Prima uscita del Corso di Roccia (AG 1964-005)
(dal mio diario, 1964)
14 marzo 1964. Ci sono rocce anche sul Monte Pennone 801 m e sul Picco Palestra, suo satellite: voglio un po’ andare a vedere. Parto da solo, in “borghese”, con la borsa da ginnastica e la relativa roba, senza però materiale alpinistico. Dovrei partire dalla Stazione Brignole alle 14.11, ma invece parto alle 14.30 e arrivo a Voltri verso le 15. Attraverso l’intera Voltri e dopo il ponte sul torrente Cerusa salgo per carrozzabile all’abitato di Crevari, seguendo le due croci di Sant’Andrea rosse.
Il tempo è bruttissimo e ai Prati di Campenave attacca leggermente a piovere. Fin qui ho impiegato venti minuti, al posto dei trenta indicati nella guida di Euro Montagna. A un certo punto sbaglio strada, ma giunto alle Case Brigna mi accorgo dell’errore e risalgo per prati sulla via giusta. Intanto piove sempre più forte e io mi sono cambiato, mettendomi la tuta e conservando così all’asciutto giacca e pantaloni.
Sono a circa 460 m, tra il Monte Pennone e il Bric Brigna 467 m. Vedo il Picco Palestra 571 m a nord-ovest, collegato al Pennone da un’ampia sella erbosa. Volendo raggiungere direttamente dal basso gli attacchi delle vie al Picco Palestra dovrei abbandonare ora il sentiero che sale al Monte Reixa, scendere per il versante nord del Bric Brigna fino a un sentiero pianeggiante che s’inoltra nella valletta dell’Asino morto e che conduce alla base delle rocce. Ma non ne ho voglia. La pioggia è sempre più insistente e io, di minuto in minuto, penso sempre più a tornare indietro. Davanti a me e più sotto si apre una visuale sconfortante: vedo una valletta, cosparsa di pietre e di erbacce, con rovi tra i fossi… e mi vedo camminare in mezzo alle rovaie, senza sentiero alcuno. La visione s’ingigantisce. La nebbia mi fa apparire l’ambiente ancora più inospitale e repulsivo, mentre la pioggia comincia a penetrarmi nelle ossa.
Intanto penso che questo paesaggio ha su di me un effetto particolare: mi soggioga. Non ho paura, ma sono soggiogato. Mi sentirei meno a disagio in mezzo a una tempesta di neve in qualche valle dolomitica. Non è tanto la solitudine che mi dà fastidio, perché in una valle dolomitica sarei ancora più solo: sono i vegetali. Strano a dirsi, ma è così. Ma intanto ho preso la mia decisione. Ora sto correndo senza risparmio verso Campenave e Crevari, cioè sto ritornando. La pioggia ora viene giù forte e non vorrei inzupparmi del tutto. A Crevari smette, perciò posso ricambiarmi. Piuttosto provato per la discesa a rotta di collo scendo a Voltri, prendo l’«1» e me ne vado a Caricamento, poi a trovare Marco Ghiglione.
19 marzo 1964. Partiamo dalla Stazione Brignole alle 4.32 e arriviamo a Cogoleto alle 6.30, in ritardo per guasto al locomotore. Ci incamminiamo subito a piedi sulla strada per Sciarborasca. Era quindici mesi fa che son passato di qua con Alberto Martinelli. Di buon passo, alle 7.30 siamo a Sciarborasca (non al paese, bensì già ai Torrioni). Il tempo fa schifo. Regna una strana tensione tra me e Bernardo Chicco De Bernardinis: sembra che ambedue temiamo qualcosa e non abbiamo il coraggio di confessarcelo. Non tira vento, ma i monti sono incappucciati. Sono le 7.40, l’aria è grigiastra, non paurosa ma demoralizzante.
