Un comunista leggendario
di Simone Bobbio
(già pubblicato su In movimento, novembre 2017)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
Si può uscire con un numero dedicato all’alpinismo (ex) sovietico e non parlare di Abalakov? La risposta è facile: naturalmente no! Ma chi era Abalakov? Replicare a questa seconda domanda presenta un coefficiente di difficoltà assai maggiore…
Chiunque si avvicini anche solo a un corso base di arrampicata su ghiaccio conosce l’abalakov, quel sistema per calarsi da una cascata creando con due viti una clessidra artificiale all’interno della quale far passare un cordino da abbandono che fungerà da ancoraggio. «Prende il nome da un alpinista russo sconosciuto, ma passato alla storia per aver inventato questo metodo…», ripetono a macchinetta gli istruttori mentre illustrano agli allievi la tecnica migliore per realizzare questo semplice ma indispensabile accrocchio.
Applicazione dell’ancoraggio abalakov
È invece sufficiente digitare Abalakov su Wikipedia per scoprire che Vitalij Michailovic Abalakov, nato a Enisej il 13 gennaio 1906 e morto a Mosca il 24 maggio 1986, è considerato il «padre dell’arrampicata sovietica», ha scalato in prima assoluta il Pik Lenin nel 1934 e ha messo a punto una serie di innovazioni tecniche come i predecessori dei «friend» e le moderne viti da ghiaccio (utilizzate per l’appunto nella realizzazione dell’«ancoraggio abalakov»). Una leggenda, insomma, di cui è difficilissimo trovare informazioni, non solo su internet, ma anche nella fornitissima Biblioteca Nazionale del Club Alpino. Nell’epoca dell’iper-connessione, dove a portata di clic è possibile scoprire notizie e segreti anche di un qualsiasi sconosciuto, questo fatto suscita un discreto sconcerto. Ma rimanda ai tempi in cui esisteva la cosiddetta cortina di ferro che limitava il passaggio di esseri umani, merci e informazioni. Prima di proseguire nella ricostruzione della biografia di Abalakov, è necessario premettere che il ritratto del personaggio si basa su fonti eterogenee come libri e articoli di rivista individuati faticosamente in biblioteca e siti in inglese o in russo decifrato grazie al traduttore di Google.
Innanzitutto le origini: Vitalij Abalakov nacque nella Siberia Centrale in una famiglia di cosacchi. Era il maggiore di tre fratelli: Evgenij scultore e alpinista con cui condivise diverse imprese in montagna e Mikhail che diventerà ingegnere come lui. I tre fratelli rimasero ben presto orfani di madre e padre e crebbero nella città di Krasnojarsk praticando numerose attività sportive tra cui ginnastica, sci, nuoto e arrampicata sulle pareti appena fuori dalla città, ancora oggi rinomate a livello internazionale. Nel 1925 si trasferì a Mosca dove iniziò gli studi in ingegneria presso l’istituto Mendeleev.
La sua prima impresa alpinistica degna di nota è la prima salita del Pik Ismail Samani 7495 m, all’epoca noto come Pik Stalina e dal 1962 al 1998 come Pik Communizma. L’impresa di Abalakov assunse ulteriore prestigio per il fatto che la montagna era stata ufficialmente censita soltanto l’anno prima. L’anno successivo raggiunse la vetta del Pik Ibn Sima 7134 m, meglio noto con il nome di Pik Lenin e nel 1935 scalò il Monte Elbrus durante la stagione invernale. Nel 1936, durante la discesa dal Khan Tengri 7010 m perse complessivamente 13 dita tra mani e piedi. A molte di queste spedizioni partecipavano anche la moglie Valentina e il fratello Evgenij, entrambi valorosi alpinisti.
A questo punto della biografia alcune fonti riportano che Abalakov fu arrestato dal regime staliniano per aver complottato con alcuni alpinisti tedeschi, presumibilmente durante le spedizioni alpinistiche, e fu in seguito confinato al gulag per due anni. Durante la guerra rallentò l’attività alpinistica attiva dedicandosi allo sviluppo di attrezzatura e abbigliamento da montagna e scrivendo un manuale, Fondamenti di alpinismo, che diventerà un grande classico per tutti gli appassionati di montagna sovietici.
