Sulla riforma della scuola
(progetto di riforma dei programmi di studio del ministro all’istruzione Valditara)
di Giovanni Widmann
Le anticipazioni emerse in questi giorni sul progetto di riforma della scuola del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara (di cui è atteso il decreto a marzo) hanno immediatamente acceso il dibattito, incentrato su diversi contenuti. Qui vogliamo soffermarci sulla questione dell’insegnamento della storia e in particolare su due aspetti che paiono controversi e problematici:
a) una didattica che ancora una volta privilegia la narrazione di fatti storici (historia rerum gestarum) senza problematizzarli, ovvero senza distinguere i fatti e gli eventi (res gestae) dalla loro interpretazione storiografica;
b) la soppressione della geostoria, privilegiando la storia europea e occidentale.
Circa il primo punto, paventiamo un’impostazione neogentiliana, non tanto perché focalizzata sul primato assegnato alla cultura umanistica, quanto perché nelle pieghe del progetto si intravede un implicito disconoscimento del valore formativo del metodo scientifico e della ragion critica; infatti l’enfasi assegnata al recupero dell’epica classica e della mitologia nordica sembra voler offuscare gli apporti fondamentali che il razionalismo di derivazione illuministica ha fornito in particolare nell’ambito della teorizzazione politica e nella lotta contro ogni dogmatismo, fideismo, oscurantismo e fanatismo (religioso e/o politico), così come contro credenze ingenue, idolatrie e superstizioni.
In particolare per quanto concerne l’insegnamento della storia, da lungo tempo la ricerca in metodologia e didattica ha riconosciuto il valore formativo del metodo piuttosto che della conoscenza nozionistica di un repertorio di fatti. Gradualmente e fin dai primi anni di studio, lo studente impara ad analizzare, contestualizzare ed interpretare gli eventi, a selezionare e vagliare le fonti primarie e secondarie, a cogliere relazioni, co-implicazioni e dipendenze, focalizzandosi non soltanto sulla macrostoria politico-istituzionale-militare e sui grandi avvenimenti ma anche sulla storia economica, della mentalità e del costume, sulla demografia, sulle microstorie, facendo collegamenti di tipo sincronico e diacronico, leggendo e problematizzando gli eventi storici senza limitarsi a riconoscerli e raccontarli come fatti provvisti di una datità oggettiva, perché «i fatti storici non si possono minimamente paragonare a pesci allineati sul banco del pescivendolo. Piuttosto, li potremmo paragonare a pesci che nuotano in un oceano immenso e talvolta inaccessibile: e la preda dello storico dipende in parte dal caso, ma soprattutto dalla zona dell’oceano in cui egli ha deciso di pescare e dagli arnesi che adopera: va da sé che questi due elementi dipendono a loro volta dal genere di pesci che si vuole acchiappare [1]».
Inoltre deve pervenire alla consapevolezza che il presente si comprende alla luce del passato, ma anche, aspetto questo meno intuitivamente evidente, che il passato riceve la sua luce dal presente: «L’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato. Ma non è forse meno vano affaticarsi nel comprendere il passato, se non si sa niente del presente [2]». In questo senso lo studio del passato è soggetto a periodiche riscoperte e reinterpretazioni e il giudizio espresso intorno ad un’epoca risente degli interessi dominanti e della temperie culturale che caratterizza quel preciso momento storico. Perciò la storia raccontata nei manuali di storia rappresenta il livello emergente di un lavoro storiografico sotterraneo ed anteriore di cui lo studente deve avere consapevolezza. Ne deriva che le prime domande che egli si deve porre è: quale storico ha scritto il manuale? A quale indirizzo storiografico appartiene?
