Viaggio serale nel pianeta gardenese

Metadiario – 278 – Viaggio serale nel pianeta gardenese (AG 2009-002)

Nel resoconto-racconto del 2009 mi occorre definire quell’anno con la frase popolare ”boia chi molla”. Sul fronte lavorativo vedevo il graduale estraniarsi di Marco Milani dalle responsabilità della società: e, del resto, come dargli torto vista la difficoltà che avevamo a pagarci i vari mensili! Inoltre, come avremo modo di vedere, stavamo tirando avanti con Kappatre Comunicazione e con il lavoro redazionale che ci dava Priuli/Verlucca, dunque la fotografia e i viaggi reportage erano ormai un pallido ricordo. E questi erano sempre stati la sua passione. Pur tentando, non trovavamo commesse di quel tipo e in più Marco era tormentato da dolori di vario genere e natura. Alla fine aveva superato bene la separazione da Luisa e aveva potuto ritirarsi nella sua bella casa di Carnate con Barbara.
Io ero arrivato ai miei tre anni e mezzo di assunzione giornaliera di una pillola di cortisone da 25 mg: non lamentavo particolari danni collaterali, ma mi ero un po’ gonfiato e non vedevo modo di uscirne.

Salvatore Bragantini sulla seconda lunghezza di Calliope alla Parete di San Paolo (Arco)

Il 14 febbraio, mentre scalavamo a San Paolo sulla via Calliope, nel camino della seconda lunghezza Salvatore prese male la spaccata e volò per due metri. Si fece male ad un piede, lo calai alla sosta e mi feci assicurare per fare il tiro e recuperare i rinvii. Poi raggiungemmo la base con una doppia e incominciò la per fortuna breve marcia di ritorno all’auto. Le radiografie all’ospedale di Arco confermarono la rottura del malleolo.

Feci altre due uscite: alla Parete Striata del Muzzerone (con Marco, 15 febbraio, sulla via Kimera) e ancora a San Paolo sulla via Fuga dall’Hades (con Filippo, il 7 marzo).

Salvatore Bragantini sulla seconda lunghezza di Calliope alla Parete di San Paolo (Arco), poco prima di volare.

Il 14 marzo Guya ed io ci sposammo a Palazzo Dugnani di Milano. Non svolgendosi in chiesa, non fu così folcloristico: poteva diventare noiosamente burocratico e invece fu breve e intenso. La giornata era di cielo sereno e, al termine della cerimonia, e dopo tutte le strette di mano, baci, abbracci e lanci di bouquet, ci avviammo verso il ristorante Corte del Noce di Villa d’Adda, dove arrivammo per l’aperitivo e il pranzo, ciascuno con i propri mezzi. Guya ed io eravamo felici, e così la nostra quarantina d’invitati.

Coste dell’Anglone (Arco), via Archai, Alessandro Gogna sull’8a lunghezza

In occasione dell’annuale assemblea delle guide lombarde, a Fòrcola, tra le varie cose presi la parola per chiedere se c’era la volontà dell’assemblea di andare avanti con il libro storico. Al testo era stata messa la parola fine nell’agosto 2007. Dopo il lungo periodo di approvazione, da gennaio 2008 avevo iniziato la redazione, assieme ad Alessandra Raggio, salvo poi interromperla a primavera per via della nuova presidenza del Collegio, non dico contraria al progetto ma di sicuro abbastanza refrattaria. “Non ci sono soldi, adesso prendiamo le misure, ecc.”. Così avevamo interrotto i lavori, poi Popi ed io avevamo chiesto ufficialmente se c’era l’intenzione di procedere in qualche modo. La risposta era stata sì, “ora un’apposita riunione del consiglio valuterà come e qualmente”. Avevamo l’impressione però che si sarebbe perso altro tempo e che alla fine avremmo dato il tutto ad un editore, il quale sarebbe stato il legittimo proprietario dell’opera, con buona pace di guide e Regione Lombardia. A quell’assemblea era presente anche Ettore Togni (l’ideatore dell’opera): era seduto in sala (non al tavolo) e per tutto il tempo non disse una parola, neppure dopo che Alberto Bianchi aveva sommessamente fatto notare che, a suo tempo, la regione aveva fatto un finanziamento apposito.
La prima presentazione del libro a un editore la facemmo a Bellavite il 15 marzo. Alessandra ed io mostrammo come l’opera si articolasse sostanzialmente in due parti che avevamo chiamato Evoluzione della Guida e Le guide lombarde e la storia dell’alpinismo. La stessa presentazione l’avremmo fatta in seguito (2010) anche Stefanoni di Lecco, anche lì senza alcun successo.

Ivo Rabanser su Il profondo rispetto dell’Indria, 11a L, Coste dell’Anglone, Arco

Numerosi box interrompevano il filo della narrazione per riportare documenti originali, relazioni, racconti di autori vari e gettare quindi ulteriore luce sugli aspetti più curiosi ed importanti delle vicende storiche.

