Ognuno di noi ha almeno una vaga idea di cosa è la pornografia: questa ci permette di scegliere se dilettarci o meno in quel genere di letture o di visioni di film. Per capirne a fondo le cause però occorre ascoltare la totalità delle nostre pulsioni, rifiutando di seguire aprioristicamente i dettami morali dell’educazione tradizionale che hanno sempre voluto abolirla senza peraltro mai riuscirci.
Fino agli anni Sessanta si poteva fumare in piena libertà ovunque, anche nei cinema e nei ristoranti, ed era tollerato perfino in qualche locale a scuola e negli ospedali: oggi i fumatori sono considerati degli appestati untori, da rinchiudere in ghetti, forse un domani da proteggere come specie in via di estinzione.
Ognuno di noi ha almeno sentito parlare delle barbariche condizioni in cui sono tenuti gli animali da allevamento, sì da poter decidere d’esserne complice cibandosene oppure opporre un fermo rifiuto alla carne (e/o al pesce). Pochi ricercano una soluzione davvero individuale, rifugiandosi nella comoda situazione dello schieramento tra voglio e non-voglio. Pochissimi sospettano che vegetariani e vegani possano essere assolutisti e autoritari come i carnivori e che, alla fine, ciascuno di noi dovrebbe cercare la propria soluzione sintetica tra i due opposti, dopo essersi esplorato interiormente e aver ascoltato le opinioni degli altri.
I primi due decenni del XXI secolo sono stati caratterizzati (e nulla lascia trasparire che il terzo decennio possa essere differente) da un flusso migratorio ininterrotto dal continente africano a quello europeo. Dagli ultimi movimenti elettorali sembra proprio che la maggior parte di noi consideri questo fenomeno una catastrofe per il nostro ordine costituito (economico, sociale, sicuritario e perfino razziale) e sostanzialmente proponga la soluzione del “che stiano a casa loro” senza minimamente considerare le ragioni storiche e sociali dell’esodo, le colpe del nostro vecchio colonialismo e del nostro nuovo capitalismo (occidentale e cinese), né vedere in questa trasmigrazione di massa alcuna opportunità positiva per l’evoluzione dell’umanità. Una vera e propria apartheid, se consideriamo che ormai non dobbiamo più dimensionarci in termini nazionali (tipo Sud Africa) bensì planetari.
La crisi climatica ci ossessiona a tal punto da rifiutare che qualcuno possa dire che non esiste o che sia un fenomeno sotto controllo, bollandolo come irresponsabile o portatore d’interesse come un petroliere. A parte alcune ammirevoli eccezioni, invece che impegnarci davvero a limitare drasticamente i consumi e programmare l’abbandono dei combustibili fossili preferiamo perdere tempo e scagliarci contro i negazionisti, declassando quindi le nostre giuste aspirazioni di giustizia climatica a sterili accuse a chi non la pensa come noi e ai portatori di interessi (che comunque sono pure loro sulla nostra stessa barca e spesso sono indistinguibili da noi stessi). Dopo aver impiegato tante energie sui social e nelle piazze, forse è ora di rimboccarci le maniche. Io credo che ascoltarli non dovrebbe creare in noi la ripulsa che invece proviamo: dovrebbe aiutarci a vedere il problema con la serenità e la serietà necessarie per creare delle strategie efficaci.
Ma arriviamo al tema odierno. I nati dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno avuto solo un’infarinatura di cosa sono stati fascismo, comunismo sovietico e nazismo, olocausto ebraico e gulag in Siberia: così da poter credere di scegliere liberamente di aderire ai principi della democrazia e di rifiutare qualunque legge impositiva e razziale. La nostra repubblica è fondata sul rifiuto del fascismo e degli errori commessi nel Ventennio. Eppure quando io andavo a scuola i programmi di storia si fermavano al 1918. Si dirà: era ancora troppo presto per vedere la verità, occorreva lasciar decantare. Ma questa posizione da temporeggiatori e insabbiatori a chi giovava? Siamo sicuri che passare sotto silenzio le nostre stesse aberrazioni ci aiuti a non commettere più gli stessi errori? Siamo sicuri che gli attuali e squallidi rigurgiti fascisti siano dovuti ai pazzi, ai nostalgici, ai disadattati sociali, ai facinorosi (tutti meritevoli di galera preventiva)? E non piuttosto alla nostra cattiva digestione di un intero periodo storico che, per inciso, era quello dei nostri padri? Perché le colpe dei padri ricadono sui figli? La risposta è semplice: perché gli vengono nascoste.
L’articolo che segue è certamente provocatorio: ne prendiamo le distanze e ne rigettiamo le conclusioni (in primo luogo quelle esposte nelle didascalie) almeno quanto ci affascinano i dubbi che semina (la Redazione).
Chi tradì e chi fu tradito, nell’estate del 1943?
di Francesco Lamendola
(pubblicato su accademianuovaitalia.it il 12 dicembre 2018)
La domanda è sempre la stessa: chi furono i traditori e chi furono i traditi, nell’estate del 1943? Se si vuole capire il presente, se si vuole capire il passato, se si vuole capire gli italiani, bisogna avere il coraggio di tornare a porla: sempre la stessa. Finora, invece, non è stata mai posta: sia i politici, sia gli stessi storici, hanno dato delle mezze risposte, dettate da una motivazione ideologica, non dal rispetto della verità, che è, fondamentalmente, rispetto di se stessi. E alle mezze domande hanno replicato con delle mezze risposte. È stato un gioco delle parti, in cui tutti hanno finto di esser soddisfatti perché tutti avevano qualcosa da nascondere. Ma ora, a oltre settant’anni di distanza, sarebbe ora di affrontare veramente la questione, di porla con l’onestà intellettuale e morale che essa merita. Se non sapremo farlo, dimostreremo a noi stessi e al mondo di essere rimasti sempre gli stessi, quelli dell’estate del 1943: sempre inaffidabili perché sempre insinceri, e sempre insinceri perché sempre interessati.
