Non è avventura se è una gara

Non è avventura se è una gara

Dalla realtà storica al reality
L’alpinismo è una delle attività più squisitamente romantiche che l’uomo abbia concepito: abbandonata la serena contemplazione propria del sentirsi una sola cosa con il creato, ecco nascere la contrapposizione dell’uomo alla natura, la volontà di vittoria sulle più grandi forze e sulle più immani manifestazioni del mondo selvaggio e verticale.

Negli anni ’30 questa complessa attività umana subì gli influssi del nazionalismo, le più grandi vittorie erano viste come successi della propria patria, la competizione cominciò a permeare in modo massiccio i tentativi al Nanga Parbat, i serrati attacchi alla Nord della Cima Grande di Lavaredo, la corsa alle Jorasses e all’Eiger. Si fecero largo le prime figure eroiche, uomini che venivano eretti a esempio della capacità di sfidare la natura proprio là dove questa mostrava di più i denti.

Nell’elenco delle conquiste nazionali osserviamo che la squadra aveva un’importanza basilare in quasi tutte le spedizioni. Questo approccio, quasi militare, era considerato vincente. Anche se c’erano eccezioni che urlavano la diversità dell’eroismo del singolo, da Hermann Buhl sul Nanga Parbat a Walter Bonatti sul K2. Ci fu l’esempio futuristico di Buhl, Kurt Diemberger, Markus Schmuck e Fritz Wintersteller che nel 1957 salirono il Broad Peak in stile alpino. Ma le spedizioni, nella quasi totalità, continuavano a essere mastodontiche: cito i Cinesi all’Everest, le spedizioni italiane al Gasherbrum IV, all’Everest (Monzino) e alla Sud del Lhotse, prima Norman Dyrenfurth e poi gli inglesi di Chris Bonington alla Sud-ovest dell’Everest, i francesi al pilastro ovest del Makalu, allo Jannu, alla Magic Line del K2.

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Quest’ultima, del 1979, segnò un termine. Erano maturi i tempi dello stile alpino sulle montagne extraeuropee. Ma erano anche i tempi degli alpinisti sponsorizzati. L’attenzione della stampa, dopo gli eroismi di Walter Bonatti, Cesare Maestri e René Desmaison, si rivolse ad altri personaggi, se possibile più individualisti, che portarono ancora più avanti i limiti dell’estremo. Un compito davvero difficile, anche perché per farlo occorreva diminuire gradualmente il proprio margine di isolamento, fino all’exploit seguito in tempo reale.

Ma gli anni ’80 sono stati anche quelli dell’arrampicata sportiva, nata in contrapposizione ai grandi rischi dell’alpinismo. La visione sportiva, già presente negli anni ’30, dopo un lungo cammino di una cinquantina d’anni aveva fatto così tanta strada da pretendere una disciplina a se stante.

Oggi assistiamo allo svolgersi di tante specialità diverse, è diventato impossibile primeggiare in tutti i campi. L’individuo deve accettarlo e trovare la propria strada sviluppando comunque al meglio le proprie doti relative alle singole discipline. Così si scopre che Tommy Caldwell e Alex Honnold, campioni assoluti in varie discipline su roccia, si rivelano fenomeni anche in traversate patagoniche impensabili fino solo a pochi anni fa. Scopriamo che il fenomeno Hans-Joerg Auer, da acrobatico saltimbanco spericolato sul Pesce in Marmolada diventa uno dei migliori alpinisti da spedizione in stile alpino, vincendo anche un Piolet d’Or.

I concorrenti a Monte Bianco – sfida verticale: (da sinistra), Enzo Salvi, Filippo Facci, Dayane Mello, Stefano maniscalco, Arisa, Jane Alexander e Gianluca Zambrotta
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Questa è, in poche righe, l’evoluzione dell’alpinismo. E, in questo quadro, si è voluto inserire un gioco televisivo che si richiamasse a tutte le suggestioni dell’alpinismo per poi tradirle una per una. E’ un reality, e lo hanno battezzato Monte Bianco – sfida verticale.

Ieri sera, 9 novembre 2015, c’è stata la prima di cinque puntate.

Un gioco, dunque qualcosa di diverso dall’alpinismo, sia come regole sia come filosofia di base.

Quando pensiamo al reality, ci vengono in mente alcune puntate, intraviste distrattamente, del Grande Fratello, LIsola dei Famosi, Pechino Express o altre ancora in cui abbiamo inciampato “zappando” con il telecomando.

La realtà non è uno sport, dunque è giusto e sacrosanto che un reality non usi regole sportive. Ma questo però è l’unico aggancio conservato con la realtà, perché il gioco vuole regole che non divertano i protagonisti bensì gli spettatori.

L’azzardo perciò è un artificio cui questo gioco ricorre spesso: è l’unico sistema che ha l’uomo comune per uscire dalla mediocrità di facebook se non è in cima ai suoi desideri il seguire la strada normale, cioè l’applicazione e l’esperienza di anni di fatiche, fatiche e ancora fatiche.

Anzi, nel reality applicato alla montagna, proprio chi ha dovuto affrontare anni e anni di spasmodici sforzi per avere un’esperienza e un titolo da guida alpina rischia di trovarsi in bilico tra l’ammirazione sconfinata e il ridicolo della situazione. Perché parlo di ridicolo? Perché è evidente a uno spettatore attento che la guida è costretta a giocare in un altro campo, proprio come il concorrente che da cantante, o da attore o da calciatore, si trova su terreno per nulla conosciuto. Anche la guida alpina quindi se la deve giocare, per continuare a essere credibile. E non tutti ci riescono sempre…

E’ un gioco. L’alpinismo resisterà anche a questo.

Caterina Balivo e Simone Moro
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Self-control
Ho assistito alla prima puntata di Monte Bianco imponendomi d’essere oggettivamente aperto, senza prevenzioni, senza saccenti storcimenti di naso.

Non ho fatto miei alcuni giudizi che ho letto allorché giravano i primi trailer:

Il trailer… fa veramente cagare. Un danno all’immagine della Montagna come luogo di svago e avventura consapevole e alla gente comune che la pratica o che vuole avvicinarsi. TV SPAZZATURA! (Andrea Savonitto)”;

oppure: “Tecnicamente è stranamente accettabile (non deve averlo fatto un regista o montatore Rai…), ma devo dire che finora ero stato neutrale e superficiale, ma così… beh, una roba vomitevole. Passo dalla parte dei critici a dismisura e a questo punto la prima guida alpina che mi dice che è promozione della montagna le sputo in un occhio (Fabio Palma)”.

Mi sono imparato diligentemente i nomi dei concorrenti che, all’inizio definiti celebrities, sono promossi dall’entusiasta conduttrice Caterina Balivo Alpinisti; la prima fitta dolorifica alla mia sensibilità l’ho ricevuta sentendo affermare che Simone Moro è “il più forte alpinista del Mondo”. Odio queste battute, mi irritano. E’ ovvio che Moro sia nella assai ristretta cerchia dei migliori al mondo, ma per favore non andiamo oltre, neppure per scherzo. Si dirà: è una battuta. E’ vero, ma le battute, in questo genere di spettacoli, sono tutto. Infatti sono ciò che rimane.

L’esposizione poi delle regole delle varie giornate che costituivano la prima puntata mi ha richiesto ulteriore sforzo di accettazione.