Nella prima parte era illustrata la figura della guida, la storia di un mestiere e di una professione, dal primo Corso Guide in Lombardia fino ad oggi. Seguiva poi uno sguardo sulle grandi famiglie di guide, dai capostipiti ai discendenti, naturalmente con la storica suddivisione per valli.

Stefano Michelazzi su Archangelo (Coste dell’Anglone), 5a L

Anche i gruppi di guide erano descritti a seconda della loro tradizionale suddivisione per valli alpine (Val Malenco, Val Masino, Livigno, Bormio, Valchiavenna, Lecchese, Bergamasco e Valcamonica).

Abbondante spazio era riservato alla guerra ’15-’18 e alla parte in essa avuta dalle guide alpine lombarde, come pure all’evoluzione del soccorso alpino. Ovviamente un libro non può essere completo se non affronta le problematiche odierne. Pertanto, nella sezione La guida oggi era detto come il mestiere più affascinante del mondo stesse cambiando, pur rimanendo tale, quali fossero i problemi taciuti, l’inquadramento professionale, il ruolo sociale. Cosa erano l’Aspirante Guida Alpina, la Guida Alpina – Maestro di alpinismo, l’Accompagnatore di Media Montagna.

E si concludeva la panoramica sull’oggi parlando di formazione, con i corsi propedeutici, gli obiettivi e il programma dei corsi di formazione di Aspirante e Guida Alpina – Maestro di alpinismo, nonché degli Accompagnatori di Media Montagna.

Ivo Rabanser e Alessandro Gogna su Archangelo

Nella sezione La guida domani, ecco l’analisi dei settori operativi, dei lavori in esposizione, dei progetti di sviluppo alpinistico come il canyoning, il nordic walking, dei settori operativi emergenti. Ampio spazio era stato dedicato alla

Prima Conferenza Stampa delle Guide Alpine Italiane e alla diffusione e promozione via Internet, con addirittura i consigli a chi vuole dedicarsi un sito web (o vuole migliorare il preesistente).

Coste dell’Anglone (Arco), via Le scalette dell’Indria, Alessandro Gogna su 3a lunghezza

Ci addentravamo così nella filosofia che stava alla base della professione, filosofia che ovviamente influenzava l’intero modo di esercitare, con i capitoli L’umanesimo delle guide, la Protezione della montagna, Dove sta la sicurezza?, Quale sicurezza?, Verso una vera libertà di movimento, Spit e ferrate, Didattica della nuova formazione.     

Alla seconda parte appartenevano le biografie di 110 di guide d’ogni epoca, 30 dell’area valtellinese, 6 dell’area bergamasca, 16 dell’area bresciana, 21 dell’area lecchese e 37 che abbiamo preferito classificare come “individuali” (tra cui le 4 donne).

Un capitolo apposito era stato dedicato all’attività delle guide alpine lombarde nel campo dell’alpinismo extraeuropeo. Altra sezione curiosa era quella riservata ad alcuni tra i “clienti” più famosi.

Coste d’Anglone, via Le due pareti, Salvatore Bragantini su 1a lunghezza
Coste d’Anglone, via Le due pareti, Salvatore Bragantini su 4a lunghezza

Concludeva l’opera una corposa appendice con alcune tabelle, l’indice dei nomi e dei luoghi, le referenze fotografiche e la bibliografia.

Accanto a questo libro che stentava a nascere, La verità obliqua di Severino Casara vide la luce nell’aprile (ma si capì quasi subito che sarebbe stato un insuccesso, visto che non concedeva nulla di sensazionale oltre alle verità documentate e che alla fin fine non prendeva posizione).

Dopo la bella arrampicata sulla via Archai delle Coste d’Anglone (21 marzo, con Filippo, Edoardo Balotti e Pisel) e dopo un’altra puntata al Bourcet per lo Sperone Centrale (5 aprile, con Luca Bozzi, Filippo e Alberto Gallizia), ci furono le vacanze pasquali passate ad Entréves dai Sicola. Il 9 aprile con Giovanni feci delle cose carine alla Palestra Hans Marguerettaz, la Moby Dick, Colori dell’Arcobaleno e Biancaneve.

Salendo dalla Turmscharte alla Vordere Wilder Turm, Stubaital
7 maggio 2009, vetta della Vordere Wilder Turm. In piedi, Simone Bobbio (a sinistra) e Peter Weber. Seduto, Lorenzo Scandroglio.

Il 25 aprile andai con Giovanni Alfieri e Roberto Corsi nell’Appennino Genovese, Rocca del Prete, via Il Ritorno di Lucifero. E di seguito, altra puntata ad Arco, in occasione del Festival. Il 30 aprile salii con Ivo Rabanser Il profondo Rispetto dell’Indria alle Coste dell’Anglone, mentre lo stesso Ivo mi convinse, il 3 maggio, ad affrontare le difficoltà di Archangelo (sempre alle Coste dell’Anglone), ma quella volta era con noi anche il suo amico Stefano Michelazzi, un forte alpinista triestino che mi colpì subito per la sua naturale irruenza e selvaggia naturalezza. Su Archangelo non tirai neppure una lunghezza, ma non me la cavai male. In ogni caso un grande capolavoro di Heinz Grill.

