediatamente l’ordinanza a fronte del cessato pericolo (al massimo il cittadino otterrà l’annullamento di multe emesse a suo carico nel periodo in cui l’ordinanza era ancora in vigore, pur a fronte di pericolo già oggettivamente rientrato: ma è necessario ricorrere). Meno che mai verranno presi provvedimenti punitivi a carico di sindaci che emettono ordinanze limitative per “eccesso di prudenza” : perché se si punissero tali sindaci, più nessuno vorrebbe fare il sindaco. A tal proposito cito un recente episodio, cercando di rimanere il più possibile sul vago per evitare querele per diffamazione. Dopo le pesanti precipitazioni nevose a cavallo di Pasqua (con bollettini AINEVA che segnalavano pericolo 5), nelle Alpi torinesi sono state emesse diverse ordinanze che vietavano ogni attività fuoripista, quindi non solo scialpinismo, ma anche escursionismo con le ciaspole o in MTB. Ebbene sono passati i giorni e nei ponti successivi i bollettini valanghe segnalavano piano piano un rientro nella normalità statistica. Ma in un comune l’ordinanza non è stata ritirata. Per cui restava in vigore il divieto e la polizia municipale poteva anzi doveva dare multe ai turisti beccati al rientro da una qualsiasi attività fuori pista. Pettegolezzi di paese, non confermati in modo oggettivo, sostenevano che il sindaco aveva emesso l’ordinanza ma poi, sfruttando anche lui i ponti, se n’era andato in “ferie”. Mantenendo l’ordinanza in vigore il sindaco si è coperto dal rischio di nuovi peggioramenti durante la sua assenza (nel caso di incidenti, lui non rischiava nulla, essendo l’ordinanza ancora valida), ma al contempo non poteva incappare in nessun provvedimento a suo carico, se non l’annullamento di eventuali multe emesse con evidente rientro della situazione di pericolo. Tutto il mondo è paese e l’appesantirsi delle responsabilità sui sindaci, se per caso non è in essere un’ordinanza “protettiva” della sicurezza dei cittadini, comporterà la presumibile diffusione capillare di episodi del genere.

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