Monte Gallo

Monte Gallo
di Fabrice Calabrese (nato a Palermo il 5 febbraio 1974, morto dopo lunga malattia nel 2016)

Ogni volta che torno a casa da Londra devo prenotare il posto giusto per vederlo; perché Monte Gallo lo scorgi subito già dall’aereo. Degno compare di Monte Pellegrino, anche lui a guardia di Palermo, ma sul fianco nord-ovest, chiude sul mare la città straripante. Dall’alto ne riconosci la sagoma inconfondibile con le pendici brulicanti di case sparse lungo una pseudo-romantica litoranea incapace di abbracciarlo del tutto.

La bellezza di questa montagna è evidente per chi, navigando in aliscafo verso Ustica o atterrando a Punta Ràisi, riesce ad ammirare in un sol colpo d’occhio la fascia di pareti frapposta tra Mondello e Sferracavallo come a creare due piccoli mondi. Un tempo borghi marinari, oggi vere e proprie calamite turistiche ove è d’obbligo fermarsi per apprezzare le bontà culinarie o prendere il sole: che vitaccia arrampicare da queste parti!

Monte Gallo da Sferracavallo

Coerente con la sua città, anche Monte Gallo è ricco di paradossi. Sul versante est, dal lato di Mondello per intenderci, caso più unico che raro, è una montagna “privata”. Per accedere alla zona delle pareti si paga un pedaggio, un dazio che sa di sopruso; ma appena dentro incontri piccoli capolavori. Vie dal sapore antico nei primi baluardi, la parete nord-est del Pizzo Coda di Volpe con l’avvincente Cannoli alla Giusy (Flaccavento-Iurato-Cavallo, maggio 2003) e l’aspra Pastina al Faro (aperta dall’alto) e infine, sorpresa delle sorprese, la parete nord orograficamente detta “Costa Mazzone” e ribattezzata “Nuovo Mondo” offre la recentissima e strapiombante Il mio scanto libero, vivamente sconsigliata ai cardiopatici.

Dall’altro lato, a ridosso del paese di Sferracavallo, si trova invece l’ingresso della riserva nata sulle ceneri di una concessione illo tempore data a un altro privato. Misteri del demanio! Qui, grazie al privilegio di un singolo è mancata la tipica lottizzazione selvaggia e si è mantenuto un unicum territoriale che, su spinta di un pugno di ambientalisti nei primi anni ‘90, è stato finalmente salvaguardato con l’istituzione nel 2001 della Riserva Naturale Orientata di Monte Gallo e nel 2002 dell’Area Marina Protetta relativa al tratto di mare compreso tra Capo Gallo stesso e la prospiciente Isola delle Femmine. Un gioiello di macchia mediterranea, di costa balneare, di pareti vertiginose. Qui, dopo essersi lasciati alle spalle la protervia del solito folklore edilizio, si incontra una serie di muraglie inquietanti i cui tre speroni principali sono troppo vistosi per non esser desiderabili. A tutt’oggi solo il terzo resiste, troppo friabile, troppo ostico. I primi due invece sono stati espugnati da Roby Manfrè e compagni in un passato che per quanto vicino praticamente è sempre stato mitologico per noi ex giovani promesse.

Ma parlare di Monte Gallo equivale a descrivere il modo con cui i palermitani, e i siciliani in genere, hanno vissuto il proprio mondo verticale sino a qualche anno fa. Infatti, a dispetto delle sue splendide pareti e della vasta gamma di possibilità, la ricerca (e la salita) di nuovi itinerari è stata altalenante e più tardiva rispetto al vicino Monte Pellegrino dove si arrampica per definizione. Sembrerà assurdo, ma Monte Gallo per noi è lontano! Storicamente parlando, è come se prima si fosse voluto completare il quadro di Monte Pellegrino a favore del quale giocano minore distanza (praticamente la montagna in casa), falesie più abbordabili e ambiente più soft. Chiaramente questo è un punto di vista da viziati. Parliamo di situazioni estremamente comode, lussuose direi, ove il dilemma è sempre stato se scegliere cinque o venti minuti di avvicinamento dall’auto!

Con queste premesse possiamo ben inquadrare le esplorazioni e le salite di fine anni ‘50 di Filippo Buttafuoco e Michele Montano, ma è poco spiegabile il vuoto successivo durato fino ai primi anni ‘80. Forse è stato per l’eccesso di offerta rispetto alla domanda (scusate la deformazione professionale), o più semplicemente in questo scarto generazionale ha inciso, specie sui lati costieri, la maggiore verticalità, lunghezza e difficoltà delle pareti, scoraggiando gli alpinisti al solo cospetto. Diciamo che si è consumato prima il filone “più facile”. Né si son cercati escamotages ormai in disuso; per cui a vent’anni dalla Daniela aperta sulle placche alte dello Schiavo, a parte i monotiri di tipo sportivo, sostanzialmente non esistono vie chiodate dall’alto. Ed è una fortuna vorrei dire, perché c’è ancora tanto spazio per esprimersi dal basso e nei vari stili.

