Metadiario – 305 – Un network social ma non troppo (AG 2021-001)
I libri e affini
Nei primi mesi del 2021 ci trovammo d’accordo con Luca Calvi nell’elaborazione di un grande progetto per il quale avremmo tentato di coinvolgere Milano-Cortina 2026. Presentammo il progetto di realizzazione di un grande libro di storia alpinistica delle Dolomiti e di tutto il territorio calcareo del Nord-est, relativo cioè a quell’enorme zona che costituisce il terreno montagnoso che si estende dalla Lombardia fino alla Svizzera, all’Austria e alla Slovenia. Sostanzialmente si trattava di riprendere il mio libro Dolomiti e Calcari di Nord-est e di ampliarlo sia geograficamente che storicamente. Con l’aiuto di Luca, che padroneggia tedesco e sloveno, avrei finalmente potuto realizzare quello che era il mio sogno iniziale allorché intendevo sviluppare la storia alpinistica di questo grande territorio, prima con Sentieri verticali, poi con lo stesso Dolomiti e Calcari di Nord-est. Con l’uscita di quest’ultimo, nel 2007, oltre a quella dolomitica avevo già esposto per sommi capi la storia del Rätikon, delle Alpi Carniche, delle Giulie (italiane e slovene), del gruppo delle Alpi di Kamnik, dell’intero Tirolo e delle Prealpi calcaree austriache e tedesche.
Ma le mie scarse cognizioni di tedesco e soprattutto di sloveno mi avevano impedito l’attento esame della sterminata letteratura a disposizione e quindi avevano determinato una “storia” troppo concisa e piuttosto superficiale, lasciandomi del tutto insoddisfatto. Con la nuova opera, che avevamo pensato in due volumi con l’aggiunta di un terzo tomo fotografico, sarebbero stati inseriti anche i gruppi montuosi della Grigna, Presolana, Concarena, Campelli, Arera.
Purtroppo, dopo un primo anno di speranzosa semina, già nel 2022 ci rendemmo conto che in realtà a nessuna delle varie commissioni olimpiche interessava il nostro ambizioso progetto. E neppure a Interreg.
A gennaio 2021 avevo terminato finalmente la stesura del mio romanzo Per amor di pietra, iniziato la bellezza di 17 anni prima. Ciò che non riuscivo a trovare era un finale adeguato, ma dopo un’improvvisa illuminazione al riguardo impiegai i pochi mesi di fine 2020 per concludere. Solo dopo un bel po’ mi risolsi a spedire il file a qualche soggetto editoriale di mia conoscenza per un’eventuale pubblicazione. Per esempio, Marco Borello, direttore della collana di montagna di Hoepli, il 14 dicembre 2021 mi rispose:
“Ciao Alessandro, ho finito di leggere il tuo libro e complimenti! Si vede che c’è un grande impegno ed è scritto bene. Purtroppo il genere romanzato (anche se con molti elementi dal vero) non è adatto al nostro catalogo. Tuttavia mi sentirei tranquillamente di consigliarti di rivolgerti ad editori del settore, o al CAI stesso. Gli elementi che mi accennavi sul sesso a me non hanno disturbato, anzi ne connotano ancora di più l’originalità”.
Il 19 dicembre avevo scritto a Giovanni Carletti, di Laterza:
“Dopo lunga maturazione, ho deciso di sottoporti questo mio romanzo (peraltro terminato 11 mesi fa… dopo molti anni, per questo “lunga maturazione”): Per amor di pietra. Non so se un libro come questo, che cerca di accordare fantasia con realtà concreta e realtà onirica, possa in qualche modo essere d’interesse per Laterza. Al momento mi basterebbe fosse di tuo personale interesse. Leggilo, dunque, quando hai tempo. Spero ti appassioni. E’ la storia, scritta in prima persona, di una ragazza alla ricerca del proprio Sé lungo una complicata vita sentimentale e alpinistica, sulle tracce di un Mummery del quale lei riscriverà totalmente la biografia”.
A questa mail, non ho mai ricevuto risposta.
Per la prima parte del 2021 mi occupai anche di Quando l’alpinismo parlava tedesco, ma il nostro editore di fiducia Nuovi Sentieri questa volta nicchiava. Paolo Ascenzi impiegò la seconda parte dell’anno per trovare un altro editore.

A febbraio 2021 iniziarono gli scambi mail con Rosella Martinello dell’Agenzia Dispari per la programmazione di un’altra serie di fascicoli allegati al Corriere della Sera, questa volta sulla storia dell’alpinismo. Rosella aveva da tempo individuato nella mia persona la capacità di poter concepire e gestire un’intera collana di 25 volumi, dandole senso e personalità con una regia autorevole. Andammo avanti un mese ad affinare programma e indice, ma quando si trattò di avere l’approvazione finale della RCS le cose andarono così per le lunghe che si arrivò a novembre 2021. Soltanto alla fine di quel mese, infatti, Rosella ebbe assicurazione che il progetto era definitivamente approvato. Questo ritardo non sarebbe stato un grande problema se nel contempo si fosse deciso di procrastinare anche l’uscita del primo fascicolo… Ciò non avvenne, perciò non rimaneva che iniziare già in stato di emergenza ciò che presto sarebbe diventato stato di delirio.

