Oltre la quota, oltre il limite

Dall’ottobre 1989 al giugno 1995 Reinhold Messner si dedica alle grandi traversate orizzontali e glaciali, come del resto aveva anticipato con la Via degli Sherpa e con altre imprese nei deserti e sugli altopiani.

Forse il sottoporsi alle fatiche e alle privazioni di spedi­zioni come queste, nell’era dei trasporti aerei e dell’alta velo­cità, sembra un inutile esercizio senza senso, un’impresa d’altri tempi. Ma l’impresa sportiva di collegare un punto ad un altro non è l’unico scopo. Ogni progetto ha più significati, sta a noi esserne coscienti.

Reinhold Messner e Arved Fuchs al Polo Sud OltreilLimite-messner1

Nessuno aveva mai traversato i poli, o anche la Groenlandia “per il lungo”, senza ca­ni: la sfida era contro il tempo e contro la logistica, perché occorre limitare la quantità di chili per sopravvivere. Esiste però un limite che non si può superare e che bisogna aver impa­rato a definire con estrema accortezza in sede progettuale. Oc­corre conoscere molto bene se stessi, le proprie forze e le pro­prie capacità di resistenza per osare le traversate con viveri sufficienti.

Freddo, caldo, vento troppo forte, assoluta solitudine, nessun contatto con il mondo civile, nessun approvvigionamento interme­dio. Queste sono le regole perché un’impresa oggi possa essere veramente tale.

Messner si è aiutato, in presenza di vento favorevole, con le vele. L’utilizzo della vela si basa sullo sfruttamento di una delle più antiche, “ecologiche” e naturali sorgenti di energia delle quali l’uomo dispone. Ma chi conosce anche in modo appros­simativo le problematiche ambientali e del vento ai poli sa be­nissimo che il suo sfruttamento può avvenire solo in particolari condizioni, che si realizzano in tratti molto parziali rispetto all’itinerario previsto.

Inoltre, se da un lato questa tecnica permette di velocizzare la percorrenza di alcuni tratti, d’altro lato essa allarga il “ran­ge” di rischio: ai crepacci, agli sbalzi del terreno improvvisi, all’eccessiva velocità (e quindi alla possibilità di cadute) si aggiungono le difficoltà di prevedere con correttezza le scorte di viveri. Al di là dello splendido effetto scenico che fanno, le vele sono quindi un aiuto da sfruttare con moderazione, anche a causa dei dolori muscolari alle braccia che provocano.

Tutto ciò ha una valenza sportiva enorme, forse però con quel mo­do di intendere e vivere lo sport del quale molti hanno perso le radici e che sempre meno trova spazio tra le pagine dei giornali.

Anche se queste imprese, come tutte le altre, hanno in loro la possibi­lità d’essere classificate record, comunque chi le compie deve superare un ristretto modo d’intendere che vuole tutte le cose ben incasellate al loro posto.

Chi ha fatto centinaia di prime ascensioni alpinistiche in tutto il mondo, chi ha salito 18 montagne di ottomila metri, quale bisogno può avere di ulteriori re­cord?

Cercare di stabilire un record e di compiere un’esperienza estre­ma unica nei suoi aspetti non è la stessa cosa: la ricerca del record è costruzione meticolosa di un’impresa che deve portare al superamento di un limite oggettivo; avventure estreme come quelle polari sono esperienze nelle quali la singolarità dell’impresa gioca un ruolo che, tutto sommato, è molto parziale rispetto al confronto ch’essa implica con se stessi, prima ancora che con l’incognita delle ostilità naturali. Un record, poi, è fatto perché qualcuno possa tentare di confron­tarsi con esso nel tentativo di batterlo. Un’avventura unica nel suo genere, se ripetuta, perde appunto l’essenza stessa del suo essere: l’unicità.

Obiettivo di queste spedizioni è anche quello di dare un volto e una cronaca allo spostamento dell’interesse dalla “meta pratica” (trovare una via per i commerci tra l’Europa e l’Asia, o colonizzare l’Antartide a fini scientifici o minerari), alla “me­ta idealistica” (conquistare la “fine del mondo”), fino alla ri­cerca dei propri limiti personali attraverso i ghiacci più scon­volti della Terra.