Attacco subito il Primo Torrione a ovest, per il suo diedro destro (it. N1aI). Munito dell’occorrente attacco il diedro (IV) e arrivo dopo pochi metri allo strapiombetto finale, che supero in spaccata (IV+). Obliquo leggermente a destra e salgo una fessura (IV+) che porta al terrazzino superiore. Da lì assicuro Chicco, che viene su male e molto aiutato da me. Ne resterà demoralizzato per tutto il giorno. Dal terrazzino continuiamo per la cima e poi scendiamo alla base. Voglio fare ora l’it. N 1c per la sua variante di V+, che con Martinelli avevo già tentato, senza successo. Così intanto mi rendo conto se sono migliorato e di quanto.
Attacco di forza, ma scendo subito; salgo di nuovo e pianto un chiodo dove l’avevo già messo il 28 dicembre 1962. Poco sopra, un altro. Di qui, con un passo delicatissimo, raggiungo un chiodo già piantato, al termine della traversata già fatta con Martinelli. Quella volta, al di sopra, c’era un chiodo cui Alberto aveva agganciato un moschettone, potendo poi proseguire sul V-. Invece ora il chiodo non c’è più. In compenso c’è quello a cui sono assicurato, anche se non è troppo utile alla mia stabilità. Sforzo terribile per mantenermi eretto, nel tentativo di rimettere il chiodo che era stato tolto: mi devo alzare in punta di piedi. Ma alla fine ci riesco. Da lì, facilmente, al terrazzino superiore, dove riposo. Poi continuo su IV e IV+ fino in cima.
Sono sudato fradicio, ma non troppo stanco: segno che i passaggi non li ho fatti di forza. Mi pongo ad assicurare Chicco.
Il mio compagno si trova ora in una situazione particolare: prima di tutto è giù di corda, poi si è accorto che gli manca la tecnica di progressione su roccia non granitica. A lui questa roccia di calcescisto sembra nemica. Alla Pietragrande andava ancora bene, roccia diabase, abbastanza simile al granito. Ma qui… Per salire e togliere il primo chiodo è costretto a mettere una staffa al secondo chiodo. Poi viene su malissimo e io faccio uno sforzo maledetto per aiutarlo. Intanto s’è messa a soffiare d’improvviso una tramontana bestiale, proprio violenta. Sudato come sono, la schiena mi si raffredda spiacevolmente. Chicco intanto salta il secondo chiodo, il terzo non lo toglie perché non lo abbiamo messo noi e lascia il quarto dietro mio ordine. Ritengo infatti non opportuno togliere quel chiodo, perché è basilare per la via.
Finalmente arriva in cima. Scendiamo e dirigiamo al Torrione 7, al Diedro delle Spine. Già tentato l’altra volta, quel diedro mi attira perché so di poterlo fare anche se l’altra volta la vittoria mi era sfuggita. Cedo il posto da primo a Chicco, ma non ci riesce. Per oggi ormai è proprio a terra, fuori combattimento. Salgo io e supero il diedro spinoso (IV) abbastanza facilmente.
Passiamo al Torrione 6 sulla paretina nord-ovest, via di sinistra (it. N1p). Attacca Chicco su difficoltà di III ma, giunto a metà, non riesce più a proseguire e scende. Io invece salgo sulla via di destra (it. N1pI), un diedro strapiombante e obliquo di IV+. Ma non riesco a superarlo, sono troppo stanco e scendo. Allora mi metto sulla via tentata prima da Chicco, ma non riesco neppure lì! A quel punto andiamo a mangiare sotto al Primo Torrione. Chicco ha freddo e raccoglie sterpi per un bel focherello, mentre io salgo in libera fino al chiodo lasciato da Chicco sulla via di V+ di prima. Lo tolgo e scendo. Mangiamo al calduccio e al fumo. Dopo di che ci rivolgiamo all’it. N1eI, ovvero al camino tra il Primo e il Secondo Torrione. Qui ci sono due vie che s’incrociano. La seconda parte della prima via l’ho già fatta l’altra volta, quindici mesi fa (III). Invece ora attacco direttamente dal basso. Per il camino arrivo a uno strapiombo formato da un masso incastrato. Salgo il camino con un misto di opposizione, spaccata e arrampicata normale. Piantato un chiodo subito sotto, scavalco faticosamente il masso (IV+), arrivando a un terrazzino. Da lì, incrociando l’altra via, proseguo su difficoltà di IV fino a sotto un altro strapiombo che deve, secondo la guida, essere superato con una staffa. Dopo un mucchio di manovre di assicurazione, posso impegnarmi sullo strapiombo con la staffa (come si vede nella foto), aiutandomi con il piede sinistro in opposizione sul lato destro orografico del camino. Di lì poi III fino in cima.