La Montagna Sacra
A luglio ebbi l’onore d’essere coinvolto nel progetto della Montagna Sacra. Da un’idea di Toni Farina e di Antonio Mingozzi, un gruppetto di entusiasti, tra i quali anche Enrico Camanni e Riccardo Carnovalini, si stava dando da fare per diffondere l’iniziativa: considerare “sacra” una montagna, poi individuata nel Monveso di Forzo 3322 m: cioè impegnarsi a non salirne la vetta. Abbracciai subito quell’idea: mi piaceva quel simbolico limite che ci imponevamo, una specie di barriera psicologica al dilagante no limit cui si assiste quotidianamente, in città come in montagna. Nessun obbligo, nessun divieto. Cercavamo, tra gli appassionati di montagna, donne e uomini disposti a condividere in assoluta libertà di scelta quest’iniziativa altamente simbolica. Pur essendo il Monveso di Forzo in pieno Parco nazionale del Gran Paradiso, il consiglio direttivo del parco non ci sosteneva, ancora una volta dimostrando quanto sia difficile farsi capire in un mondo che spesso non vuole capire, magari per ragioni del tutto estranee.

Le falesie
In primavera le uscite arrampicatorie in falesia furono determinate, oltre che dal solito meteo, dai colori giallo, arancio e rosso che le varie amministrazioni, oscillanti tra lo stupido rigore e le esigenze della realtà, imponevano ai cittadini sulla falsariga della mutevole diffusione del CoVid. Oltre al numero di morti settimanali, ricordo viaggi bendati, rischiose esposizioni ai controlli stradali, scuse preparate per discutere un po’ con l’autorità, oltre alla minuziosa modulistica delle deroghe speciali.
Dopo le varie uscite nei monotiri del Varesotto, del Bergamasco e del Bresciano, finalmente il 24 aprile con Matteo e Giulia Pellegrini ci ritrovammo alla bella Parete di Sanico del Monte Pizzocolo (Prealpi bresciane) con Stefano Michelazzi. Stefano era, come al solito, felice di mostrarci le sue creazioni. Quella volta salimmo la notevole via Steno.

Il 9 maggio, dopo aver superato il confine regionale, ci trovammo in Val d’Adige: con Salvatore Bragantini, Matteo Pellegrini, Mao Adreani e Polina Brodowski salimmo prima Occhi di Falco alla Roda del Canal e poi la via dei Tre Pilastri al Monte Cordespino. Il 16 maggio, invece, solo con Matteo e Salvatore, salimmo sui Monti Lessini e, posteggiata l’auto, scendemmo per un vallone boschivo fino alla base del Monte Pastello. Sotto di noi si stendeva la Val d’Adige, con le pareti di Tessari e di Brentino. Era un po’ di tempo che volevamo salire fin quassù, perché ci piaceva il Monte Pastello e ci affascinava la sua solitudine. La via delle Quaranta Galee è bellissima, ma la concitazione di una pioggia torrenziale ci rovinò gli ultimi due tiri. Sempre in Val d’Adige, il 23 maggio con Andrea Bavestrelli, Giovanna Moltoni e Matteo salimmo Cielo del Nord alla Parete di Turan.
Il 29 maggio ancora la Parete di Sanico, questa volta per la via Arichi, con Salvatore, Matteo e Stefano Romanengo, su roccia spaziale.

Il 2 giugno, con Salvatore e Matteo, salimmo a passo di carica Balla coi Buchi al Salto del Faraone (Val d’Adige), poi ci trasferimmo alla base della parete superiore (Bastionata di Tessari) e attaccammo New Age. C’eravamo già stati il 25 ottobre 2020, ma alla terza lunghezza Matteo aveva tirato diritto senza accorgersi che la via lì attraversava a sinistra. Quindi, data l’ora, eravamo scesi. Questa volta non ripetemmo l’errore e concludemmo New Age regolarmente.
Come al solito, al pomeriggio ci trovammo a Brentino al pub della Gegia. Lì c’era anche l’amico Walter Novello col quale, ad ogni incontro, il consumo di birra chissà perché subiva un’impennata. Al culmine delle risate e delle discussioni a voce alta manco ci si volesse scannare, sommessamente Salvatore ci espresse la necessità di mollare la compagnia e iniziare il ritorno visto che alla sera alle 20 aveva in programma una cena a Milano. Eravamo lì con la mia auto, quindi ero io che dovevo decidere e rispondere. Il povero Salvatore era in netta minoranza e, anche quella volta, eravamo tentati di sbattercene dei suoi impegni. Quando lui disse che era preoccupato per i tempi perché prima di essere accompagnato a casa (zona piazza Vetra) si doveva portare a destinazione Matteo (via Teodosio, parecchio a est di piazzale Loreto), ebbi l’idea di promettergli che prima avrei accompagnato lui direttamente e poi sarei tornato indietro (più o meno per tre quarti di città) per mollare Matteo. Ovvio che poi avrei dovuto sciropparmi gli stessi tre quarti per la terza volta e proseguire quindi alla volta di casa mia (Naviglio Grande, zona della chiesetta di san Cristoforo).
