#YellowTheWorld

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Lettura: spessore-weight**, impegno-effort**, disimpegno-entertainment**

Cosa è la Sindrome di Usher
E’ una rara malattia genetica che rientra tra le principali cause della sordocecità e di cui sono note tre varianti. Si caratterizza per la combinazione di sordità e graduale perdita della vista, che possono essere accompagnate anche da problemi di equilibrio. Il deficit visivo è dovuto a una condizione chiamata retinite pigmentosa, ossia una progressiva degenerazione della retina e della sua capacità di inviare le immagini al cervello. La retinite pigmentosa si manifesta inizialmente con la cecità crepuscolare e notturna e la visione tubolare. Nella fase terminale si può anche verificare la perdita della visione centrale.

Dario Sorgato a Gorah Shep, valle del Khumbu

Cosa è NoisyVision Onlus http://www.noisyvision.org/it/
E’ un progetto informativo e culturale che si propone di diffondere la conoscenza della Sindrome di Usher e delle disabilità sensoriali; ambisce a essere un punto di riferimento e di forte richiamo in grado non solo di sensibilizzare sui limiti che queste condizioni comportano nella vita quotidiana, ma anche di suggerire le strategie più efficaci per superarli.
NoisyVision vuole creare una rete di persone che condividano le loro competenze, risorse, ed esperienze personali per migliorare la vita delle persone con disabilità visive o uditive e per aiutare chi non le ha a comprenderle meglio.

Dario Sorgato
Convinto che essere un Usher sia difficile ma non una colpa, ha ideato e fondato NoisyVision come punto di partenza per trasformare la sua disabilità in qualcosa di positivo. Cerca di combinare le sue passioni per realizzare progetti visionari che possano aiutare altri a vivere i propri limiti. Nato a Padova nel 1978, si è laureato in Design al Politecnico di Milano. Attualmente risiede a Berlino.
Diagnosticato con la Sindrome di Usher all’età di 16 anni, Dario è un viaggiatore inarrestabile. Vive di avventure e cerca di affrontare tutte le sfide che la vita gli riserva in una luce positiva.
Ha vissuto un anno in Australia e Nuova Zelanda e al ritorno da quel viaggio ha pubblicato Un anno in otto ore, Il Filo, 2006. Ha percorso il cammino di Santiago, da cui ha preso spunto per il libro Tempo Lento, Il Filo, 2008.
Ha viaggiato su un vascello di ferrocemento per quasi due anni da Città del Capo a L’Avana, navigando attraverso l’Oceano Atlantico e lungo le coste del Brasile e delle isole del Mar dei Caraibi. In seguito ha pubblicato Acqua. Un viaggio.
I suoi ultimi viaggi in Nepal e Perù lo hanno portato a oltre quota 5000 metri, al Campo Base dell’Everest e ai piedi del Monte Salkantay, sulla via inca verso Machu Picchu.

Progetti realizzati
The Visionary Europe (2013). Un workshop organizzato nell’ambito del Lifelong Learning Programme della Commissione Europea.
#YellowTheWorld, ingiallire il mondo (2014). Una campagna di sensibilizzazione avviata da NoisyVision, con lo scopo di promuovere la mobilità degli ipovedenti.
#YellowTheWorld, Everest Edition (2015). Dario Sorgato ha raggiunto il Campo Base dell’Everest con lo scopo di inondare il mondo di giallo partendo dal suo punto più alto.
Anche agli Dei piace giallo (2016) Un’avventura per Ipovedenti. Una passeggiata immersa nella natura lungo la Via degli Dei, un’antica strada utilizzata dagli Etruschi, dai Romani e anche durante il Medioevo, che collega Bologna a Firenze. 7 giorni di cammino per un gruppo composto da persone ipovedenti o ipoacusiche e senza limitazioni sensoriali., in uno scambio reciproco di supporto e modi differenti di percepire.

#YellowTheWorld
di Dario Sorgato

Era l’inizio del 2015, quando decisi che sarei partito per una spedizione al Campo Base dell’Everest. L’idea era nata diversi mesi prima, ma ero un po’ titubante, forse spaventato, soprattutto dai possibili effetti dell’alta montagna: non ero mai stato fino a 5000 metri, anzi, nemmeno fino ai 4000.

La notte di capodanno, su una spiaggia a sud del Marocco, lontano dai fuochi d’artificio e sotto un cielo di stelle che non vedevo ho deciso che ci avrei provato. Avevo già cominciato ad allenarmi fisicamente, ma la vera preparazione era quella mentale.