Chicco tenta di salire, ma non ci riesce e sale dall’altra parte. Mi tocca anche scendere in arrampicata (per la via di III) per togliere due chiodi (quello che ho piantato sotto al masso incastrato lo toglierò poi). Indi ci rivolgiamo alla paretina nord del Torrione 2. Salgo, seguito da Chicco che qui si trova di più nel suo elemento, una fessura in Dülfer (it. 1f). Corda doppia e quindi eccoci sull’it. N1fI, cioè una placca (di tipo granitico) sul V-. E qui anche Chicco riesce a passare. In seguito ci rivolgiamo al Torrione 4, al passaggio detto “dei Becchi”. Consta di una paretina e di un tetto che supera con due chiodi in artificiale. Con un po’ di difficoltà, però mi riesce. Chicco non tenta neppure, si accontenta di togliere il secondo chiodo, mentre il primo lo tolgo io. Infine mi rivolgo al Torrione 3, al Diedro del Ragno (it.N1l), un diedro di 14 m, liscio e leggermente strapiombante (IV+). Dopo c’è un altro passo di IV e quindi si è fuori. Faccio tutta la via senza chiodi, ma malissimo e di forza. Ormai il tempo è peggiorato e così, nella pioviggine rinunciamo all’it. N1h (spigolo sud-ovest del Torrione 2) e battiamo in ritirata. Per fortuna smette di piovere, ma ormai stiamo prendendo il treno da Cogoleto alle 17.32 e alle 19.20 sono a casa. L’allenamento odierno è stato molto proficuo e gratificante; per Chicco molto meno gratificante, ma ugualmente proficuo.
22 marzo 1964. E’ la volta della prima uscita del Corso di Alpinismo della Sezione Ligure del CAI. Mi ero iscritto il 22 febbraio e solo con questo scopo: conoscere qualcuno dell’ambiente della sezione. Infatti, fino a che non conoscerò qualcuno, non riuscirò mai a far niente di importante. Tutti gli altri scopi sono aggregati e subordinati a questo. Questo VI Corso di Alpinismo conta 60 partecipanti, con una ventina tra istruttori e aiuto-istruttori, in totale un’ottantina di persone. Direttore è Enrico Cavalieri, coadiuvato dagli istruttori Euro Montagna, Gianni Pàstine, P. Relli, Vittorio Pescia, Piergiorgio Ravajoni, ecc. Che io conosca tra gli allievi c’è solo Bernardo De Bernardinis (Chicco).
La prima lezione teorica si è tenuta in sede, la sera del 5 marzo 1964. Il corso è stato presentato dal presidente della Sezione, Ettore Marchesini, c’è stato qualche altro discorso d’inaugurazione, poi si è passati alla conferenza di Gianni Pàstine sulla flora e fauna alpina. La seconda lezione teorica si è tenuta il 9 marzo 1964: ha parlato Cavalieri, il direttore, sulla tecnica di roccia, svolgendo solo la prima parte di quello che c’è da dire. Ha trattato la posizione base, l’arrampicata normale, in aderenza e in opposizione. Il 12 marzo non c’era lui, ma Montagna e Pàstine ci hanno parlato della storia dell’alpinismo europeo. Il 13 marzo ho superato la visita medica e il 16 marzo Ravajoni ha parlato dell’equipaggiamento e del materiale alpinistico.
