Profili – 04 – François Cazzanelli
di Elio Bonfanti
François Cazzanelli è un professionista della Montagna, nato in montagna e con la ”Gran Becca” dentro ad ogni suo respiro. Il fatto che molti della sua famiglia, suo padre incluso, fossero guide alpine poteva in qualche misura fargli prendere in uggia sia l’andar per monti che la professione stessa. Le lunghe attese di chi sta a casa, la tensione talvolta palpabile che si vive all’interno di una casa per un ritardo inaspettato o per un bivacco improvviso avrebbero potuto essere tra le ragioni per fargli preferire un’altra attività, e invece non solo l’ha abbracciata ma al giorno d’oggi è pure uno dei più forti e completi alpinisti italiani. In questa rubrica “Profili” avrei voluto dare voce solo a quegli arrampicatori o alpinisti che non sono quasi mai sulle prime pagine e che fanno un’attività che permetta all’alpinista della domenica di potersi impersonare in uno di loro e che possa magari ripetere divertendosi una delle loro vie nuove. Ma poi ho pensato che forse queste divisioni sono un po’ artificiose.
Chiaramente con François siamo ad uno step decisamente superiore, è perfino inutile elencare la sua attività di punta, ma ho notato una cosa che oltre a fargli onore lo avvicina decisamente a quel pubblico che io vorrei raggiungere, ed è questa sua frase:
“Mi guadagno da vivere con il mestiere di Guida Alpina. Quando vedo la felicità negli occhi di chi accompagno in montagna la soddisfazione è immensa, sia che si tratti di una gita facile o di una delle grandi classiche delle Alpi”.
Sei ancora molto giovane e hai già una carriera straordinaria, ma raccontaci un po’ di te della tua vita al di là della montagna.
Sono nato ad Aosta e sono cresciuto a Cervinia. Da piccolino mi sono subito avvicinato alla montagna con lo sci, l’arrampicata e ovviamente l’alpinismo. Onestamente la mia vita ruota sempre attorno alla montagna, senza di essa non sarei me stesso e al di là di quello non ho altre passioni. Una cosa che mi piace seguire, ed è anomala per un “uomo di montagna”, è il calcio! Tifo Inter e quando posso lo seguo, soprattutto la Champions… quando lo dico in giro tutti mi guardano in modo strano… sembra una cosa stranissima per un alpinista…
E’ ancora presto pensare di vedere una sesta generazione di Cazzanelli smanacciare le rocce del Cervino o hai già progetti in quel senso?
Da circa 7 anni sono felicemente fidanzato e convivo con Alessia e a breve diventeremo genitori. Essendo che deve ancora nascere mi viene strano pensare a cosa vorrà fare nella vita. Quello che mi piacerebbe trasmettergli è la passione e la determinazione a inseguire i suoi sogni indipendentemente da quali saranno le sue passioni. Se vorrà andare sul Cervino sarò pronto ad aiutarlo oppure se vorrà giocare a basket o diventare uno studioso farò sempre del mio meglio per sostenerlo.
Il libro e il film che più ti hanno fatto sognare anche al di fuori della letteratura o della cinematografia di montagna?
Mi piacciono molto i film d’azione e anche i cartoni animati, mi piace sentirmi ancora un po’ bambino… Film direi Top Gun 1-2 e Armageddon, invece cartone animato Dragon Ball. Un libro che mi ha fatto sognare è Frêney 1961 di Marco Albino Ferrari. Nonostante parli di una tragedia, mi ha sempre impressionato come Bonatti sia riuscito a salvarsi da quella situazione. Un altro libro che mi ha ispirato è Volevamo solo scalare il Cielo di Bernadette McDonald. Questo libro parla dell’alpinismo himalayano polacco degli anni Ottanta e mi ha veramente fatto sognare cos’hanno realizzato questi scalatori in quegli anni e con pochissime risorse. Un altro genere che amo sono i romanzi di Enrico Camanni con protagonista Nanni Settembrini: onestamente mi ritrovo parecchio in lui.
Magari sbaglio genere musicale, ma così a primo impatto mi sei sempre sembrato un rockettaro. Giusto?