Sia chiaro: noi siamo assolutamente favorevoli a ridare dignità alla cultura umanistica e al contributo determinante che essa può fornire allo sviluppo del pensiero critico e dell’autonomia di giudizio. In questi anni abbiamo criticato una evidente deriva della scuola italiana, invero in atto nel mondo occidentale ad economia avanzata, tesa a privilegiare gli aspetti tecnico-pratico-utilitari delle discipline, fenomeno che non tanto ha svalutato le materie umanistiche a vantaggio di quelle scientifiche, ma piuttosto ha considerato queste stesse esclusivamente per le loro ricadute applicative – le scienze applicate, funzionali e strumentali alle richieste e necessità dell’economia e della produzione (STEP: Science, Technology, Engineering, Mathematics) – piuttosto che anche per il loro intrinseco valore formativo, in particolare nel caso delle scienze e della matematica (logica, rigore concettuale, pensiero divergente e insight, procedimento ipotetico-deduttivo, verifica sperimentale, ecc.). Ben venga quindi la cultura umanistica, la valorizzazione della grande tradizione letteraria, le arti e la musica, il potenziale evocativo e rivelativo dei miti classici e dei grandi racconti biblici. Il problema è chiedersi: a quale scopo? Curiosamente, ci troviamo in questo frangente a difendere il valore del metodo scientifico e della visione scientifica del mondo contro i possibili rischi di un ritorno a istanze esoteriche e antiscientifiche.
Ciò che contraddistingue il metodo scientifico e in parte quello dello storico è il vaglio critico, la costante e prudente riserva, lo sguardo investigativo e analitico, l’intuito, l’esercizio di una sorvegliata verifica, l’attitudine a formulare ipotesi e non asserzioni di verità aprioristiche, la formulazione di piani di ricerca aperti anche alla prospettiva dell’errore o dell’infecondità, sapendo cogliere il potenziale euristico dell’errore. In questo senso la focalizzazione sul metodo, nella didattica della storia, e soprattutto nella scuola primaria e secondaria di primo grado, abitua l’allievo a riconoscere che il racconto storico è l’esito di un più ampio lavoro di ricostruzione; soprattutto, lo attrezza a neutralizzare tentativi di falsificazione e manipolazione, riduzionismi, strumentalizzazioni, ricostruzioni parziali e/o tendenziose, insomma a sviluppare l’attitudine al sospetto, una competenza quanto mai necessaria nella società odierna dove sempre più spesso ci si informa attraverso i social media e dove alta è l’esposizione al rischio delle fake news, senza contare le sfide lanciate dall’intelligenza artificiale, con le sue insidie oltre che opportunità.
Perciò urge sviluppare capacità di analisi critica e di decostruzione attiva. In questo senso condurre attività laboratoriali di ricerca sulla storia locale a scopo didattico, accanto alla più tradizionale modalità espositiva delle vicende storiche, è un obiettivo formativo che può rappresentare un sano antidoto al condizionamento arbitrario e alla semplificazione della complessità in quanto stimola l’apertura, abitua a misurarsi con le fonti e a porre problemi e domande; d’altra parte le risposte sono sempre parziali, provvisorie, suscettibili di ulteriori investigazioni, alimentando così nuove domande.
Circa il secondo punto, il privilegio assegnato alla storia dell’Occidente europeo, così come viene declinata – studio delle civiltà greco-romana e delle radici giudaico-cristiane, introduzione alla lettura della Bibbia – denuncia la chiara matrice ideologica dei promotori, pervasi da una evidente ossessione identitaria che fa appello al mito delle origini e di una presunta purezza delle scaturigini, trascurando che ogni cultura è per sua essenza aperta all’incontro, allo scambio e alla relazione: non è una formazione statica e monolitica ma evolve attraverso apporti di altre culture, anche attraverso crisi epocali, rotture e superamenti. Non voler comprendere questo è compiere un’operazione conservatrice che affronta il futuro con gli occhi rivolti al passato. È fondamentale conservare memoria del passato, ma soltanto se in esso si individuano i segni del cambiamento, secondo una prospettiva progressiva e dialettica della storia.
