Metadiario – 274 – Un volo della Madonna
Una bella giornata fu quella passata con Carlo Vagliani: il 13 gennaio 2007 percorremmo il classico giro Torre, via Corti – Fungo, via Boga – Lancia, via Accademici. La temperatura mite, il cielo azzurro e l’entusiasmo di Carlo, praticamente neofita dell’arrampicata, mi fecero apprezzare questo bel ritorno alle amate guglie della Grignetta. Tanto che la settimana dopo, il 20 gennaio, vi tornai, questa volta con Giovanni Alfieri e Filippo Gallizia. Salimmo il Sigaro per la prima lunghezza di Gasomania e poi per la via Colombo.
Ma la settimana dopo ancora, per via delle previsioni del tempo, con Filippo preferimmo andare nel Finalese: ma giunti là, optammo per le nuove vie aperte vicino alla Grotta di Toirano. Scegliemmo la bellissima via Panoramica alla Rocca dell’Ulivo, quattro o cinque lunghezze di pura goduria. Peccato i due passi in A0 a causa delle nostre scarse capacità.
In un viaggio stampa per l’ufficio turistico dello Stubai, il 3 febbraio traversammo con gli sci dall’Eisjoch a Sölden (Ötztal): compagni di questo splendido fuoripista in sci sul Windacherferner e nella Warenkar furono Robert Span, Pietro Crivellaro e Lorenzo Scandroglio.

Una settimana dopo ci fu la partenza per il Niger: il viaggio, di cui ho già raccontato nel Metadiario – 272, durò dal 10 febbraio al 5 marzo.
Tramite l’amico Antonello Chiodo, custode del rifugio Rossi alla Pania della Croce, mi fu offerto di tenere una relazione a Lucca nell’ambito dell’iniziativa “Margini”, un evento culturale che l’Associazione Rifugi Alpi Apuane e Appennini organizzava allo scopo di promuovere visioni e rappresentazioni di quell’ambiente di montagna che può essere luogo d’ispirazione e di confronto tra identità diverse. Vi andai con Eugenio Pesci, anche lui relatore assieme ad altri tra i quali Franco Michieli, il 14 marzo.
Il 18 marzo, con Andrea Bavestrelli, tornai alla Torre di Boccioleto (chiamata anche Torre delle Giavine): salimmo una via abbastanza impegnativa, la Esposito, con variante diretta iniziale e uscita Re-Bonfanti. Quindi, il 25 marzo e il 1 aprile, due puntate a Finale Ligure: nella prima, con Filippo Gallizia e tal Alessandro, salimmo al Bric Pianarella la via Vaccari con variante iniziale Pajer e variante mediana Joe Falchetto; nella seconda, con Andrea Bavestrelli, la via dei Calcagni.