Fabrice Calabrese

La notorietà di Monte Gallo giunge nei primi anni ’80 con Alessandro Gogna che, insieme al gruppo siciliano di Mezzogiorno di Pietra, scrive una pagina di storia sull’evidente sperone ovest di Monte Santa Margherita aprendo il Canto del Gallo e raggiungendo quel settimo grado sino ad allora praticamente assente sulle pareti siciliane.

La via è tornata da poco alla ribalta come nuovo oggetto del contendere. Un giocattolo appetibile ma un po’ arrugginito e dunque facile teatro di accese dispute sulla richiodatura delle classiche intesa come “valorizzazione del patrimonio verticale” all’insegna della tanto agognata sicurezza… Spesso è doveroso castrare il gatto per renderlo domestico e carezzabile! Argomenti sui quali a vario titolo sono intervenuti in parecchi pur di parlare, seminando non poca zizzania con relativi litigi e strumentalizzazioni di circostanza com’è già avvenuto in altre parti d’Italia. Alla fine, il disaccordo sull’esecuzione del tanto auspicato “restauro conservativo”, ha portato alla prima schiodatura in terra di Sicilia, pur lasciando intatte le soste beninteso… c’è troppo sole al sud, troppe teste calde in giro. Me compreso ovviamente! Ma una via di roccia “sicura” è praticamente un ossimoro. È un concetto troppo sottile? A ogni modo, qui come altrove, il dibattito è sempre aperto e molto sentito, e non è un caso che un centinaio di metri più in là sia sorta nel marzo 2002 una via “moderna”, una “multipitch” come si chiamano adesso, dal nome Troppi galli nel pollaio (Oviglia, Pinotti, Cutietta e Calabrese).

Grazie all’input di Gogna, nel biennio successivo si assiste a una proliferazione di nuovi tracciati. Tra questi spicca Taca Banda (5 ottobre 1986) dell’instancabile Manfrè seguito a fatica da Vincenzo Biancone che fu costretto ad andar “contro natura” in quanto speleologo in prestito. Nel 1991, riprendendo un tentativo ambizioso dell’84 fatto con Maurizio Lo Dico ma interrotto dopo 200 m, sul secondo sperone della parete ovest nasce un altro capolavoro di Roby condotto in solitaria: Ho sentito le sirene cantare. 450 m di puro impegno alpinistico. Via che dovrà attendere il 2002 per la prima ripetizione da parte di Luigi Cutietta e mia.

Erano anni, troppi, che parlavamo delle “sirene”. Come traccia, solo una foto su una Rivista della Montagna dell’82, piccola e poco chiara ma sufficiente ad accendere la miccia. Letta e riletta decine di volte la cronistoria aneddotica sui due protagonisti della via. Un chiodo fisso per loro negli anni ‘80, un chiodo fisso per noi negli anni ‘90. L’ignoto a due passi da casa è rimasto tale finché nel 2002, quasi per caso e senza preavviso, i tempi – e solo loro – erano maturi a nostra insaputa. Insomma eravamo pronti ma non lo sapevamo. Dopo una blanda telefonata stile “ma che fa ci andiamo?”, “e andiamoci”, attacchiamo comodamente… alle 12! Il caldo pian piano ci prosciuga le energie mentre tentiamo di decifrare una relazione vecchia di 11 anni. La giornata scorre lenta, l’acqua finisce presto, la cioccolata pure. Sembra un mezzo incubo, ma per fortuna sono gli sms con gli amici a normalizzare il tutto come se fossimo al bar. Il tiro su roccia marcia è il più “scantuso”. Siamo ancora alla sella, è tardi e davanti a noi ci sono altri 200 m poco invitanti compreso il famigerato camino di VI. Ma ormai siamo qua: continuiamo. Scende il buio ma non è un problema; ci siamo abituati, anzi quasi ci rasserena. La città del resto regala sempre un po’ di luce sufficiente a fare qualche poetica scalata notturna. Adesso però, più prosaicamente, è la nostra indolenza a prevalere e convincerci che in fondo abbiamo ancora un sacco di tempo: tutta la notte! Grazie al buio la percezione del vuoto non viene quasi avvertita da Luigi nel suo rocambolesco incastro di panza in camino e all’uscita viene pure premiato: lo aspetta Roby. O meglio ritrova un suo rinvio con tanto di nut intriso di salsedine – oggi prezioso cimelio nella sua stanza – dimenticato o magari lasciato là per i posteri: siamo contenti, siamo i suoi posteri! Dopo 50 m siamo fuori e sono le 2 di notte. Come manna dal cielo Giuseppe e Nadia vengono a prenderci laceri e sudati sulla vicina strada delle case abusive. Tutti felici e sorridenti in quell’incontro liberatorio, ma in un’altra sede qualcuno più critico e senza quel pizzico di follia necessario, poco prima aveva più aspramente commentato: “due incoscienti sono, gli darei due schiaffi, gli darei!”