Con questo non si nega l’importanza della conoscenza della classicità, cifra della nostra tradizione culturale; è evidente infatti che per comprendere le culture altre occorre innanzitutto conoscere bene le proprie radici, ma l’enfasi esclusiva posta sul concetto di identità e appartenenza a nostro modo di vedere rappresenta una volontà eminentemente politica di restaurazione, una reazione motivata dalla paura della perdita (di certezze, di stabilità, di valori) e dal complesso dell’accerchiamento; una visione archeologica e nostalgica della propria cultura che guarda al passato perché incapace di misurarsi con la complessa realtà multiculturale della contemporaneità, che non sa o non vuole indagare le cause del relativismo e del nichilismo pensando di arginarli semplicemente con un’operazione di restauro conservativo del passato, con ciò pregiudicando alla scuola pubblica la possibilità di fornire ai giovani strumenti fondamentali per orientarsi nella complessità e per affrontare le incognite del futuro, mai così incerto e contrassegnato dal tempo rapido del cambiamento.
Se la tradizione e la memoria del passato vengono concepite come elementi di separazione, se vengono ritenute superiori in un’arbitraria gerarchia delle culture, se vengono celebrate e idealizzate anziché investigate e comprese nei loro punti di forza, ma anche nelle loro limiti, con senso critico e capacità di distanziamento, esse diventano d’impedimento a qualsivoglia confronto interculturale e si prestano alla riproposizione di un eurocentrismo fuori tempo massimo, rappresentando una battaglia ideologica di retroguardia.
Ecco perché il nostro giudizio è fortemente critico: l’impianto generale del disegno di riforma dei programmi di studio tradisce un sovranismo culturale nostalgico e reazionario, isolazionista e autoreferenziale, inesorabilmente destinato a fallire nell’epoca della mondializzazione, laddove sono richiesti sguardo lungo e apertura di orizzonti, possibili soltanto adottando una prospettiva più ampia che metta nelle condizioni di comprendere altre donazioni di senso, altre visioni del mondo, altre storie.
Note
[1] Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino, 1966, pp. 28-29.
[2] Marc Bloch, Apologia della storia, Einaudi, Torino, 1998, p. 36.
1
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Siccome non sono un pecorone, ragiono come mi pare!!
Oddio gli ultimi 20 picchetti ed okkupazioni che ho visto erano strettamente di una parte , tanto da fare pubblicamente anche i rettorati.
–
I picchetti violenti non sono sempre di una parte. Sono anche dell’altra…
Oppure si vede solo a senso unico??
Appunto, i veri pecoroni sono i sinistrorsi, specie overtime come molti di voi, oggi 2025 che ragionate ancora come foste nel ’68.
Pensare con la propria testa è esattamente il contrario di fare i picchetti davanti all’università cercando di bloccare la didattica per chi la pensa diversamente.
“la scuola deve insegnare a pensare con la propria testa e non a creare un branco di pecoroni a servizio dei potenti di turno.”
Occazzo e chi glielo dice adesso al Crovella?
Expo ti sei scordato che la scuola deve insegnare a pensare con la propria testa.
E non a creare un branco di pecoroni a servizio dei potenti di turno.
Crovella ne sa più di te Giovanni, anche se te sei sul campo e fai l’insegnate e vivi sulla tua pelle i problemi della scuola.
Era convintissimo!!
E lo è ancora!! Anche se si è rimangtao quello che ha detto.
Francamente però mi risulta difficile parlare di un brano riferito a un testo che ancora non esiste, visto che è previsto per marzo.
Certo che il fatto che il Ministro dell’ Istruzione sia un laureato in Giurisprudenza e docente presso una università privata fondata di una setta chiamata Legionari di Cristo non poi che mi lasci tranquillo…
“I Programmi Ministeriali debbono essere la Bibbia su cui si fonda il Docente, per poter esercitare, con mano ferrea ma compassionevole, il sano controllo della fragile mente del Discente affinché Egli possa diventare cittadino modello della Amata Patria ed evitare che il Giovinetto in preda alle turbe della età sua possa perdersi per le strade buie del pensiero originale e delle pratiche perverse”
Crovellaaa, la pillola!