Questo sacrificio piacque a Salva, che dunque accettò di partire da Brentino alle 17. La bisboccia perciò continuò fino a quell’ora. Il livello alcolico era tale da suggerire l’immediata interruzione di ulteriori bevande, dunque fummo puntuali, non senza aver prima trangugiato il bicchierino di grappa speciale offerto dalla casa. Pur essendo la Festa della Repubblica, godemmo di un ritorno in tempi decenti fino alle porte di Milano. Lì il traffico diventò pesante, ma alle ore 19.15 riuscimmo comunque a scaricare Salvatore a casa sua. Mentre ripercorrevamo in senso contrario le strade appena fatte per poi puntare a nord verso via Teodosio, mi venne l’idea di abbattere lo strisciante nervosismo con il miraggio di raggiungere il mitico Bar Basso di via Plinio e lì concederci in santa pace un bel Negroni a testa. Detto fatto, posteggiata l’auto nelle vicinanze, ci avvicinammo al bar. Data l’ora era pieno di gente che faceva l’aperitivo, non c’era una sedia disponibile, né dentro né fuori sul marciapiede. La gente festeggiava la bella serata e la provvisoria fine del CoVid. Ci accontentammo di ordinare al banco. Con nostro stupore misto a grande gioia ci furono serviti due enormi calici di Negroni, praticamente una doppia dose, forse quasi tripla. La qualità dell’esecuzione dei drink era pari all’elegante presentazione, davvero memorabile. Bevuta anche l’ultima goccia, ormai di solo ghiaccio, malvolentieri lasciammo quel paradiso e guidai euforico fino a casa di Matteo. Da lì iniziò la faticosa e solitaria trasferta fino a casa mia, sui ritmi di Virgin Radio. Ma ne era valsa la pena.
Il 5 giugno con Matteo e Giovanna Moltoni tornammo al Monte Pastello, questa volta per salire il cosiddetto Sperone centrale, via un po’ più impegnativa che le Quaranta Galee, ma altrettanto bella.
Gli eventi
Il 29 luglio partecipai a un’iniziativa nell’ambito dello svolgimento dell’annuale “Nextones”, il festival che si svolge al Tones Teatro Natura di Oira (all’inizio della Valle Antigorio). “Pensare come una montagna”si svolgeva nella vicina Alpe Devero. Con l’amico Michele Comi definimmo e svolgemmo quell’incontro con ragazzi e ragazze tra i venti e trenta anni, un “elogio dell’insicurezza, per vivere ogni momento all’insegna dell’incerto e della sorpresa”. Volevamo suggerire di migliorare le proprie capacità di percezione entro i contesti mutevoli della montagna, una specie di nuovo cammino per facilitare l’incontro con luoghi ancora integri, favorire adattamenti, migliorare le conoscenze, contemplare la natura e i suoi abitanti, intesi come un sistema complesso, dotato di equilibrio, grazia e consonanza, da cui tra l’altro discendono anche il nostro benessere e la nostra salute.
Già dall’8 giugno ero stato coinvolto da Nicola Giuliani, un socio di Ruggero Pietromarchi, nell’organizzazione del nuovo festival della montagna, “Campo Base”, che si sarebbe svolto dal 3 al 5 settembre a Oira.
Mi interpellarono per avere una visione complessiva sul programma che permettesse di dare maggiore coerenza alle proposte; per individuare e proporre due o tre personaggi di richiamo che potessero animare il format “Intorno al fuoco” o altri momenti dell’evento; per coinvolgere le sezioni del CAI locale attraverso la proposta di attività che le vedessero in qualche modo protagoniste; e ovviamente per proporre contenuti.

Considerata la vicinanza con le strutture di Balmanolesca, di Yosesigo e soprattutto di Cadarese, pensai subito all’arrampicata trad in fessura. Considerai che Anna Torretta, guida alpina di grande esperienza, avrebbe potuto dare una dimostrazione di arrampicata tradizionale assieme agli scalatori ossolani che avevano contribuito allo sviluppo di quella specialità.
Il primo Festival dedicato alla montagna della Val d’Ossola era anche l’occasione per proporre domande e spunti di riflessione su temi quali il rapporto tra uomo e natura, la cultura della montagna e la valorizzazione delle molteplici attività sportive che in queste valli erano già patrimonio inestimabile.

La Val d’Ossola è immersa in quella particolare atmosfera dove la parola “turismo” richiama ancora quella di “ospitalità”, dove le montagne e le valli non sono state trasformate dalla celebrità e per questo mostrano ancora la loro vera essenza. L’essenziale semplicità di questo ambiente sarebbe stata testimone della nascita di un grande festival della montagna, scevro da competizioni agonistiche e da giurie di qualunque tipo.
Nelle nostre intenzioni, Campo Base ha voluto essere un festival collettivo, realizzato insieme alle molte voci ed energie dell’Ossola, tra cui il CAI SEO di Domodossola e il Parco Nazionale della Val Grande.