La prova “vertigine” consisteva nell’essere calati dalla propria guida giù da una parete di una settantina di metri, con tratti nel vuoto. Il ridicolo di questa manovra, ineccepibilmente condotta dalle guide, era il famigerato tempo con il quale si misurava la velocità di esecuzione delle singole cordate. Ci vuole poco a capire che, al di là delle prime comprensibili esitazioni di chi sta per essere calato per la prima volta nell’abisso, la velocità della manovra era soprattutto determinata da quanto velocemente la guida lasciasse scorrere la corda. E in effetti la prova è stata vinta dalla cordata gialla. Anna Torretta calava il campione di karatè Stefano Maniscalco a una velocità tale che si vedeva a occhio nudo che si stavano aggiudicando la prova. Ma in realtà questo esercizio è servito solo a determinare, misurando il tempo in cui il concorrente si decideva a dare fiducia, la cordata più “lenta, quella verde della cantante Arisa con la guida Matteo Calcamuggi. Fiducia non si accorda con velocità, peccato questa abbia fagocitato nello spettacolo la descrizione dell’esperienza di fiducia, che di solito richiede i suoi tempi. Comunque la scena di Arisa che esita, piagnucola e si dimena sull’orlo dell’abisso, esitando a ordinare a Matteo di lasciarla scendere è una delle meglio riuscite. La paura è tale e quale quella che ho visto in centinaia di persone che ho calato per la prima volta: e Arisa ha il dono d’essere simpatica, come quando dice che lei “non si fida di nessuno” o come al risveglio in tenda (ore 6.00) quando fruga nel borsino alla ricerca del fard e mormora: “Metti che incontro lo stambecco della mia vita!”.

Dayane Mello
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Qualunque pretesa di oggettiva sportività è fugata dalla consegna pomeridiana di una gavetta alla cordata vincente: sapranno solo la mattina dopo la penalità che la cordata vincente leggerà aprendo la gavetta. Stefano Maniscalco il mattino dopo darà la penalità a chi vorrà lui. Lo vedremo molto imbarazzato, uno sportivo come lui, a consegnare una penalità per nulla sportiva al calciatore Gianluca Zambrotta. Per nulla imbarazzata, anzi molto sicura di sé, è la brasiliana Dayane Mello che ci delizia in prolungati lavaggi in mutandina nelle gelide acque del torrente della Val Ferret.

Lo spettacolo si dipana alternando brevi interviste e altrettanto brevi scenette con battuta. Sentiamo il giornalista Filippo Facci (cordata nera con Andrea Perrod) dire: “Non sono venuto qui a fare nodi… non me ne frega niente”. E infatti è l’ultimo di sette a realizzare il nodo a otto, una prova obbligatoria. Facci sembra molto sicuro di sé quando afferma: “Sono venuto qui per salire in cima al Monte Bianco: altro non mi interessa!”. Altri, nelle presentazioni, sono meno risoluti ma più intelligenti: per esempio, Jane Alexander afferma d’essere una persona un po’ insicura in certe cose, dunque quella è la sua motivazione, ritrovare sicurezza; oppure Enzo Salvi, che paragona il suo essere lì come a una curiosità per i mondi di Heidi che ti sorridono.

Quando Dayane (cordata viola con il semi-rasta Stefano De Giorgis) riesce a vincere la prova velocità su placca la sentiamo dire che “vincere sulla montagna è magico”. Ma con quella bocca può dire quello che vuole…

Le tre prove di scalata parallela che seguono evidenziano, a mio parere, che l’itinerario di destra era leggermente più facile di quello a sinistra: la prova è che i concorrenti vincenti sono tutti e tre a destra, mentre le musiche qui sono alzate di volume nel tentativo di creare suspense emotivo!

Ma ancora mi ostino a trovare parametri sportivi in qualcosa che ne è estraneo! Come quando i tre perdenti si ritrovano sulla prova boulder, anche questa cronometrata, ma su itinerari diversi!

Insomma, alla fine, a rischio eliminazione si ritrovano Arisa e Matteo. La brasiliana sentenzia che assieme a loro, il giorno dopo a contendersi il non essere eliminati, sarà la cordata blu, Enzo Salvi con Alberto Miele.

I quattro dovranno scalare la vetta delle Pyramides Calcaires, ci sono interviste a Salvi e Arisa. Quest’ultima dice, assai credibilmente, che se anche sarà eliminata, i ricordi di questi due giorni “se la batteranno” nella classifica delle prove della sua vita.

La cordata eliminata: Arisa (Rosalba Pippa) con Matteo Calcamuggi
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La presenza di Simone Moro, un misto di regista del gioco e sovrintendente tecnico, è basilare. Finalmente gli sentiamo dire: “In montagna non è che per forza dobbiamo andare a cronometro, l’abbiamo fatto qui per la classifica”. E meno male, cominciavo a temere che tutti, dopo questa puntata, fossero autorizzati a intenderlo così… Comunque nelle scene d’azione non ci sono smagliature tecniche, non si vedono gli orrori di altri filmati, cioè cose che non stanno né in cielo né in terra. A parte un caso. Sulle Pyramides Calcaires a un certo punto, e per un attimo, si vede Enzo Salvi muoversi barcollando perché ha i crampi alle gambe mentre la sua guida non lo sta assicurando in quanto sta scendendo un diedro per tornare da lui e massaggiarlo. E’ pur vero che la guida gli dice di non muoversi, ma è altrettanto vero che lo spettatore lo vede muoversi, e male. Un episodio che non doveva verificarsi, una scena diseducativa che doveva essere tagliata.

La parte più bella della puntata è comunque in queste scene della salita alle Pyramides Calcaires: Arisa sta salendo con Calcamuggi e fa fatica, tanta. Qui la ragazza esagera, tratta male la sua guida. Poi dice di saperlo di essere insopportabile, vuole dal suo compagno il suo vero essere: “Tu sei il continuo elogio di te stesso e del tuo lavoro… non posso farcela!”. Oppure: “Ma mandami affanculo… mandami a cagare… così so chi sei, so che sei vero!”.

Dopo qualche scena della loro breve discesa, assistiamo al ricongiungimento con il resto della squadra tramite uno smaccato trasporto in elicottero. E veniamo a sapere che Arisa e Matteo sono eliminati. Lacrimuccia finale.

Caterina Balivo
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Basta così
Insomma, di montagna poca. Avremo altre quattro puntate, dove di certo se ne vedrà un po’ di più. Ma le lascio a chi piace questo spettacolo, a chi vuole sapere chi vincerà. Vi prometto che il Gogna Blog non se ne occuperà più.

Monte Bianco si presenta come un innocuo gioco ma rischia di ridurre l’alpinismo a una goliardata senza motivazione, a un Amici miei senza la bravura di Ugo Tognazzi e soci e senza l’arte di Mario Monicelli. Come se la cultura fosse rappresentata dal nozionismo di Lascia o raddoppia o del Musichiere, come se la canzone davvero popolare fosse quella del Festival di Sanremo. Quando ci piaceva Carosello.

Non è alpinismo, non è avventura. Non è avventura se è una gara! Chiamiamola “spietata esperienza adrenalinica”.

E’ una falsa spinta a conoscere la natura della montagna quella di aggirarsi in elicottero per filmare la fuga di uno stambecco terrorizzato.

E infine: un gioco-spettacolo ha bisogno di finzione, lo si sa. Alfonso Cuarón non è andato nello spazio per filmare Gravity, come Brian De Palma non è andato su Marte con Mission to Mars. Allo stesso modo, chissà quali astuzie e tecniche vengono messe in opera allorché guardiamo altri reality, quello con i pasticceri per esempio. Sono tutti giochi. Un gourmet avrebbe parecchio da ridire. Figuriamoci un astronauta.

Non dimentichiamo però che se qualcuno si entusiasma per la pasticceria nel vedere quel reality, al massimo potrà cucinare dei dolci schifosi illudendosi che sia facile; non scordiamoci che nessuno di noi, pur emozionandosi alla vista di Gravity o Interstellar, non avrà mai occasione di andare nello spazio e di viaggiare nel tempo. Invece gli spettatori di Monte Bianco potrebbero galvanizzarsi a questo genere di sfida e alle scene “mozzafiato” (sempre questa parola!) che la montagna ci regala. E’ alla loro portata. I portatori sani di adrenalina potrebbero conoscere una rapida evoluzione a malattia. E non sono pronti, perché in montagna non hanno mai sudato, non hanno mai pensato a un obiettivo che non fosse il Monte Bianco o l’Everest, le montagne che t’insegnano a scuola. Lo scoprire poi ogni debolezza dei concorrenti, invece di portare a più miti consigli, potrebbe favorire la convinzione che noi… no, noi non abbiamo bisogno della guida. Quei fessacchiotti sì, noi no.