Il buio, la fatica, le sensazioni provate allora rendono suggestivo quel ricordo, quei luoghi. Ma fuor di memoria, la loro bellezza non è sfuggita neanche agli “intenditori” edili. Infatti nei decenni scorsi una amministrazione comunale corrotta ha “valorizzato” il Pizzo Sella con un cumulo di villette avviate oggi verso la solita sanatoria. Alla sera, da lontano le loro luci formano il cosiddetto “albero di Natale”, ma sono più apprezzabili di giorno e dal vivo in tutta la loro mostruosità mentre si arrampica sulla contigua falesia di Bauso Rosso. Il vero polo sportivo di Monte Gallo sviluppatosi negli anni ‘90 e ormai diventato uno dei siti più gettonati e apprezzati a livello internazionale.

E arriviamo ai giorni nostri per assistere all’apertura di vie dal basso a spit (fix corti per l’esattezza, anche se in gergo è invalso l’uso del vetusto spit) sotto il forte impulso di Maurizio Oviglia, ormai parte integrante della storia alpinistica siciliana. Sua è la prima via moderna al Monte Gallo (Monte Santa Margherita): Giro, faccio cose vedo gente del 2001 (con Sarti), cui poco distante fa da ideale contraltare la sua Galline in fuga del 2003 (con Cutietta e Calabrese): 200 m in stile trad sino al 6c, aperte a vista e dal basso.

Oggi Monte Gallo è frequentato da molti bagnanti, escursionisti, corridori, alpinisti e climber essendo un angolo di pace a due passi dalla città. Sul versante ovest le guardie forestali della riserva illustrano gentilmente i sentieri, e quando per Pasqua ci hanno chiesto se conoscevamo la zona, abbiamo sorriso commentando tra noi: ”Ognuno!”. Sintetica espressione con cui qui si usa dissentire arrendendosi di fronte al libero agire e pensare altrui, ma soprattutto senza entrare in polemica e intavolare interminabili discussioni. Ecco perché Ognuno è anche il nome della via aperta da me e Luigi Cutietta sul pilastro del Pizzo della Sella accanto alle Sirene (estate 2007). È venuta fuori una “semi-trad”, una sorta di compromesso col passato secondo uno stile che ci somiglia molto. In bilico tra antico e moderno, tra serio e faceto, tra farsa e tragedia, in eterno travaglio se assolverci o condannarci. Non è farina del mio sacco ma di Gesualdo Bufalino, buonanima. Passeggiando per Monte Gallo, chissà, magari avrebbe trovato ulteriori ispirazioni e ingigantito quella sana malattia che ci assale ogni volta che scaliamo. Peccato non arrampicasse anche lui.

Monte Gallo ultima modifica: 2023-03-22T05:54:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Monte Gallo”

  1. A parte la storia e la nostalgia dell’alpinismo merita attenzione un passaggio sulla libertà: “Per accedere alla zona delle pareti si paga un pedaggio, un dazio che sa di sopruso”.
    Nell’Italia democratica la libertà diventa una citazione retorica senza riscontro con la realtà. Un’Italia democratica? La democrazia sta affondando nell’indifferenza generale senza provocare, come sarebbe necessario, una responsabilità etica e politica anche negli alpinisti. Il dovere di combattere per la libertà ovvero di circolare liberamente nel territorio della repubblica, come recita peraltro l’articolo 16 della costituzione.
     

  2. richiodatura delle classiche intesa come “valorizzazione del patrimonio verticale” all’insegna della tanto agognata sicurezza… Spesso è doveroso castrare il gatto per renderlo domestico e carezzabile!

    E castrandolo gli togliamo l’anima.

  3. Davvero piacevole, con la giusta dose di ironia, la giusta leggerezza e soprattutto senza la retorica di certi testi che trattano gli stessi argomenti.

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