In linea generale, si può dire che quasi tutti, parlando dei tragici rivolgimenti dell’estate del 1943 – il 25 luglio, la caduta del fascismo, e l’8 settembre, il cambio di fronte nella Seconda guerra mondiale – tendono a evidenziare che gli italiani sono stati traditi; che l’esercito è stato tradito; che le speranze di pace sono state tradite; che il destino del Paese è stato tradito, eccetera. Stranamente, pare che tutti siano stati traditi, ma senza che sia ben chiaro chi sono stati i traditori. I fascisti, naturalmente; però… Il 25 luglio, sono stati proprio i gerarchi del Gran Consiglio a tradire Mussolini. E dopo l’8 settembre, quando ormai era chiaro che la partita era perduta, non sono stati pochi quelli che hanno ancora creduto in Mussolini e hanno deciso di stare con lui, in particolare molti giovanissimi, i quali, fascisti, non lo erano mai stati. Difficile, pertanto, considerarli dei traditori. E infatti, perfino la pubblicistica e la retorica più apertamente faziosa, quella resistenziale di matrice comunista, ha sempre dipinto i fascisti di Salò come dei folli, o dei criminali, o degli illusi, ma non come dei traditori: chi mai avrebbero tradito, salendo a bordo della nave che stava per affondare? Resta, però, un mistero: se tutti furono traditi, come è possibile che nessuno abbia tradito? Ha tradito il re, dice qualcuno, ma senza troppa convinzione. Sì, certamente; ma gli si può addossare l’intera responsabilità dell’immane tradimento che vi è stato nell’estate del 1943? E poi, le scene di giubilo nella tarda serata del 25 luglio, quando si diffuse la notizia della caduta di Mussolini e della nascita del governo Badoglio, dimostrano che gli italiani non consideravano il re un traditore, ma quasi un salvatore della patria: sarebbe dunque diventato un traditore tutto ad un tratto, la mattina dell’8 settembre? Ma il re, firmando l’armistizio con gli angloamericani, aveva fatto quel che la maggioranza del popolo desiderava ardentemente; dunque, perché l’8 settembre sarebbe stato, da parte sua, un tradimento? Era legittimo che lasciasse Roma: a cosa sarebbe servito farsi prendere dai tedeschi?
Un’altra risposta di comodo è questa: ci hanno tradito i tedeschi; tradito e ingannato. Non tanto l’8 settembre del 1943, ma il 1° settembre del 1939, quando invasero la Polonia a nostra insaputa, e dopo aver assicurato Ciano e Mussolini che, per almeno tre anni, non vi sarebbe stata la guerra – il tempo necessario per rimettere in efficienza l’esercito italiano, che aveva quasi svuotato i magazzini con le campagne d’Etiopia e di Spagna. Il primo a sostenere questa tesi fu proprio Ciano, il ministro degli Esteri che aveva firmato, pochi mesi prima, il Patto d’Acciaio con la Germania: tardiva resipiscenza, la sua. La verità è che Ciano era un dilettante, un superficiale e un opportunista, e che a lui la poltrona del ministero degli Esteri stava più a cuore del bene del Paese. Un altro, al suo posto, dopo l’attacco tedesco alla Polonia, avrebbe avuto la decenza di dimettersi, confessando di essersi lasciato raggirare. Ma lui non era solo un dilettante e un opportunista (come si vide il 25 luglio), era anche immensamente vanitoso: non si dimise e marciò coi tedeschi quando il Duce, il 10 giugno del 1940, dichiarò la guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.
Così, torniamo sempre al rebus iniziale: tutti traditi, nessuno che ha tradito; strano, molto strano. Sembra quasi un copione surrealista; sembra un giallo senza colpevole: c’è il delitto, ma nessuno che lo abbia compiuto.
L’impostazione più chiara e onesta di questa spinosa problematica l’abbiamo trovata in una pagina del libro di Giuseppe Mammarella e Zeffiro Ciuffoletti Il declino. Le origini storiche della crisi italiana (Milano, Mondadori, 1996, p. 129), là dove cercano di dare una risposta alla incredula osservazione di Hitler, il 26 luglio del 1943: Ma allora cosa è stato questo regime fascista che si è sciolto come neve al sole?
L’operazione di rigetto del fascismo e dell’appartenenza al PNF (Partito Nazionale Fascista, NdR) fu la più colossale operazione trasformistica della storia d’Italia che accomunò i fascisti per necessità familiari a quelli della prima ora. I distintivi del PNF si accumulavano nei tombini e nelle fogne e i liberatori alleati davanti alle proteste di agnosticismo o di antifascismo dei liberati si chiedevano dove si fossero nascosti i fascisti veri. Non si trattava più del trasformismo di individui e di partiti, come nel passato, ma di quello di un intero popolo. La posta di quell’operazione non era il riciclaggio di alcuni personaggi di alcune forze politiche, ma di un’intera nazione. L’operazione di salvataggio nazionale era impostata così bene e l’indignazione della gente contro il passato regime così genuina (e lo era in realtà anche per il senso di liberazione dalle sofferenze patite durante la guerra) che sembrava destinata a sicuro successo. Ma ciò che accadde poco più di un mese dopo, quando fu annunziato l’armistizio, rischiò di farla naufragare. L’8 settembre non segnò solo la resa dell’apparato militare, ma anche quella del governo, della monarchia e dello Stato creato dal Risorgimento e dal fascismo e all’insegna del “tutti a casa” rischiava di essere anche la resa di tutto un popolo. Se era vero che il fascismo era stato la provocazione di pochi e che il paese era stato contro la guerra di Mussolini, adesso che l’ex alleato tedesco tentava di imporre la restaurazione del fascismo e la continuazione della guerra, agli italiani non restava altra scelta che la Resistenza.