Caterina Balivo
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Non è avventura se è una gara ultima modifica: 2015-11-10T05:52:45+01:00 da GognaBlog

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137 pensieri su “Non è avventura se è una gara”

  1. Giorgio, l’articolo è quello! Pur non essendo lettrice fedele del quotidiano, anche io mi sono, tuttavia, stupita. Condivido, perciò, i tuoi commenti a questo proposito. Passando gli anni assomigliano sempre più ai borghesi che proclamavano di disprezzare: metamorfosi, come tante altre.

  2. 1) Grazie per l’articolo di Nicola Pech,bellissimo! Dice proprio la verità. Un punto importante è proprio quello: l’uso dell’elicottero. Tuttavia i difensori del reality continuano a non darsi pace perchè la trasmissione non è piaciuta. Su ‘il Manifesto’ di giorni fa è uscito un articolo che giudicava fuori luogo le accuse fatte al programma in quanto ‘gara’: l’articolo informava del fatto che molte conquiste di vette importanti sono state ‘gare’ citando , anche, il Cervino. Per me il centro del dibattito non è, o non è soltanto, quello. Per fortuna questo bell’articolo di Nicola Pech che voi riportate (grazie!) lo dice a chiare lettere. E’ rassicurante sentire qualcuno che parla chiaro e dice la verità.
    2) Facci: fantastica la sua passione per la montagna,come lo è quella di milioni di altri esseri umani che questa passione hanno, e di cui nessuno parla.
    Una curiosità: Il giornalista mi ha ‘bloccata’ sul suo account Twitter, forse per alcuni commenti da me espressi. (o semplicemente per una marcata, comprensibilissima, antipatia ‘twitterica’) . Non ho capito per quale commento…. Perchè ho scritto che il sindaco di Saint Gervais ha avuto tutto il diritto di esprimere opinioni in merito al reality e ad aver criticato l’uso dell’elicottero? Oppure , parlando di altre cose, perchè ho scritto che “il Sud è stato sventrato dal Nord nella guerra per l’Unità d’Italia ? (rif: il bel libro ‘Terroni’, di Pino Aprile, ed. Piemme)….oppure perchè, parlando ancora d’altro, ho scritto che “Wagner musica del nazismo (non lo dico io, è stato un fatto)”….Chissà. Certo da uno che va in montagna un atteggiamento così non te l’aspetti. La montagna è libera, e ‘liberatutti’, è per tutti, e azzera tutti: siamo tutti uguali.
    Continuate con questo blog: siete veramente formidabili e un arricchimento per la gente comune come me.

  3. Articolo completo di Nicola Pech dal bel titolo: “Monte Bianco, il format degli alpinisti con l’elicottero”:
    http://www.huffingtonpost.it/nicola-pech/monte-bianco-il-format-degli-alpinisti-con-lelicottero_b_8854410.html
    Ma d’altra parte, tutti da gustare gli articoli scazzeggianti di Filippo Facci:
    https://www.facebook.com/notes/filippo-facci/la-montagna-pi%C3%B9-alta-deuropa/10154472441043009
    http://www.montagna.tv/cms/77256/polemiche-sul-reality-filippo-facci-a-montagna-tv-ecco-verita-e-retroscena-del-mio-monte-bianco
    > “Ogni volta che indosso il Goretex, mi torna in mente Kukuczka.” ?
    bhooooooooooo ?
    Facci ? Ma Facci chi ?

  4. Chi – come me – lavora da alcuni decenni sulla fauna di montagna vede questo straordinario ambiente come una sorta di laboratorio, nel quale NON fare esperimenti che lo violino, ma osservare, registrare e collegare fatti per spiegarne il particolarissimo funzionamento. Qualsiasi approccio alla montagna distruttivo o distorto mi/ci causa sentimenti oscillanti tra il disagio e… l’ira funesta.
    La velocità di volo degli elicotteri – e degli alianti – causa terrore nella fauna di montagna, perfino più dell’aeroplano. Probabilmente perchè somiglia al tipo di volo dell’aquila.
    L’uso dell’elicottero in montagna dovrebbe essere ristretto soltanto a operazioni di pubblica e documentata necessità.
    Sandro Lovari, U.R. Ecologia comportamentale, Etologia e Gestione della fauna (Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Siena)

  5. Chi – come me – lavora da alcuni decenni sulla fauna di montagna vede questo straordinario ambiente come una sorta di laboratorio, nel quale NON fare esperimenti che lo violino, ma osservare, registrare e collegare fatti per spiegarne il particolarissimo funzionamento. Qualsiasi approccio alla montagna distruttivo o distorto mi/ci causa sentimenti oscillanti tra il disagio e… l’ira funesta.
    La velocità di volo degli elicotteri – e degli alianti – causa terrore nella fauna di montagna, perfino più dell’aeroplano. Probabilmente perchè somiglia al tipo di volo dell’aquila.
    L’uso dell’elicottero in montagna dovrebbe essere ristretto soltanto a operazioni di pubblica e documentata necessità.
    Sandro Lovari, U.R. Ecologia comportamentale, Etologia e Gestione della fauna (Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Siena)

  6. Il timore è che chi in quella trasmissione ha investito parecchi quattrini (la Regione Valle d’Aosta ad esempio) voglia sdoganare definitivamente quel tipo di alpinismo. Cosa dobbiamo aspettarci per la prossima stagione? Le guide di Courmayeur proporranno un bel pacchetto Monte Bianco con salita dal Gonella in elicottero? È questo, alpinisti o no, che vogliamo per le Alpi? Una grande piazzola per elitrasportare “in sicurezza” centinaia di alpinisti smaniosi della foto di vetta da postare sui social network? È cosi che vogliamo ridurre il Monte Bianco? In questo alpinismo non c’è silenzio, non c’è avventura e la fatica è addomesticata da un elicottero che adatta la salita all’alpinista e non viceversa. Questo è quello che si è visto a Monte Bianco, il resto sono chiacchiere che durano il tempo di una stagione (televisiva). Uffici del turismo e compagnie di elicotteri si leccano i baffi, Balmat e Paccard si rivolteranno nella tomba.

  7. La dicotomia bipartitica del mio post precedente è una dichiarata scherzosa provocazione!
    E’ ovvio che ogni essere umano è un partito a se stante.
    Il partito della montagna della libertà è proprio quello che oggi va per la maggiore e raccoglie persone molto differenti: tra le sue fila “militano” gli alpinisti “edonisti” di città, così come i montanari del “a casa mia faccio il ***** che dico io, che ci vivo da dieci generazioni”, alpinsiti top model, guide alpine (non tutte!) e dormicchianti professoroni del sodalizio (per non parlare dei caporali di giornata delle gite di massa), ambientalisti pret-a-porter, pure.
    E’ il partito dell’opportunismo, della convenienza del momento, individuale o di gruppo.
    Un opportunismo che può essere territoriale, corporativo, intellettuale, dell’evasione.
    La mia, ripeto, umoristica, suddivisione in “liberisti” e “libertari” è artificio per fare riflettere (prima di tutto me stesso) che alla fine della fiera ognuno di noi deve fare i conti con un “perchè” e sul “come”. Se siamo onesti e la domanda ce la facciamo senza autoingannarci, scopriamo che la risposta non è “soggettiva” e pertanto indiscutibile, ma c’è un filo che ci lega agli altri ed alla terra. Da cui l’esigenza di un “rispetto”, che qualcuno potrebbe chiamare “contemplazione del mistero”.
    Il partito dei “libertari” è allora semplicemente l’insieme di tutti quelli che cercano di vivere non opportunisticamente, ed io uso dico “vivere etico”. Io non ho verità in tasca su quale sia una “giusta etica”.
    “Il misticismo esiste per chi vive male dove sta” ?
    La mistica (e non il misticismo) è necessaria all’uomo appena si sveglia, ed appena si sveglia piange e sta male, così come piange il neonato uscito da dentro la mamma.
    “Ma la montagna é solo sassi ed é pure sorda.” ?
    Ancora non sono d’accordo. Per me la montagna, cioè la Terra, alta, bassa, terra di mezzo, brutta, bella, non è un ammasso di sassi e acqua ghiacciata. I sassi per me sono roba viva e ci sentono benissimo, solo che hanno loro tempi. lunghiiiii. Su questo blog si possono leggere alcuni bei fanta-racconti di Giuseppe Miotti a riguardo.
    Quindi anche lì, sulla materia: ci andrei cauto e rispettoso (parlo per me).
    C’era uno sai un mezzo sceinziato pazzo, che diceva che energia e materia sono la stessa roba…
    Una cosa ultima sugli intellettuali: anch’io ci tengo a dipanare un equivoco: per me intellettuale è anche la vecchina che taglia con la falce che hai descritto, Marcello, così come un “topo di biblioteca” piegato tutta la vita su libri (o computers), o addirittura un alpinista incacrenito con il suo “problema” (quest’ultimo caso è un pò forzato…) E’ la visione che l’essere umano concentra sul “qualcosa” a farmelo definire intellettuale. Cioè infine: ogni persona dovrebbe diventare intellettuale (se non lo è, è perchè dorme ancora).

