Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 10 alle politiche per la montagna, alle convenzioni e ai rapporti con altri club e altre istituzioni. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 10.
Sul Punto 10, che qui potete leggere isolato, vi è poco da eccepire. I concetti elencati sono ampiamente scontati e condivisibili. Il problema è che, nell’insieme, il Punto 10 non affronta realmente il tema. Il tema è “Le politiche per la montagna” e nello svolgimento non ci si può limitare ai concetti generali e all’impegno di collaborazione con le altre istituzioni.
Quanto detto in premessa al Bidecalogo, vale a dire riguardo al diritto che ha la popolazione a essere cittadina della montagna, non trova applicazione in questo punto, sua sede naturale. Se non vogliamo una montagna spopolata occorre prendere precise posizioni nei casi pratici, dobbiamo fare nostra la causa dei cittadini della montagna.
Nella sua illuminata introduzione Annibale Salsa accenna per esempio agli attacchi politici ai piccoli Comuni di montagna. Per certi legislatori questi andrebbero soppressi, ma nell’esprimere questa valutazione dimenticano sempre di pensare in termini qualitativi, limitandosi a ragioni quantitative, miseramente amministrative.Infatti, la cultura egemone non è orientata verso le pratiche virtuose, tranne ben rare eccezioni.
Per Salsa, il CAI dovrebbe essere portatore di contro-cultura, opporsi alle facili misure per risparmiare, con una visione più lungimirante dei territori che fanno parte di questi comuni. Che sono a volte estesissimi, e dove di certo la grande superficie sembra contrastare con la mancanza di abitanti. Dice Salsa: “Non è il numero degli abitanti che determina l’importanza e la sopravvivenza di un Comune, ma la sua estensione territoriale“.
Perché il Bidecalogo non recepisce questo “assioma”? Perché non lo espone a chiare lettere, per sensibilizzare il mondo politico e l’opinione pubblica?
Salsa continua: “Il Club Alpino, fin dalla sua origine, ha svolto un ruolo di “stakeholder”, cioè di portatore di interessi legati alla montagna, a fianco delle popolazioni locali e di altri soggetti del territorio. Allora bisogna lavorare in questa direzione affinché l’opinione pubblica nazionale non ci percepisca o ci rappresenti, secondo taluni schemi mentali diffusi nell’immaginario popolare, come una compagnia di scanzonati gitanti della domenica… Tante volte mi son sentito dire “Il CAI, spesso, non ci è vicino”.”.
Altro punto essenziale è la relativizzazione dei problemi ecologici in rapporto ai momenti storici. Oggi non occorre più, come aiutavano a fare le sezioni del CAI a fine Ottocento, rimboschire: al contrario, occorre preservare prati e spazi aperti. Dunque, cerchiamo di capire il tipo di trasformazioni che avvengono nel territorio, nell’ambiente e nel paesaggio e di governarle con scienza e coscienza, senza la scorciatoia. Dice sempre Salsa: “Occorre prendere le distanze dalle semplici enunciazioni astratte. Ritengo che, nel momento di attuazione-applicazione delle normative, vada sempre tenuta presente la consapevolezza critica, antidoto al dogmatismo ideologico“.
In tutto il Bidecalogo, e tanto meno qui al Punto 10, è mai nominato il concetto di green economy. Se non si vogliono parole inglesi, parliamo allora di “economia ambientale”. Questa è citata solo al Punto 2, più che altro per introdurre il concetto di “capitale naturale”, cioè quella ricchezza che va ormai considerata in qualunque valutazione assieme al “capitale fisso” e al “lavoro”.
Se ne doveva parlare anche al Punto 10, che ha bisogno di vivere, non di essere lettera morta. Per questo, oltre a enunciare buoni propositi spesso divorati dalla burocrazia, bisognava dire non solo in che direzione il CAI vuole andare, ma anche con quali precise tattiche.
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 09 (precedente)
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 11 (successivo)
Contadino in Alto Adige. Foto: Ella Studio

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Concordo pienamente con quanto detto sopra, il CAI non può pensare di continuare ad assumere posizioni generiche, districandosi in equilibrismi politici senza andare mai alla sostanza delle cose. In merito alle politiche ambientali soprattutto quelle riguardanti l’ambiente montano non ci si può limitare a dichiarazioni di principio della salvaguardia dell’ambiente, dobbiamo essere soggetti attivi nell’indicare soluzioni concrete di scelte anche economiche, non lasciare la progettualità in mano alla politica incapace di capire le reali necessità perché completamente asservita alla logica del consenso immediato. Il CAI secondo me deve attuare un vero e proprio cambio di prospettiva se non vuole essere percepito come il Club degli snob che fa solo battaglie di principio per i “propri interessi di parte”.
Si.
l’ultima frase dell’articolo riassume la faccenda:
“oltre a enunciare buoni propositi spesso divorati dalla burocrazia, bisognava dire non solo in che direzione il CAI vuole andare, ma anche con quali precise tattiche.”
Quello che nei fatti ho purtroppo (quasi sempre) constatato è una discrepanza imbarazzante tra le affermazioni ufficiali del CAI (ma ben prima del bidecalogo) e la “tattiche” sul territorio, che sono quasi sempre omologate ad interessi particolari e di mediazione con “stackholders” di potere… niente affatto “contro-cultura”, nè ?!
Ma del resto siamo in Italia, una nazione dove l’articolo 1 della costituzione recita:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Ma nei fatti lascio ai lettori il giudizio.
E’ un mondo storto, dove il “capitale naturale” non se lo ****** nessuno.