Rocca del Prete (Appennino Ligure), via Il ritorno di Lucifero, Roberto Corsi, 2a lunghezza. Alessandro Gogna è in sosta.
Rocca del Prete (Appennino Ligure), via Il ritorno di Lucifero, Roberto Corsi, 6a lunghezza.

Al Trento Film Festival ci fu la presentazione del libro Grido di Pietra. Messner fu letteralmente spietato nel considerare la vicenda Maestri/Cerro Torre. Così, qualche tempo dopo, gli scrissi una lettera con il titolo

“Il peccato di Reinhold Messner
Nel cercare di chiarire a me stesso cosa mi ha colpito così in profondità quel pomeriggio a Trento dovrei meditare a lungo, anche dopo essermi preso il tempo di leggere l’intero libro Il Grido di Pietra. Impresa condotta in una quindicina di giorni, nei ritagli di tempo, in tram, in metropolitana, in bagno, ma sempre con la voglia di farlo, per la curiosità di vedere come un altro storico vede la storia.

Quel pomeriggio a Trento sono rimasto impressionato dalla violenza con la quale Reinhold ha esposto la sua tesi. Aggressivo, arrogante quasi. Crudele, forse. Killing Cesare Maestri si sarebbe potuto intitolare la presentazione di quel nuovo suo libro.

Senza possibilità di scampo, con il desiderio di chiudere una vicenda storica durata 50 anni, e chiuderla a chiave. E gettando via la chiave subito dopo.

Non voglio entrare in particolari tecnici, che dovrebbero esser discussi uno per uno. Soprattutto i chiodi che mancano, il tempo atmosferico pessimo, la pendenza media dell’itinerario Egger-Maestri. Mi voglio limitare solo alla critica alle mie emozioni, come ascoltatore e lettore.

Anche se a volte si ha l’impressione che qualche conversazione o intervista non sia del tutto aderente alla logica del personaggio intervistato (colpa della traduzione?), il libro è avvincente. Segue gli avvenimenti in linea cronologica, come deve essere: ma spesso i fatti sono interrotti da considerazioni personali dell’autore che si perde più a scandagliare il perché dei suoi dubbi che non il perché dei dubbi degli altri, come si presume dovrebbe fare uno storico oggettivo.

Luca Santini su via delle Meteore (4a lunghezza), Parete di Santa Maria (Val Divedro)

Perché in fin dei conti, si chiede Messner, dubitare di Maestri quando egli stesso ha di Maestri la massima stima come arrampicatore e come alpinista estremo? La stima per Maestri è ribadita ad ogni piè sospinto (e questo pure a voce, nella presentazione di Trento), quasi a significare la paura interiore nel giudicare una vicenda in modo così volutamente definitivo. Messner condanna Maestri, perché la realtà sul Cerro Torre è stata altra cosa da come il trentino l’ha raccontata: ma, mentre lo condanna, SI dà delle attenuanti, perché continua a stimarlo! Lo giustifica con l’avventura pazzesca da lui vissuta, per aver visto la morte in faccia, per i particolari necessariamente un po’ contradditori della relazione, per il ricordo offuscato dopo 50 anni. Lo giustifica perfino addossando ad altri (a Cesarino Fava) la responsabilità di aver architettato la menzogna. Per Messner fu Cesarino Fava ad avere la vera necessità e urgenza psicologica di un successo ad ogni costo sul Torre.

Ho anche notato che il libro è meno “crudele” della presentazione del libro a Trento. Le cose dette sono le stesse, ma arroganza e pretesa di essere giudice autoritario sono nettamente inferiori. Colpa dell’evento mediatico della presentazione? Siccome Messner sa bene che scripta manent allora è stato più duro a parole che sulla carta?

L’impressione che ho ricevuto a Trento non si è ripetuta durante la lettura. Forse mi sto abituando? Forse all’iniziale ribellione provata a Trento vado gradualmente sovrapponendo la razionalità, il giudizio negativo dei migliori arrampicatori del mondo che si sono avvicendati a cercare di ripetere la pretesa via di Maestri?

Non lo so. Forse, in fin dei conti, spero ancora in un salvataggio in extremis di Cesare Maestri. Sogno il giorno in cui tutto si chiarirà positivamente, meglio continuare a sognare avendo paura della prova contraria definitiva che cedere alla tentazione di non sognare più. Sempre dalla parte della vittima? Anche se questa è stata ed è un po’ fanfaronesca, istrionica, nonché clamorosamente egocentrica? Si può essere generosi (e Maestri è stato ed è un generoso), ma si può al tempo stesso reclamare per se stessi l’attenzione del mondo, in modo quasi disumano, innaturale e provocatorio. Fino alla menzogna?

Messner sta al gioco della leggenda che si è creata attorno a Maestri. Ne sente il fascino, è evidente, lui stesso continua ad affermarlo. Come un cacciatore segue le orme del camoscio, ne annusa il passaggio, ne prevede le mosse. Quando finalmente vede l’animale lo ammira in tutto il suo splendore naturale, lo ama quasi. Ma poi non esita a ucciderlo con una fucilata. Così come non esita a scuoiarlo, mangiarlo, esporne il trofeo.