Fu poi la volta di un tour pasquale nel Sulcis: la mia famiglia di quattro assieme a Luca Santini, Paola Pravadelli e figlia Sofia. Facemmo base in un appartamento di Portoscuso, purtroppo per nulla memorabile. Anche il paese, sede di una grande centrale termoelettrica ed ex polo minerario, non offriva nessun tipo di atmosfera piacevole. Perfino il mare sembrava morto. In ogni caso la convivenza nelle quattro mura fu piacevole, non ci fu alcun fastidio. Facemmo molte escursioni e passeggiate, con una puntata a Capo Buggerru e Planu Sartu, e qualche scalatina a Punta Pilocca. Con Andrea Bavestrelli, che bazzicava da quelle parti, tentammo la via Feltrini nel Mondo alla Gutturu Pala, ma riuscimmo a fare sola la prima lunghezza, fradicia. Nella stessa giornata ripiegammo su Masua, dove salimmo Dolce sardo.
A questo link, breve filmino su Dolce sardo.
Con Salvatore Bragantini il 14 aprile salimmo il Dito Dones (sopra Ballabio) con la combinazione del primo pezzo della via Lunga+Diedro obliquo. Ma obiettivo della giornata, raggiunto subito dopo, era quello di salire la via del Miro allo Zucco di Teral.
Sempre con Salvatore, il 21 aprile, ripetemmo la mia via della Torre staccata allo Scoglio di Mroz, mentre il 25 aprile ci rivolgemmo alla cosiddetta “Palestra Gabriele Beuchod” (Fontainemore) per salire sia Vecchia Quercia (5 lunghezze, 6a+), sia Maggiociondolo (5 lunghezze, 6b). E subito ancora, non contenti e legati pure con Filippo Gallizia, il Diedro rosso.
Nell’edizione di quell’anno 2007 del 55° Trento Film Festival, Augusto Golin e Maurizio Nichetti mi coinvolsero in più iniziative. Anzitutto mi diedero l’incarico di programmare, gestire e poi condurre l’evento “Sognando California”, una serata al Centro Santa Chiara con parecchi ospiti, tutti protagonisti dell’arrampicata nello Yosemite. Lo spettacolo ebbe successo, a sala stracolma. Ricordo che ci fu un piacevole imprevisto, quando Marco Furlani con notevole audacia si intromise, facendo notare al pubblico che l’alpinismo trentino ancora una volta non era stato considerato adeguatamente dal Festival. Io lo sapevo bene che lui aveva ragione, semplicemente ero terrorizzato di sforare con i tempi e dunque avevo tagliato parecchi episodi e personaggi. Pertanto, per risolvere l’impaccio, lo invitai sul palco e lo pregai di raccontarci in breve qualcosa della sua California del lontano 1979. Cosa che lui fece con grande umorismo e capacità di tenere l’attenzione del pubblico. Parlando un po’ in italiano e un po’ in trentino raccontò nei tempi giusti la sua esperienza, facendoci sbellicare fin da subito allorché disse che lui e i suoi amici non erano mai stati oltre Mattarello (un paese in Val d’Adige a una decina di km da Trento, ben prima di Rovereto, NdR), altro che America!
L’altro grande impegno fu la mia presidenza di giuria del Festival. Trascorsi un bel po’ di giorni rinchiuso a vedere film su film, ma i giurati (di varie nazionalità) erano competenti e simpatici, dunque il compito non mi pesò. Pepe Danquart si aspettava di vincere il Gran Premio, ma lo deludemmo perché non ci convinceva l’eccesso di entusiasmo che il film Am Limit trasmetteva nei confronti dello speed climbing. Magnifica storia, con i fratelli Alex e Thomas Huber impegnati sul Nose del Capitan, splendide riprese, ma il tutto non oltrepassava i limiti del ristretto campo dell’arrampicata. Pertanto lo premiammo con il riconoscimento “minore” Genziana d’Argento dedicato ai film di quel genere. E tra l’altro con parecchie discussioni tra di noi se non premiare, invece, Cerro Torre – Ritmo latino en la cara oeste di Ramiro Calvo.
Demmo invece il gran premio Città di Trento a Primavera in Kurdistan, di Stefano Savona. Sulle montagne del Kurdistan iracheno Akif segue un gruppo di guerriglieri e guerrigliere curde del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), in cammino verso il confine con la Turchia, dove ancora si combatte. Akif, figlio di emigrati in Germania, è l’interprete del viaggio e il suo diario è la voce narrante del film: come gli altri crede nei valori dell’autodeterminazione del suo popolo e milita nell’organizzazione filo-marxista per quei diritti civili che il mondo occidentale non gli accorda, né a pochi chilometri di distanza, né nel cuore dell’Europa. Sotto la minaccia incombente di un attacco turco o statunitense, il film segue la marcia di questo esercito di giovani, facendo tappa nel quartier generale femminile, un campo “modello”. Nella tregua apparente si parla di emancipazione della donna, di una società migliore, del caro prezzo della disciplina militare. Molti dei protagonisti di questo documentario nel 2007 erano morti o in prigione, mentre ancora circa 5.000 guerriglieri continuavano a combattere sulle montagne del Kurdistan per la libertà del loro popolo.
Infine vorrei ricordare il film Loop, di Sjur Paulsen, al quale riconoscemmo la Genziana d’Argento alla miglior produzione televisiva. E’ il film al quale personalmente avrei riconosciuto il gran premio, ma dovetti inchinarmi alla maggioranza. Apparentemente Loop (Ciclo infinito, 78’) è un’indagine sulla relazione dell’uomo moderno con il nostro tempo, visto attraverso gli occhi di alcune persone dei nostri giorni che hanno scelto l’estremo come stile di vita.
Le tipologie di queste persone sono tre e tutte hanno compiuto, ognuno a suo modo, drastiche scelte riguardo la loro vita. Il legame che unisce queste tre storie è dato dal filosofo norvegese Arne Naess, ormai novantaquattrenne, vero protagonista del film. Direi che sarebbe troppo lungo qui approfondire ulteriormente i motivi della mia scelta, ma a chi fosse interessato consiglio la lettura di Il loop di Arne Næss.
Nel frattempo la saga del libro sulla storia delle guide alpine lombarde proseguiva a grande stento, soprattutto per colpa mia. Corsi perfino il rischio di malintesi con Popi Miotti e con Lorenzo Merlo (che comunque non era più l’addetto alla comunicazione delle guide alpine lombarde). Il testo definitivo del libro fu consegnato ai primi di agosto al presidente Ettore Togni, il quale, dopo averlo letto, lo diramò a tutte le guide lombarde iscritte all’Albo e alle Onorarie il 26 agosto. Iniziavano così il lungo lavoro redazionale nonché la ricerca delle immagini. Ero abbastanza disperato e cercai aiuto nella valida collaborazione di Alessandra Raggio.
Ma torniamo alle esperienze diverse e alle arrampicate. Il 26 maggio, in occasione di un viaggio stampa a Kitzbühel, ebbi occasione di provare il canyoning, con tanto di muta a noleggio. La guida Manfred ci portò in un torrente del Kaisergebirge, dove ebbi modo di tuffarmi e divertirmi a lungo assieme a Fabio Scepi, Nicola Mottinelli, Tommaso Mori e Giorgio Balducci.