Volevamo che gli ospiti attesi dal 3 al 5 settembre contribuissero a costruire un pubblico di nuova consapevolezza, per favorire un ripensamento più sostenibile delle singole attività ludico-turistiche: mettemmo in programma i racconti dell’esploratore Franco Michieli, le avventure di Anna Torretta ed Hervè Barmasse, la stupefacente carriera del grande Manolo, fino alle testimonianze di molti altri protagonisti del mondo della montagna e dell’alpinismo ossolano.
Fu organizzato un grande campeggio, cioè una comunità temporanea che esprimesse una esperienza collettiva legata all’essenzialità e a una serie di attività diurne e serali, anche per i più piccoli, nel quadro di una Val d’Ossola teatro naturale di sport di montagna: arrampicata, e-bike, percorsi in ferrata, escursionismo e canyoning.
Nicola organizzò pure gli appuntamenti cinematografici ,le mostre fotografiche, le degustazioni gastronomiche egli interventi musicali. Io ebbi il compito di organizzare e poi di gestirne la performance dei vari personaggi legati alla montagna.
Quanto alla purtroppo già programmata escursione sulla via Ferrata Wasserfall ormai non si poteva tornare indietro. Ebbi, però, il permesso di esprimere pubblicamente il mio personale dissenso nonché di affermare che l’anno seguente non si sarebbe più svolta alcuna programmazione del genere, in omaggio ad un’esperienza di montagna che facesse a meno delle diseducative strutture artificiali.
Le arrampicate
Dopo le uscite a Esigo e alla parete del Contrabbandiere (sotto al Lago di Cancano), scelte per la possibilità che danno di scalare sfuggendo al grande caldo estivo, il 19 giugno ci trovammo con Matteo Pellegrini, Stefano Romanengo e Giovanna Moltoni allo Zucco Barbisino (Piani di Bobbio) per fare la seconda salita di una via trad aperta da Ivo Ferrari, la via dei Nonni. Il tratto chiave della via era una fessura di una ventina di metri, completamente priva di spit o chiodi, data dal primo salitore di VI grado. Conoscendone la severità, affrontai quella fessura con timore reverenziale, ma ne fui abbondantemente premiato.
Tornammo in zona con Matteo il 26 giugno, per salire l’impegnativa e sottogradata via Buzzoni-Carì allo Zucco di Campelli. Dopo altre uscite a Roncobello e alla falesia di Ponte Campo (San Domenico di Varzo), il 10 luglio mi recai al Gran Sasso, in occasione del memorial a ricordo di Livia Garbrecht organizzato da Pasquale Iannetti. Mi vennero a prendere alla stazione di Giulianova e alla sera ero ai Piani di Tivo a presentare Molti friends e alcuni nuts assieme all’autore, Gianni Battimelli. Il giorno dopo ci recammo al rifugio Franchetti e al Campanile Livia. Assieme a me e Gianni erano anche Domenico Mimmo Perri, Andrea Di Bari e la moglie, il tenente colonnello dei Carabinieri Elena Candela. Gianni aveva dei problemi a un piede per un incidente che aveva avuto, perciò nell’avvicinamento era rimasto parecchio indietro a noi. Alla fine mi legai con Mimmo e, assieme ad Andrea ed Elena, attaccammo la classica via del Tetto, una via che inizia con una caratteristica fessura dove ci si deve incastrare. A comando alterno arrivammo in vetta e lì avemmo il piacere di incontrare Gianni, salito per la via normale da solo. Fu un momento assai bello (vedi i due brevi filmati qui sotto).
https://drive.google.com/file/d/1L9H0p2RC4jS0BPzRbMOvOEonCAhjeoPD/view?usp=sharing
https://drive.google.com/file/d/1giMpzbln1fc4OgMpiRuCZdqHwyN3q5i9/view?usp=sharing
Le operazioni di discesa furono veloci, ma nel complesso ero abbondantemente in ritardo per poter prendere il treno per Milano. Scesi a rotta di collo fino all’auto, gentilmente Roberto Colacchia si offrì di accompagnarmi. Giunti a un certo punto e vista l’ora, decisi che la cosa migliore era puntare direttamente su Pescara invece che su Giulianova. Ciò mi permise di acciuffare il treno per un pelo. Ero abbastanza stanco e mi appisolai più volte. Giunsi a Milano che mancavano dieci minuti a mezzanotte. C’era molta agitazione nei vagoni, tutti ascoltavano la partita della finale degli Europei che stava finendo ai rigori, con grandi urla dopo ciascun goal o parata.
Alla Stazione Centrale scesi dal treno un minuto dopo il fischio finale. Con il mio pesantissimo zaino (avevo con me anche il pc portatile) corsi alla metropolitana perché c’era da aspettarsi una Milano invasa dai tifosi. Riuscii a prendere il treno per Assago e scendere regolarmente alla Stazione di Porta Genova. Emerso in superficie capii che non avevo scampo. La piazza era completamente invasa dalle auto e dal giubilo della gente urlante. Il tram 2 che dovevo prendere era lì, fermo, e nulla lasciava pensare che si sarebbe potuto muovere in tempi ragionevoli. Mi avviai imprecando a piedi per via Valenza e poi per via Ludovico il Moro. Dovevo camminare per sei fermate fino a casa mia, schivando la folla che, in senso opposto al mio, marciava trionfante verso il centro di Milano, ma anche moto, monopattini e biciclette. Soltanto all’inizio di via Morimondo ritrovai la pace della notte.