Perché il colpire a morte l’animale è l’atto supremo dell’uomo per affermare la sua superiorità alla natura che gli appare già così tanto bella. In fin dei conti è un atto romantico, Io contro Natura.

Due mesi fa ho sognato d’essere in vetta ad una montagna abbastanza alta, con neve. In cima era una capanna, ed io vi ero assieme a Messner. Eravamo lì, senza un perché. Non si stava male. Ad un certo punto Messner comincia a scendere di corsa per il pendio di neve, io lo seguo per poco poi lo lascio andare. Eravamo assieme, ora non più. Io sogno ancora, lui no. Io sono ancora in cima tra le nuvole, lui è dabbasso. Non è che io non posso scendere: semplicemente non lo desidero.

Quarta Torre del Sella, parete nord, via Moroder-Malsiner. Ivo Rabanser su 2a L, 2 agosto 2009.

È dal 1968 che ammiro Messner, le sue realizzazioni, il suo stile di vita. L’ho invidiato anche, ma l’invidia non mi ha impedito la correttezza nei suoi confronti e di continuare a stimarlo. L’ho difeso mille volte, nelle discussioni con amici, per iscritto, perfino nelle mie conferenze, quando la gente mi chiedeva con un sorrisetto cosa ne pensavo di lui.

E ora, perdio, mi dà un fastidio enorme averlo dovuto abbassare di un gradino dal piedistallo su cui io stesso lo avevo posto. Non è qualcosa che faccio volentieri, perché continuo ad ammirarlo e invidiarlo. Non mi dà sollievo vedere che il mio eroe non è così eroe, anzi è sceso dalla vetta su cui eravamo assieme.

Quinto, non uccidere. La Tavole di Mosè non dicono perché, ma forse bastava aggiungere “perché non ne hai bisogno”. Possiamo sostituirci alla giustizia divina?”.

La risposta di Reinhold
Carissimo Sandro, bene, sei rimasto lassù. Io sono sceso nelle più profonde vallate, nei boschi oscuri per capire i miei simili. Ho voluto ritornare nella mia vita, non sono un romantico da quarant’anni e sto tanto bene senza nessun eroe, quindi non devo costruirmelo. Per conoscere gli angoli segreti e nascosti dell’animo, bisogna avere la fortuna di capire la differenza tra retorica e realtà. Riscrivere la storia dell’alpinismo è affascinante, ma solo se ti incontri con i pseudoalpinisti.
Ringrazio Cesarino Fava e mi dispiace per Cesare Maestri, ma non posso, come storico, negare i fatti. Il Torre è ‘quel fatto che rimane’, l’unica verità oltre le migliaia di verità umane. E’ la montagna che rispetto come arbitro e non lavoro con i dubbi. Scrivo solo quello che so. Logicamente la storia scritta rimane sempre soggettiva, perché scritta da un soggetto. Quanto vale lo diranno i prossimi millenni. Saluti, tuo Reinhold
”.

Quarta Torre del Sella, parete nord, via Moroder-Malsiner. Ivo Rabanser sulla penultima lunghezza, 2 agosto 2009.

Non stavo per nulla bene con i miei dolori, ma non volevo aumentare la dose giornaliera di cortisone. Il 6 maggio, per un servizio di Alp associato al nostro cliente Stubai, salii da Ober Issalm con Lorenzo Scandroglio, Simone Bobbio alla Franz Senn Hütte 2147 m. Con una guida locale, Peter Weber, il mattino dopo salimmo alla Turmscharte 3126 m e poi alla vetta della Vordere Wilder Turm 3177 m. Impacciato con gli sci mi feci un po’ attendere, ma recuperai nella parte finale dove occorreva toglierseli e salire su un tratto di misto. Anche la discesa fu sofferente.
Continuò la visita seriale alle vie di Heinz Grill ad Arco. Il 10 maggio ero con Luca Santini, Davide Frizzo e Silvia Eterni sulla via Le scalette dell’Indria alle Coste dell’Anglone, mentre il 21 maggio sempre sulla stessa parete, salivo con Salvatore Bragantini la via Le Due Pareti: ricordo di essere stato vicino a un colpo di calore alla settima lunghezza.

Luca Santini e Salvatore Bragantini sulla Gran Fermada, via Il Fuoco nelle Nuvole, 2a L, 4 agosto 2009.

Sul Torrione Magnaghi Centrale (in Grignetta) il 24 maggio salivo la via Gandini con Luca Santini e Giovanni Sicola. Proseguimmo sul Torrione Magnaghi Settentrionale per la via Bartesaghi-Longoni (con variante delle Guide). Dal 30 maggio al 2 giugno fummo ospiti in provincia di Imperia di Andrea D’Amato: fu una vacanza davvero divertente, dove alternammo grandi mangiate e bevute con qualche tirello in falesia sulle Rocce di Loreto, in Valle Argentina e sul Pilastro della Fontana (in Val d’Inferno, Valle del Tanaro), ma questo nella giornata di ritorno. A Loreto iniziammo all’arrampicata Rocco, il figlio di Andrea. Ricordo in particolare l’allora del tutto selvaggio Paretone delle Rocce di Loreto: la via Verdi colline d’Africa, 9 tiri di difficoltà varia: la feci con Luca e fu una specie di battaglia per capire dove passasse di preciso la via.