Il 3 giugno andammo in Val Chisone per la prima volta al Bourcet, dove con Filippo Gallizia e Daniela Travella salii la via degli Strapiombi. Un posto decisamente strano: all’apparenza poco raccomandabile, offre in realtà lunghe arrampicate spettacolari, praticamente tutte aperte da Fiorenzo Michelin, un vero genio dell’intuire le possibilità di arrampicate là dove tutto sembra negarle. Una specie di Heinz Grill occidentale.

Il 23 giugno ebbi la gioia di scalare con i due fratelli Salvatore e Renzo Bragantini dopo aver scelto una meta inusuale: la via Einstein al Monte Casale in Valle del Sarca.
In seguito ci fu l’annuale soggiorno a Padru, in Sardegna, dal 28 giugno al 12 luglio, ma di questo ho già raccontato nel Metadiario – 273.

Non contenti dell’invio di Petra in Inghilterra qualche anno prima, troppo piccola per poter evitare alcuni problemi, Bibi ed io acconsentimmo al desiderio di Elena tredicenne di andare in Canada, approfittando di un’occasione che qui sarebbe troppo lungo spiegare. Il 17 luglio, due o tre giorni dopo essere sbarcata dall’aereo, mandò a me e Guya questa mail:
“Ciao papi! ciao Guyy!! Senti viaggio tutto bene!! l’aereoporto era molto carino (quello di Vancouver) era molto stile africano… non so perche!! Quello di Amsterdam invece era normalissimo solo che era settemila volte più enorme…
Poi arrivata a Vancouver con il pulmino giallo americano che si vede nei film, siamo andati a Whistler e ci abbiamo messo due ore… Arrivati abbiamo visto un po’ com’era, ci hanno portati nelle nostre stanze e io sono con una ragazza di nome Lucia molto carina… il problema e che con lei ci sta una ragazza anche se non dovrebbe essere con noi che dorme e sta li… Questa ragazza e una trombona brutta e antipatica… Infatti appena sono arrivata le due ragazze non c’erano e avevano lasciato un casino di merendine e patatine varie… il tampax in bagno e un resto d’arrosto mezzo mangiato, che io appena l’ho visto ho pensato fosse un topo… eheh… comunque sul cibo aveva ragione papa… fa tutto schifo… la sveglia e alle sette e si mangia alle otto poi andiamo a scuola (che e ok)… poi mangiamo, facciamo attivita, rimangiamo e poi si fa quello che si vuole fino alle undici… Con l’inglese me la cavo abbastanza bene e ho trovato delle amiche messicane ma che parlano benissimo l’inglese… qui sono tutte messicane praticamente… comunque ora devo scappare. Un bacio grande a tutti (gatti compresi) e non sapete quanto mi mancate… davvero tanto… vi voglio bene bacio gatta Cleme.
P.S. Non c’e nessun accento perche non sono sulla tastiera”.