Nel 1948 morì il fratello di Vitalij, Evgenij, secondo le fonti ufficiali a causa di un avvelenamento da monossido di carbonio, nel proprio appartamento a Mosca. Restano dubbi piuttosto fondati su un suo assassinio da parte del regime per il quale stava organizzando una spedizione alpinistica. In quel periodo invece, Vitalij veniva riabilitato ricoprendo il ruolo di allenatore all’interno della società sportiva Spartak di Mosca e riprendendo l’alpinismo attivo con una serie di imprese che culminarono con la prima conquista accertata del Pik Pobeda 7439 m nel 1956. Per questa e per le sue imprese passate, nel 1957 gli fu assegnato l’Ordine di Lenin, massima riconoscenza pubblica dell’Urss. Negli anni successivi divise la sua attività tra lo sviluppo di attrezzatura da alpinismo e la direzione di importanti spedizioni.
La sua invenzione più importante – e meno conosciuta – è il predecessore del «friend». La cosiddetta «camma abalakov» fu il primo strumento di assicurazione per l’arrampicata che trasformava la trazione di un’eventuale caduta in forza rotatoria in grado di incastrare l’attrezzo in una fessura di roccia. La trovata di Abalakov ispirò il brevetto di Greg Lowe nel 1973 e il successivo «Friend» che presentava quattro camme simili alle precedenti e fu depositato da Ray Jardine nel 1978.
Per quanto riguarda l’attività in montagna, Abalakov ebbe un ruolo da protagonista nel grande raduno alpinistico del 1974 al Pik Lenin, quando il governo sovietico organizzò un incontro internazionale per celebrare il cinquantenario della morte di Lenin all’interno del clima di distensione voluto dal presidente Breznev.
La camma per assicurarsi che da Abalakov prese il nome, antesignana del moderno «friend»
In tale occasione Vitalij dirigeva il lussuoso campo base che ospitava alpinisti di tutte le nazioni, tra cui anche statunitensi. Ai piedi della montagna erano stati installati biblioteca, sauna, infermeria, docce, bar, cucine e un grande refettorio dove si consumavano vodka, salmone e caviale in abbondanza. Proprio in quel periodo accadde una delle più drammatiche tragedie nella storia dell’alpinismo, quando una spedizione composta da otto donne sovietiche venne colta da una tempesta e le alpiniste morirono a pochi passi dalla vetta della montagna. La leader del gruppo, Elvira Shataeva, rimase in contatto via radio proprio con Abalakov al campo base durante le sue ultime ore di vita nella bufera. Come ha ricostruito Linda Cottino nel suo libro Qui Elja, mi sentite?, Abalakov non fu esente da responsabilità in quella tragedia, ma nelle ricostruzioni successive fu completamente scagionato.
Il geniale inventore e instancabile alpinista si era trasformato in un fedele funzionario della macchina statale sovietica.
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Sarebbe interessante sapere quando il metodo abalakov della clessidra di ghiaccio artificiale si è diffuso in Europa. Io ho fatto le prime esperienze su ghiaccio nei primi anni 90, ma ho imparato quella tecnica successivamente. Al tempo ho usato invece in qualche ritirata la ben meno sicura calata su 1 vite da ghiaccio, con un cordino avvolto che ne consentiva lo svitamento e recupero tirando uno dei capi della corda doppia, come descritto nei vecchi manuali.
Ho avuto occasione di utilizzare alcune “camme Abalakov” e viti da ghiaccio ricavate da tubi in titanio (allora sconosciuto tra gli alpinisti nostrani) sottratte all’industria nucleare sovietica, importate da alpinisti cecoslovacchi in tour in Italia, nel finire degli anni ’70.
Si trattava di elementi assolutamente innovativi rispetto a quanto disponibile allora.
Al di là della successiva disponibilità di friend è stata una grande innovazione!
Inoltre, gli alpinisti dell’est ci hanno insegnato tecniche e determinazione (anche senza mezzi) che tra gli alpinisti del nord-est di quel periodo erano quasi sconosciute.
Due sole considerazione:
– il confronto e lo scambio di esperienze tra mondi diversi crea le condizioni per nuovi sviluppi, nuove idee, nuove imprese
– gli “innovatori” sono uniformemente distribuiti, indipendentemente dalla loro notorietà (e nessuno è senza errori).