  8. La montagna é in teoria di tutti ma soprattutto dei montanari perché ci vivono. Alcini di loro (tanti, forse troppi) la svendono facilmente per ignoranza, ma ci sono tanti montanari affezionati al loro mondo che difendono da attacchi di vario tipo.
    Uno di questi è anche quello del classico intellettuale cittadino che pontifica spesso senza conoscere le relatà locali se non durante le vacanze. Il montanaro detesta questo tipo di interlocutore perché solitamente è uno che è contro tutto e che vorrebbe che le valli restassero intatte per andarci a giocare, a meditare o a rigenerarsi durante il suo tempo libero.
    Il partito della “montagna delle libertà” forse esiste ma ne esistono anche molti altri e i due proposti da Robino sono un po’ pochi e limitano un orizzonte che è ben piû ampio.
    Io sono nato in città, ho vissuto in molte realtà come isole, deserti, paesini di mare e campagna e da 31 anni vivo in montagna per scelta e gusto. Sono diventato un montanaro se mi rapporto ai miei amici cittadini che fanno gli avvocati, i commercialisti e anche gli impiegati o gli operai, e quindi mi sembra di capire le due campane: quella cittadina e quella montanara proprio per la mia vita passata e presente.
    I talebani non sono affatto gli intellettuali! Ma su questo tornerei dopo. Quello che non capisco è perché gli intellettuali che per difendere a spada tratta la montagna spesso incorrono in madornali errori di valutazione e giudizio, se la amano così tanto, il lunedì se ne tornano in città ai loro mestieri sognando il we successivo per tornarci. Mi sembra profondamente incongruente perché comunque si occuperanno sempre di un ambiente che non conosceranno mai a sufficienza.
    Io al mio attuale paese sono considerato un intellettuale perché partecipo a crociate contro i motociclisti nelle Dolomiti ad esempio, ma lo faccio perché vivendo lì le moto mi rompono le palle non poco e sviliscono un ambiente che senza la loro presenza ne guadagnarebbe. Insomma mi occupo a spada tratta di un argomento che conosco bene rapportato a una,biente che conosco altrettanto bene.
    I talebani dell’alpe non sono affatto degli intellettuali, secondo me, ma sono quelli che li scimmiottano (il tipico socio CAI per intenderci) scagliandosi contro argomenti e situazioni che i veri intellettuali semmai comprendono con tutti li loro limiti (e anche i miei, sottolineo) mentre il talebano contesta, propone, critica chi da secoli è parte attiva di un posto, standosene a casa, frequentando di rado quella montagna e leggendo le minchiate che propina Montagna 360. Ma stiamo scherzando?
    Messner sostiene che nessuno potrà raggiungere il feeling che ha chi é nato in montagna relazionandosi (come pe gli alpinisti) con la stessa e io concordo. Perché mi accorgo che anche vivendoci da decenni e frequentandola piuttosto costantemente non ho la stessa percezione che ne hanno i miei figli che ci sono nati o i giovani che a volte mi chiedono consigli tecnici perché sono una guida epoi quando andiamo insieme da qualche parte vedo che per loro certe situazioni sono naturali mentre a me richiedono più impegno e concentrazione.
    Questo orribile nome: Terre Alte, venuto in mente non so a chi, mi dice semmai che la montagna é vissuta unicamente come valvola di sfogo del cittadino frustrato e non come un luogo che la natura ha plasmato come più rido e dove fa più freddo, TUTTO QUI! Il misticismo esiste per chi vive male dove sta, credetemi.
    Ho imparato a usare la falce, l’affilo e taglio abbastanza bene l’erba attorno a casa, ma la mia vicina che ha 90 anni ed è ingobbita e mezza storpiata da una vita durissima passata a far fieno, ancora oggi mi da dei punti e taglia a velocità doppia della mia.
    La valvola di sfogo non dovrebbe esistere. Le vacanze non dovrebbero esistere così come le Terre Alte o la montagna stessa. Mi sembriamo esseri piccoli piccoli che di fronte alla grandezza urliamo per farci sentire… Ma la montagna é solo sassi ed é pure sorda.

  9. Ma cos’è che ha fatto Simone Moro ?
    Non ditemi che ha guidato lui stesso un elicottero per portar su i concorrenti ?
    Lo chiedo sinceramente, forse indovinando la sceneggiatura, ma per certo la trasmissione non mi sono sognato lontanamente di guardarla. Ma è poco importante argomentare su possibili sponsorships, marketing e paventati business models. No.
    Passo invece al punto che mi interessa maggiormente, perchè è il punto centrale del gognablog (secondo me): il concetto di”libertà”.

    Emilio Previtali, la tua frase che ho definito prima “ambigua” e su cui avevo promesso tornare è questa:

    “Nel 2015 l’alpinismo, gli uomini che lo praticano e chi vi trova ispirazione hanno bisogno di tutto meno che di dichiarazioni retoriche, scontate e qualunquiste e men che meno di chi si proclama per la montagna libera e per tutti e che nella sostanza profonda del proprio agire e pensare, con apparente pacatezza, pretende di detenere il privilegio di assegnare il senso ultimo alle azioni e alle cose.”