Il 17 luglio andai con Salvatore alla Seconda Torre di Pesciola (Piani di Bobbio) per salire Giovani Marmotte e Summertime. Non terminammo quest’ultima e ci tornai con Matteo e con successo il 31 luglio.

Durante un piacevole soggiorno con Guya a Mastellina in Val di Sole, dove Salvatore e Lucia hanno una bellissima casa, andai con lui alla Corna Rossa, quella sotto al rifugio Graffer, per salire la via dell’Arma. Non fu una grande prestazione, ma fu divertente. La via è prettamente dolomitica ma è attrezzata a spit, cosa che la nostra cordata (che allora faceva 153 anni in due) non poteva che apprezzare. Salvatore era molto fiero di una corda rosso fiammante, nuova di zecca. Mi raccontò che gli era stata regalata da un tizio che lui aveva accompagnato su una qualche via dolomitica in qualità di guida “abusiva”. Al ritorno a Madonna di Campiglio, quello voleva a tutti i costi pagarlo. Salva rifiutava qualunque compenso, così quello si sdebitò omaggiandolo della corda comprata appositamente in un negozio.
Dopo la vacanza di Mastellina fu la volta di Briançon: anche lì fummo ospitati da Ugo e Valentina per una settimana. Ci limitammo a qualche uscita in falesia (Gorges de Biaysse, Mont Dauphin, Roche Baron Ouest), ma per il resto grandi camminate. In una di queste (14 agosto) salimmo da Nevache al refuge de la Buffère. Ugo aveva preferito rimanere a casa. Dopo un piacevole pranzetto al rifugio, Valentina decise di effettuare la discesa tramite la non certo breve traversata necessaria per scendere fino a Nevache lungo la Côte Rouge. Il traverso si rivelò un saliscendi continuo su sentiero sconnesso. Questo mise a dura prova la resistenza di Guya, che dunque affrontò la ripida discesa della Côte Rouge con le ginocchia già a pezzi. Fu una specie di Beresina, ma alla fine ce la facemmo.
Una terza parte di vacanze la passammo a Pietramurata dai Furlani. Il 18 agosto via del Cuore d’oro, il 19 Traversi perversi, il 20 Scalette dell’Indria, il 21 Diedro Baldessarini con attacco diretto di Florian Kluckner: tutte vie alla Coste dell’Anglone, condotte assieme a vari compagni, in genere Matteo Pellegrini e Marco e Laura Furlani.
Il 28 agosto la via Avancini alla Parete Gandhi (con Matteo e Laura) e il 29 ancora le Coste dell’Anglone per la via Oksana (con Matteo).
Con Salvatore il 1° di settembre andammo a Roncobello e l’8 a Cateissoft in Valle di Susa. Giunti in un posto dove ci si consigliava di non proseguire con l’auto, scendemmo per valutare la situazione. Salvatore non si accorse dell’i-phone che gli cadeva per terra. Decidemmo di proseguire e, dopo un guado azzardato, trovammo il posteggio dove abitualmente si lasciava la macchina. Qui lui si accorse di non avere il telefono, perciò corse indietro a piedi per vedere dove l’aveva perso. Ritornò contento di averlo ritrovato, ma non così tanto. Purtroppo l’apparecchio era finito sotto la ruota dell’auto e lo schermo era così incrinato da pensare che fosse da buttare via tutto. Però ci accorgemmo che funzionava! Messa la questione da parte andammo ad arrampicare e poi, al ritorno, rinunciando alla merenda, guidammo velocemente per Milano. Il proprietario di un negozietto cinese che conoscevo nella zona di via Paolo Sarpi, dopo aver visto il relitto, disse a Salva: “Venti minuti, qualanta eulo”. Erano le 19.15. Alle 19.35 il telefono era come nuovo.

Dopo una bella uscita con Matteo ed Elena Pellegrini al Fungo (Grignetta, 25 settembre) per la via Erika (la vecchia via GAS), fu la volta sempre con Matteo (e con l’aggiunta di Andrea Bavestrelli e Salva) della via Carmina Burana (Ceraino classica, 10 ottobre); il 16 ottobre, Ceraino di sinistra (Falesia dell’Orso) con Matteo, Salva e Mao Adreani per la via Deja Vu e poi per le prime due lunghezze di Explore; quindi (24 ottobre) con Matteo e Giovanna Moltoni via del Cocco (con variante Blatto al penultimo tiro) all’Elefante (Valgrande di Lanzo), dove prendemmo alcune bastonate risolvendole in artificiale.
