Percorsi inutili – 9

Percorsi inutili – 9
2009
E arriviamo a quella che poi si è rivelata essere l’ultima vacanza di quel genere, un miscuglio di arrampicate e di vita in famiglia con adolescenti femmine e bagnanti, temperato dalla saltuaria presenza del Re del Pelo.

sa Rocca de Ballizzu, M. Marrosu su 2a lunghezza di No Traversi per Barbi , Sardegna

Sa Rocca de Ballizzu, Marco Marrosu su 2a lunghezza di No Traversi per Barbi

Con lui andammo subito (28 giugno) alla Rocca de su Ballizzu, dove avevo adocchiato una linea che non avrei potuto affrontare solo con Elena. Ne venne fuori un bellissimo itinerario, con qualche rude fessura, No traversi per Barbi. In discesa, nell’ombreggiato canale di detriti e blocchi, pensavo che era la quarta volta che passavo da lì e mi domandavo se ce ne sarebbe stata una quinta: perché quello era davvero un bel posto. Ma era come se sentissi che si stava chiudendo un altro capitolo.
Nel caldo feroce del mezzogiorno andammo a fare un giretto nell’assolata distesa di massi di sa Conca de su Demoniu:  sembrava di essere su Marte.

La sera ci fu la gradita visita di mio nipote Paolo Cerruti, che lavorava da anni in Lussemburgo. Arrivò con la fidanzata Manuela, che per la verità non suscitò immediate simpatie nel nostro covo di vipere.
Il giorno dopo, assieme a Elena, li portai alla prima vasca del rio Petrisconi, mentre Guya con Alessandra e Petra andava a timbrare il cartellino su qualche spiaggia.
Dopo i tuffi di rito ci rivolgemmo alla Punta Maggiore, la cima più alta del Monte Nieddu, dove arrivammo abbastanza provati per l’impietosa calura.
Al ritorno eravamo così accaldati dal non poter resistere un minuto di più, perciò tornammo alla vasca.

Il giorno dopo arrivò Costanza Sicola, andammo a prenderla all’aeroporto di Olbia. Di un anno più giovane di Elena, Costanza è la figlia dei nostri amici Paola e Giovanni.

Il primo di luglio il nostro gruppone al gran completo noleggiò un gommone a Porto San Paolo. Andammo a Tavolara in otto e facemmo il bagno proprio alla base delle verticali pareti del lato nord-est.

sa Rocca de Ballizzu, M. Marrosu sulla 4a lunghezza di No traversi per Barbi , Sardegna

Sa Rocca de Ballizzu, Marco Marrosu sulla 4a lunghezza di No traversi per Barbi

Partiti Paolo e Manuela, in assenza di Marco Re del Pelo e privato dell’impegno della Verità obliqua di Severino Casara, nella sola compagnia delle solite moriture mosche, confesso che un po’ mi annoiavo. Ma la spiaggia sarebbe stata anche peggio.

Il 3 luglio salii da solo sulla cresta nord-est dei Punteddoni, una delle tante mete esplorative ma di ripiego che mi ero ritagliato per i momenti di solitudine. In seguito convinsi Elena e Costanza a seguirmi in un’uscita arrampicatoria. Per la seconda la grande novità era di scalare su un terreno mai percorso da nessuno, per la prima c’era l’orgoglio di portare l’amica a fare una cosa del genere. Ma la sera prima era arrivato Damiano.

Era già da qualche tempo che Milo, bello e impossibile, raccontava alle “rapite” di un suo amico di Olbia, l’ormai mitico Damiano. Uno la cui bellezza risplendeva come il sole, uno che aveva ai suoi piedi l’intera popolazione femminile della sua città, uno che al supermercato la cassiera lo lasciava passare senza pagare.
Milo era stato bravissimo a creare un’attesa spasmodica, e quando finalmente comunicò loro che l’amico stava arrivando, l’eccitazione salì a livelli spasmodici. Ma l’incontro fu una delusione cocente. Io sospetto che Milo lo abbia fatto apposta, un modo raffinato per prenderle per il culo.