Ed arriviamo così a una delle mie più violente avventure dolomitiche. Il 20 luglio Salvatore Bragantini ed io, dopo un lungo viaggio in auto, ci avviammo nel pomeriggio verso il rifugio del Velo. Era tanto tempo che non passavo una notte in rifugio, mi fece impressione perché mi sembrava d’essere tornato a tanti anni fa. Custode gentilissimo e amichevole, serata serena. Evidentemente non potevamo sapere che quei due giorni di sabato e domenica non sarebbero stati il massimo per me e Salvatore.
La mattina dopo ci alzammo assai presto perché avevamo in programma la via Solleder al Sass Maor. Il 2 settembre 1926 Emil Solleder, con Franz Kummer, aveva salito i mille metri della parete est del Sass Maor, impresa di poco inferiore alla sua precedente sulla Civetta, nonostante Gervasutti l’abbia in seguito giudicata più impegnativa tecnicamente.

Scoprimmo di essere soli sulla via, mentre c’erano almeno due cordate sulla più recente e difficile via Masada. Al termine della rampa studiammo attentamente la prosecuzione e dopo un tiro friabilotto ci trovammo all’inizio del famoso traverso a destra, quello dove Solleder diede grande prova di intuito eccezionale. Invece noi esitavamo a decidere quale fosse il modo giusto di intraprendere la traversata, si vedevano rari chiodi sparsi qua e là, sopra e sotto. Iniziai a sentire che non era giornata e non faticai a convincere Salvatore, dopo alcuni tentativi, a rinunciare scendendo a corda doppia. Quello che brucia è il non aver intuito la traversata giusta. Se c’è una cosa che non mi è mai mancata è il fiuto, si vede che invecchiando perdevo anche quello…
Il 22 luglio, però, circa alle 8, eravamo all’attacco della via Messner alla parete nord della Cima della Madonna.

Nel 1967 i fratelli Messner erano già attivi da parecchio tempo, ma le loro salite, a parte la Nord-est dell’Agnèr, non avevano mai provocato rumore. Già il 15 ottobre 1967 i due avevano salito la splendida e stretta muraglia grigia della Nord della Cima della Madonna per una via diretta, 350 metri, valutata da loro V+. Poi, il 30 giugno 1968, ecco la Nord del Sass da Pùtia, 600 metri, anch’essa di V+. E dopo il famoso Pilastro di Mezzo al Sass dla Crusc, Reinhold e Günther superarono la parete nord della Seconda Torre di Sella, 24 agosto 1968, 250 metri di roccia a placche verticali,
grigie e compatte.
Fu l’ultima del grande poker di Messner, ma fu la prima, forse per la comodità di accesso, ad essere valutata per prima nel suo giusto valore. Dal V+ dato dai primi salitori, con 8 chiodi, la quotazione è salita a VI e VI+, praticamente senza chiodi di sicurezza. Messner disse che non poteva valutare di VI ciò che era molto meno difficile di altri passaggi da lui superati, e infatti questi vennero poi passati a VII, vedi Pilastro di Mezzo: semplicemente allora la scala non era ancora stata aperta. Questa difformità storica è facilmente riscontrabile anche sulla Nord della Cima della Madonna. Si vide così con chiarezza che il progresso doveva risultare sulle pareti aperte, su roccia buona, verticale ed anche strapiombante. Spingere l’arrampicata libera là dove comunque non si sarebbero potuti mettere chiodi.
All’attacco della via, con Salvatore eravamo ben informati di questa storia e sapevamo bene ciò cui stavamo andando incontro. Tutto andò bene fino al completamento della quarta lunghezza, anche se i chiodi erano davvero rari e spesso i cordini allacciati alle sparute clessidre non davano una gran fiducia. La via, pur non presentando evidenti suggerimenti, si lasciava trovare in mezzo a quelle placche tutte uguali. La quinta, però, si raddrizzava ulteriormente e sapevamo essere il passo chiave. Mi stancai parecchio a mettere una fettuccia in una buona clessidra che era circa un metro sopra a una vera e propria “schifezza” trovata lì. Proseguii rinfrancato, ma non essendo certo ai massimi dell’allenamento, mi ritrovai dopo circa sei metri con le braccia fuse perché l’arrampicata non era tanto tecnica quanto faticosa.
Ebbi subito paura e capii che non ce l’avrei mai fatta a proseguire fino in sosta, anche se questa non era così distante. Tentai di tornare indietro, ma più che altro il mio scopo era quello di diminuire al massimo la lunghezza del volo, a quel punto certo. E quindi, giunto allo spasimo, avvertii Salvatore e mi lasciai andare. Il salto fu dunque di 12 metri perché la clessidra tenne. Non mi feci neppure un graffio. In compenso lo spavento fu tanto e di ritentare non avevo la minima voglia. Appeso alla corda a non tanta distanza da Salvatore discutemmo sul da farsi. Potevamo scendere, ma preferii deviare a destra per una specie di canale di IV grado per raggiungere il vicino Spigolo del Velo, per il quale abbiamo poi raggiunto la vetta.