    Sulla “libertà”, di sti tempi oscurantisti, vedo due possibili visioni contrapposte:
    1. LA VISIONE LIBERISTA
    E’ quella che sostiene un agire umano (in montagna) “qualsiasi”, basta che non arrechi danni ad altri. Quindi vanno bene elicotteri, motocross, gare, tutto. Estrapolo il concetto:
    “qualsiasi etica è valida (entro limiti di democrazia e legalità)”.
    Questa è tra l’altro quanto pensa in qualche modo proprio Simone Moro. Quoto le sue parole dall’editoriale “Liberi, ma educati” pubblicato su rivista Orobie (Ottobre 2015); Simone dice (riporto estratto da pagina 25):
    “C’è chi ama l’elicottero e l’eliski, altri le moto o i quad, e pure per loro c’è da parte mia rispetto e tolleranza perchè sono certo che esistono spazi e modalità in grado di consentire a tutti una pacifica convivenza. Per le attività motorizzate si tratta solo di definire modi e termini chiari per la pratica e non di tendere trappole o fomentare campagne fondamentaliste. Io non odio, tollero, constato che esiste anche il diverso e il diverso non lo si elimina, lo si conosce, lo si accetta e semmai si vigila sulle regole.”
    Bene.
    Chiamo questa posizione: “liberista”.
    Tutti d’accordo allora ?
    Io no! Ce n’è un’altra di posizione e direi che è quella a cui, Emilio Previtali, fai riferimento quando dici: “chi si proclama per la montagna libera e per tutti e che nella sostanza profonda del proprio agire e pensare, con apparente pacatezza, pretende di detenere il privilegio di assegnare il senso ultimo alle azioni e alle cose.”
    A chi ti riferisci Emilio ? A Mountain Wilderness ? Ad Alessandro Gogna ?
    La prospettiva che a me interessa, che tu definisci “assegnare il senso ultimo alle azioni e alle cose”, io la chiamo “etica”.
    2. LA VISIONE LIBERTARIA / ETICA
    Qui c’è un paradosso linguistico (libertista vs libertario). Quindi per diversificare chiamo “etica”, questa visione libertaria. Ed ora scherzosamente la metto sul personale: prendiamo il lavoro dell’Alessandro Gogna con questo blog: martella e martella, lui, su questo libertarismo, la “presunzione di necessità di libertà”.
    Eh? Ma perchè tanto tormento ? Relax and climb!
    Pensieri da vecchio ? No.
    E’ questa la domanda rognosa che lui ci ribalta addosso da sempre, ovviamente con le sue azioni e fin dal primo momento che ha preso carta e penna, da ragazzo direi, e sono certo che lo farà finchè avrà respiro.
    Ma perchè ? Presunzione di superiorità etica ? Non credo.
    Nella intervista che gli feci e qui leggibile da tutti in questo blog, me lo ripetè serio:
    “Guai a me, guai a chiunque, pretendere di aver visto e capito! Di essere superiori ai semplici” (vado a memoria).
    Quindi no! Non è questo il punto.
    Il punto è cosa stà dietro al “senso ultimo”, alla necessità per ogni essere umano, di scovare il proprio, nell’alpinismo, o in città, o navigando nel mare.
    E questo senso ultimo, non è mai un “gioco”.
    “Sogno” ? una fava!
    Quindi per riassumere la scherzosa dicotomia, e pardosso di etichetta, i due partitini sono:
    1. Partito Liberista (io lo chiamo anche quello della “montagna delle libertà”). Qui ci metto dentro di buon grado, presidenti di questa e quella, corporation.
    2. Partito Etico (in cui militano i disprezzati “talebani”, che un tempo si sarebbero detti pure dispregiativamente “intellettuali”). A proposito, partito quest’ultimo per modo di dire: perchè composto da “spiriti liberi”, anarchici di ogni specie e sorta. Gran rompicoglioni. Alcuni io li chiamo “maestri” e anche se loro, si incazzano, giustamente, se qualcuno li chiama “maestri” in faccia. Ma in fondo lo è chiunque, maestro, nel momento in cui ci insegna a mettere in discussione i nostri sogni giocosi di bambini. A vivere da adulti, nel piccolo pianeta (di Solyaris).
    E non c’è presidente o capo partito, che insegni sta roba qui,
    che possa metter mezza parola sensata, su sta roba qui.

  10. –Grazie per le precisazioni sulle Regioni a Statuto Speciale. Putroppo, però, neanche le eccellenti Valle d’Aosta e Trentino sono state esenti, negli anni, da sprechi; come documentano almeno due libri.
    I traguardi raggiunti da entrambe nell’ambito della montagna sono, però, veramente eccellenti ed apprezzati ovunque. I nostri Lazio e Abruzzo, invece, non hanno saputo trasformare il loro patrimonio in vera cultura di montagna.
    –Non sapevo che la Valle d’Aosta avesse sostenuto le spese per il programma TV: si ha sempre qualcosa da imparare!
    –L’ Abruzzo, oggi, propone solo montagna ‘con la guida’? Non so….Negli anni ’70 e ’80 si andava per quei monti da soli, un gruppo di scapestrati per cui la vera ‘rivoluzione’ era fuggirsene lassù tra sassi e praterie.
    Infine: Il vostro è veramente un Blog molto interessante; e poichè non vedo nessuna altra presenza ‘sudista’, grazie per non avermi radiato!

  11. Volevo scrivere che le contestazioni poste in precedenza da Luca Visentini sono anche le mie e aggiungere altro, ma vedo che Cominetti nel suo ultimo intervento è stato piu che esaustivo e concordo con lui…bravo Marcello

  12. Secondo me ad avere ragione siamo qui in molti ma per motivi diversi.
    Il messaggio di Cesabianchi (nostro presidente) è si in stile “regime” ma (non avermene caro Cesare) mi trova fondamentalmente d’accordo anche perché sottolinea più di una volta l’assurdità delle esigenze dello show televisivo. E’ un messaggio diplomatico e un presidente, sempre mia opinione, lo deve essere, ma deve fare passare i concetti e qui i concetti c’erano.
    Mi spiace per Moro che non ne esce tanto bene. Forse era il più esposto a fare errori (anche se lui non ammetterà mai che ne può fare), poveretto, ma questo non giustifica cazzate come quella dell’elicottero. Questa non gliela perdono proprio. Lui è un pilota e un “alpinista” mediatizzato, pieno di sponsor ai quali vuole dare, a causa anche del suo carattere pregno d’orgoglio e retorica, giustamente soddisfazione. E gli sponsor (a parte forse Patagonia -che è uno dei miei, non lo nego-che si è esposto più volte con messaggi forti anche controproducenti al proprio business) si sà che più sono visti più son contenti. D’altra parte Moro non è l’uno che usa l’elicottero per l’avvicinamento al campo base delle montagne himalayane, fatto ritenuto valido persino dal nostro disastrato CAI (leggi mio post di ieri su questo blog La Via più lunga…), e qui ci sarebbe materiale per fare scoppiare la terza guerra mondiale, ma sorvolo.
    Visentini, anche io penso che si può imparare ad andare in montagna senza usare i servizi di una guida, ma non lo urlo perché preferisco lasciare a chiunque la possibilità di scegliere. Io sono una testa di cazzo e faccio la guida alpina proprio perché io non sarei mai andato con una guida né ci andrei oggi, pensa un po’.
    Il fatto che le guide siano finite davanti agli occhi di migliaia di telespettatori invece mi sembra positivo. Concordo con Miotti sul fatto che una guida dovrebbe fare scelte “montanare” e non di certo ricorrere all’elicottero per evitare i rischi, ma la cultura della rinuncia (cui penso aderiscano tutte le guide, altrimenti butto la patacca nel cesso come hai fatto tu) non poteva insegnarsi in un reality. Questo era un limite prevedibile ma intanto poi quando uno va con la guida sarà quest’ultima a prendere le decisioni
    giuste e quella dell’elicottero mi sembra proprio remota. La nostra è una libera professione proprio perché ogni professionista poi fa come vuole, quando è con i suoi clienti, anche se nel rispetto delle elementari norme del buonsenso e di quello di appartenenza comunque a un ordine professionale. Almeno io l’ho sempre fatto.
    Ho dei colleghi con cui vado molto d’accordo e altri con cui non berrei un caffè neppure quando me lo vogliono offrire.
    Poi ai soliti talebani dell’alpe direi di prenderla con un po’ più di filosofia, elasticità e occhio adatto all’occasione, altrimenti vi vengono le coliche e la montagna diventa una valvola di sfogo e nulla più. Invece la montagna è lì e non ha bisogno di guardie ma di occhi che si meraviglino.

  13. @Paola Tavoletti. Il reality è stato uno spottone. La Regione Autonoma Valle d’Aosta ha ampiamente foraggiato il costo della produzione con un contributo parametrato sull’audience. Quanto abbia versato non si sa. Era stato candidamente ammesso prima dell’inizio della trasmissione ma ora è molto difficile sapere quanto, come e perché. . Siamo sull’ordine dei 100.00 €uro.

  14. vorrei dire al signor Benassi e alla signora Tavoletti che la ragione di esistere delle regioni a statuto speciale (di montagna) è evidenziata in maniera eclatante dall’ignoranza della montagna e delle sue dinamiche che permea profondamente l’Italia…prendiamo tutte le decisioni in merito (anche quelle riguardanti l’alpinismo) in sede romana EVVIVA!!
    Non oso immaginare cosa ne uscirebbe…personalmente la estenderei anche alle altre realtà di montagna (vera).
    In quanto all’Abruzzo…certo bellissime montagne….ma in quanto a cultura alpinistica la proposta di fare alpinismo solo con guida ne dimostra chiaramente la consistenza…

    Per quanto riguarda la presa di posizione del presidente delle guide alpine non posso che concordare con Alessandro.
    Per curiosità, lui come ha iniziato? (quasi tutte le guide che conosco lo hanno fatto in autonomia per tentativi ed errori…)

  15. completamente d’accordo con Popi .
    Come avevo già scritto , il programma/gioco lancia dei messaggi.
    Uno di questi è : le condizioni sono pericolose? Non ci sono problemi, tanto c’è l’elicottero.