Umiltà e umiliazione parole visibilmente simili ma distanti nel significato , che gaffe ministeriale.
O era convinto?
“Ma l’umiliazione non appartiene alla scuola”: concordo. E ci mancherebbe.
Questa il ministro l’aveva detta un po’ di tempo fa:
https://www.la7.it/intanto/video/valditara-evviva-lumiliazione-come-fattore-di-crescita-e-scoppia-la-polemica-24-11-2022-461397
Fregnacce sono per quei poveri di mente che non le capiscono, ma non è colpa della mia cultura bensì della evanescenza dei poveri di intelletto. Da che mondo e mondo, diciamo da oltre 100 anni almeno, i programmi scolastici sono centralizzati, cioè ministeriali. Questo è il punto, sennò, a che serve la scuola? la libertà citata dalla costituzione NON può coinvolgere i programmi della scuola dell’obbligo (estesa fino alla maturità). Quel principio può riguardare corsi successivi: esempio se io vado a un corso di inglese o di tango o di cucina caraibica, ci sta che le diverse scuole di quei settori e addirittura i singoli insegnanti siano completamente “liberi”. Ma non è possibile che la scuola sia impostata in quello stesso modo. La scuola DEVE EDUCARE i ragazzi ad esser futuri cittadini maturi e consapevoli e ciò lo si fa (oltre che a educare a sapersi comportare “bene”) si incentra sulle nozioni oggettive. Anche i nostri ragazzi hanno necessità di imparare, se del caso a memoria, l’Infinito di Leopardi o il teorema di Pitagora 8estratti come esempio di nozioni culturali da incamerare per sempre). A maggior ragione questo principio vale per i ragazzi figli di immigrati (ovviamente REGOLARI) i quali ragazzi devono anche smontare la loro forma mentis islamica e acquisire quella europea “aristotelica”. E’ inutile parlare di stato di diritto, se i ragazzi immigrati non acquisiranno la forma mentis aristotelica. E’ questo il punto che richiede una gestione centralizzata e molto rigida dei programmi scolastici ed educazionali.
A cosa serve la scuola ?-
Deve preparare alla vita ( educazione civica ) ed al lavoro ( qualità dell’istruzione , soprattutto di quella logico -matematica ) , oppure all’ideologia ed alle manifestazioni ?
–
Veramente qualcuno pensa che riceverà un buon lavoro perchè la Costituzione obbligherà qualche datore di lavoro ad assumere un inetto , piuttosto che perchè hai avuto una buona formazione e la usi per costruirti una professionalità producendo qualcosa di utile ?
Giovanni, certezze e basi sono indispensabili. Allenare la memoria è utile. Come dovrebbe essere una certezza e una regola, il rispetto della figura dell’insegnate, alleato con il genitore. Ma l’umiliazione non appartiene alla scuola, caso mai è roba da campo di sterminio di nazzista memoria.