– Damiano… un mostro! – ricorda Petra.
– Piccolino… gracilino… brutto! E ve la ricordate la cresta da punk? – rincara Elena – eravamo così gasate… e invece… poi, visto il livello intellettuale,  voi, tu e Alessandra, me l’avete lasciato a me e Costanza e ancora una volta voi “grandi” siete andate a sentire musica con Milo.
– E di cosa parlavate, tu e Damiano?
– Ci eravamo sdraiati là fuori sull’erba, la musica era quella dei Tokyo Hotel.
– Beeeh, che schifo! – è il commento di Petra.
– E’ lì che ho capito che me lo avevate rifilato. Mi diceva che lui prima ne aveva tre di creste… a tinte diverse. “Mmmmm… bello” dicevo io. “Mi sono accorto che così piaccio anche di più” continuava lui incapace di riconoscere il mio totale disinteresse (e qui Elena imita la cadenza sarda). Dopo  un momento di silenzio mi chiede “Hai visto che le stelle si sono mosse… non sono più come prima, ayo!”. E io: “Beh, la terra gira… e sembra che le stelle si spostino”. E lui: “Ah, già che la terra gira… qualche volta me ne dimentico!”.

Dopo una notte molto breve trascorsa nel camion in abbandono, tra fetidi materassi, topolini impertinenti e con le prodezze di un’altra gattina, Pigra, alle cinque di mattina del 5 luglio svegliai Elena e Costanza e le riportai in casa per un minimo di colazione.
Portai i due corpicini in piena catalessi fino a sos Pantamos e da lì le condussi barcollanti fin sotto alla parete di Punta sos Pinos, dove ci attendeva un bell’itinerario nuovo che, non so perché, le due vollero chiamare Tarzan sugli specchi. Questo si svolge tra Percorso inutile a sinistra e la via del Muschietto a destra.

sa Rocca de Ballizzu, via Tarzan sugli Specchi, 5a lunghezza , Sardegna

Punta sos Pinos, ultima lunghezza di Tarzan sugli specchi

Il 7 luglio mi avviai da solo verso la zona della Punta Joanne Russu, con partenza per il sentierino dal Pilastro Marragone. Volevo verificare una volta per tutte i sentieri e le tracce, ma volevo anche salire il pilastro nord-ovest della Quota 634 m, il rilievo a occidente della cresta ovest della Punta de lu Casteddacciu. Siccome ero da solo preferii salire sul versante ovest della Quota 634 m e poi, individuata l’uscita dello sperone, calarmi alla base su una corda sola di 60 metri. La base era un posto bellissimo, tra grandi querce. Riposai al fresco qualche minuto poi attaccai ad arrampicare lo sperone che, osservato prima in discesa, non poteva offrirmi sorprese più di tanto. Un’arrampicata piacevole, sulla quale lasciai due o tre cordoni, e che chiamai Un mondo senza mosche. Uscito dal terreno verticale continuai fino alla sommità, poi scesi sul versante opposto. Cominciava a fare caldo, il sole alle nove di mattina era già feroce. Stringendo i denti mi avviai per una macchia non folta verso la base della cresta ovest della Punta de lu Casteddacciu, che volevo salire integralmente. Cosa che feci, a dispetto del calore. Scesi per il canalone di detriti a sud-ovest, recuperai la bottiglia che avevo lasciato là piena di ghiaccio e acqua, bevvi fin quasi all’ultima goccia (di ghiaccio non ce n’era più), poi mi avviai al ritorno. Piuttosto che affrontare l’invincibile macchia del versante meridionale della Quota 634 m preferii risalire sulla cima di questa e riscendere a ovest, per lo stesso percorso di poche ore prima in senso opposto.
Ora il caldo era da allucinazione: mi ritrovai sul sentierino per Marragone con la strana sensazione di essermi perso. In certi punti facevo fatica a sentirmi dove realmente ero, solo la ragione mi diceva che non potevo essere altrimenti che lì. Fino a che, nel punto più critico, non successe l’incidente. Saranno state quasi le undici, i grilli facevano un concerto assordante. Io camminavo nella macchia cercando di sentire sotto i miei piedi quello che era rimasto del sentiero: sentii una fitta lancinante nel posteriore della caviglia sinistra. Mi fermai, abbassai la calza bucata e vidi che un corpo estraneo mi era entrato nella carne. Una spina enorme! Cercai di espellerla spremendola un poco, ma ero scomodissimo in quell’operazione e rinunciai.

Mi asciugai la fronte imperlata di sudore e bevvi le ultime gocce di acqua. Provai a camminare e per fortuna il dolore risultò sopportabile. La scarica di adrenalina mi riportò alla realtà geografica di dove ero e da quel momento, fino all’auto, non ebbi più alcun dubbio sul dove dirigermi.