In realtà ascolto un po’ tutto ma il rock mi piace molto!! In ogni caso ascolto tantissima musica anche quando mi alleno.
Quando hai iniziato ad andare per monti?
A sei anni con mio papà ho scalato la via Anita alla Becca d’Aran e successivamente il Breithorn.
Chi, se c’è, ti ha ispirato?
Mi hanno ispirato molte persone, in particolare modo mio papà e Marco Camandona.
Quale itinerario di alta montagna è per te la salita per eccellenza?
Non saprei scegliere, ce ne sono così tanti… uno che mi piace molto è la cresta Albertini alla Dent d’Hérens.
Cosa ti ha lasciato sotto il profilo umano e sociale la tua attività sulle montagne più alte del mondo?
Mi reputo un privilegiato, poter viaggiare per il mondo come ho potuto fare io è una fortuna. Poter conoscere diverse culture ti apre la mente! Inoltre viaggiando per i monti sviluppi un grande senso di adattamento.
C’è mai stato un momento in cui la paura di non farcela o di non tornare ti ha pervaso?
Onestamente no. Quando sei in situazioni brutte non te lo puoi permettere, devi essere lucido per poterne uscire.
Cosa provi quando arrivi in cima?
Sul momento è sempre difficile soffermarsi sui sentimenti, questo perché mi viene naturale e istintivo restare concentrato per la discesa.
A cose finite, quando mi rilasso, riesco a elaborare e godermi ciò che ho fatto.
Hai mai pensato di scrivere un libro?
Mi piacerebbe… ma penso sempre che sia troppo presto.
Ritieni che lo sponsor prima o poi potrà capire che la qualità di una impresa non dipende solo da primati e/o numeri?
I numeri nell’alpinismo servono a confrontarci con gli altri e questo ti serve a crescere e a superare i tuoi limiti. Per quanto riguarda il pubblico/sponsor, credo che dipenda molto da come si vivano e si raccontino le proprie avventure/esperienze. La cosa fondamentale è che l’alpinista sia veramente innamorato dell’andare per monti. Vedo tanti giovani scalare per i like o per il grado e perdersi tutto il gusto della scoperta e dell’avventura. Se noi abbiamo il giusto modo di vivere la montagna, credo che anche chi ci segue possa essere ispirato da noi e pensare un po’ meno al “grado”.
Un non detto è che negli anni molte sponsorizzazioni hanno in qualche misura spinto gli alpinisti a performances sempre più audaci e rischiose… oggi la loro presenza pur essendo sempre indispensabile è ancora nel bene e nel male così “motivante”?
Questo è un tema interessante che andrebbe affrontato con molti alpinisti. Per me non è così, gli sponsor non mi hanno mai messo pressioni. Ho sempre scalato per me stesso, perché lo sentivo dentro e perché volevo farlo.
Quanto della tua prossima impresa concede alla competitività?
La competitività in alpinismo c’è… è inutile negarlo. Personalmente però alla base di un progetto per me ci deve essere qualcosa che mi ispiri, qualcosa che mi attiri al di là del grado, della vetta e del dislivello.
L’accompagnamento: rischi, condivisione e soddisfazione in quale percentuale si mescolano?
Si mischiano tantissimo e secondo me sono i sentimenti alla base di una cordata.
Da quando tuo padre esercitava la professione di guida ad oggi, questa com’è cambiata?
Dovresti chiederlo a lui…
Quando hai iniziato ad aprire vie nuove e con che stile?
In realtà molto presto nel 2019 con Emrik Favre abbiamo aperto una via nuova sulla parete sud del Lyskamm Ocidentale, Buona la Prima. Ho aperto in stili diversi ma quello che però mi piace di più è quello classico o trad, ovvero dove non lascio nulla sulla via.
Ti capita di pensare, in cima a una montagna, ad una prossima impresa?
Le imprese le facevano i cavalieri con la spada, un alpinista in fondo va in montagna per divertirsi. Comunque sì, mi capita, è normale che osservando le montagna da una prospettiva e con una luce diversa nascano delle nuove idee, l’ispirazione arriva quando meno te lo aspetti.
Immagino che nell’ ambiente tu sia molto apprezzato sia per le tue qualità alpinistiche che per quelle umane, ma qualche criticone ce l’hai pure tu?