Ciò che Messner ha fatto, dunque, non è né ricerca del record, né con­quista: solo cercando di capirlo nelle pieghe dei suoi racconti si può tentare di intuire il significato profondo di ciò che ha fatto.

Traversata dell’Antartide
Il progetto iniziale di Reinhold Messner e Arved Fuchs era di partire dal margine del tavolato di Ronne, raggiungere il Polo Sud a piedi e proseguire fino al Mare di Ross. Le cattive condizioni atmosferiche impediscono il volo di approccio, la partenza viene rinviata a tal punto da rendere necessario un ridimensionamento del progetto. Alla fine, il 13 novembre 1989 iniziano la traversata sulla costa occidentale antartica, cioè circa 500 km più all’interno del tavolato di Ronne, più o meno nel punto in cui lo strato di ghiaccio non appoggia più sull’oceano bensì sulla terraferma del continente, un compromesso necessario. Sono previsti due punti di rifornimento, il primo tra i monti di Thiel, il secondo al Polo Sud, presso la base americana. Questa viene raggiunta il 31 dicembre. Il 13 febbraio 1990 arrivano alla base di Scott, dopo aver percorso 2800 km in 92 giorni.

Ognuno di loro era dotato di due vele, di diversa dimensione, del tipo di quelle da parapendio. Queste si potevano governare con una barra di materiale speciale, che a sua volta era assicurata all’imbragatura, sul davanti. Le slitte era­no trainate tramite una specie di barra a manubrio collocata all’altezza delle anche. Avevano alimenti per poco più di 4000 chiloca­lorie al giorno (il doppio di quante ne consuma un individuo se­dentario). I cibi erano suddivisi in sacchetti giornalieri che contenevano, ben riconoscibili, le diverse confezioni per la co­lazione, per la merenda e per la cena. Contenuto il più possibile il peso degli imbal­laggi (non sono stati lasciati rifiuti lungo il percorso), alcuni cibi erano confezionati in appositi involucri co­stituiti da una gelatina proteica edibile, quindi fonte essa stessa di calorie.

In mancanza a quel tempo del telefono satellitare, solo l’apparecchio Argos riferiva la loro posizione serale, giorno per giorno.

Un particolare assai importante è raccontato da Messner nel suo libro Oltre il limite (DeAgostini, 1997). Raggiunto Gateway, il punto in cui termina il continente sul Mare di Ross, Fuchs voleva a tutti i costi interrompere. In fin dei conti il continente era stato traversato… Messner invece voleva raggiungere il mare, 700 km più a nord. A parte i costi supplementari di un recupero aereo non previsto, Messner sentiva che la loro impresa non avrebbe avuto corpo se non concludendola al mare, in una base abitata. Non c’è miglior modo per spiegare l’espressione “oltre il limite”.

La sfida di traversare l’Antartide senza supporto né meccanico né logistico, da costa a costa via Polo Sud, fu raccolta nel 1995 da Børge Ousland che però, dopo essersi rifornito alla base statunitense, dovette comunque abbandonare per congelamenti. Nella stagione seguente 1996-97, completò la traversata da solo senza ricevere alcun rifornimento. Cominciò il 15 novembre da Berkner Island nel Mare di Weddel e raggiunse la base McMurdo sul Mare di Ross il 17 gennaio. Aveva impiegato 64 giorni e coperto un distanza di 2845 km, con temperature fino a –56° e con una slitta dal peso iniziale di 178 kg.

Børge OuslandOltreilLimite-Ousland-Borge-in

Groenlandia, un record non voluto
Nella primavera 1993 è la volta di un’altra “idea impossibile”: la traversata della Groenlandia da sud a nord, come si dice, “per il lungo”, senza cani e senza supporti esterni. Un progetto al limite delle possibilità umane per la ristrettezza dei tempi di realizzazione, l’isolamento e le estreme condizioni ambientali. Protagonista ancora una volta Messner, assieme al fratello Hubert.

Se le traversate della Groenlandia erano state parecchie in senso orizzontale (memorabili quella del­la spedizione di Nansen del 1888 e quella ben più lunga di Peroni e compagni del 1983), solo due sono state effettuate in senso longitudinale: nel 1978 il solitario Naomi Uemura compiva un ex­ploit indimenticabile di 93 giorni parallelamente allo sviluppo della costa orientale, mentre dieci anni dopo la spedizione di Will Steger faceva la stessa cosa sul versante opposto. Entrambe le spedizioni però usarono non solo i cani, ma anche i depositi la­sciati dall’aereo sul loro cammino.