Breve filmato sulle lezioni di guida di Petra con la maestra Elena.
https://drive.google.com/file/d/1zQtL9wW1nfdhQvHJI7sE-27GMvKkT4z5/view?usp=sharing
Il 30 ottobre ripetei (con Matteo ed Elena Pellegrini e Lucia Furlani) la via delle Pance alla Parete di Pezol: qui salii molto meno bene della prima volta… Andò meglio il giorno dopo sulla via del Decimo Anniversario alla Parete di San Paolo. Il 7 novembre con Matteo e Luca Mozzati tornai alla Rocca di Lities in Valgrande di Lanzo, combinazione America America + Porto Alegre. Rimando alla tabella per le altre uscite, citando solo quella al Torrione di Mompellato (Valle di Susa) per la via I Tappi non passano con Salva e Matteo. Quindi salto al 18 dicembre, quando con Salva e Matteo, più Lorenzo Molinari e Luca Mozzati, sulla Bastionata di Tessari salimmo la classica Nebbie di Avalon.
Il filmino La Montagna Sacra
Con Achille Mauri avevamo concertato di fare un “corto” con tema “La Montagna Sacra”. Dopo la ricognizione del 30 settembre fino a Pian Lavina, condotta con Toni Farina, Luciano e Maura Heidempergher, ci tornammo, in pieno “foliage” in una serie di giornate radiose. Con noi, oltre a Toni, era la “protagonista” Flora Scacchi, una bambina di neppure sei anni accompagnata dallo zio Stefano Alba. L’avevamo scelta dopo un accurato “casting”. Dopo una bella cena a Ronco, il 26 ottobre salimmo filmando fino a Boschettiera, dove Luciano e Maura ci offrirono di passare la notte nella loro graziosa baita. Flora scese la sera stessa, ma noi volevamo riprendere l’alba sul Monveso di Forzo salendo a Pian Lavina ancora al buio. Il 27, aiutati da Mattia, un simpatico ragazzone anche lui proprietario di una bella casa in pietra a Boschettiera, salimmo a Pian Lavina e avemmo tutto il tempo di filmare un’alba spettacolare.
In seguito corremmo verso Milano, infrangendo una grande varietà di divieti, per poter restituire entro una certa ora precisa (mi pare le 15) l’equipaggiamento tecnico noleggiato per le riprese.
Calendario Ande 2022
Feci un grande piacere ad Aldo Anghileri impegnandomi nella realizzazione del suo calendario Ande, quell’anno focalizzato sulle grandi vie di roccia del Monte Bianco. Come al solito avevo un tempo esiguo e la ricerca di belle foto stampabili in grandissimo formato fu davvero impegnativa. Seguì l’accurata tracciatura degli itinerari (uno o due per foto): riuscimmo a stampare il calendario solo per l’Immacolata.
Dolorose dipartite
Il 3 aprile 2021 morì il mio coetaneo Vanni Santambrogio. Il 7 aprile 2021 ci lasciò Ferruccio Ferox Svaluto Moreolo durante un’escursione scialpinistica solitaria sugli Spalti di Toro, verso Forcella Segnata. Gianfranco il nonno Valagussa scrisse: “La morte di un alpinista si porta sempre dietro una coda di domande a cui difficilmente si riesce a dare una risposta. Ognuno ha un proprio ricordo, un aneddoto da raccontare. Generalmente un alpinista, un grande alpinista, come Ferox è difficilmente riassumibile in poche parole.
Si potrebbero elencare le vie salite e in questo caso non basterebbe un grosso volume. Si potrebbero raccontare le sue avventure alpinistiche negli altri continenti. Sottolineare i contenuti del suo romanzo, delle sue poesie, delle sue sculture. Approfondire le sue scelte di vita, a tratti estreme e a tratti di una paurosa normalità. Si potrebbe citare la sua malattia che non ha mai placato la sua voglia di arrampicata, di sci. A me rimangono dei semplici ricordi di un uomo che non ha mai cercato sconti dalla vita. Un semplice alpinista che cercava solo di vivere nel modo migliore le sue passioni”.
Il 14 aprile scomparve, a 86 anni, il romano Silvio Jovane. Arcangelo Paolucci scrisse: “La triste notizia ci ha avvilito e rattristato. Per gli alpinisti “minori” era un piacere incontrarlo e, pudicamente, ammirarlo, al Franchetti, nei suoi preparativi, di sera, per andare al Paretone. Si sognava di poter essere un giorno suoi pari. Non ho mai avuto il coraggio di presentarmi. Ora permettimi di salutarti. Che tu possa andare sulle altre montagne della Casa del Padre”.
Il 12 giugno se ne andò Antonio Tom Balmamion. Ugo Manera scrisse: “Più vecchio di me di un paio di anni (1937), ci siamo conosciuti a metà degli anni ’60. Allora lavorava con il padre in una azienda artigianale famigliare a San Maurizio Canavese. Era stato però contagiato da una irresistibile passione per i monti che in seguito lo portò ad intraprendere la vita del professionista della montagna. Iniziammo a scalare qualche volta assieme ed io lo portai alla Sottosezione GEAT del CAI Torino e lo convinsi ad entrare come istruttore nella Scuola di Alpinismo Giusto Gervasutti. Per la sua rilevante attività alpinistica fu accolto nel Club Alpino Accademico, ma in seguitò divenne Guida Alpina quando decise di vivere di montagna. In questa veste condusse per le montagne del mondo molti “clienti” infiammando sempre il suo gruppo di infinito entusiasmo. Gestì per molti anni il rifugio Città di Ciriè al Pian della Mussa nella Valle di Ala delle Valli di Lanzo. Sua è la prima invernale, con Giuseppe Castelli ed Ennio Cristiano, della celebre via Cavalieri-Mellano-Perego al Becco di Valsoera”.