Il 22 marzo dinque la prima uscita pratica. Intanto dei 60 allievi sono presenti solo 45, forse meno. L’appuntamento è a GE-Voltri alle 7.30, e io e Chicco ci arriviamo puntuali. Partiamo in ritardo, ma poi la marcia procede spedita e alle 9.15 circa siamo alle Case Brigna. Siamo passati da un’altra strada, diversa da quella che ho seguito io otto giorni fa. La camminata è stata divertente. Chicco e io eravamo dietro a Pescia e all’istruttore Traverso, e ascoltavamo. Intanto dietro il gruppo si sgranava. Ripartiamo dalle Case Brigna e dopo un po’ di salita arriviamo alla selletta tra il Monte Pennone e il Bric Brigna: trovo modo di assentarmi pochi minuti per salire su quest’ultima cima (la mia 155a). Proseguiamo fino a circa 600 metri di quota, alla base delle rocce che formano la palestra (che io otto giorni fa non ero riuscito a vedere a causa della nebbia).
Cavalieri ci fa rifocillare, poi ci divide in otto gruppi. Io sono nel quarto e come istruttore ho Salvatore Gargioni. Il suo aiuto-istruttore Francesco Masetti, quello con cui il 19 gennaio di quest’anno avrei dovuto andare alla palestra di Riva Trigoso, anche oggi è assente. Chicco è con Ravajoni e Vincenzo Bruzzone. I vari gruppi si sparpagliano per la palestra e noi andiamo a cercarci un roccioncino per le prime nozioni base. Il nostro guppo è di sette persone, ma tre sono assenti. Dunque siamo solo quattro allievi. Gargioni, detto Gabbe, attacca a spiegare le prime cose, facendoci provare le prime posizioni. Poi ci spostiamo a massi un po’ più alti che richiedono per prudenza l’uso della corda. Dei miei compagni di gruppo, uno è un signore piuttosto corposo, di 35 anni, di nome Fascioli. L’altro ha nome Gonella e ha 39 anni. Questo è un tipo molto particolare, il prototipo del teorico dell’alpinismo. Il terzo è uno studente universitario di 24 anni. Di mano in mano che passiamo a qualcosa di meno facile mi metto in luce, fino a che, nel superamento di una placca, mostro una particolare grazia e abilità nei movimenti che strappa gli elogi di Gabbe. Alla fine della mattinata sono senz’altro ritenuto il migliore del gruppo. Dopo mangiato ricominciamo. Si fanno le stesse cose della mattina ma un po’ più in alto. A volte l’istruttore ci prega a turno di assicurare dall’alto il compagno che viene su, mentre lui dal basso osserva e dà consigli. Siamo pregati di aiutarlo perché lui oggi è da solo e, visto che Fascioli, Gonella e io sappiamo assicurare, lui ne approfitta. Verso le 16.30 supero per primo, assicurato dall’alto, un passaggio alto, proprio sopra la croce di marmo messa lì per commemorare la morte, proprio lì, di G. B. Canepa nel 1936. “Morte” non è parola incoraggiante, ma insomma… Dopo ci spostiamo a destra, in un diedro dove è anche Pescia con i suoi. Vado su, assicurato da Gargioni, elegante e raffinato, per cui Pescia mi chiederà subito dopo se ho già fatto roccia.
Giunto in cima assicuro gli altri, assistiti sempre da Pescia, mentre Gargioni scribacchia sul suo taccuino le nostre note salienti. Riesco a sbirciare il mio voto, otto! Poi, spiando nei registri degli altri istruttori, non vedo voti superiori al sette.La cosa è incoraggiante. Di lì a poco ce ne andiamo e verso le 18.30 siamo a Voltri.
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Lettura e Belle Foto..D’ Epoca….! Il tutto come sempre fantastico…Grazie Alessandro…e Saluti…G.C.