Ancora adesso, dopo così tanti anni, ogni tanto rivivo l’orrenda sensazione di precipitare. Andai avanti un bel pezzo a farmi un sacco di domande, per esempio se era il caso che io a 61 anni e cortisonedipendente andassi a ripetere vie che un grande come Messner aveva fatto a 24 anni, al massimo della forma… Insomma, stavo facendo autocritica.

Mi risollevò il morale una mail dell’amico Angelo Bon che il 27 luglio mi scrisse:
“… Beh, un volo di circa dodici metri dev’essere una bella esperienza, niente da dire: complimenti alla clessidra! Adesso ti tiro su il morale: quando Solleder aprì quella via, sicuramente non c’erano tutte quelle calate, soste, chiodi di vari tentativi, che sicuramente ci sono adesso, per cui anche gente di esperienza come voi è giustificata a commettere l’errore. Tra l’altro amici miei mi hanno detto che non è per niente intuitivo di quanto spostarsi dal termine della rampa. Sarà comunque motivo per ritornare al rifugio del Velo dove, a parte le brande tipo “amache”, si sta molto bene. E poi credo che la Messner abbia respinto un bel numero di giovanotti in questi anni, per cui un “voletto” di un “vecio” ci sta tutto. Per fortuna, in ogni caso, non è successo niente…”.
Altra mail di Elena, 25 luglio:
“Bel papolone e bella guyoski!!! come state??? Io sono arrivata l’altro ieri a Vancouver… o meglio dire “burnaby” credo… Comunque la stanza e carinissima… siamo in un’accademia che e anche universita ed e enorme… e mi sa che un giorno o l’altro io mi perdero… non sapete quanto mi mancate pero per fortuna qui mi trovo molto bene…
Io non vi chiamo molto perche col fatto che non ci riusciamo a sentire con l’addebito io con skype non sento niente… anche se mi farebbe molto piacere sentire la vostra voce!!!
Il cibo qua e deglutevole… tu papi avevi quasi completamente ragione, adesso i pantaloni mi vanno un pochino piu larghi, pero non ho quasi mai fame!!!
Qui a Vancouver le attivita sono molto piu libere, infatti ieri siamo stati a “gas town” che si chiama cosi perche ci son alcune cose a vapore come ad esempio l’orologio che c’e ad un incrocio!!!
A Whistler non ho fatto praticamente foto se non due con le nuvole perche non c’era mai sole!!!e mi dispiace tantissimo, perche ci tenevo a fartele…
Invece Guy le cose che abbiamo preso insieme le sto usando molto mentre la felpa ce l’ho sempre indosso…!!! hihi… Adesso il cielo si sta schiarendo, oggi pomeriggio il sole ci ha degnati di un paio dei suoi raggi!!! abbiamo fatto la foto tutti insieme e mi diverto molto!!!
Aaaa… mi ero dimenticata di dirvi che a Whistler mentre facevo canoa sono stata attaccata da una sanguisuga… e stato orribile, ma i dettagli ve li spieghero a Milano!!! Comunque stasera dopo computer andremo in piscina!!! che bello!!! Vabbe, ho scritto abbastanza, se no non ci saranno piu sorprese quando arrivo. Un bacino enorme, la vostra gatta Cleme che vi ama tanto e vi saluta con tantissimo affetto, mi mancate tanto un bacio grande”.
Ad Arabba, il 28 luglio, mi fu consegnato il Pelmo d’Oro 2007 per la carriera alpinistica. Motivazione: “Alpinista completo, ricco di grandi doti umane, tecniche e culturali, guida alpina, ha frequentato con passione le Dolomiti Bellunesi tracciando vie nuove e di ricerca anche sulle difficili Pale di San Lucano e sulla Marmolada”. Il giorno dopo, però, ero ancora più contento (alla Casera Ditta) di festeggiare il mio compleanno assieme a Guya, Adriano Roncali, Franco Miotto, Andrea Gobetti e altri amici.