Il 18 luglio morì a 77 anni Ernesto Panzeri, grande amico e compagno di cordata di Aldo Anghileri.
Il 13 ottobre scomparve Giorgio Aliprandi, cartografo supremo e uomo di grande cultura. Assieme alla moglie Laura aveva compiuto un enorme lavoro storico sulle vecchie carte delle Alpi. Se ne andò in silenzio, mentre leggeva sul divano di casa.
Il 9 novembre 2021, alle 10 di mattina, ci lasciò Gigi Mario. Era ricoverato all’ospedale di Perugia dopo avere contratto il CoVid mentre soggiornava in un albergo all’Abetone con la moglie Kiyoka, i figli Lea e Alvise e un gruppo di amici/clienti tutti immediatamente messi in quarantena. Al di là dei lievi dissapori avuti con lui, il fatto mi dispiacque assai e non riuscivo a capacitarmi che quella merda di malattia avesse colpito uno come lui.
E, per finire, il 16 dicembre fu la volta di Jacopo Compagnoni: rimase coinvolto in un incidente in valanga, purtroppo fatale, durante una discesa dal Monte Sobretta in Valfurva.
Conferenze e convegni più importanti del 2021
Il 3 febbraio tenni una conferenza on line organizzata dagli Amici dell’Acquario di Genova. Il 1° aprile, al CAI UGET di Torino, il ricordo di Gian Carlo Grassi a 30 anni dalla sua morte.
L’11 settembre ci fu un significativo incontro ai Piani dei Resinelli per la presentazione del film Calümer di Achille Mauri. Eravamo all’aperto e il tempo minacciava. Alle 19.30 salii sul palco e salutai il pubblico, poi illustrai brevemente lo scopo della serata (una vita spesa per un ideale) e la dedica a Gian Attilio Beltrami e Daniele Chiappa, grandi protagonisti del soccorso alpino lombardo. Chiamai poi accanto a me Massimo Mazzoleni, un architetto di 54 anni, che dal 1° gennaio 2021 era capostazione a Lecco del CNSAS (e negli anni precedenti vice-capostazione, nonché tecnico effettivo del Soccorso Alpino dal 2000).
Subito dopo chiamai Paolo Schiavo, 62 anni, medico del Pronto Soccorso Ospedale di Lecco, specializzato in traumi di montagna, anch’egli medico effettivo del CNSAS.
Con Mazzoleni parlammo della sua esperienza di soccorso durante e post pandemia: lui ci diede la sua opinione sull’attuale preparazione degli appassionati, stante l’evidente aumento degli incidenti e dei recuperi, il cui 80% avvenuti su sentiero e il resto in canali innevati.
Con Paolo parlammo della prevenzione: con convinzione perorò la conoscenza di se stessi (competenze, esperienza, equilibrio interiore); poi diede importanza alla conoscenza del luogo in cui si fa l’escursione o la scalata, nonché il possesso e l’uso corretto di un equipaggiamento adeguato.
A entrambi rivolsi domande relative alla chiamata di soccorso, alla necessità di una prima geolocalizzazione, prima ancora che la “posizione” GPS.
Dopo quel doveroso svolgimento del tema “sicurezza”, passai agli aspetti umani dei protagonisti. Chiamai sul palco Giuseppe Beppe Rocchi, 69 anni, 30 anni di Soccorso Alpino, 7 anni come vice-capostazione e poi 9 anni come capostazione di Lecco, che arrampicava con Roby e Daniele Chiappa. Cosa voleva dire per lui essere capostazione a Lecco?
Poi l’ospite principale, Giuseppe Orlandi, al secolo Calümer, 77 anni, già presidente della Sottosezione CAI Ballabio. L’uomo non è di molte parole, tendeva ad esprimersi in lecchese, ma io lo incoraggiai e ci furono gustosi scambi di aneddoti e battute con Rocchi. Furono sottolineati i valori dell’amicizia, il pubblico lo amava per la sua simpatia. Alla fine dichiarai che il Calümer era una figura mitologica: Il guardiano illuminato della Grigna.
Infine chiamai sul palco Achille Mauri, regista e produttore del corto, che ci raccontò quale fosse per lui “il significato di avere avuto quest’idea e poi di averla realizzata”. Fu applaudito con grande calore: in particolar modo si spellavano le mani le ragazze presenti in piazza, visibilmente incantate da quegli occhi azzurri.
La proiezione del film Calümer concluse l’evento.