    Altro messaggio : la via non finisce quando ritorni alla macchina, ma in cima….tanto c’è l’elicottero.

    Chi ha occhio critico perchè possiede una certa esperienza, nulla importa e si mette a ridere…tanto è un gioco.
    Chi invece non sa nulla di montagna, credo la maggior parte del pubblico, il messaggio arriva….tanto c’è l’elicottero.

    Insomma non è l’uomo alpinista che si adatta alla montagna ma è la montagna che la facciamo adattare alle nostre esigenze. Basta prendere l’elicottero…e naturalmente la guida………

  16. Boh!! Non ero per principio contrario al reality anche perché era occasione di lavoro per qualche guida. Non l’ho seguito e ciò che scrivo è frutto di sentito dire. Se è vero che Moro ha detto che con il caldo che c’era non si poteva salire in sicurezza al Gonella e quindi si sarebbe usato l’elicottero, se è vero che gli “alpinisti” sono poi stati recuperati in vetta, devo dire che tutto quanto affermato prima della trasmissione e poi ora nel comunicato in stile “regime” dell’AGAI, dimostrano il fallimento di gran parte della linea che ha sostenuto l’operazione. Nulla da dire nei confronti delle ottime e preparatissime guide alpine che han fatto benissimo il loro lavoro, molto da dire invece circa il messaggio finale giunto al pubblico. Se una guida valuta pericoloso accedere ad una cima ha almeno due alternative: proporre la salita lungo un versante più sicuro o, addirittura, cambiare obiettivo. Mi sembra un concetto di saggezza e di sapienza che può essere (ed è) apprezzato anche dal cliente. Un atto di rispetto che forse poteva essere comunicato anche attraverso il reality. Ha prevalso invece la logica dello spettacolo o forse del business fine a se stesso e quindi se n’è è persa l’occasione. Cosa impara il neofita o “chi la montagna l’ha guardata solo dal basso all’alto, magari dalle vie dei paesi o da poco più su”? Che chissenefrega se per arrivare in un posto si devono attraversare luoghi pericolosi: basta prendere l’elicottero e scavalcarli. Che una volta in cima se si è stanchi basta riprendere lo stesso mezzo e tornare a casa senza rischio. Che a volte la rinuncia e l’intelligente (montanara) scelta di cambiare via d’approccio, o meta, sono fatti per i poveretti (che non possono pagare il velivolo) o per i paurosi. Il professionista che ci viene presentato sembra più uno zelante, ma un po’ grigio, travet (con tutto il rispetto per coloro che nel lavoro, quale esso sia, mettono Qualità) che una sapiente guida, la quale non deve essere solo in grado di usare ad arte gli strumenti e di insegnarne l’uso. Visti i miei “precedenti” mi preme concludere che in questo caso il “povero” elicottero diventa solo l’involontario simbolo dei tanti possibili escamotage più o meno motorizzati che, forzando la realtà delle condizioni, avvicinano le montagne anche quando se ne potrebbe fare a meno e specchio di una forma mentis che nel terzo millennio appare palesemente obsoleta. Ma tant’è!!
    Giuseppe “Popi” Miotti, da Mountcity.it, 10 dicembre 2015

  17. Leggo i commenti del presidente delle Guide Apline ed il presidente del CAI.
    Passiamo oltre la retorica. Invece il commento di Emilio Previtali è interessante, seppur ambiguo.
    Interessante perchè centra un punto focale: differenti concetti di libertà (nell’ambito alpinistico).
    La questione è molto importante perchè non riguarda solo la “montagna delle libertà” ma tutto il vivere umano. Intravedo posizioni differenti tra quelle tue, Emilio (ma forse sbaglio), e le mie. Appena ho tempo e pace d’animo mi riprometto di tornare qui su questo specifico tema.

  18. Contesto che per imparare ad andare in montagna ci si debba necessariamente rivolgere a un professionista.
    Contesto che sia comunque positivo entrare in prima serata attraverso questa televisione nelle case degli italiani.

  19. Ora che ‘Monte Bianco Sfida Verticale’ è finito, voglio ringraziare le Guide Alpine Valdostane per aver mostrato al grande pubblico televisivo chi è una Guida alpina e aver fatto passare il messaggio, soprattutto rivolto ai neofiti, che in montagna non ci si improvvisa, ma si impara ad andare seguendo la guida e gli insegnamenti di un professionista.
    Al di là del gradimento personale di quello che è e rimane un prodotto di spettacolo, quello che mi interessa sottolineare è la professionalità delle Guide Alpine, che hanno mostrato cosa significa accompagnare una persona in montagna. È passato un forte messaggio sul nostro lavoro al grande pubblico, che forse per la prima volta ha capito chi è una Guida Alpina, cosa fa e che cosa lo spinge a fare un mestiere così difficile. Certo non tutto poteva emergere della nostra professione, quello che si è visto è solo un assaggio, in parte forse anche viziato dai tempi e dalle dinamiche televisive. Eppure quell’assaggio è stato importante anche a far capire che l’andare in montagna non è un’attività da improvvisare e che serve quindi affidarsi alla competenza e all’esperienza di un professionista.
    Non pensiamo a chi in montagna ci va già, a chi la conosce, la vive e la ama. Pensiamo a chi la montagna l’ha guardata solo dal basso all’alto, magari dalle vie dei paesi o da poco più su. Per costoro ‘Monte Bianco’ è stata una finestra che ha permesso di affacciarsi a un mondo che non conoscono, da cui magari sono stati anche incuriositi e affascinati e verso cui decideranno di avvicinarsi. Un’opportunità quella che è stata offerta alla montagna di comparire in prima serata nelle case di migliaia di persone. Un bene da non sottovalutare, nonostante i compromessi richiesti dallo show.
    Concordo con il presidente del Cai Umberto Martini. Il reality è uno spettacolo televisivo, non un documentario e pertanto sarebbe sbagliato cercare qui la verità assoluta relativamente all’alpinismo e alle Terre alte. Ammesso che qualcuno la conosca quella verità assoluta.
    Cesare Cesa Bianchi (presidente delle Guide Alpine Italiane)

  20. Infatti: NON ha più senso. A questo proposito ci sarebbe così tanto da commentare! Non vorrei invadere, in tal modo, questo prezioso blog di montagna. Ma, ahimè, avrei parecchio da dire.

  21. Paola direi ancora di più. Ha ancora senso che ci siano regioni a statuto speciale?

    Penso proprio di NO!

  22. Vorrei aggiungere un ultimo mio commento da romana ‘sudista’: perchè , se si è deciso di investire soldi nella divulgazione del mondo della montagna’ la TV non ha pensato a quella meraviglia che è il Gran Sasso d’Italia, con la splendida piana di Campo Imperatore? Forse avrebbe aiutato l’ Abruzzo, squassato dal terremoto. Perchè aiutare ancora regioni a Statuto Speciale? Il centro Italia ha spettacolari montagne, e un alpinismo importante.

  23. cara Giulia Pompili hai mai visto un gufo dal vero? hai mai visto dal vero un gufo reale? sono uccelli bellissimi.