Traversare quindi “by fair means” l’intera isola o quasi non era stato mai neppure tentato da nessuno. Nessun ausilio tecnico o supporto aereo, senza radio e, ad eccezione di un piccolissimo tratto iniziale, senza cani.

La scelta della stagione primaverile va incontro a svantaggi evidenti, quali una temperatura media ben più rigida, tempo assai più instabile e bu­fere violente e frequenti; ma l’assenza quasi assoluta di crepacci dovuta al manto di neve invernale e la minor probabi­lità di incontrare, verso la fine del percorso, i temutissimi torrenti d’acqua di scioglimento superficiale del ghiacciaio (o­stacoli a volte insormontabili che costringono ad estenuanti ri­cerche del giusto passaggio) sono le motivazioni che hanno convinto Messner a non tentare d’estate.

I due Messner partono da Isertok (costa sudoccidentale) il 23 aprile 1993, ore 14.30 locali, in una splendida giornata di sole a 65° e 30′ di latitudine N. Li accompagnano due groenlandesi inuit, che gui­dano due mute di cani e due slitte cariche di tutto il ma­teriale. Due operatori di una troupe televisiva, tra i quali il sottoscritto, e il presidente dell’Equipe Enervit Paolo Sorbini, sponsor tecnico dell’impresa, completano la lista degli accompagnatori. Dopo una faticosa salita dal li­vello del mare ghiacciato fino all’orlo del grande altopiano di ghiaccio, i sette uomini preparano il primo campo durante una violentissima bufera scatenatasi all’improvviso. Il giorno dopo, 24 aprile, marcia a bussola in una fitta nevicata per circa 30 km in direzione nord fino al secondo campo, messo in un punto qualunque di un altopiano ormai senza confini e senza riferimen­ti. Alle 11.30 del terzo giorno, dopo un’altra marcia a bussola di circa 10 km, i due gruppi si separano: i Messner si allontana­no mentre nevica, trainando le loro due slitte e dopo pochi minu­ti non sono che due segmenti tremolanti che stanno rapidamente decomponendo la loro immagine su uno schermo assolutamente bian­co.

La loro marcia si dipana tra soste forzate e corse al vento fino a 120 – 130 km al giorno. Il 7 maggio approfittano di un venticello favorevole che in un balzo solo ha sospinto le loro vele per 170 km. Con questa giornata positiva i Messner si riportano in pari con la ta­bella di marcia, riguadagnando il terreno perduto. L’8 maggio, altro giorno favorevole: 56 km avanti verso nord. Nella notte, il messaggio in codice dell’apparecchio Argos se­gnala che “viene abbandonata la prima possibilità di fuga”, quel­la verso Sondre Stromfjord, la base aerea sulla costa occidentale dell’isola. Ciò significa che da ora ai due conviene proseguire verso la meta finale, Thule, eventualmente considerando in segui­to la possibilità di fuga su Jakobshavn, la cittadina sulla Baia di Disko.

Il 9 maggio il vento favorevole continua: Reinhold e Hubert Mes­sner superano altri 125 km dell’enorme altopiano ghiacciato, sem­pre sui 2200 metri di quota, e arrivano a segnalare la loro posi­zione a 69° 45′ 14″ N e 45° 35′ 38″ W, quindi già oltre la lati­tudine di Jakobshavn e a un quarto del percorso totale.

Il codice segnala “dolori fisici”, dolori muscolari per l’eccessiva andatura a vela: in tre gior­ni sono stati fatti 351 km e, alla lunga, lo sforzo sulla barra per governare la vela si fa sentire.

La sera del 10 maggio i Messner sono a 70° 54′ 4″ di latitudine N e a 45° 48′ 40″ di longitudine W, dopo aver fatto nella giorna­ta uno splendido balzo di quasi 128 km. Contemporaneamente alla localizzazione, il satellite trasmette il messaggio in co­dice che significa “abbandono della seconda possibilità di fuga”, quella di Jakobshavn.