Dopo un agosto lavorativo, causa l’impegno di rieditare con CDA&Vivalda il mio vecchio Sentieri verticali, l’uscita seguente fu il 2 settembre con Luca Santini al Pinnacolo di Maslana, dove salimmo quattro lunghezze della via New Age. Interrompemmo per pioggia. Il 7 settembre Guya ed io eravamo ad Àlleghe, invitati per i festeggiamenti serali del cinquantenario della via Philipp-Flamm. Il giorno dopo, con gli altri invitati, salimmo al rifugio Tissi. Era una bella giornata, partimmo dall’arrivo della seggiovia dei Piani di Pezzé 1470 m e raggiungemmo la Forcella Coldai 2191 per il lungo e dirupato canalone roccioso del Ru de Porta. Naturalmente quell’escursione era al limite delle possibilità di Guya e già al successivo Lago Coldai cominciarono le prime rimostranze. Per fortuna non eravamo soli e facemmo conoscenza e amicizia con Alessandro Masetti e Signora. Questi si prodigarono a sostenere che non mancava tanto alla meta: il rifugio Tissi 2262 m era chiaramente visibile, ma stavamo scendendo e poi occorreva risalire. E ben sappiamo che agli occhi di un individuo stanco le distanze ingigantiscono. Finalmente arrivammo ed era l’ora di pranzo.
C’era un casino di gente, oltre a tantissimi amici e personaggi famosi. Anche se erano stati trasportati lì con l’elicottero assieme ad altri anziani, c’erano pure Ignazio Piussi e Armando Aste. Mancavano Walter Philipp, morto l’anno precedente, e Dieter Flamm (mancato nel 2002). La parete del Civetta ingombrava con il suo splendore più della metà della visuale, c’era tanta allegria. Persone che non vedevo anche da molto tempo. Verso le 16 arrivò il primo elicottero che non riuscì ad evacuare tutti i bisognosi. Guya approfittò con grande piacere di un secondo volo. Noi tornammo con calma a piedi fino ad Àlleghe, godendoci un tramonto fantastico e passando per il rifugio Coldai e la Forcella d’Àlleghe.

L’11 settembre ci fu l’atto notarile della costituzione di KappatreComunicazione Srl. Tre soci: Katja Roediger (67%), Mario Pinoli (3%) ed io (30%). Con ciò mettevamo ulteriore ordine nelle incasinate vicende di Edizioni Melograno. Io mi ero battuto fino all’ultimo per non fare una Srl bensì accontentarci di una Sas, in quanto in una Società a Responsabilità Limitata la gestione con la partita doppia necessariamente implica una spesa maggiore con il commercialista. Ma non fui ascoltato.