  24. L’alpinismo, per gli alpinisti – ma soprattutto per me – è l’esatto contrario di quello che dice il Presidente Generale del CAI Umberto Martini. L’alpinismo è – e deve essere e rimanere, io credo – una sfida con se stessi, fine a se stessa. Credo che non ci sia niente di più preoccupante e pericoloso a questo mondo di un alpinismo – ma anche di una qualsiasi arte o di una qualsiasi forma di espressione umana – con un obiettivo meno nobile della conquista dell’inutile. Nell’alpinismo fine a se stesso – così come nell’arte, nella musica, nella letteratura, in tutte le attività dell’uomo che in ultima analisi consideriamo inutili – soggiornano i valori migliori che ciascuno di noi può mettere in campo: la gioia (ha bisogno di un fine la gioia?) la fantasia, la creatività, la passione, il rispetto, la condivisione ma più di tutti e primo fra tutti la libertà, che nella geografia immaginaria di quelli che la pensano come la penso io si colloca nello stesso luogo in cui si collocano tutte le montagne e gli spazi selvaggi della Terra. Le montagne – chiamiamole con il loro nome, non è ora di finirla con questa retorica delle Terre alte? – oltre che luoghi fisici sono spazi dell’immaginario e della mente, ciascuno li riempia come crede, di azione o di pensieri, libero di gioire di un semplice panorama visto in tv o in fotografia, o perfino di sacrificare se stesso fino all’estremo, se questo è ciò che risulta necessario. L’alpinismo non-fine-a-se-stesso è una minaccia ha a che vedere con il concetto di conquista e con la propaganda ed è qualcosa con cui ci siamo già confrontati. Nel 2015 l’alpinismo, gli uomini che lo praticano e chi vi trova ispirazione hanno bisogno di tutto meno che di dichiarazioni retoriche, scontate e qualunquiste e men che meno di chi si proclama per la montagna libera e per tutti e che nella sostanza profonda del proprio agire e pensare, con apparente pacatezza, pretende di detenere il privilegio di assegnare il senso ultimo alle azioni e alle cose.
    Emilio Previtali, da facebook 4 dicembre 2015

  25. In relazione all’articolo pubblicato il 25 novembre scorso su Il Foglio quotidiano intitolato “La sfida verticale di RaiDue sul Monte Bianco è bella, ma va vietata a gufi e divanisti”, nel quale i soci CAI sono stati etichettati “gufi reazionari”, il Presidente generale del CAI Umberto Martini ribadisce quanto già espresso nelle due notizie pubblicate sul notiziario CAI Lo Scarpone.
    “Il Club alpino italiano per tradizione non è favorevole alle crociate, siamo abituati a non avere pregiudizi e a giudicare nel merito. Le montagne sono di tutti, di conseguenza un reality televisivo girato sulle vette non è di per sé un fatto da condannare. Monte Bianco è uno spettacolo televisivo, certamente non vi è rappresentata la visione che della montagna dà il CAI, ovvero la ricerca di libertà e autorealizzazione personale, bensì è mostrata la sfida fine a sé stessa, che certamente non è alpinismo”.
    Martini precisa che “il padrone della montagna non è il CAI, noi ne siamo fruitori e, in più, insegniamo ai nostri soci e agli appassionati, attraverso le nostre Sezioni e le nostre Scuole, a viverla in modo rispettoso e consapevole, nei confronti anche di chi risiede nelle Terre alte. Per noi chi va in montagna, come ho visto fare nel reality, senza mettere sconsideratamente a repentaglio la sicurezza propria, degli altri e senza rovinare l’ambiente, è certamente libero di farlo. La presenza delle Guide alpine, del resto non può che essere garanzia di questo”.
    “Il programma, come detto, è uno spettacolo televisivo, non un documentario – conclude Martini – non bisogna quindi cercare qui la verità assoluta relativamente all’alpinismo e alle Terre alte. Non si capisce perché chi monitora situazioni anche delicate come questa, entrando nel merito con competenza ed esperienza, debba essere etichettato come reazionario e anti moderno”.

  26. I gufi sono quelli che, pure quando una cosa è indiscutibilmente fatta bene, riescono nella faticosa impresa di trovare parole allarmanti e denigratorie per descriverla. Nella grama categoria, i gufi ecologisti sono tra i più agguerriti: forse in virtù della metafora zoologica che li tiene in gabbia, sono più predisposti alla conservazione piuttosto che all’evoluzione. Volano bassi. Prendiamo la Funivia dei ghiacciai, che collega l’Italia alla Francia attraverso il Monte Bianco e che possiamo definire uno dei posti più belli del mondo, senza il rischio di esagerare. I gufi hanno fatto di tutto per scongiurare la buona riuscita della SkyWay MonteBianco, inaugurata a maggio. Quattro anni di lavori per un’infrastruttura da 105 milioni di euro: soldi ben spesi, considerato che la SkyWay da Courmayeur alla Punta Helbronner è una cosiddetta opera strategica, una vetrina per il patrimonio ingegneristico e naturalistico italiano, finalmente sfruttato (in senso buono, va da sé) a dovere. Lo dimostra l’invidia dei francesi, che ora stanno correndo ai ripari sul loro versante con nuovi progetti, visto che per arrivare dall’Aguille du Midi a Chamonix si sale su una teleferica degli anni Cinquanta. E non è un caso se in questo momento di entusiasmante riscoperta delle nostre risorse (su SkyWay si era fatta già una puntata intera di “X-Factor”) la Rai abbia costruito un programma intorno al Monte Bianco. Il format è inedito, tutto italiano, prodotto da Magnolia sull’onda del successo di “Pechino Express”. Funziona così: sette cordate, composte da concorrenti che hanno poco a che fare con la montagna e dalle rispettive guide, superano alcune prove eliminatorie di trekking e arrampicata su roccia, ghiaccio o neve per conquistare la vetta. C’erano Arisa, Enzo Salvi e il karateka olimpico Stefano Maniscalco che sono stati già eliminati (Salvi con molto onore, Maniscalco a riprova del fatto che la montagna non è per tutti, atleti compresi). In gara ci sono ancora Gianluca Zambrotta (calciatore d’animo nobile, che saprà vincere) e Filippo Facci (che da solo vale l’intero programma, ma questo lo hanno scritto un po’ tutti: per quanto riguarda noi possiamo dire che il tuffo nel crepaccio dell’altra sera ha dato un contributo seduttivo definitivo al giornalista, peraltro fogliante d’antan mica a caso). Comunque, apriti cielo.
    Da mesi i gufi reazionari del Club alpino italiano rimproverano alla Rai di spettacolarizzare la montagna dissacrandola, banalizzandola. Certo, “Monte Bianco – Sfida verticale” è un gioco. Chi lo segue, sempre che non si sia fatto troppi genepì, non crede di vedere “Sentieri d’Italia” – il programma di Michele Dalla Palma su MarcoPolo (Sky), guida indiscutibile per l’alpinismo italiano. Aldo Grasso sul Corriere ha scritto che il punto forte del programma Rai, piuttosto, è quello di non avere “tempi morti, riesce con il montaggio a costruire una narrazione più che accettabile”. Ecco, forse vale al pena aggiungere qualche consiglio per chi dal divano di casa vorrebbe passare all’azione: 1) la montagna è i tempi morti. Silenzi e fatica, e interminabili ore di movimenti sempre uguali. Nella vita vera, quelli non si tagliano in fase di montaggio. 2) Se sei a metà di una salita e ti vengono i crampi, nessuno ti viene a prendere. Devi trovare la forza per scendere. 3) Non esistono guide che ti trascinano in vetta (tranne, forse, gli sherpa in Nepal). 4) Lo zaino pesa. 5) Il principio di precauzione applicato all’alpinismo ha fatto molti danni (ci sono guide che ormai ti portano in cordata anche al bagno del rifugio) ma ha anche evitato che degli sconsiderati salissero sulla Marmolada con le Superga. 6) La responsabilità delle decisioni è tua, per questo ti fanno pagare un elicottero se parti dal rifugio troppo tardi e non fai in tempo a tornare. “Il rischio è uno degli aspetti dell’alpinismo più difficili da spiegare a chi non lo pratichi. Perché mettere a repentaglio la propria vita, semplicemente per raggiungere il culmine di un ammasso di rocce e di neve?”, scrive Franco Brevini in “Alfabeto Verticale” (uscito per il Mulino da poco, è una perfetta introduzione alla montagna). Nella domanda di Brevini si cela la sfida dell’alpinismo stesso. Quella “verticale” e in massima sicurezza di RaiDue è solo un bel gioco. Chi non coglie l’altra sfida, quella vera, è meglio che resti sul divano, a lamentarsi.
    Giulia Pompili (ilfoglio.it), 25 novembre 2015