Mah, non saprei risponderti… a me non lo vengono a dire…
Vuoi parlarmi di qualche tuo compagno di cordata che ricordi con particolare affetto o simpatia?
Sono legato a tutte le persone con cui sono andato in montagna!
Diciamo che però i miei compagni storici sono anche i miei migliori amici e con loro c’è un rapporto speciale oltre che un affiatamento unico, e sono: Emrik Favre, Francesco Ratti, Marco Camandona, Marco Farina, Jérome Perruquet, mio cugino Stefano Stradelli, Roger Bovard, Patrick Poletto e Rudi Janin.
Hai qualche aneddoto divertente da raccontare?
Ne avrei tantissimi ma non riesco a sceglierne uno, porta pazienza…
Hai un ufficio stampa a cui affidi la comunicazione dei tuoi progetti e dei tuoi successi o fai da solo?
Sì, ce l’ho, anche se quando lo dico mi fa sempre uno strano effetto… mi sembra sempre una cosa super altisonante che hanno solo le perone famose…
Tra le vie che hai aperto a quali sei più legato?
Sicuramente La Diretta allo Scudo sulla parete sud del Cervino. Ci ho messo 6 anni e ho cambiato un sacco di compagni di cordata! Diciamo che ad ogni metro guadagnato corrispondeva una piccola crescita interiore. Quando ho finito di aprire questa via mi sono accorto di essere cresciuto e maturato.
Per cui, se dovessi consigliare a qualcuno di ripetere tre fra le tue vie quali suggeriresti?
Direi la Diretta allo Scudo! La roccia è bella su quasi tutta la via e l’ambiente è splendido! Bisogna però andarci con le giuste condizioni e con le temperature adeguate!
A proposito di questa via, inserisco un brano del pezzo che hai scritto per il tuo blog, dove è palpabile la tua passione per questa montagna.
Un giorno parlando con mio papà gli chiesi: “Perché manca una via diretta che salga lo Scudo del Pic Tyndall? Secondo me, tra la Casarotto–Grassi e la via Innocenzo Menabreaz c’è ancora spazio per qualcosa di bello ed elegante. “Ci avevo pensato anche io” rispose mio padre “ho osservato a lungo la parete ma alla fine ho valutato che per me e i miei compagni era una cosa troppo difficile”.
Queste parole, suonarono alle mie orecchie quasi come una sfida, perché fin da bambino aprire una nuova via sul Cervino era sempre stato uno dei miei più grandi sogni. Il desiderio era quello di mettere la mia firma sulla montagna di casa, lasciando così un segno profondo ed indelebile non solo sul Cervino ma anche dentro di me. Ci sono voluti 6 anni per portare a termine il mio sogno e si può dire che in un certo senso la mia esperienza alpinistica sia maturata di pari passo con i progressi fatti sulla via. La sua apertura è stata una così grande avventura, che la si potrebbe quasi definire un’epopea.
Qual è il tuo segno distintivo?
Che non mi prendo mai troppo sul serio, mi piace sempre ridere e scherzare.
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Cervino, parete sud
Via Diretta allo Scudo
Apritori: in più riprese dal 24 febbraio 2012 al 2 settembre 2018, François Cazzanelli, Marco Farina, Emrik Favre, Roberto Ferraris, Francesco Ratti.
Prima libera: 02 settembre 2018, François Cazzanelli, Francesco Ratti.
Prima ripetizione (e prima invernale): Jérome Perruquet e Stefano Stradelli il 20 e 21 febbraio 2023.
Zona: Alpi Pennine, Valtournenche, Cervino 45°58′35″N 7°39′30″E.
Quota di partenza: circa 3200 m, base del canale.
Quota di arrivo: 4100 m c. in corrispondenza della Cravatta; 4241 m, volendo proseguire fino alla vetta del Pic Tyndall.
Sviluppo arrampicata: la parte significativa è di 450 metri.
Tipo di apertura: dal basso con fix e protezioni veloci.
Esposizione: sud.
Protezioni: fix inox.
Difficoltà: 7a, 6c obbligatorio.