Alessandro Gogna in discesa dalla Gran Fermada, via Il Fuoco nelle Nuvole, 4 agosto 2009.

Il 4 giugno morì di feroce malattia l’amico Ranieri Massola. Avevo con lui un rapporto affettivo particolare, che non saprei neanche spiegare: fu un colpo molto duro.

Nel frattempo avevamo ricevuto, allo scadere del secondo contratto quadriennale di corso Vercelli, una richiesta economica di parecchio superiore alla precedente, che in effetti ci rimetteva in linea col mercato. Ma a quel punto Guya ed io ci mettemmo alla ricerca di una casa da acquistare. Iniziarono le manovre per la vendita del suo appartamento di viale Sabotino che scoprimmo in seguito si sarebbero concluse solo a fine anno. Con il ricavato si poteva pensare a una qualche soluzione che ci soddisfacesse.

Croda di Re Laurino, via Castelli di Sabbia, Antonio Bernard sulla 1a L, 5 agosto 2009.

Il 7 giugno ci fu una storica escursione alla Rocca dell’Aia con Giovanni Sicola, Giovanni Alfieri, Filippo Gallizia e Salvatore Bragantini. Dopo aver salito prima la parete nord, per la Variante alla parete est + via dell’Aia e in seguito la via Scarason, scendemmo a Loano del tutto disidratati. Nel casino domenicale della località balneare, approfittato del primo posteggio trovato, finimmo in un bar che sembrava del tutto anonimo, lontano dallo struscio del lungomare. Dopo il primo giro di birre, il barista (che però non aveva altro da fare perché eravamo gli unici clienti) si fece avanti con qualche domanda. Altro giro di boccaloni. Ci chiese cosa facevamo da quelle parti, apprese dell’arrampicata e si dimostrò interessato: perciò demmo il via a un terzo giro, cui partecipò anche lui. Alla fine, udite udite, il giovane barista, genuinamente ligure, ci offrì un quarto giro. Più che disposti ad ascoltarlo, ci raccontò del turismo balneare, belin, dei turisti che belin dicono tutti le stesse cose, che buono, che buono, ma lo so io che cosa gli ho dato, belin. Aveva lavorato sul lungomare e, quando serviva i gamberetti fritti, la gente diceva “che buona questa roba fresca”, invece, belin, veniva tutto congelato dall’Argentina, a sacchi.

Seconda Torre di Sella. Alessandro Gogna nella prima ripetizione della via Bataian, quarta lunghezza, 6 agosto 2009.

A quel punto si era fatta una certa, dovevamo smetterla. Con dispiacere lo salutammo, ma con la promessa che ci saremmo rivisti. Cosa che non successe, perché uno o due anni dopo quando ripassammo, il bar era chiuso sprangato. Forse era la punizione ligure a chi offre da bere ai propri clienti…

Risalimmo in auto, sicuri di ritrovarci in coda verso Genova e Milano. Ma la coda era ciclopica, davvero storica. Fu circa a Spotorno che esplosi con la mia frase, che sarebbe diventata celebre nel giro delle mie amicizie: “luridi bagnanti!”.

Seconda Torre di Sella. Alessandro Gogna nella prima ripetizione della via Bataian, settima lunghezza, 6 agosto 2009.

Il 13 giugno andammo all’Éperon Renaud alle Tenailles de Montbrison, senza coinvolgere Franco Ribetti, non ricordo più perché. Ero con Salvatore e Filippo e Alberto Gallizia. Una via magnifica, rovinata dalla puzza dei miei piedi, costretti in un paio di Five Ten che in seguito avrei addirittura buttato via. Era già qualche uscita che avevo notato il fenomeno, ma lì ricordo che i miasmi alle soste erano insopportabili, assieme alla grande calura. Il giorno dopo con Salvatore andai a Freissinières, dove salimmo bene La Bavure e tentammo malamente la via del Traverso.
Il 20 giugno bella giornata al Pizzo dei Nibbi 1811 m (Grignone), con Luca Santini e Giovanni Sicola: via della Libertà, via Mary e tentativo alla via Titta. Non ricordo assolutamente nulla se non la gioia d’essere assieme agli amici.

Seconda Torre di Sella. Alessandro Gogna in vetta dopo la prima ripetizione della via Bataian, 6 agosto 2009.