  27. Cara Anna Torretta, dire che la figura della Guida Alpina non fosse mai stata portata nelle case degli italiani è assolutamente falso!
    Personalmente e “A Gratisse!!!” ho partecipato e non solo ma anche organizzato, una trasmissione in 4 puntate andata in onda su una rete locale bresciana ma visibile comodamente in streaming a livello nazionale ( e c’è stato chi da Napoli l’ha guardata…) . Il titolo era “Professione Guida Alpina” e si è cercato in quei 12 minuti a puntata che ci hanno concesso di spiegare almeno in parte la nostra figura professionale. 12 minuti sono pochissimi ma è stato certamente un primo passo verso qualcosa di più in futuro (primo passo almeno in questo caso).
    In Trentino più volte le Guide hanno avuto spazi mediatici in trasmissioni dedicate, in Alto Adige anche e presumo (perché non ne ho testimonianxa diretta) anche in altre Regioni… quindi quale spazio divulgativo rivendichi?
    E mi fermo qui… che è meglio…!

  28. Cara Anna Torretta, credo che qui abbiamo tutti ragione, ognuno di noi che ha partecipato a questo interessante blog. Io confermo il mio commento precedente del 24 novembre ma, per onestà, devo aggiungere che ho trovato l’ultima puntata interessante, e ho deciso di seguirla quasi tutta. Le precedenti le avevo abbandonate. Contesto l’idea del reality in montagna, ma è vero che l’ultima puntata ha offerto bei panorami, molti dei quali difficili da vedere da soli o trovare sui libri, di queste spettacolari montagne, e diverse utili informazioni tecniche per chi non sa nulla di alpinismo. C’è stata più montagna, e meno ‘novela’. E’ stato interessante per me scoprire le guide alpine della zona; i concorrenti mi interessano poco, anche perchè contesto l’esistenza della gara in sè. Inoltre, credo che se uno arriva a 30 o 40 anni senza aver mai cercato la montagna nella sua vita, (e in un Paese così ricco di montagne come l’Italia) forse non ne ha necessità, e pare anche fuori luogo nel contesto. Mi piacerebbe che non fossero un reality televisivo ed una gara, ad avvicinare la gente alla montagna. Mi piacerebbero, per esempio, interviste a chi tra quelle montagne vive. Più storia, tradizione, ‘radici’, e meno spettacolo.Lo spettacolo più bello, per me, rimane comunque la montagna stessa.
    Sono veramente felice che la tua fantastica regione , per me la parte più bella delle Alpi, possa avere tanta attenzione. Se lo merita proprio, ed era ora.
    Sono una dei pochi ‘romani’ che ha scelto la Val d’Aosta e non il Trentino, da sempre. Sono appassionata della Valtournenche. Lì ho scalato il Cervino, con una guida alpina, e quello che ho visto da lassù non mi aiuta a credere che la montagna sia qualcosa di meglio, e di diverso, che silenzio, interiorità, e solitaria bellezza.

  29. Dopo il reality Monte Bianco, la mia vita non è assolutamente cambiata, direi che i tempi sono ancora brevi. Ho solo molte più richieste di amicizia su fb e ‘mi piace’ sulla mia pagina, oltre che a visite a http://www.annatorretta.com. Si certo, qualcuno che non conoscevo, mi ha riconosciuto per avermi visto e sentito in trasmissione, ma siamo sempre nell’ambito degli scalatori. Qualche richiesta in più del solito di clienti le sto ricevendo. I miei colleghi non sono di molte parole, qualcuno apprezza, gli amici condividono, altri si astengono dal giudizio. Ma nel complesso la trasmissione è apprezzatala perché la figura della Guida Alpina viene portata nelle case degli italiani e questo per noi vuole dire molto, non era mai capitato…
    Al riguardo della dura presa di posizione di Mountain Wilderness, ti riporto una mia breve risposta a Carlo Alberto Pinelli, il presidente di Mountain Wilderness che ho pubblicato su fb. Pinelli lo conosco personalmente, perché grazie a lui ho realizzato la mia prima spedizione in Afghanistan, ecco la risposta:
    Caro Carlo Alberto, ti rispetto per la persona che rappresenti, ma non per queste frasi, piene di tanta cattiveria, per le quali mi sento offesa. Noi guide alpine e i nostri clienti non possono condividere le parole di questo scritto, perché l’80% di loro non ha, o non aveva cultura di montagna. Oggi grazie al nostro lavoro, costoro, possono apprezzare e godere di beni di cui prima neanche sapevano l’esistenza. Con rispetto questi beni non sono solo di chi ha fatto come te la gavetta in montagna, ma anche di tutti coloro che si affidano da inesperti ad una Guida Alpina. Cordialmente“.
    … I motivi che spingono oggi la gente ad andare in montagna, soprattutto quelli che vogliono salire in cima al Monte Bianco, sono i più disparati, ben lontani dai nobili pensieri dei conquistatori e di quelli che pensano i luminari di Mountain Wilderness: andiamo dalla scommessa tra amici (classico), a quello che ha appena divorziato e cerca nuove emozioni, a chi deve aggiungere punti al suo curriculum aziendale e andiamo avanti di questo passo, pochi sono quelli, che leggono i libri e hanno sempre sognato di avventurarsi nel tempio dell’alpinismo. Poi il rispetto per l’ambiente, il riportarsi a casa la spazzatura, è una questione di cultura, e noi in parte contribuiamo ad insegnarlo ai nostri clienti, ma il discorso è molto più ampio, e proprio nulla ha a che fare con il reality. L’Italia è coperta dal 35% da montagne! ma in televisione si vedono sempre e solo mare e colline. Il programma penso che sia stata una gran pubblicità per la Valle d’Aosta e un’opportunità per la nostra professione che non ci era mai stata data. Per questo ho partecipato.
    Anna Torretta, da BiellaCronaca.it del 29 novembre 2015

  30. Comunque dite quello che volete ma quando guardo il reality con la mia famiglia ci divertiamo alla faccia è troppo bestiale e sghignazzante.
    E mi dispiace per quelli che deludo ma è così troppo sghignazzante.

  31. Complimenti per l’articolo, che condivido in pieno. Sono una cittadina romana che ha fatto un po’ di montagna. Niente di più vero: ” Non è avventura se è una gara”.
    E’ la Montagna a perderci, qui. Il programma le toglie magia, silenzio, rispetto. E a me la certezza che fosse, sola, l’unico mondo possibile dove sentirsi ancora liberi, nomadi, e selvaggi.

  32. Marco, “mi stai diludendo, vuoi che io muoro?”
    E’ citazione da altro reality, mai visto nemmeno quello
    Per i culi, io preferirei i film porno russi
    Eh no! 😀

  33. “……Sono daccordissimo con Ivo Ferrari e non dimenticate che il reality non è altro che la trasposizione della nostra societa,…”

    caso mai sarà della vostra di società.

    E poi ci domadiamo perchè questa società va a ramengo…… Ma se avallate tutto questo che volete sperà.

  34. Sono daccordissimo con Ivo Ferrari e non dimenticate che il reality non è altro che la trasposizione della nostra societa, certo che i gruppo del Bianco è veramente bello e se ogni tanto qualche inquadratura si soffermasse sulle belle cartoline che offre la zona sarebbe più interessante dei crampi di Salvi.
    Qualche secondo in più alle montagne almeno lo stesso tempo dedicato al culo della brasiliana.

  35. “Simone è un professionista che deve lavorare e mangiare con il suo lavoro e, dunque, ha fatto bene ad accettare la parte. È un fior di professionista e può permetterselo tranquillamente. Personalmente non ci vedo niente di strano, proprio perché stiamo parlando in un’ottica di grande professionalità.”

    Ivo, il fatto che uno sia un professionista non che che lo autorizza a fare di tutto.

    Anzi…..!!!

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