Altro che 8 settembre come rinascita della Patria; niente affatto, è stata la morte della Patria. E non solo è morta, ma abbiamo speculato anche sul suo cadavere: facendo finta che fosse resuscitata. Resuscitata, per opera di chi? Non certo del re e di Badoglio; su questo siamo d’accordo tutti, o quasi. E allora? Per merito della Resistenza? Ah, certo: questa è la risposta politicamente corretta, elaborata fin da subito, fin da prima che la guerra finisse; e ripetuta poi, come una giaculatoria sempre più vuota e banale, per anni, per decenni, continuamente, ma con sempre minor convinzione. Eppure, c’è ancora chi la prende terribilmente sul serio: provate a metterla in dubbio al cospetto di un intellettuale di sinistra, e lo vedrete montare in furore. Schiumando e digrignando i denti, vi dirà che volete infangare la pagina più bella della storia italiana; che volete riabilitare il fascismo e magari anche il nazismo; che non meritate neppure una risposta storicamente e politicamente strutturata, perché chi vuol mettere in dubbio i fondamenti della repubblica democratica non merita di esser preso sul serio. Già, appunto: i fondamenti della Repubblica democratica. È questo il nervo scoperto che li accomuna tutti, dall’estrema sinistra alla destra moderata: la sacralità del sistema democratico emerso, appunto, dalla lotta al fascismo, e che si è concretizzata nella Resistenza. Che, poi, la lotta al fascismo sia stata un’orribile guerra civile, culminata nella mattanza finale dei vinti, dopo che le ostilità erano ufficialmente terminate; e che a condurla siano stati soprattutto i partigiani e gli assassini comunisti dei G.A.P., la cui ideologia era tutt’altro che democratica ed era, anzi, assai più rigidamente e spietatamente totalitaria di quella dei fascisti che ora combattevano, è una questione di dettaglio, che non bisogna enfatizzare. Meglio, molto meglio sottolineare la concordia d’intenti e la solidarietà militante fra tutte le componenti della Resistenza, prefigurazione di una ritrovata concordia nazionale, naturalmente ad esclusione dei reprobi, allora e in sempiterno: infatti, per circa mezzo secolo, gli eredi dell’esperienza fascista non erano considerati degni di esistere, meno ancora di poter partecipare ad un governo della Repubblica. Anche se la prima repubblica l’avevano creata loro, dopotutto: la Repubblica Sociale Italiana, nata dal voltafaccia del re e dall’armistizio dell’8 settembre.
Ci spiace solo che l’ultimo periodo del brano sopra riportato, a nostro giudizio, scivoli appunto nella retorica della Resistenza come reazione ad un fascismo imposto da pochi e ad una guerra subita malvolentieri da tutti, due premesse discutibili, che rendono fallace la conclusione. Per tutto il resto, però, gli Autori sopra citati hanno delineato, in poche frasi, la vera essenza del problema, e hanno avuto il coraggio e l’onestà di guardare in faccia il lato sgradevole della questione, che quasi nessuno, prima di loro, aveva osato guardare senza finzioni o riserve mentali: quella del 25 luglio fu una gigantesca operazione di trasformismo, con la quale un popolo intero, fino ad allora sostanzialmente acquiescente, se non consenziente, con il ventennale regime al potere, volle prendere le distanze da esso, nel momento della probabile sconfitta e dell’imminente arrivo dei nemici, ora visti in veste di possibili “liberatori”, nonché amici e benefattori.
Il problema, però, è sempre lo stesso: come poté, un popolo intero, non vedere e non capire che quella non era la sconfitta del regime, ma dell’Italia? Che gli angloamericani non erano affatto dei liberatori, ma dei conquistatori? Che i tedeschi, ora dipinti come mostri, avevano combattuto a fianco dei nostri soldati a El Alamein e in tante altre occasioni, sorreggendo lo sforzo bellico italiano e procrastinando di tre anni il tracollo, che ora si annunciava? Tracollo morale, innanzitutto: perché lo sbarco in Sicilia non fu, come ora viene descritto da tutti, un evento fatale e irresistibile, una specie di forza della natura. Era resistibilissimo, invece: non vi era, sul piano militare, una sproporzione di forze tale da giustificare lo sfaldamento dell’esercito, l’inutile sacrificio dell’aviazione e la vergognosa, umiliante inazione della marina (e quanti denari e quanti sacrifici era costata quella magnifica marina, che al momento decisivo non sparò un solo colpo di cannone!). Tutto questo si poteva intuire già da come erano andate le cose a Pantelleria. Come a Caporetto ventisei anni prima, gli italiani non avevano più voglia di battersi: mostravano di credere che una guerra può finire semplicemente gettando il fucile nel fosso e tornandosene ciascuno a casa sua, non quando il nemico ha deciso, da vincitore e da conquistatore, che è finita. Però, quindici giorni dopo Caporetto, l’esercito italiano, sul Piave e sul Monte Grappa, si era già sostanzialmente ripreso; il fronte interno si era compattato; il Parlamento aveva deciso di stringere i denti e non arrendersi, mai, a nessun costo; e così anche il re – che poi era lo stesso del 1943. Invece, quindici giorni dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia, c’era stata la notte del Gran Consiglio, la notte del tradimento. Anzi, dei tradimenti: dei gerarchi verso Mussolini (e verso il fascismo, cioè verso se stessi); e del re verso il capo del governo, i cui atti aveva sinora sottoscritto, dal primo all’ultimo: comprese le leggi razziali e la dichiarazione di guerra. Pare incredibile, ma tutti, tranne Mussolini, erano convinti di poter non solo scendere dalla nave prima che affondasse, ma anche ritagliarsi un posto in cabina di comando sull’altra nave, sulla quale si accingevano a imbarcarsi. Perfino Grandi e Bottai, che pure erano uomini intelligenti. Insomma il 25 luglio l’Italia trovò un solo colpevole e un solo traditore, Mussolini; e l’8 settembre vi aggiunse un altro colpevole e un altro traditore: Hitler. Erano loro la causa di tutto; il popolo italiano era innocente. Era stato ingannato e tradito, appunto. Così dicevano Churchill e Roosevelt, così dicevano il re e Badoglio; così diceva Radio Londra, che tutti ascoltavano, non solo al Sud, ma anche al Nord: e la voce melliflua del colonnello Stevens pareva così convincente, così signorile, così veritiera… Al punto che un famoso giornalista italiano, nel 2012, ha avuto la bella pensata di intitolare Qui Radio Londra un suo programma televisivo di commento all’attualità politica. E pensare che Radio Londra era la radio del nemico, quel nemico che bombardava spietatamente le nostre città indifese, prima, durante e dopo l’armistizio dell’8 settembre; e che aveva iniziato i suoi programmi non nel 1943, con l’armistizio di Cassibile, e neanche nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, ma fin dal 1938: un anno prima dell’attacco tedesco contro la Polonia. Meno male che la pacifica Gran Bretagna non voleva la guerra e fu colpita dalle azioni di Hitler come da un fulmine a ciel sereno…
Comunque, tornando al programma di Giuliano Ferrara, il fatto che un giornalista intitoli un suo programma televisivo Qui Radio Londra dimostra quanto poco sono cambiate le cose dall’estate del 1943. Siamo rimasti gli stessi, esattamente gli stessi di allora: un popolo senza dignità, senza onore, che mendica la verità e la pace dai suoi nemici, e che scarica ogni responsabilità sul primo capro espiatorio che gli capita sotto mano, invece di prendersi le proprie sulle spalle…
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Fuor di retorica.