Dal 28 giugno al 14 luglio ci fu la vacanza in Sardegna, di cui in Metadiario – 277 – Percorsi inutili – 9.
Al ritorno a Milano, solito e concitato disastro lavorativo. Solo il 26 luglio trovai modo con Luca Santini di andare alla Parete di Santa Maria (dalle parti di San Domenico e dell’Alpe Veglia) e salire la bella via delle Meteore.
Poi ci fu un po’ di vacanza dolomitica: Salvatore conosceva amici a Tamion, il villaggio sopra Soraga da me ben conosciuto. Questi ci ospitarono gentilmente e, debbo dire, noi lasciammo il nostro ricordo. Il 2 agosto col Braga (Salvatore) ci trovammo a Passo Sella con Ivo Rabanser, quel giorno libero da impegni di guida alpina. Vissi la salita alla Quarta Torre di Sella per la parete nord, via Moroder-Malsiner in continua tensione. Evidentemente l’abitudine allo spit mi aveva diminuito la propensione a fare metri e metri così aleatori su difficoltà notevoli. Si aggiungeva il ricordo del volo sulla Cima della Madonna. Ivo invece procedeva con estrema naturalezza, ma non mi era sufficiente per sentirmi al sicuro. Raggiunsi la vetta con sollievo e per tutta la discesa nei camini a doppie fui allietato da Ivo che mi faceva leggere gli espliciti messaggini di una sua ammiratrice.

Salvatore Bragantini sulla via del Gracchio alla Torre Edwards, ultima lunghezza

Il giorno dopo era brutto, ne approfittai per fare un’escursione solitaria a Malga Palua alla ricerca dei possibili funghi nei posti che ricordavo, ma soprattutto nel ricordo di quegli anni con mio padre.

Il 4 agosto salita dal Gardeccia con Luca e Salvatore alla Gran Fermada (Crepa de Socorda) per la via Il fuoco nelle nuvole (via di 5 L a destra di Leandrina). Il giorno dopo altra mazzata, la parete nord-ovest della Croda di Re Laurino per la via Castelli di Sabbia: una via moderna di arrampicata non estrema ma condotta nella quasi totale sprotezione (Massimo Maceri e compagni nel 1994). Alle soste a volte c’era un solo chiodo sul quale non avrei certo fatto la corda doppia necessaria per scendere. Con noi era anche l’amico Antonio Bernard, sempre in forma e dal coraggio immutato. Fu con grande sollievo che arrivai a terra dopo l’interminabile serie di doppie (la via non arriva in cima).
Il 6 agosto fu la volta del Piz Ciavazes, ma questa volta solo sui vari monotiri alla base: anche lì la sicurezza era comunque approssimativa. Poi c’era l’appuntamento a Passo Sella con Ivo Rabanser.

Chemin du Roi, via Hèlène et les Garçons: Alessandro Gogna su 3a lunghezza
Valentina Villa verso il Col de Chardonnet (Briançon) per accedere alle Cretes du Queyrellin

Ivo insisteva per andare a ripetere sulla Seconda Torre di Sella una via sul pilastro ovest che dei suoi giovani amici avevano aperto qualche tempo prima: la via Bataian era stata infatti realizzata da Manuel Stuflesser e Norbert Weiss nel luglio 2009. Era già tardi, sulle difficoltà il ragazzo non si sbottonava troppo. Dopo lunga discussione a quattro, decisi di accompagnarlo, mentre Braga e Luca si sarebbero accontentati della via Steger sulla Prima Torre di Sella. Trottai dietro all’amico fino all’attacco, e quando lui mise le mani sulla roccia erano già passate le 16.30. Va bene che il tempo era buono, ma vi sembra l’ora per iniziare in Dolomiti una via di otto o nove lunghezze che non conoscevamo e, posso garantirvi, di aspetto terrificante dal basso?
Ovviamente Ivo voleva realizzare l’itinerario completamente in libera, perciò quando con calma ma con fatica riusciva a piazzare le protezioni nei punti più difficili, non le toccava.

Chemin du Roi, in vetta all’Éperon de la Route (voie des Quarante). Da sinistra, Sofia, Luca Santini, Costanza Sicola, Paola Mazzucchi Sicola e Paola Pravadelli. In piedi, Giovanni Sicola.

Fu un vero e proprio incubo. Al di là del fatto che non c’era neppure un metro di V grado, ma si viaggiava costantemente tra il VI e il VII, con puntate anche al VII+ se non all’VIII-, il mio terrore era soprattutto quando ero fermo in sosta a filargli lentamente la corda. Ivo saliva con una sicurezza superba, ma non riuscivo a non pensare alle conseguenze di un suo volo. Ci fu un comico scambio di battute tra me e quelli della Steger, che ovviamente, dopo aver visto a cosa erano sfuggiti, mi prendevano anche in giro.
Arrivammo in vetta alle 20.30 e mi sembrò di rivivere. Raggiunte le auto, Ivo ed io concludemmo la serata a casa sua, a Santa Cristina, perché io non avrei mai fatto in tempo a raggiungere gli altri a Tamion.

Tour Termier (Galibier), via Ponant Neuf: Alessandro Gogna sulla 7a lunghezza, 15 agosto 2009.
Tour Termier (Galibier), via Ponant Neuf: Irene Rossi sulla 6a lunghezza, 15 agosto 2009.

Il 7 agosto col Braga ero alla Torre Edwards (vicina al Croz di Santa Giuliana), sulla parete nord-est per la via del Gracchio, quando ricevetti una telefonata da Marta Cassin che mi comunicò la morte del padre, avvenuta il giorno prima.