Giunto a casa, Guya e le altre stavano ultimando i preparativi (creme, lozioni, ecc) per andare alla spiaggia. Quell’anno, sapendo della presenza di Costanza, avevamo portato due auto. Non dissi nulla e le lasciai partire. Quando fui solo mi dedicai con calma alla caviglia. Si intravvedeva un gonfiore nerastro, come se mi fosse entrato un bastoncino di più centimetri. Provai a premere verso il basso, a spremere. Sentivo solo dolore e l’oggetto non si muoveva, come se avesse avuto delle pinne che gli impedivano di scorrere verso l’esterno.

Chiamai Falk, per vedere se una mano diversa dalla mia poteva fare qualcosa. Il povero Falk, gentilissimo e premuroso, non riuscì a fare nulla più di me, e neppure Milo. Decidemmo di andare all’ambulatorio di Padru, che trovammo chiuso e che avrebbe riaperto (forse) alle tre. A quel punto Falk e io andammo a San Teodoro in cerca della Guardia medica. Dopo un’attesa di mezz’ora finalmente una dottoressa ci ricevette. Anche lei provò a estrarre lo spinone, senza successo. Concludendo con:
– Noi non siamo autorizzati agli interventi chirurgici… dovete andare all’ospedale di Olbia.

Arrivammo al nuovo ospedale di Olbia che ormai erano le 16, lì aspettammo al pronto soccorso un’irragionevole tempo. Solo alle 17.30 fui esaminato da un medico in piena regola. Mi portarono in una sala, mi fecero una  iniezione di antidolorifico e finalmente incisero la mia caviglia con il bisturi, asportando un mostruoso oggetto di  4 mm di spessore e 35 mm di lunghezza, nero e dotato di alucce unidirezionali. Una vera e propria arma. Quando uscii dalla “sala operatoria” Falk cominciava a essere preoccupato e aveva avvisato suo padre del perché della sua assenza. Una volta messomi al volante per tornare a Biasì feci una telefonata in cui avvisai Guya del mio calvario medico.

Ne seguì una settimana non di convalescenza ma quasi. E’ chiaro che non potevo fare nulla, mi erano vietati la sabbia, il mare e ovviamente la camminata e l’arrampicata. Alla sera dovevo sempre assistere alle uscite notturne delle ragazze. Il Re del Pelo ebbe pietà di me e venne ancora una volta a trovarci. Mi scarrozzò due o tre volte con la sua Panda 4×4 a Punta de Torriga, al Nodo Murrai, alla Jana di Monte Sempio e foresta di Usinavà-sos Rios. Andammo anche a sa Conca de Locoli, vicino a Siniscola, dove c’erano dei suoi amici speleologi.

Petra e Alessandra, ore 21


Insomma, questo fu il 2009. L’incidente sembrava chiudere un intero e glorioso periodo. Anche il nonno della spiaggia non era più lo stesso: se il primo anno faceva le capriole, quell’estate non le faceva più…
Una mattina c’era un forte vento, i bagnanti erano scomparsi. Sulla spiaggia, addossate a un muretto, Guya, Alessandra, Petra ed Elena si erano convinte di poter resistere. Era uno degli ultimissimi giorni ed erano in cerca dell’abbronzatura perfetta. Il muretto era accanto a un bidone della spazzatura, di quelli ripieni che straripano rifiuti. Però, con l’aria che tirava, non c’era pericolo di cattivi odori. Dopo una decina di minuti di raffiche e di mulinio di sabbia, ecco che il bidone si rovesciò e il contenuto andò a insozzare la povera Petra che era quella sdraiata più vicina a lui.
– Beh, forse è il caso che ce ne andiamo a casa…!

Il mattino dopo accompagnammo Alessandra alla stazione ferroviaria di Olbia. Avrebbe iniziato un lungo viaggio per raggiungere suo padre a Carloforte. Senza ritardi né contrattempi, e neppure attese, la tradotta durò ben nove ore. Noi proseguimmo per la Grotta di Nettuno (Capo Caccia) e quindi per il mesto imbarco a Porto Torres.

Per tutta la vacanza lo sport più praticato da Falk e Milo era stato quello di gettare nella stanza delle ragazze, tramite la finestra aperta, delle enormi cavallette che, anche se innocue, seminavano il terrore. Giunte a casa loro, aprendo le valigie, se ne trovarono dentro le ultime due, ancora vive!

Cala Girgolu e Tavolara
Gita a Tavolara: il Capo, Guya, Alessandra ed Elena
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Percorsi inutili – 9 ultima modifica: 2014-07-17T20:53:00+02:00 da GognaBlog
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