Note
Quando il canale d’attacco della via è in condizioni secche, è bene tralasciare i primi 4 tiri della via bypassandoli dalla cresta De Amicis in quanto la cresta Deffeyes scarica nel canale parecchio materiale.
Prevedere abbigliamento caldo.
Equipaggiamento
Normale dotazione da arrampicata, 2 corde da 60 metri, protezioni veloci indispensabili friend serie doppia sino al n°2 e un n°3 Camalot Bd
Accesso
Tramite l’autostrada A5 (T1) raggiungere l’ abitato di Chatillon da dove imboccare la strada che risale tutta la Valtournanche sino a Cervinia.
Avvicinamento
Se la stagione non è troppo avanzata e il canale di accesso alla via Casarotto–Grassi è in condizioni, è preferibile partire con gli sci dalla seggiovia “Pancheron” e risalirlo per circa 550 m sino alla base dello scudo.
Se viceversa si è in stagione avanzata, è meglio partire dal rifugio Duca degli Abruzzi, risalire la cresta De Amicis sino al passaggio “Giannotti”, da dove, una volta superato l’attacco della via Menabreaz, traversando a destra per cengia, si arriva ad attaccare la Variante Ratti. Dal rifugio Duca Degli Abruzzi prendere il sentiero che porta all’attacco della cresta del Leone, appena prima del canale Whymper piegare a destra (tracce di sentiero e ometti) fino a raggiungere il ghiacciaio superiore del Cervino. Da qui attraversare il ghiacciaio al centro puntando ad una zona di rocce più chiare (tenersi a monte dei grossi crepacci a metà del ghiacciaio), giunti a questo punto abbandonare il ghiacciaio e iniziare a salire su rocce rotte facili puntando sempre verso sinistra fino a raggiungere il centro del grosso sperone (si può anche salire partendo direttamente dalla base dello sperone evitando il ghiacciaio, ma questo tragitto a mio avviso è più laborioso e scomodo del precedente). Adesso puntare l’evidente colletto a quota 3558 m e portarsi sul filo di cresta risalendo un canale. Tenere il filo di cresta e superare un primo risalto attraversando a sinistra su neve per poi prendere una facile fessura di III grado. Rimanere sempre in cresta e puntando ad una cengia che sale verso destra inoltrandosi in piena parete sino a raggiungere l’attacco.
L1 Partenza da un grottino (fix), poi seguire una facile fessura che porta sotto ad un tettino. 20 m, nulla in loco, sosta da attrezzare, 5c.
L2 Si attacca da uno strapiombetto che adduce ad una fessura quasi rettilinea in cima alla quale sostare. 60 m, nulla in loco, sosta a fix, 6b.
L3 Dalla sosta traversare verso sinistra sino a prendere un diedro fessura che origina un tettino, fare un piccolo ribaltamento ed entrare in una nicchia ove sostare. 20 m, nulla in loco, 1 fix di sosta da accoppiare a un friend giallo (sosta appesi).
L4 Superare la parte aggettante della nicchia e salire la fessura superiore sino a raggiungere il punto in cui si incrocia la variante Ratti. 40 m, nulla in loco, sosta a fix, 6b.
L5 Salire l’evidente diedro a sinistra della sosta, 35 m, nulla in loco, 6b.
L6 Traversare a destra per 5 metri poi salire dritti verso la sosta 15 m, 1 fix, 6c.
L7 Superare il muro verticale a destra della sosta e superare il tetto nella sua parte destra. Seguire poi il sistema di fessure sino ad un ribaltamento atletico, indi in sosta, 25 m, 6 fix, 7a.
L8 Passo atletico sopra la sosta poi traversare in placca verso sinistra (delicato) sino a raggiungere una fessura che sale diagonalmente verso destra e che termina contro ad un strapiombetto. Superarlo con passo atletico e per facili fessure raggiungere la sosta, 35 m, 6 fix, 6c+.
L9 Scalare un muro atletico ben protetto poi traversare facilmente verso destra sino a superare uno strapiombo verso sinistra. Tale strapiombo adduce ad una cengia da percorrere verso destra sino al suo termine, indi salire verticalmente sino in sosta, 40 m, 8 fix, 6c.