Il 17 settembre fui invitato a Pinzolo per presentare al pubblico Silvio Gnaro Mondinelli che riceveva quell’anno la Targa d’argento del Premio Solidarietà alpina. Nel contempo la mattina dopo feci una relazione al comitato organizzatore del premio sul come secondo me si dovesse agire per rendere ancora più importante la loro iniziativa, comunque già consolidata in decenni. L’appuntamento era alle 9 di mattina, ma io fino quasi all’ultimo non seppi se avrei potuto partecipare. Nella notte infatti Guya dovette assistere ad un mio pesante malessere che, come poi fu chiarito due anni dopo, era dovuto alla mia cistifellea piena di calcoli. Non era la prima volta che mi capitava, però mai mi era successo con tanta intensità. L’attacco, fu chiarito appunto due anni dopo, era dovuto all’aver mangiato la sera troppo formaggio e troppo salame, con vino rosso non propriamente genuino (infatti ne avevo bevuto pochissimo…).
Il 6 ottobre, a Palazzo Ducale di Genova, ci fu il memorial a ricordo di Euro Montagna, alla presenza dell’ottimo sindaco Marco Bucci (buon appassionato di montagna e simpatico, anche se purtroppo “leghista”…).
Il 16 novembre conferenza al Politecnico di Milano sulla “montagna sostenibile”, alla presenza degli studenti futuri designer. Il 22 novembre a Milano, al Phyd di via Tortona, “Wooding Lab” con Hervé Barmasse, l’etnobotanica Valeria Margherita Mosca, Michele Comi e il glaciologo Riccardo Scotti. Il 27 novembre convegno a Brossasco (CN) del Club Alpino Accademico, gruppo occidentale, organizzato da Fulvio Scotto. Oltre a me, ospiti da altri gruppi, erano Alberto Rampini e Luca Schiera. Il tema principale verteva sui criteri di ammissione al CAAI, ormai obsoleti. Luca ed io demmo una bella scossa con la nostra relazione. Ricordo che Luca affermò che era una sciocchezza continuare a fondare le nuove ammissioni sull’attività “estrema” dei candidati, perché così facendo si limitavano gli ingressi a poche unità in tutta Italia. L’estremo degli anni ’60 e ’70 oggi è considerato “medio” alpinismo… Io invece chiarii la mia posizione affermando che ciascuno di noi, prima di discutere, avrebbe dovuto porsi la domanda: “ma io voglio accogliere o invece voglio escludere?”. Ne seguì una discussione accesa, ma certamente proficua per gli sviluppi futuri del sodalizio: quell’incontro è ricordato ancora oggi.
Il 3 dicembre andai a Roma per presiedere alla premiazione della terza edizione del premio Iannilli.
Sherpa
Il 2021 era il mio ottavo anno di continua applicazione alla quotidianità dei post e alla fine mi sentivo autorizzato a trarre qualche bilancio. La somma delle visualizzazioni di Sherpa e di GognaBlog era leggermente inferiore (1.607.128) a quella del 2020, ma ero ugualmente soddisfatto perché invece era aumentato il tempo medio di permanenza su una pagina.
La somma delle soddisfazioni soverchiava certamente le piccole delusioni incontrate nel corso dell’anno. Ormai accettavo pienamente la latente ostilità di alcuni commentatori, troppo pavidi per esprimere apertamente il loro dissenso oppure ben consci che l’antipatia provata nei miei confronti non sarebbe mai stata sufficiente a squalificarmi da un punto di vista razionale (o anche solo emozionale) in condivisione con altri lettori.
Se si considerano i social network come una specie di droga (e spesso questo è giustificato dai fatti), allora la mia figura potrebbe essere equiparata a quella del pusher: cosa inevitabile, anche se non bella da dirsi o da pensare soltanto. Già da parecchi anni si insiste a dire che i social network (se usati senza consapevolezza) rischiano di diventare la più potente droga mai esistita, l’unica in grado di tenere la gente staccata dal mondo reale per tempi infiniti… Neppure la figura del pusher può sfuggire, perché pur traendone guadagno (e questo non è certamente il mio caso), questi è il primo a rimanere invischiato nella marea fangosa di lodi, ma anche di attacchi e di contrattacchi. Alla fine di un interminabile thread, magari con più di mille commenti, il vero vincitore è sempre l’immancabile troll che ha soffiato sul fuoco al quale si riscaldano i leoni da tastiera e che ora danza macabro sulle spoglie delle emozioni e delle ragioni.
Se invece si riesce a mantenere acceso il tremolante lumicino dell’ottimismo e dell’accoglienza, allora anche i commenti più squallidi e perfino quelli da me censurati per turpiloquio o per totale incomprensibilità, acquistano una propria luce, una propria ragion d’essere. Non abbiamo alcun diritto di giudicare alcun punto di vista, ma questo è lo sport preferito del commentatore, saggio o meno che sia. Un social che si rispetti non può permettersi di diventare un party (nel senso non di festa, ma di partito…).
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Ma con tutte ste bevute non e’ mai stata ritirata la patente?
“Che tu possa andare sulle altre montagne della Casa del Padre.”
Tutti speriamo che un giorno ci andremo.
Sarà vero? oppure è un’illusione? una creazione della nostra mente di fronte al mistero della morte e all’angoscia del nulla eterno?