Metadiario – 215 – La Montagna delle Fate (AG 1998-001)
E poi ci fu la settimana di sci, ovviamente sponsorizzata dal locale ufficio del turismo, a Leysin, in Svizzera. Conoscevo quel nome solo perché sede di una prestigiosa scuola internazionale di alpinismo, fondata a suo tempo da John Harlin II e poi condotta anche da Dougal Haston.
Le giornate (dal 15 al 21 marzo 1998) furono caratterizzate dall’insegnamento dello sci a Elena e Petra. La tata Maria Elescano ci aiutava nella gestione. Ci furono anche uscite pomeridiane con le racchette da neve, Mayen, Choulet, La Forclaz… Una volta andai da solo sulla Tête Meilleret 1732 m. Ma l’escursione più importante, quella che mi doveva far svoltare l’impegno lavorativo, la feci il 18 marzo con gli sci alla cima di Les Diablerets 3210 m.
Il mio compagno di gita, l’entusiasta Claude Pernet, fornitomi dall’ufficio del turismo, faceva fatica a staccarsi dalla cima. Mi confidava di aver vissuto in prima persona la costruzione della funivia, tanto tempo fa. Allora era eroica anche la costruzione di un impianto. Claude si raccontava. Lui, al contrario di altri, non è mai stato geloso delle sue montagne. Era tutto così meraviglioso e fatato, ma alla fine riuscimmo a tornare a casa.

Le Alpi di Vaud non sono molto conosciute in Italia. Eppure non sono molto lontane, inserite tra il Lago di Ginevra e le montagne dell’Oberland Bernese, tra posti ben noti come Martigny, Losanna o Gstaad. Qualcuno sa che a Les Diablerets si svolge ogni anno un importante festival dei film di montagna, qualcuno ricorda che a Leysin fu fondata da John Harlin, e opera anche oggi, una delle più importanti scuole internazionali di alpinismo. Ancora a Les Diablerets abitano i due ben noti fratelli, Claude e Yves Remy, che furono tra i primi ad inaugurare un nuovo modo di aprire le vie: prendete una parete, di roccia sana e verticale, e apritevi quattro, cinque, sei vie (magari anche di più), declinando quella parete nelle più possibili versioni, poi proponete una chiodatura sicura.
Proprio accanto alle sponde del laghetto d’Aï svettano le pareti verticali di una grande sfinge di roccia cui i valligiani diedero lo stesso nome. La Tour d’Aï, assieme alla gemella Tour de Mayen, si specchia nelle immobili acque del laghetto: i loro profili si spingono però assai più lontano, fino alle rive del Lago di Ginevra.
Su queste torri di bel calcare decine e decine sono gli itinerari di arrampicata aperti. Una ferrata aiuta i meno esperti a salire sulla vetta della Tour d’Aï. Si può dire che non c’è più mistero su queste pareti: ma il fascino delle loro forme è così grande da farci guardare meravigliati le loro sagome di pietra. E se si guarda attentamente, sul lato nordorientale della torre, quello che fronteggia la Tour de Mayen, si vede un’apertura ombrosa e circolare: quello era l’ingresso della casa delle fate d’Aï, loro dimora dai tempi più antichi. Per sorvegliare le greggi i loro servigi erano preziosi e, in cambio, ogni giorno il capo dei pastori deponeva sul tetto di una baita un secchio di panna proprio per loro.
Nérine, la più giovane delle fatine, si era innamorata di Michel: purtroppo, attorno al cuore di Michel ruotavano già altre concorrenti. A Leysin, Judith aveva un debole per lui. Ma soprattutto c’era a Veyges una biondina dolcissima, Salomé, che però era timida come un camoscio. Michel era preso dal fascino di Salomé e Judith moriva di gelosia. Un giorno Nérine invitò Michel a raggiungerlo la sera stessa ai piedi della torre. Il giovane, abbagliato dalla bellezza di quell’apparizione, andò. Così chiacchierarono per ore e ore sulla felicità, poi Nérine continuò il suo sottile gioco di seduzione portandolo a fare un volo magico nel cielo. Le stelle brillavano nell’oscurità e le vette innevate luccicavano appena in un vago chiarore. Dai pascoli giungeva il tintinnare dei campanacci delle mucche, assieme alla profonda voce della Grande Eau, il torrente in fondo valle. Le campane della chiesa rilasciavano rintocchi ad ogni ora. Era tutto così meraviglioso e fatato, ma alla fine Michel riuscì a tornare a casa. Dopo molti incontri con Nérine la cosa venne risaputa al villaggio e Judith giurò di vendicarsi. Alla festa della Berneuse, a mezza estate, convinse un pastorello a strofinare il secchio di panna delle fate con radici di genziana, in modo da farla inacidire. Le fate non gradirono un omaggio così offensivo e abbandonarono il luogo. Non più protette, anche le mucche si dispersero, molte cadendo dai dirupi vicini. La vita dei pastori divenne assai più dura. Quanto a Michel, con buona pace di Judith, sposò Salomé. Insieme ebbero dei figli, dando origine ad una discendenza che poi raccontò questa bella storia sui pastori di Leysin.
Gli impianti di sci si avvicinano molto alla Tour d’Aï, ma solo da due lati. Vedere le torri con la neve non ricorda i tempi dei pastori, però restituisce loro un po’ di solitudine (alle torri, intendo, non ai pastori: quelli, soli, lo sono sempre). Ma chi ha detto che le fate oggi non ci sono più? Forse, invece delle greggi, assistono i turisti. Per questi, qui la vita è facile. Finito di sciare, ci sono almeno sette od otto possibilità di fare sport diversi. Se si vuole la solitudine, non è difficile trovarla nei boschi. Alla sera, musiche e locali. Là si scia anche d’estate. Non è mai stato un posto da grande alpinismo, ma da spazi aperti sì.

Le fate si sono internazionalizzate, qualcuna perfino ha gli occhi a mandorla… Piuttosto, si lamentano che non c’è più nessuno che porta loro la panna ogni giorno.
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