Sul fronte lavorativo chiarivamo la nostra posizione con i nostri clienti, quindi con Best Wellness Hotels, Kitzbühel, Stubai, Innsbruck e Tirol Werbung (acquisita a metà maggio, è l’ufficio che, con sede a Innsbruck, promuove tutte le offerte turistiche della regione del Tirolo). Mentre Ischgl non aveva rinnovato il contratto, procedevano i nostri tentativi di agganciare Osram, la Regione Abruzzo, Bormio, l’Associazione Intercomunale Accoglienza Turistica Monte Bianco. A dicembre andammo anche a Belluno a parlare con l’allora presidente Sergio Reolon (mio buon conoscente) per un incarico relativo alla Provincia di Belluno. Procedeva meravigliosamente la collaborazione con Veronica Mazzola, una ragazza sveglia e preparata. Riuscimmo ad accordarci per fare da ufficio stampa a Gnaro Mondinelli, in partenza per l’ultimo dei suoi 14 Ottomila.
Il 23 settembre con Matteo Lampertico (erano secoli che non lo vedevo) e Luca Santini andammo in Val Vannino. Tentammo (facendone quasi tre lunghezze) la via del Gipeto alla Punta Marta. Il 6 ottobre ci fu un evento importante al Forte di Bard, all’inizio della Valle d’Aosta. Il CAAI teneva lì l’assemblea annuale nazionale e tema del convegno di quell’anno era la discussione sulle aperture delle vie nuove. L’assemblea, che tra l’altro accoglieva in modo onorario e con grandi feste il nuovo socio Guido Magnone, fu piuttosto vivace. I soci Erik Švab e Rolando Larcher si produssero in due relazioni sostanzialmente assai simili che intendevano regolamentare con criteri severissimi e pignoli le nuove aperture. La loro esposizione fu autoritaria, senza dare spazio ad alcuna obiezione, con ciò scatenando l’applauso di qualche sostenitore e l’ira della maggioranza. Allorché Larcher terminò, ricordo che Marco Furlani prese la parola e disse che sì, sapeva di tanta gente che aveva provato a mettere un po’ d’ordine in questa materia complicata, ma che ora anche Dio in persona volesse farlo non l’avrebbe mai pensato.
Il giorno dopo, con Richard Goedeke e Luca Santini salimmo alle Placche di Oriana per la via della Rue de la Guerison (4 lunghezze), una giornata gnecca e nebbiosa, al limite della pioggia.
Il 14 ottobre ci fu un’uscita familiare: Filippo Gallizia con la figlia Federica, io con Elena e infine Giovanni Alfieri. Andammo su una via davvero classica, la Cassin alla Corna di Medale, che non facevo da decine d’anni. Oltre al famoso traverso, che ormai non si può più definire “lucido” perché è corretto dire “unto”, ci fu un altro momento notevole, quando fummo superati da Marco Anghileri che saliva da solo. Con i suoi shorts e la leggerezza che lo contraddistingueva, più che su una via di IV grado pareva passeggiare su un sentiero. Ci furono grandi saluti: le bambine lo guardavano come un marziano e lo seguirono con gli occhi finché lui scomparve alla vista.
Il 28 ottobre andammo a Pontemaglio in Valle Antigorio per salire il Pilastro Corsini per la via Pacha Mama, un itinerario di 15 lunghezze (fino al 6a+) aperto da Paolo Stoppini, Simone Bonomi, Maurizio Parianotti e Turi Modaffari qualche mese prima. Su questa via di grande soddisfazione ero con Lorenzo Nettuno, Salvatore Bragantini e Lorenzo Molinari.
Il 3 novembre con Luca Santini e i Lanzavecchia (Marco, Giovanna e Giuditta) facemmo una puntata ad Arco per dare un occhio a una struttura che sembrava riservare grosse sorprese per il futuro: la Parete San Paolo, alta fino a 200 m, che allora aveva ben poche vie tracciate a dispetto della vicinanza al fondo valle. Il motivo della scarsità di aperture era dovuto più che altro al grande lavoro di pulizia necessario per sgombrare la vegetazione. Salimmo la via Ape Maia, aperta nel 2003 da Giuseppe Mantovani e Michele Zanoni, in mezzo ad altre sei o sette cordate.