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/partigiani-si-nasce
Credo che Pansa scrisse quello che (a quel tempo) non si poteva scrivere.
Infranse un tabù, e fece bene.
Ma credo anche che tutto quanto scritto da Pansa non modifichi di un epsilon i fatti avvenuti durante il regime fascista di Mussolini (nè penso fosse sua intenzione farlo).
Non ha modificato la mia percezione di quanto successo in quegli anni nè il mio personale giudizio sugli attori della vicenda, però mi ha fatto capire una cosa.
Che anche i Partigiani erano innanzitutto degli uomini.
Comunque, come qualcuno ha già fatto notare, i due autori non sono paragonabili. Stanno su due piani diversi.
Basta leggere gli “articoli” di Lamendola per rendersene conto.
Scusa Lanzavecchia ma avrei bisogno di un chiarimento. Quando ho letto questa roba sono rimasto francamente stupito. Ho voluto controllare da dove fosse stata portata alla luce e in due minuti ho scoperto uno scantinato ancora più inquietante da cui ho ricavato la citazione negazionista riportata qualche post fa. Il mio stupore è aumentato invece di diminuire. Poiché alcune cose per me non sono negoziabili, anche per ragioni personali oltre che ideali, mi potresti chiarire a chi ti riferisci quando parli di sdoganamento e di ripugnanti personaggi? Per essere chiari e diretti: l’autore? La Redazione? Partecipanti al blog? Grazie
Ma che schifo. Nauseabondo. E nauseabondo lo sdoganamento di questa fuffa rivoltante da parte di non tanto cripto ma sicuramente fascisti. D’altra parte non mi aspettavo di meglio da certi ripugnanti personaggi.
[…] cosa cavolo significa emancipazione dall’infrastruttura dell’io in italiano?
La formula diviene indormativa solo dopo aver riconosiuto l’infrastruttura dell’io.
Prima è oscura.
L’infrastruttura dell’io corrisponde all’identificazione di noi stessi con qualcosa, in quanto la accreditiamo di verità.
Purtroppo anche in questo è richiesta la consapevolezza della nostra identificazione con questo o quest’altro.
Come sai l’esperienza non è trasmissibile.
Per dire che se in quelle formule percepisci qualcosa di attraente, certamente diventeranno lapalissiane e le potrai ricreare.
Diversamente sarebbe come provare a convincere chiunque che l’alpinismo è bello.
E cosa vuol dire diveniamo quindi adatti alla libertà da noi stessi. ?
Riconoscendo che inconsapevolmente ci identifichiamo in questo e quest’altro (se la tua squadra perde e senti pena implica un’identificazione) non possiamo avere a che fare con il nostro sé.
Ovvero siamo inconsapevolmente indotti a seguire credenze varie.
Ciò riduce l’infinita portata creativa di cui disponiamo.
La limitiamo a quella della superstizione in questione.
(Da qui viene anche la malattia e il malessere, entrambi generati dai cattivi sentimenti che le identificazioni implicano).
Sembri sottointendere che esista una storia oggettiva e una narrazione della storia falsa o falsata per dolo o per ignoranza.
Sottolineo che la storia è sempre altro dalla storiografia.
Colui che scambia la storiografia per la storia è indotto a credere in superstizioni.
Nel principio, non c’è questione di dolo, né di ignoranza.
C’è questione di necessaria parzialità che ci impone il discrimine tra giusto e sbagliato.
Quell’imposizione (dell’io) se non riconosciuta ci travolge fino a uccidere o ad essere uccisi.
In realtà io credo che non esista, mai e in nessun campo, la verità oggettiva e tutto sia narrazione.
(Se mi identificassi con ciò che scrivo, penserei che non capisci. Libero da quel tranello dell’io, accolgo la tua nota e mi adopero per riproporla in altro modo. La responsabilità dell’equivoco è mia. Se te la riferissi farei un’azione di separazione, assumendomela la relazione può proseguire alla pari).
[La storiografia] Come qualunque descrizione personale è cosa altra rispetto alla storia.
La storia esiste in quanto esistiamo noi.
Raccontarla e credere che la nostra narrazione corrisponda alla storia è una superstizione dell’io.
Che non esista il Vero, il Giusto o il Buono non ci esula dal dover giudicare e scegliere, altrimenti non potremmo vivere.
Non ci esula e non possiamo esimercene.
Il nodo è l’identificazione.
Se questa sussiste si realizza una realtà X.
Se questa non sussiste se ne realizza un’altra, diversa da X.
Ma non dimentichiamo mai due cose sicure che sappiamo di certo: primo, chi questa guerra l’ha iniziata […]
Questa formula che ora fai tua, ovvero te ne identifichi, in che modo resta proponibile quanto hai a che fare con le guerre di liberazione?
È qui il senso dell’identificazione, e del mondo che obbliga.
È qui che il gioco delle parti non smette mai di danzare scambiandosi – nel tempo – tutto.
È questo il punto più distante dal qui ed ora, un terreno in cui non ci si riduce ad assassini o assassinati senza la consapevolezza piena della nostra responsabilità.
In che termini la tua concezione del mondo è più vera della sua opposta?
In che termini tu cadi sempre dalla parte di quella giusta e l’altro in quella sbagliata.
Come è possibile se non a mezzo della forza di qualunque tipo distinguere le parti e credere nel giudizio che formuliamo se non a mezzo dell’identiificazione con qualcosa del tutto inventato dall’infrastruttura dell’io e solo in essa esistente?
[…] secondo, che a parti invertite gli abusi e i morti sono stati molti di più.
Il valore di Pansa non è comprimibile nella contabilità.
La sua è una voce che non c’era o che è riuscita a parlare ad un pubblico più vasto.
Temo che altri autori che prima di lui avessero trattato il tema, siano stati schiacciati sotto il maglio del dagli al fascista.