Riccardo si era spento nel suo letto accanto e ai piedi di quelle Grigne che lo videro affermarsi come grande arrampicatore nei primi anni ’30. Se c’era un posto dove avrebbe dovuto morire era certamente lì, dopo cento anni. Una consolazione, questa, che sgorgava direttamente dalla ferita che ci infliggeva la morte di un uomo così amato e stimato. Un amore senza misura, almeno il mio, come a un padre, come ad un grande saggio. Un alpinista che non sgridava quasi mai, che non si metteva in cattedra, la cui parola asciutta era però altrettanto energica quanto le sue azioni.
Azioni che lo avevano reso giustamente famoso su tutto il pianeta. Ma è stata l’unione delle sue grandi imprese con la tenacia e l’umiltà nella vita a fare in modo che gli si riservasse di diritto un posto nel cuore di tutti noi. E quel posto è ancora ben saldamente occupato, a dispetto della sua dipartita. Per sempre. O almeno finché avremo vita noi stessi.

Verso il Pic de Beaudouis, 18 agosto 2009
Luca Santini scende dalla parete del Gandschijen, 5 settembre 2009

Poi ci fu la splendida vacanza a Briançon, dall’11 al 19 agosto, con Franco, Ugo e Luca Santini. In quelle giornate meravigliose salimmo un bel po’ di vie. Guya andava a camminare con Marvi e altre amiche, noi a scalare, a volte anche con Valentina. La sera poi era un momento bellissimo in cui ciascuno aveva i suoi compiti.

Ho deciso però, d’ora in poi e per non essere noioso più di quanto lo sono già stato, di citare nel racconto solo gli itinerari dei quali ho qualche ricordo, curiosità o aneddoti. Rimando pertanto alla consueta tabella cui il lettore è abituato da tempo, se interessato ai miei movimenti e particolari tecnici.

Eldorado, via Mötorhead, Alessandro Gogna sulla 3a lunghezza, 6 settembre 2009.

E passo quindi direttamente a raccontare un’uscita in Svizzera con Luca. Il 6 settembre, dopo aver salito il giorno prima il Südpfeiler del Gandschijen 2388 m (sopra la Goescheneralp, itinerario aperto da Hans Bächli e Hansruedi Horisberger nel 1966), ci avviammo a lato del meraviglioso lago per salire una grande classica: Mötorhead al “panettone” dell’Eldorado. Si tratta di uno degli itinerari più famosi della Svizzera, un’arrampicata magnifica di 19 lunghezze, prevalentemente su diedri di tutte le dimensioni, con molti passaggi impegnativi e chiodatura piuttosto parsimoniosa. Aperto nel 1981 dai fratelli Yves e Claude Remy, divenne ben presto una delle vie più ripetute per la sua bellezza. Sulla via eravamo l’ultima cordata di almeno una decina di scalatori, la giornata era splendida. Scalavo abbastanza bene ma ero perseguitato dal timore di volare. E così, dopo aver salito lo spettacolare diedro della sesta lunghezza (nel quale lasciammo un friend che Luca non era riuscito ad estrarre), giusto sotto al passo chiave di 6a+ del settimo tiro, affermai che non era giornata e il mio compagno seguì la mia decisione senza protestare. Peccato, ma alle sensazioni non si comanda. I tempi di Metal Hurlant erano distanti…

Arête de Marseille alla Grande Candelle, 3 gennaio 2009.

Altro ricordo è del 27 settembre, quando con Paolo Rosti, Filippo Gallizia, Matteo Malnati e Daniela Travella ci recammo al Gross Schijen 2784 m e salimmo la stupenda Directe Südkante (Bruno Honegger e Andy Müller, 1995). Ricordo che facemmo anche la cosiddetta variante “corretta”: ero da secondo e feci bene il diedro-fessura di 6b+. Il 3 ottobre il bel tempo imperante ci condusse in numerosa compagnia alla Albert Heim Hütte e la mattina dopo Salvatore ed io salimmo la magnifica via Niedermann alla Grauewand, un capolavoro del 1964 di Max Niedermann con Werner Sieber. Era stata la prima assoluta della parete, alta circa 450 metri e caratterizzata da difficoltà fino al VI/VI+. Oggi è una delle più celebri della zona, nota per la sua arrampicata su fessure e placche di granito di alta qualità. Niedermann è stato davvero un pioniere dell’arrampicata sportiva in Svizzera, grande quanto modesto.