Reinhold e Hubert Messner alla conclusione della traversata della GroenlandiaThule, Groenlandia 1993, traversata Isertok-Thule dei fratelli Messner, foto di Renato Moro

La sera del 14 maggio la loro marcia risulta drastica­mente rallentata: solo 10 km in un giorno! Però ar­riva contemporaneamente il confortante messaggio in codice di “abbandono della terza possibilità di fuga”, quella su Umanak, villaggio sulla costa occidentale, a nord della Baia di Disko. Ciò significa che hanno la netta intenzione di proseguire verso la meta finale, Qanaq (la nostra Thule).

Il 17 maggio il messaggio in codice comunica che i due hanno superato il punto di “non ritorno”: ciò vuol dire che i Mes­sner hanno rinunciato anche alla quarta e ultima possibilità di fu­ga, quella che li avrebbe portati al villaggio di Kraulshavn. Reinhold e Hubert Messner marciano ormai da più giorni senza più alcuna oscurità però preferiscono spostar­si nelle ore di luce più viva, per godere di una temperatura più confortevole.

La sera del 26 maggio i Messner sono a 77° 51′ 10″ di latitudine N e a 68° 28′ 30″ di longitudine W, quindi a circa 60 km dall’ar­rivo, sull’orlo dello sconfinato altopiano di ghiaccio che costi­tuisce il 95% della superficie della Groenlandia: li attende una discesa fino al mare ghiacciato e una traversata di 35 km fi­no al villaggio di Thule. Qui sono arrivati, nelle ore di luce notturna, tra il 27 e il 28 maggio, assai provati e con alcuni seri congelamenti alle mani.

Un record non voluto! – è stato il commento a caldo di Reinhold sulla loro impresa – È una delle spedizioni più belle della mia vita. Abbiamo potuto fare la traversata solo grazie ad un vento molto forte di sud ovest che ci ha costretti ad andature folli. Era l’unico modo per poter andare avanti, così camminavamo quat­tro ore di notte e poi stavamo a vela anche dieci ore, in bufere pazzesche e con temperature che ci hanno provocati dei congela­menti seri, anche se non gravi.

Polo Nord unsupported
Da Constantine Phipps che, nel 1773 e con due navi, raggiunse gli 80°48′ N a nord delle isole Spitzberg, fino all’oggi più tecnologico, le spedizioni al Polo Nord costituiscono una delle storie umane più affascinanti, dove dramma, coraggio, perseveranza e perfino menzogna coesistono inestricabilmente.

Negli anni ’90, due gruppi (per primi i due norvegesi Børge Ousland ed Erling Kagge, il 4 maggio 1990 da Cape Columbia) e infine un so­litario, lo stesso Ousland dalla Siberia nel 1994, hanno raggiun­to il Polo senza supporti esterni, facendosi però trasportare in aereo al ritorno.

Quindi, fino al 1994, nessuno era mai riuscito ad attraversare il Polo Nord senza supporto tecnologico (skidoo-aereo-nave), e la grande avventura ancora da dimostrare era attraversarlo senza supporti, cioè andata e ritorno by fair means, senza l’ausilio di cani, motoslitte e senza rifornimenti in­termedi.

Nel progetto di Messner, la traversata, lunga circa 2000 km, doveva iniziare dalle Shmidta I­slands, in Siberia, e concludersi a Cape Columbia (Terra di El­lesmere, Canada) dopo circa 90 giorni. Secondo lui nessuno aveva mai raggiunto il Polo Nord via terra tornandone con i propri mezzi, neppure Peary nel 1909 con i cani.

Le difficoltà sembravano praticamente insormontabili. Anche se il ghiaccio della calotta si sposta da est a ovest (Drift Ice), così favorendo una traversata da Siberia a Canada, l’Ice Pack si sposta, si muove e si spacca, formando dossi e crepacci difficilmente superabili. Ci sono salti, ci sono fessure gigantesche attraversate da acqua e sovente si possono trovare vere e proprie cascate di blocchi di ghiaccio alte decine di metri, perché il pack ha uno spessore variabile da 2 centimetri a 5 metri. Per questo è probabilmente il terreno più difficile del nostro pia­neta.