Con Pansa ci hanno provato ma lui ha retto l’urto e pare, a leggere il suo libro, che antichi suoi accusatori abbiano poi riveduto la loro posizione.
[…] “Il solo modo per scriverla (immagino la storia) è seguire la nostra natura.”
Alludo alla liberazione dalle ideologie e compagnia.
Nei periodi di avviamento alla scalata o allo sci (di solito chiamati corsi) le persone meno idonee ad avviare la propria curva di ri-creazione (di solito viene detto di apprendimento) erano i più strutturati. Le persone più spoglie di pregiudizi e pretese (mediamente le donne o le persone con un buon grado di femminino) erano le prime a muoversi secondo la loro misura. Le altre inseguivano invece un modello ideale che avevano eletto a verità. Erano così lontani da loro stessi. Con questi il lavoro non era scalare o sciare era spogliarli. Denudati, anche loro partivano seguendo la loro matura, il loro sé. Prima imitavano e adottavano comportamenti inopportuni, poi si mettevano in relazione con sé e il terreno. E la formula prima occulta che è il terreno che dice la verità, diventava ovvia e scontata.
La realtà non era più un oggetto nel quale muoversi ma era un ente con il quale mettersi in relazione e questo ente variava in funzione della relazione che avevamo con noi stessi. Allora la scalata non era più avere un risultato da vantare (superstizione dell’io) ma un ambito evolutivo. La soddisfazione vanesia del primo caso comportava dipendenza e ne richiedeva una ulteriore e così via. L’iddentificazione con il risultato, se non ottenuto, comportava malessere.
Nel secondo caso, la presa di coscienza di sé era un’incarnazione che la persona avrebbe portato con sé sempre e non solo in scalata o sciata.
Io, Lorenzo, qualche volta faccio proprio fatica a capire cosa tu intenda. Tanto da avere il dubbio che anche tu non lo sappia realmente. Intendo dire (intervento 19): “svestirsi dalle ideologie, dai dogmi, dalle moralitá concede comportamenti che fanno riferimento a noi, non a quello che crediamo. La cosa implica un’emancipazione dall’infrastruttura dell’io.”
A parte che ci di sveste di, non da, cosa cavolo significa emancipazione dall’infrastruttura dell’io in italiano? E cosa vuol dire diveniamo quindi adatti alla libertà da noi stessi. ?
La differenza tra storiografia e storia (intervento 26) mi pare poi come minimo fallace. Sembri sottointendere che esista una storia oggettiva e una narrazione della storia falsa o falsata per dolo o per ignoranza.
In realtà io credo che non esista, mai e in nessun campo, la verità oggettiva e tutto sia narrazione. Se non ci credi prova ad assistere una volta sola (lo so, è dura ma vale la pena) al Processo del Lunedì e ti accorgerai che qualunque “fatto”, oggettivato da almeno tre o quattro telecamere, può essere analizzato per ore senza giungere alla realtà: la Storia non esiste.
Ma non è vero che tutto è uguale e che rimane “esattamente da ogni parte deprecabile”.
Che non esista il Vero, il Giusto o il Buono non ci esula dal dover giudicare e scegliere, altrimenti non potremmo vivere.
Nella fattispecie, ricordiamo che ci sono stati abusi e vessazioni da tutte le parti, come dice Salvatore era una guerra.
Ma non dimentichiamo mai due cose sicure che sappiamo di certo: primo, chi questa guerra l’ha iniziata e, secondo, che a parti invertite gli abusi e i morti sono stati molti di più.
Il sangue di quei vinti non merita disprezzo o dileggio, ma nemmeno rimpianto: era necessario.
P.S.: mi rimane particolarmente oscuro cosa tu intenda con: “Il solo modo per scriverla (immagino la storia) è seguire la nostra natura.”
La storiografia, spesso scambiata per storia, corrisponde al pensiero di chi la scrive.
Necessariamente è partigiana.
Come qualunque descrizione personale è cosa altra rispetto alla storia.
Il solo modo per scriverla è seguire la nostra natura.
Che tanto sia stato tralasciato o distorto dalla storiografia divenuta per tutti storia è implicito.
L’identificazione di sé con una versione o l’altra implica l’assoggettamento a un’ideologia.
Una scelta spesso inconsapevole che non è altro che una spinta alla ruota della storia.
E quindi rieccola, esattamente identica a se stessa, esattamente da ogni parte deprecabile.
Scusate, non sono ancora andato a letto. L’argomento mi brucia.
… … …
Per quanto riguarda i cosiddetti negazionisti, cioè chi incredibilmente nega la verità storica dell’Olocausto, ne sono talmente esasperato che avrei quasi piacere che venisse introdotto il relativo reato: la galera.
Però, riflettendoci, mi convinco che quei miserabili vadano sbugiardati in altro modo, piú giusto e piú efficace: dobbiamo tutti imparare ciò che è stato, e dobbiamo divulgarne la storia ai nostri figli e alle generazioni che verranno.
Ricordare “che questo è stato” (Primo Levi).
Salvatore, io disprezzo Lamendola.
Disprezzo i fascisti. E detesto ancor piú i nazisti. Li detesto come male assoluto.
Però al mondo purtroppo esistono anche altri mali. Ed è nostro dovere morale conoscerli, giudicarli, combatterli. Per far sí che i nostri figli non debbano soffrirne.
… … …
Per quanto riguarda il resto del tuo intervento, permettimi di rinviare a domani le mie osservazioni. Ora è tardi e vado a letto.
Buonanotte a tutti quanti. Esclusi, beninteso, coloro che denigrano la democrazia. 👍👍👍
Scusate ma cosa c’entra Pansa con questo Lamendola? Stiamo paragonando due cose troppo diverse per contenuti e livello. Qualunque cosa si pensi di Pansa, stiamo parlando di un uomo che non ha mai detto quello che dice questo qui. Da uomo di sinistra moderata che è stato fino all’ultimo, come ha detto la compagna, ha messo in luce gli orrori della guerra civile ricordando che sono avvenuti non da un lato solo, ma gli era chiaro dove stava la parte giusta della storia e la parte sbagliata. Questo è un fascista e un negazionista e a me questa teoria dell’uomo come scatola di ciocolattini misti che si possono mangiare e apprezzare anche separatamente non convince. Sarò all’antica ma se una scatola contiene un ciocollattino avvelenato questo fa puzzare tutta la scatola e io non la compro.