L’11 novembre, con Salvatore Bragantini, Filippo Gallizia e Daniela Travella, tornai alla mia via alla Corna di Medale: debbo dire che mi fece un bell’effetto salire in libera (a parte la lunghezza con i chiodi a pressione) ciò che nella prima ascensione (e anche in un’altra ripetizione) avevo sempre affrontato con scarponi rigidi e staffe. Mi sembra proprio una bella via la Gogna-Cerruti!

In dicembre finalmente uscì Dolomiti e Calcari di Nord-est, la nuova edizione di Sentieri verticali, decisamente rivista e allargata (ben oltre le Dolomiti) alle montagne calcaree del Rätikon, delle Alpi Carniche, Alpi Giulie (italiane e slovene) e Prealpi calcaree austriache. Un’opera sicuramente più completa rispetto alla precedente, ma che personalmente continuo a considerare in corso d’opera. Il motivo dell’incompletezza è l’impossibilità, da parte mia, di consultare seriamente l’enorme bibliografia in tedesco e sloveno, per il quale lavoro avrei bisogno di un collaboratore molto più agile di me in quelle due lingue (specialmente in tedesco). Aggiungo che, dovessi un giorno riprendere in mano questo colossale progetto, l’editore dovrebbe considerare almeno due grossi volumi.
Con Guya passammo le vacanze di fine anno in Garfagnana. Tra le varie passeggiate, scopo del nostro viaggetto era anche quello di esplorare la possibilità di acquisto di un casolare da ristrutturare. Gli amici di Castelnuovo ci aiutarono parecchio, ma alla fine non riuscimmo a trovare un qualcosa che ci andasse bene. Nel frattempo, con Sergio Guzzi Dini e Luciano Turriani, il 28 dicembre salimmo al rifugio Rossi e alla Pania della Croce. Durante il ritorno, salimmo anche la cresta ovest dell’Uomo morto.
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“La nostalgia è una cosa pericolosa. La nostalgia può fare impazzire un uomo.”
Guardatevi il video che segue, sostituendo la parola “speranza” con la parola “nostalgia”.
https://www.youtube.com/watch?v=GWfaXfNV_yA&pp=ygUjbGUgYWxpIGRlbGxhIGxpYmVydMOgIGZpbG0gc3BlcmFuemE%3D
So che il capo dirà che è un intervento inutile, ma voglio scrivere ugualmente. Questo articolo, come altri, mi riporta al magico mondo che ormai non frequento più, la Grignetta, lo Zucco di Teral, il Dito Dones, la Medale, l’entroterra del Finale, il Sigaro… Che nostalgia anche per un alpinista mediocre e insufficiente come me. Grazie capo.
Conosco bene Antonello per aver frequentato spesso rifugio Rossi da lui gestito, come punto di appoggio durante le tante aperture e ripetizioni invernali dei versanti del Colle della Lettera, dell’Antecima nord della Pania, della Quota 1750 e del Pizzo delle Saette. Da alcuni anni non è più il gestore del rifugio Rossi. Ha preso in gestione una baita più in basso vicino all’inizio del sentiero sotto la Pania Secca. Posso solo ringraziare Antonello per la bella accoglienza che mi ha riservato.
Dimenticavo, sulla via dei Calcagni, Gogna saggiamente non ha il casco! Concordo pienamente, anche se ci sarà qualcuno che dirà: in caso di testata è meglio averlo…bla, bla.
Scalare a Finale col casco equivale ad andare a prendere i figli a scuola con la panda indossando una tuta ignifuga da formula uno. È sicuramente s-i-c-u-r-o, ma l’essere umano si nutre anche di sensazioni ataviche che nessun artificio tecnologico può sostituire né migliorare.
nella foto sulla terrazza del rifugio Tissi quello tutto a sinistra è Marcello Bonafede… Natalino Menegus è quello al tuo fianco, il Cristallo come cappello. ciao grande Capo
Ritmo latino en la cara oeste è uno dei film di alpinismo più belli e spassosi do sempre. Tra l’altro il regista Ramiro Calvo è proprio in questi gg ospite da me con altri super alpinisti argentini.
Nel 2007 facemmo una tournée italiana per mostrare il film durante la quale ci divertimmo a crepapelle scalando tutti i giorni in falesia e immergendoci ogni sera in festanti bagni di folla. Ci sentivamo come i Beatles….