Alcune riflessioni da docente di italiano e storia di un istituto tecnico. Intanto dovremmo uscire dall’ipocrisia del parlare sempre della scuola italiana come se fosse omogenea (e mi riferisco soprattutto alle scuole superiori di secondo grado). A parte le Indicazioni Nazionali (licei) e Linee Guida (rispettivamente per Istituti Tecnici e Istituti Professionali) occorre capire che cambiano moltissimo i contesti: un professionale nella periferia di una grande città (es. Milano o Prato) non è un liceo classico di un centro più piccolo (es. Viareggio). La verità è che indipendentemente dai riferimenti normativi si creano (e qui dovremmo intervenire) sul territorio scuole di serie A, B e C, dove nelle A non troveremo molti alunni con disturbi dell’apprendimento, non troveremo figli di immigrati, né alunni con disabilità. In B e C invece avremo classi con percentuali decisamente diverse e quindi problematiche diverse rispetto al “il greco proprio non gli entra”. Quindi queste normative lasciano il tempo che trovano; sono le scuole, le famiglie, gli uffici scolastici a tutti i livelli e fare la scuola. Giusto per fare l’avvocato del diavolo e non essere tacciato di approccio ideologico vorrei sottolineare che certamente “i fatti storici non si possono minimamente paragonare a pesci allineati sul banco del pescivendolo” e di sicuro un approccio più d’insieme, critico e di analisi è più formativo, però sapere che il Medioevo inizia per convenzione nel 476 e finisce, sempre per convenzione, nel 1492 è il minimo. Spesso faccio riflettere gli alunni anche sul concetto di periodizzazione e convenzione (in pratica il Medioevo … non esiste! O potremmo farlo terminare nel 1789, quando la società europea iniziò davvero a mutare), ma mi sto rendendo sempre più conto che alcune certezze e basi debbano assolutamente esserci. Anche a memoria.
Ho sentito dire che uno dei principi base del nuovo metodo di educazione scolastica sarebbe l’ UMILIAZIONE.
Mi sembra un ottima base di partenza. Ho sempre desiderato essere umiliato.
2. Ma a parte le tue solite personali fregnacce, assolutamente prive d’interesse, qualche commento nel merito del testo, che non hai letto? Se vuoi farla breve c’è il riassunto nell’ultimo paragrafo.
Anche su tale punto eaprimo la mia già esposta idea che la costituzione sia obsoleta e vada riscritta dalla prima riga. La scuola (intendendo la scuola dell’obbligo e anche fino alla maturità, ovvero oltre il limite dei 16 anni della scuola dell’obbligo in senso stretto) NON è un contesto in cui si insegnano liberamente le materie ai ragazzi/e. La scuola è un momento formativo molto importante, io dire quasi perfino più importante delle famiglie (sotto questo punto di vista), e a scuola si insegna non tanto la matematica,. il latino e la storia, ma a essere “adulti consapevoli e maturi”. Ergo non ci sono tante strade per arrivare a questo obiettivo: la strada è una e al massimo ci sono èpiccole variazioni sul tema. Da qui la fondatezza dei programmi ministeriali (altrimenti l’insegnamento sarevbbe diverso dal Brennero alla sicilia e invece deve essere UGUALE per tutti). su questa considerazione di fondo, se ne aggiunge una collegata alla folta presenza di bambini e giovani figli di immigrati. IO SOSTENGO APERTAMENTE CHE L’INTEGRAZIONE PUO AVVENIRE A DUE CONDIZIONI BASILARI CHE SONO IRRINUNCIABILI: 1) innazi tutto gli immigrati (e quindi anche i loro figli) devono essere regolari e non irregolari/clandestini; 2) gli immigrati DEVONO esser disposti a europeizzarsi, abbandonando la forma menti originaria e acquisendo quella della nostra cultura. Per fare ciò E’ DOVEROSO che siano disponibili a imparare i nostri valori che sono impliciti nelle nostre nozioni. imparare la storia europea è fondamentale per la loro europeizzazione, ma anche il latino, la matematica e la filosofia. Se non vogliono imparare queste nozioni, è evidente che NON voglio europeizzarsi e allora non ci sarà efficace integrazione. meglio che se ne vadano.
Le discussioni sulla storia sono condizionate da un equivoco autoritario: nel linguaggio dell’ipocrisia ministeriale le cosiddette indicazioni nazionali sui programmi non sono suggerimenti, ma obblighi e prescrizioni cui gli insegnanti non dovrebbero sottrarsi. Prima di ogni riflessione pedagogica o didattica bisogna esigere il rispetto della costituzione che all’articolo 33 garantisce la libertà degli insegnanti (“L’arte e la scienza dono libere e libero ne è l’insegnamento”).