L10 Direttamente sopra la sosta con un difficile e atletico passo di ristabilimento, poi proseguire diagonalmente a destra sino ad un muretto tecnico che tramite poi una facile fessura conduce in sosta, 40 m, 6 fix, 6b+.
L11 A destra della sosta risalire per rocce rotte sino a superare l’evidente gendarme, 50 m, nulla in loco, sosta su chiodi, 6a.
L12 Traversare a destra lungo la cengia, poi risalire il gendarme sino ad una zona di blocchi mobili, poi sempre dritto per un sistema di fessure sino in sosta, 50 m, nulla in loco, sosta su chiodi, VI.
L13 Risalire il diedro sopra la sosta poi spostandosi a destra prendere il diedro che conduce alla sommità dello Scudo, 45 m, nulla in loco, sosta su friend.
Discesa: Data la natura del terreno la discesa in corda doppia è sconsigliata. Dall’uscita della via risalire sino ad intercettare la cengia spiovente della “Cravatta” 4100 m c., traversare verso sinistra sino a raggiungere la Cresta del Leone (normale Italiana) da dove scendere direttamente alla capanna Carrel 3835 m e da lì a Cervinia.
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François ha tutto fisico, preparazione, consapevolezza, testa, cuore e quel terzo occhio che fa di un alpinista un fuoriclasse. In più sa circondarsi di suoi pari e non di subalterni dando loro il risalto che meritano.
Ricordo anche un’impresa in velocità di Cazzanelli, un modalità che apprezzo molto, che a qualcuno invece farà storcere il naso, ma tant’è! Aiguille Noire de Peuterey, Grand Pilier d’Angle e la cresta di Peuterey, Monte Bianco e discesa alla partenza (campeggio La Sorgente) in poco meno di 16 ore. Ci vogliono fisico, testa e preparazione.
Une belle persévérance et un beau résultat.
Cette voie attirera sûrement des amoureux de belles voies.
L’anno che sta finendo ci ha svelato a tutti “dalla sera alla mattina” le meraviglie dell’IA. La vita è una continua corsa ad alzare l’asticella. L’alpinismo è vita (vera). Non può esimersi da questa corsa.
Del resto l’alpinismo è una continua corsa ad alzare l’asticella. Almeno lo è negli anni ruggenti…
Ho letto con piacere l’intervista a François Cazzanelli. In essa traspare il personaggio che mi ero immaginato nel corso di un breve incontro di pochi mesi fa. mi viene spontaneo ripetere quanto ho scritto recentemente su questo blog:
….François Cazzanelli, giovane guida di Cervinia, tra i massimi esponenti dell’attuale alpinismo di punta, mi ha cercato per avere notizie su una via che avevo aperto con quattro compagni nel lontano 1980 sulla parete Nord della Torre Maggiore della cresta est del Breithorn Centrale. Ho incontrato François che mi ha conquistato per la sua simpatia e per il grande entusiasmo che manifesta quando parla di scalate e progetti alpinistici. Entusiasmo che mi fa ritornare indietro di 40 o 50 anni quando anch’io avevo un fuoco dentro che mi spingeva a scalare senza sosta.
Bello spirito e gran bella via. La sud della Gran Becca pare produrre belle soddisfazioni ai campioni locali. Se nn sbaglio sempre sulla sud, sul Picco Muzio che confina con la cresta del Furggen c’è un’altra super-via di Hervè Barmasse.
È incredibile come una montagna cosi tanto salita e osservata, continui ad avere spazi di espressione per nuovi itinerari. Ma è la storia secolare dell’alpinismo che si ripete. Man mano che si alza il livello dei salitori e dei materiali, si abbassa la valutazione del “non fattibile”. Lo dice anche il Cazzanelli quando afferma che l’itinerario salito era già stato osservato dal padre che lo aveva giudicato troppo difficile per lui. Ma non per il figliolo suo …
Chissà cosa ci riserverà il futuro …
Bell’articolo. Belle immagini e bei pensieri che fanno sognare.
Complimenti
Alessandro Giacoletto
Chapeau……….via moderna in alta quota, bella descrizione tecnica e stupende foto – non sembra neanche la roccia della Gran Becca, bravi tutti!
Alpinismo per divertirsi e sorridere. Questa si che è vita.
Bravissimo François!