Il punto sulla scalata

Il punto sulla scalata
(da La parete, 1981)

Lettura: spessore-weight***, impegno-effort**, disimpegno-entertainment***

«Guardiano, a che punto è la notte? (Isaia XX, 11)».
Il problema è di fissare sulla carta certe rapide immagini, lampi che non lasciano molta traccia nella notte. Eppure ad ogni immagine nuova sento che qualcosa si è rivelato in me, che sono di più ciò che debbo essere, anche se so che dimenticherò presto. E se faccio uno sforzo per ricordare è come se un computer rispondesse continuamente «negativo, negativo, negativo»…

Sento che devo andare avanti nella direzione del destino, ogni debolezza, ogni indugio è un continuo dolore. Tacere è un’arte, perché non tace veramente chi sta sempre zitto! L’amicizia è un’arma a doppio taglio: se ti credi amico di A, sei pronto anche a odiarlo. Nel momento in cui cominci ad odiarlo o amarlo troppo non crederai mai che sia per colpa tua. D’altra parte A non ti odia né ti ama, non gli va che tu sia così estremo, perché egli sente di essere odiato o amato troppo e quindi incompreso. Qualcosa deve succedere, forse che tu realizzi quanto profondamente odi e ami A, fino (a sprazzi) a deside­rarne la morte perché egli ti fa ombra. Avrai orrore di te stesso in quel momento, perché non c’è nulla di peggio che desiderare la morte di qualcuno che stimi, come per esempio sorprendersi a pensare a cosa farai coll’eredità di tuo padre. Se non ti spaventerai dei tuoi sentimen­ti, meglio per te: sarà la tua difesa, quella dello struzzo. Del resto questo uccello non digerisce anche i sassi? Ma se invece sentirai disagio in queste ricorrenti immagini di morte o di gravi disgrazie, le soluzioni sono due e al limite possono essere buone anche prese assieme. Si può evitare ogni contatto con A, fino a farlo morire di morte lenta dentro di noi (più difficile). Oppure, in un momento di tensione con l’interessato, sparargli in faccia tutto quanto vorremmo gli capitasse, ma proprio tutto. A volte ciò che ci irrita è un macigno che sopportiamo sulle spalle. Basta liberarsene, ma è difficile perché sembra ci sia strappata la pelle. Meglio far venire sotto il masso anche gli altri. Questi si rifiutano, per ovvie ragioni, ma anche perché loro stessi hanno il loro macigno e se si avvicinano, i massi si scontrano e ci fanno perdere l’equilibrio e la fatica aumenta. Appunto per questo è salutare lanciare il proprio macigno addosso a quello dell’altro: ci si libera e nello stesso tempo si fa un favore agli altri, anche se talvolta questi non lo sanno o non lo vogliono sapere.

Ascoltare musica mi piace, ma preferirei non essere da solo. Quando vedo che un altro sente la musica come la sento io, il mio piacere aumenta, raddoppia. Questo è normale, penso, eppure no, è troppo forte la differenza. Ivana una volta ha detto che è veramente strano che io giunga al punto di imporre il silenzio quando si conversa e il nastro di musica sta svolgendosi al momento giusto. Lì bisogna tacere perché lo dico io e sono io il padrone di casa.

Il problema è come vivere le cariche di emozione in maniera individuale e non costretta. Finché sarò nella condizione di ricorda­re come sole occasioni quella e quell’altra e poi basta, significa che ancora non va bene. Quella volta che ho ballato senza vergogna di fronte a Nella, Mario, Mila e Walter, quella volta che ho saputo rispondere a Reinhold, quella volta che sono sceso dalla macchina e ho fermato l’auto che non voleva farci rientrare in coda semplicemente mettendomi davanti al cofano. Ma come batteva il cuore! E com’è invincibile il disagio di quando i ragazzini sono sboccati in autobus di fronte a qualche persona «per bene». Deve scoppiare, lo sento, ma non scoppia nulla! Sono sempre solo quelle tre, le volte. Come si può fare per vivere? E l’ansia di quando trasportavo i bidoni vuoti? Dovevo scaricare 23 container e li avevo già disposti in fila nel portone. Occupavo l’ascensore e ho fatto quattro viaggi. Molta ansia e tensione di pancia. Non c’era nessuno che voleva usare l’ascensore. Perché allora? Era come se contassi i secondi che ancora mi mancava­no alla conclusione del lavoro, quando tutti i bidoni sarebbero stati al chiuso, dietro la porta di casa mia.

La scalata è ferma nei pantani della ragione. La palude mi inghiot­te e io mi divincolo urlando. Dentro di me si agitano le forze più oscure e non riesco a salire neppure un metro da solo. Chi mi portava si è stancato e l’amore necessario per salire si nasconde per paura di rappresaglie.

Una donna sherpa scherza con me e vuole caricarmi sulle spalle, ma non per farmi vedere quanto è forte. Mi sorride, i denti sono bianchissimi e gli occhi solo delle fessure. Accetto e sto al gioco, ma non le riesce di sollevarmi subito, solo con un particolare movimento la cosa le è possi­bile e così mi ritrovo sulle sue spalle, a contatto con il suo bambino che le è aggrappato al collo. Il bimbo volge verso di me il pene nudo, proprio vicino al mio volto. Cerco di evitare che mi tocchi e non mi sento a mio agio, poi la donna cammina ed esce dalla stanza buia. Faccio fatica a non toccare la terra con i piedi e penso che ottanta chili per lei sono ben poco se riesce ad andare così veloce. Ma giunti nel cortile il gioco finisce. Nella più indefinibile sporcizia mi scarica nella melma fetida. Vorrei non spor­carmi, evitare il contatto con quella porcheria, ma qualcosa mi cade là dentro, in una materia verde-nerastra. Me ne riapproprio con gesti irreali, quasi senza usare le mani. La donna sherpa non accenna a voler rifare il gioco.

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Il punto sulla scalata ultima modifica: 2018-02-20T05:35:21+01:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Il punto sulla scalata”

  1. 4
    Giacomo G says:

    Non ho il libro, peccato che sia introvabile… Sto negoziando su ebay la spedizione fuori italia…

  2. 3
    paolo panzeri says:

    Di sicuro biografico, ma mi ha lasciato un senso di tristezza e resa totale.

    Forse io non lo posso capire perché ho una mentalità diversa.

    Però interessante!

  3. 2
    lorenzo merlo says:

    Una parabola di redenzione, seguendo tracce di umiltà.

    Riconoscere il proprio amico A, i toltechi o chiamano predatore, è sostanziale all’evoluzione di sé.

    Secondo loro è un essere inorganico che si nutre del’energia prodotta dalle nostre ossessioni.

    Altrove queste ridondanze sono chiamate formepensiero, egregore e in altri modi ancora.

    Contengono sempre il passato o il futuro.

    Corrispondono al contrario del qui ed ora.

    Le egregore più ci dominano, più ci allontanano da noi, per condurci all’inferno.

    Magistrale creazione negativa dell’io.

  4. 1

    Psichedelico, come un po’ tutto il libro.

    Ciao Capo. marcello

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