Lorenzo
non mi pare che le tue considerazioni n° 19 attengano al merito dei fatti.
Lorenzo (21) e Fabio,
le vendette postume ci sono state, ma se vi avessero ammazzato un figlio, magari il 25 aprile del ’45 forse il 27 avreste sparato al suo killer… Era una guerra, forse è il caso di ricordarlo, e non l’hanno iniziata i partigiani.
Lamendola manipola la storia, e voi gli andate dietro: contenti voi…
«La verità è che “Il sangue dei vinti” e l’insieme dei libri venduti dopo si stavano muovendo come una talpa tenace e insidiosa. Capace di scavare un percorso destinato ad arrivare a un risultato inaccettabile per tanti maestroni boriosi: la vittoria del revisionismo storico a proposito della guerra civile italiana».
Giampaolo Pensa, ibidem, p.XIII
Io sono nato nel Triangolo della Morte.
Si tratta dell’originario storico Triangolo della Morte, quello ai cui vertici stanno Castelfranco Emilia (mio paese natale) e le sue due frazioni di Manzolino e di Piumazzo. In seguito la sua definizione fu allargata impropriamente a una superficie assai maggiore.
Ma io rivendico il primato dell’orrore dei comunisti massacratori castelfranchesi. Fascisti e non fascisti, perfino comunisti non allineati, popolani e borghesi, preti e laici, ricchi e poveri, contadini e commercianti, castelfranchesi e forestieri di passaggio: i valorosi massacratori non si fecero mancare nulla. E Pansa ne descrive la storia di alcuni (ma, beninteso, non fu il primo a farlo). TUTTI i vecchi di Castelfranco conoscevano quegli orrori.
E ora tu, Salvatore, mi racconti che la ricostruzione di Pansa non è attendibile? Che la storia vera è un’altra?
Vergogna!
La mia posizione non è ideologica, né storiografica. E’ fare presente che le concezioni della realtà filtrate dalle lenti ideologiche mandano alla deriva la qualità delle relazioni. Scatenano conflitti.
Svestirsi dalle ideologie, dai dogmi, dalle moralitá concede comportamenti che fanno riferimento a noi, non a quello che crediamo.
La cosa implica un’emancipazione dall’infrastruttura dell’io.
Le posizioni personali sussistono ma senza più identificazione in esse.
Diveniamo quindi adatti alla libertà da noi stessi.
Lorenzo,
prendersela con qualcuno per le sue idee è sempre sbagliato, e sbagliava chi impediva a Pansa di parlare. Questo però non rende di per sè attendibili le ricostruzioni di Pansa, che io ho conosciuto bene e di cui fui anche molto amico.
La storia vera è un’altra cosa, non è quella di Pansa. Si vedano i lavori seri anche di storici come De Felice, o Pavone, che mai han trovato alcunché di paragonabile alle “scoperte storiche” del mio amico Giampaolo; che la terra gli sia lieve.
Lorenzo, il tuo ultimo intervento mi ha rivelato con mio piacere un aspetto di te che non conoscevo.
Complimenti per la mente obiettiva che qui hai dimostrato di possedere: virtú rara.
P.S. Attenzione: non ho detto che nei tuoi passati interventi tu non fossi obiettivo. Semplicemente, ora lo sei stato in modo esemplare.
Lo ripeto: non è da tutti.
«Rivisto oggi, “Il sangue dei vinti” era un libro troppo nordista. Nel senso che la mia ricostruzione riguardava tutta l’Italia settentrionale, compresa l’Emilia e la Romagna, però si fermava lì. Non raccontava nulla della Toscana e dell’Italia centrale, neppure del Lazio e di Roma, territori che avevano vissuto anche loro un dopoguerra orrendo, gonfio di crimini e vendette.
Cercai di rimediare a queste assenze con i miei libri successivi, […]: “Prigionieri del silenzio”, “Sconosciuto 1945″, La Grande Bugia” e “I gendarmi della memoria”. In quei lavori replicai alle critiche che i custodi della Resistenza seguitavano a rivolgermi. E ai fastidi che mi procuravano le loro truppe in piazza. Culminati con un’aggressione a Reggio Emilia nell’ottobre 2006, che in seguito mi costrinse a presentare i miei libri sempre protetto dalla polizia e dai carabinieri. Sino a quando mi vidi obbligato a rinunciare ai dibattiti in pubblico.
Se ripenso alle contestazioni di quelli che chiamai Gendarmi della Memoria, oggi mi viene da sorridere. Prima ancora che “Il sangue dei vinti” arrivasse nelle librerie venni coperto da un’infinità di accuse. Tutte sparate dalle tante fazioni della sinistra. Dalle frange lunatiche più antagoniste alle correnti che si definivano riformiste, ma non intendevano riformare una storia incompleta o falsa.
[…]
In quel concerto violento e grottesco spiccavano alcuni tenori che apparteenevano all’intelletualità di sinistra e insegnavno storia contemporanea o moderna in più di un ateneo universitario. Questi piccoli baroni non accettavano che un dilettante come il sottoscritto avesse osato invadere il loro territorio. Mi giudicavano un abusivo doppiamente molesto poiché davo una lettura della Resistenza che loro consideravano blasfema».
Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, Sperling e Kupfer, Milano, 2020, p XI, XII
Tutti hanno il diritto di esprimersi, nei limiti delle leggi. Io personalmente non sono interessato a prendere in considerazione chi sostiene che le camere a gas sono state ricostruite per favorire il sionismo e che Hitler ha adottato la soluzione finale vista l’impossibilità di deportare gli ebrei in Madagascar. Di’ le tue cazzate sul tuo sito ma stammi lontano per non farmi venire tentazioni del passato. Spero che il prof. quando insegna nella sua scuola sia professionale e sappia distinguere il suo impegno di propagandista dal suo ruolo di educatore pagato dalla Repubblica italiana quindi da noi, molti dei quali figli e nipoti di “traditori “ che ci hanno rimesso la vita per cercare di attenuare le nostre colpe di fronte al mondo e permetterci di non pagare quello che hanno pagato i nostri alleati tedeschi con magari Roma rasa al suolo e i lanciafiamme a stanare gli ultimi gerarchi nel bunker di Piazza Venezia e Mussolini e la Petacci suicidi in un wagneriano crepuscolo degli dei.