Guya e Pelucco

Il 21 novembre con Maurizio Orsi e Daniela Travella salii la via Boia chi molla al Mont Courmoney (Outrefer, Valle d’Aosta). La via, aperta nel 2001, da Tito Sacchet, Aldo Echerle e Amabile Ramella, è molto lunga (16 lunghezze) e interessante, con uno sviluppo di circa 550 metri e un grado massimo di 6c, ma i fittoni inox Raumer sono vicinissimi, direi davvero che la chiodatura è “ascellare”. Per la discesa salimmo nel bosco per circa 25 minuti fino ai Piani di Cormoney, da dove rientrammo al parcheggio in neppure un’ora. Qualche tempo prima gli amici Filippo e Salvatore erano stati costretti dal buio a bivaccare ai Cormoney, noi da casa avevamo perfino attivato i soccorsi… Mai dimenticarsi il telefonino…

Il 23 novembre, assieme a Fulvio Scotto, Angelo Siri, Lorenzo Fanni e Gabriele Canu (questi ultimi erano recenti ripetitori della mia via allo Scarason), andai alla Falesia del Tramonto sopra Erba per fare alcune riprese per il film Scarason, l’anima del Marguareis.

Tra le varie vie fatte ad Arco, spicca nei miei ricordi Nataraj alla Parete di Mandrea, che riuscii a fare bene (con Filippo Gallizia, 12 dicembre). Mi spiace solo che i due passi più duri li ebbi da fare da secondo.

Dal 29 dicembre andammo in vacanza con Luca ancora una volta nella profumata (anche d’inverno) Provenza. Il 2 gennaio 2010 ci raggiunsero Salvatore e Lucia Bragantini. A quell’epoca non c’era ancora stata grande frequentazione tra Guya e la famiglia Bragantini. Il 3 gennaio stavamo preparandoci, assieme a Luca, per andare a salire la classica Arête de Marseille alla Grande Candelle. Lucia, Paola e Guya si avviarono sul comodo sentiero prima di noi, nel tepore del mattino. Si erano “assunte” l’incarico di fotografare la famosa “spaccata” immortalata nelle foto di Gaston Rébuffat. Guya partì per ultima con il suo stile da modella, un modo davvero singolare ma per lei consueto di approcciare una camminata. Salvatore, guardandola, le si rivolse: “Guya, guarda che questa non è una sfilata…!”.

Per ciò che riguarda i convegni del 2009 ai quali partecipai come relatore, ne cito tre: Genova, speech su Alpinismo vs sport, al Panathlon, 23 aprile, organizzato dal padre di Alessandra Raggio; Trento, 1 maggio, Attentato all’alpinismo, organizzato dal GISM; Padova, 5 dicembre, Antonio Berti primo storico dell’alpinismo.

In ultimo, due parole sulle importanti vicende di fine anno. Guya ed io avevamo programmato di acquistare il nostro immobile a nome di una nostra società, in accomandita semplice, che grazie all’idea di Patrizia Brogi avevamo denominata “Il Guyale” (ovviamente da “Guya” e “Alessandro”. Questo anche in previsione dell’ormai avviata chiusura di Edizioni Melograno srl prima che i debiti diventassero eccessivi. Il 9 settembre iniziò formalmente l’attività de Il Guyale, mentre Melograno avviava le pratiche per la liquidazione. Nel frattempo, a ottobre, usciva il secondo volume della collana Campo Quattro di Priuli&Verlucca, Il meglio degli Anni Sessanta, che ebbe di sicuro più fortuna del primo. Si trattava di un’antologia dei migliori articoli apparsi sulla Rivista del CAI in quel decennio.

Il 2 novembre, dopo alcune riunioni con Katja, le scrissi questa mail:
“Cara Katja, in questi giorni ho preso atto delle tue volontà. E le rispetto pienamente. Ogni avventura prima o poi ha una fine… Ti chiedo solo, come del resto hai già pensato tu, di non usare “K3com”, Kappatre Comunicazione”, ecc. per la tua nuova futura attività. Vorrei tenermi la porta aperta per usare io questo nome, magari chissà…
Per l’attuale rapporto vorrei che rimanesse inalterato fino a quando la società non sarà chiusa, quindi oltre il periodo della “liquidazione”. In seguito, riguardo ai comunicati che mi farai scrivere, fammi un’offerta, sei tu che hai presente i prezzi. Se vi metterete d’accordo con Priska sarò molto contento. Per avvertire i clienti, occorre dirlo assolutamente subito dopo che la società sarà messa in liquidazione: per quel momento però dovresti avere già chiaro il nuovo nome, in modo che il cliente sappia che darai garanzia di continuità”.

Kappatre Comunicazione chiuse il 31 dicembre 2009: il motivo fondamentale della separazione aveva base nel mio consolidato rifiuto di quel tipo di lavoro, soprattutto in vista del grande cambiamento che giustamente Katja aveva in mente: l’inserimento della nostra comunicazione nei social, che già allora cominciavano a spadroneggiare, e dei quali io avevo ben scarsa considerazione.

Il 15 dicembre con Alessandra Raggio avevamo incominciato le grandi manovre per scrivere un altro libro di storia, questa volta sulle guide alpine della Valle d’Ayas (quello che sarebbe diventato Maestri delle Altezze).

Suonavano le campane a morto di altre due delle mie iniziative… così avrei voluto essere a River Plate, dove in quel dicembre, durante il loro Black Ice World Tour, gli AC/DC tennero il loro storico concerto…

Viaggio serale nel pianeta gardenese ultima modifica: 2025-06-13T05:58:00+02:00 da GognaBlog

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