Nel periodo finale, in maggio, quando la temperatu­ra aumenta, sull’itinerario di marcia si creano canali di mare aperto. Quindi il periodo della partenza non può che essere in marzo, durante la notte polare (temperature anche sotto i -50°): dunque, tempo limitatissimo.

La slitta da tirare all’inizio pesa 150 kg a persona: questo rappresenta il massimo trainabile su terreno difficile. Diminuire il peso della slitta significa di­minuire le scorte alimentari già calcolate al minimo.

Partiti dalla base di Sredny (Siberia) il 7 marzo 1995, Reinhold e Hu­bert Messner si avvalgono del trasporto di un elicottero mili­tare per coprire i circa 200 km che li separano dalla fine del­la terra ferma e l’inizio dell’Oceano Artico.

Nel pomeriggio del 7 marzo i due lasciano Cap Artichevsky e ini­ziano la marcia lungo un fiordo ghiacciato, puntando a nord.

L’apparecchio satellitare Argos in loro dotazione segnala l’8 marzo un poco significa­tivo progresso di qualche km, unitamente ad un messaggio in codice relativo all’attacco di orsi bianchi.

Durante la seconda notte il forte vento del nord determina il movimento del pack verso riva: sono ore d’inferno in cui i due fratelli, sorpresi nella notte dall’improvvisa serie di fratture nel ghiaccio, cercano di spostare la tenda e il materiale in luo­go più sicuro. La temperatura di –42°, il buio, il vento vedono i Messner uscire dalla tenda con le sole scarpe da notte e trascinarla nell’unica direzione dove sembrava che le onde di ghiaccio scon­volto non andassero.

Nel tentativo di mettere in salvo gli sci, Hubert cade in acqua e riesce dopo pochi ma eterni secondi a uscirne. Diventa immediata­mente una corazza di ghiaccio ed è costretto a rifugiarsi nel sacco piuma in tenda, mentre Reinhold, saltando da un blocco all’altro, cerca di salvare anche la seconda slitta, in tempo per vederla stritolata sotto il crollo di una torre di ghiaccio.

Non c’è pace neppure in seguito: devono ancora spostare la tenda nella not­te, mentre Hubert lotta con il congelamento delle mani. È solo dopo un bel po’ di ore che, anche constatate le perdite di mate­riale, Messner ha il tempo di azionare la levetta dell’apparec­chio Argos per chiedere il proprio recupero.

I due sono prelevati alle 20 (ora locale) del 9 marzo 1995 e ri­portati alla base di Sredny.

In seguito, ben pochi sono stati i tentativi coraggiosi di dare realtà al progetto di Messner: fino al 2001, quando Børge Ousland riesce da solo nella traversata dalla Siberia al Canada in 82 giorni.

Il rispetto dell’ambiente e di se stessi
Ogni conquista ha in sé valenze di appropriazione, di violazione, valenze assolutamente antitetiche ed incompatibili con quel ri­spetto, quel “credo” profondo nella Natura e nelle sue forze (uo­mo compreso) che animano gente come Messner.

Le terre polari sono le più vaste regioni selvagge ed ancora in­contaminate della Terra. Per comprendere a fondo un ambiente in­tegro come quello, in tutta la sua completezza, pronti a subirne le relative conseguenze e in modo diretto non falsato da mediazioni estranee, bisogna confrontarsi, porsi sullo stesso piano.

Slitte a motore, cabine riscaldate, aerei e mezzi meccanici de­gradano l’ambiente ma con esso anche la nostra esperienza. La sensazione di dominare l’ambiente è solo illusoria. L’assenza dei cani è il decisivo taglio del cordone ombelicale, la civiltà è lontana anni luce e, quando anche il calore e il movimento anima­li sono distanti, a scaldare l’anima restano solo gli affetti più profondi.

La comprensione dell’ambiente esige una grande comprensione di se stessi. È questa una ricerca che solo pochi hanno osato spingere ai mondi più lontani e alle zone più inesplorate del proprio es­sere: così lontano che nessuno riesce a comprendere davvero quei pochi, ma solo intravvedere i bagliori che questi con fatica riescono a trasmettere.

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Oltre la quota, oltre il limite ultima modifica: 2014-05-28T07:09:28+02:00 da Totem&Tabù

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