Partiamo da un presupposto, una qualunque persona, uomo o donna che sia, nel momento in cui si trova di fronte un soggetto disposto ad ucciderla o comunque a fargli molto male, può scegliere fra: subire o combattere. Se decide di subire può darsi che abbia salva la vita, forse per sempre forse per un po’. Se decide di combattere o sviluppa la stessa ferocia dell’aggressore o se no è meglio che lasci perdere.
Quante sono le persone capaci di sviluppare tale ferocia? Poche. Questo è il motivo per il quale una minoranza feroce riuscirà sempre a sopraffarre una maggioranza tranquilla. Cercare, pertanto, di giustificare la minoranza feroce condividendo le colpe con la maggioranza tranquilla mi pare un’operazione di sciacallaggio e a maggior ragione quando si cerca di tirare in ballo una popolazione, come quella italiana, che all’epoca era costituita in buona parte da contadini analfabeti.
In ogni caso la parola traditore credo venga usata spesso in maniera inappropriata. Lungi da me il voler giustificare Mussolini, non ci penso neanche lontanamente, ma credo che il vero traditore sia stato Vittorio Emanuele il quale, per motivi mai storicamente chiariti fino in fondo, consentì a Benito di andare al potere quando invece avrebbe potuto fare piazza pulita mandando l’esercito contro i marciatori su Roma.
Ma il popolo stesso, che nell’articolo di Lamendola passa per traditore, sembrerebbe averlo capito quando ha votato per la Repubblica, mandando così in esilio un reuccio da quattro soldi, dal carattere forte quanto la sua bassezza.
Che noia questi fascistelli da quattro soldi che ancora insistono con la retorica del tradimento. Forse gli servirebbe vivere un poco di fascismo vero. Che so, alla prima opinione espressa non gradita una bella bottiglia di olio di ricino. Insisti a pensarla diversamente? Una squadra di merdacce ti brucia la casa e ti riduce in fin di vita a forza di botte. E se proprio proprio insisti ti manda in “villeggiatura ” in una bella isoletta. O già che ci sono ti ammazza. Curioso che fossero tutti fascisti, eh.
Dall’articolo si evince che tutti hanno tradito, tranne Mussolini; che tutti erano colpevoli, tranne Mussolini; che la prima, vera, Italia Repubblicana è quella fondata dai ted…ooops! da Mussolini.
Bene. Tutti colpevoli, tutti traditori, l’Italia è morta l’otto settembre.
Non credo che sia andata proprio così e sono felice che sia morta quell’Italia. Preferisco vivere conquistato dagli anglo-americani (compresi i coloniali) che dai tedeschi. Ma è una mia opinione.
Anche se a loro si ascrive la colpa storica di aver evitato a tutti i costi che si potesse fare i conti con il fascismo, assolvendo e lasciando in carica tutti i funzionari fascisti, dai giudici, ai prefetti e i questori fino ai segretari comunali
Resta la perplessità circa la logica di chi pretende che la colpa di una situazione possa essere di qualcun altro differente da chi aveva governato, grazie a un colpo di stato, nei precedenti venti anni senza tollerare alcuna opposizione, eliminando anche quella “interna” al suo partito!
Leggo ora il commento di Pasini subito prima del mio, e lo condivido in pieno
Non so se sia negazionista o fascista o quale altro “ista” si meriti.
Non è questione di chi ha tradito chi, questa non è la ricostruzione di un matrimonio non riuscito!
Il Re e il Fascismo cui egli, dopo aver spalancato le porte negando lo Stato d’Assedio nell’Ottobre del ’22, ha sempre tenuto bordone fino alla fine, han precipitato l’Italia nel disastro delle leggi razziali prima e poi della II Guerra mondiale.
L’Italia la guerra l’ha persa (per fortuna!) e ne è uscita malissimo, ma ne è uscita, Doveva farlo. L’esimio autore del pezzo si arrampica sulla Storia come su un tiro di 10c, grado difatti inesistente, ma non sarebbe capace neanche di fare un 4b.
Con la scusa di cercare “il traditore” egli vorrebbe rivalutare e giustificare da un lato, condannare dall’altro. Manipolatori della Storia ce ne sono sempre stati tanti, nihil sub sole novi…
Basta non cadere nelle loro trappole sofistiche.
Pure dall’articolo emerge il pensiero dell’autore. La serie di finte domande contiene in realtà precise affermazioni. Considera traditori coloro che deposero Mussolini, nemici e conquistatori gli alleati. Ritiene che la guerra potesse essere vinta anche dopo lo sbarco in Sicilia. Valorizza i tedeschi come alleati. Fa riferimento al tradimento della marina, sminuisce il ruolo della Resistenza etc…..Sono tutti temi tipici di una certa storiografia minore para fascista che giravano nel dopoguerra e che poi furono abbandonati dalla stessa Alleanza Nazionale ma continuano a girare in un certo sottobosco internet che comunque nulla ha a che vedere con il revisionismo storico alla De Felice. Aggiungo una cosa personale. Mio padre era alla base navale di Augusta quando sbarcarono gli americani e aveva una visione diversa del comportamento della Regia Marina. Mio zio aveva fatto la ritirata di Russia e decise di andare in montagna, dove poi fu ucciso, proprio dopo aver visto il comportamento dei tedeschi nei confronti dei nostri soldati durante la ritirata. Credo che sia inutile entrare ulteriormente nei dettagli. L’articolo, a mio parere di pura propaganda e non storiografico, penso sia stato proposto per sollevare un tema generale e non una discussione specifica sulla caduta del fascismo.
Non dall’articolo dunque.
Quindi non solo è un fascista ma anche un negazionista.
Se non basta quanto scritto qui e se uno ha uno stomaco buono, basta guardare il sito dove è stato pubblicato e cosa contiene o fare semplicemente una ricerchina con Google su questo personaggio che insegna in un liceo statale e quindi è un dipendente della Repubblica Italiana, e poi dicono che non siamo democratici. Questa è un’altra chicca che ho trovato sul sito EreticaMente ( la M è maiusola e in rosso, guarda caso).
“Che poi questo crimine, che senza dubbio ci fu, sia stato notevolmente gonfiato a guerra finita, per ragioni propagandistiche che avevano a che fare col sionismo e con la creazione dello Stato d’Israele; che, pur di avvalorarne i particolari più macabri, ci si sia affrettati a ricostruire le camere a gas, mai trovate, presentandole ancor oggi come se fossero quelle originarie; che si sia ricorsi a una forzatura e a un travisamento linguistico già nella scelta del termine, facendo passare l’espressione Soluzione Finale per una premeditata volontà di genocidio, mentre essa indicava, in origine, una generica “soluzione”, definitiva, sì, ma non necessariamente omicida, della questione ebraica, mettendo in ombra il fatto che solo dopo la battaglia di Mosca, cioè dopo le prime avvisaglie che il Terzo Reich avrebbe perso la guerra, Hitler decise di dare a quella espressione il significato più sinistro, mentre prima aveva pensato ad altre soluzioni, come un trasferimento in massa nel Madagascar”
Mi sono deciso a leggerlo, ma ci sono riuscito solo a pezzi.
Mi sembra strano nel 2020, mi sembra fuori dal tempo attuale, delirante, a meno che non serva per confermare il sistema di potere attuale basato sull’ignoranza obbediente della gente che consuma ciò che viene pubblicizzato senza mai farsi domande.
Non capisco il significato di questo scritto.
L’editore può spiegarmi per favore?
Non credo che l’autore possa spiegarmi il significato di ciò che ha scritto, si comprometterebbe troppo.
Da cosa si capisce senza dubbio che l’autore dell’articolo sia un fascista?
Quando m’imbatto in codesti signori, vorrei avere a disposizione una macchina del tempo per riportarli all’era del “ventennio” per qualche settimana. Però dalla parte sbagliata del manganello, quella della punta.
Magari nei panni di uno di “razza ebrea”, vero o presunto, sul punto di essere deportato.
Giusto per fargli provare qualche applicazione pratica delle loro teorie.
Dopodichè, una volta ritornati al tempo odierno, liberi di continuare a pensarla allo stesso modo, ma almeno con cognizione di causa.
Nemmeno io ho vissuto quei tempi, per fortuna. Ma ho parlato con così tanta gente che li ha subiti in prima persona, da averne più che abbastanza.
Gli Italiani sono stati traditi? Eccome se sono stati traditi, ma non il 25 luglio o l’8 settembre.
Furono traditi ben prima, quando a Mussolini venne conferito l’incarico di formare il governo (da Vittorio Emanuele, 30 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma e le minacce di Mussolini di prendere il potere con la violenza. Il re si rifiutò di firmare lo stato d’assedio di Roma e Facta, l’allora Presidente del Consiglio, si dimise.
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Marcia_su_Roma).
Traditi quando quel governo ottenne la fiducia in parlamento (voto a favore di Gronchi, De Gasperi, Giolitti…
Vedi https://storia.camera.it/regno/lavori/leg26/sed189.pdf).
Traditi quando lo stesso parlamento gli diede i pieni poteri (vi ricorda qualcosa di recente?)
(vedi: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1922-12-03;1601)
Traditi dalla nuova legge elettorale (legge Acerbo, 18 novembre 1923
Vedi: https://storia.camera.it/img-repo/ods/2013/06/25/CD1710000014.pdf)
Legge che istituì un forte premio di maggioranza (anche questo ricorda qualcosa?).
Traditi quando venne ucciso Matteotti dopo le elezioni del 1924 (10 giugno 1924).
Traditi quando tutti i partiti e le associazioni non fasciste vennero sciolte e l’opposizione azzerata segnando l’inizio ufficiale della dittatura (anni 1924-1925,”leggi fascistissime”
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_fascistissime).
Mah…
A parte l’azzeramento dell’opposizione, dal 1929 gli Italiani non hanno più avuto, di fatto, la possibilità di esprimere il proprio voto (fino al ’46).
Prima con la forma cosiddetta “plebiscitaria” del 1929 e del 1934 (per chi volesse vedere la scheda elettorale la trova qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_1929#/media/File:Scheda_per_la_votazione_-_Legislatura_XXIX_-_Elezioni_politiche_25_marzo_1934_-_Fronte.jpeg
…abbastanza diversa da quelle a cui siamo abituati, non è vero ?)
Poi nemmeno più quella: basta elezioni (fino, appunto, al 1946).
Mah…
Vogliamo parlare delle V1 e delle V2 su Londra?
Bombardamenti di “città indifese” ci sono stati da entrambe le parti e in Italia sono continuati anche dopo l’armistizio a causa della permanenza dei tedeschi sul suolo italiano.
La “spietatezza” fa parte della guerra, purtroppo. Attribuirla a una parte sola è parlare “alla pancia”.
Insomma, a me sembra che la “mancata digestione” di questo periodo storico appartenga piuttosto ai cosiddetti “nostalgici” che non ad altri.
Detto in due parole: il regime fascista di Mussolini fu una gran porcata.
Sarebbe ora che questi signori ne prendessero atto, con “onestà intellettuale e morale“, se ne sono capaci, e provassero ad andare avanti.
Che io sappia l’Uomo è sempre lo stesso nel cervello fin dai tempi degli antichi greci, forse da prima, dagli assiri, segue solo idee, o spesso solo mode.
Che l’autore dell’articolo sia un fascista che avrebbe voluto la vittoria delle forze dell’Asse come in un inquietante distopic che gira su Netflix non ci sono dubbi. Parlando però giustamente di “mancata digestione di un periodo storico” dobbiamo aggiungere anche il passato fascista di molti grandi dell’alpinismo italiano. Abbiamo rapidamente accantonato la faccenda dicendo “ma loro arrampicavano e il resto non gli importava” anche quando dedicavano via ad Italo Balbo nel 1940!come Comici. È il “lato oscuro” della capacità di far convivere elementi diversi senza troppa fatica e di assolvere con qualche avemaria anche peccati di una certa importanza. Nella loro capitale i tedeschi accanto al Reichstag simbolo della grandezza germanica hanno messo il messo il museo dell’Olocausto, simbolo della loro eterna vergogna, ma noi anche su quest’ultimo punto ci siamo rapidamente assolti.