Ho trascorso le settimane successive a raccogliere informazioni consultando diverse fonti, avvalendosi dei consigli dell’agenzia iTrekNepal, che mi avrebbe fornito parte dell’equipaggiamento ma soprattutto la guida e il portatore.

Dario Sorgato e Dil, Valle del Khumbu

A metà marzo sono partito per Kathmandu. Il nome di questa città è sempre stato una sorta di ritmo per me, un mantra che mi faceva sognare, un invito al viaggio. Ci sono arrivato di notte, lungo una strada buia e poco trafficata, come un tuffo nel vuoto, per risvegliarmi al mattino davanti all’Himalaya. Che solo a scriverlo mi vengono i brividi. L’Himalaya. Quanto le avevo sognate quelle montagne, che non sapevo se erano più grandi o più lontane. Le montagne per antonomasia, che alla fine erano lì davanti a me, piccole e vicine, ma comunque le più alte del monte.

Tanti superlativi che finalmente diventavano miei. Li potevo annoverare tra le mie destinazioni e forse, di lì a qualche giorno avrei potuto piantare la mia bandiera ai piedi dell’Everest, appena sotto il tetto del mondo.

Era gialla la mia bandiera, né quadra né rettangolare. Aveva la forma di un pollice giallo, il simbolo di un messaggio che volevo portare così in alto per poterlo far scivolare come neve sciolta su tutto il mondo.

Il messaggio è quello di #YellowTheWorld, una campagna di sensibilizzazione a favore della mobilità degli ipovedenti. Volevo far dimostrare a me stesso che non era impossibile, che nonostante le mie limitazioni sensoriali, potevo vivere quell’avventura.

Dario Sorgato e il Nuptse

Da Kathmandu ho preso il volo per Lukla. Non era un aereo quello. Due eliche e qualche sedile che atterrano su una pista inclinata a strapiombo sul niente. Sono quelle situazioni in cui è meglio non guardare, non sapere. Ma come fai a non guardare? Le montagne erano lì, bianche sul cielo blu, appena fuori dal mio oblò. Mi sembrava di poterle toccare. Ma non c’era fretta.

Dopo pochi minuti ho cominciato a muovere i primi passi sull’Himalaya. Stavo finalmente camminando. Era un sentiero di ciottoli, quello che dal paese portava al bosco.

Non ricordo tutti i passi che ho camminato, ma sono come passi sulla luna quelli che ho camminato uscendo da Lukla. Impronte che non cancellerà nessuno. Non importante quanti siano passati di lì prima di me, e quanti ne passeranno ancora. Mi sentivo il primo uomo sul mondo. Sentivo già il sapore della conquista, perché spesso è più difficile partire che andare. Quei primi passi erano la conferma che ce l’avevo fatta, indipendentemente da tutti i successivi.

Ero a fianco di Dil, la mia guida. E di tutti i problemi che mi ero immaginato in quanto ipovedente, non ne avevo ancora vissuto nessuno. Mi sentivo un superuomo, mi sentivo “normale”, perché avevo talmente tante visioni dentro e fuori, che non avrei mai saputo immaginare cosa i miei occhi non stavano vedendo. Era quasi troppo cosi. Mi bastava quell’immenso dentro il mio foro.

Per assurdo, però, il problema maggiore era l’udito, che nella vita quotidiana non è un grosso limite. Avevo con me solo gli apparecchi acustici di riserva, quelli che avrei potuto rompere, o perdere senza farne un dramma. E non bastavano per sentire le sfumature di quell’inglese pronunciato male dei Nepalesi di alta quota. Pazienza, pensai. Comunicheremo a gesti.

La guida doveva principalmente farmi da apripista, segnalarmi gli ostacoli, i cambi di livello, le pietre sporgenti. Per questo non servivano linguaggi se non qualche gesto. Io e Dil ci sincronizzammo in fretta. Ricalcavo i suoi passi, a volte scivolavo, ma l’allenamento in palestra si stava dimostrando efficace.

L’ipovisione elimina i contrasti, a volte i contorni, storpia le distanze e le dimensioni. Ho imparato a vedere con gli altri sensi, ascoltando l’eco dei bastoncini sulle rocce, misurando i passi di Dil, immaginando le profondità in relazione ai suoi movimenti. Sono automatismi che tutti noi apprendiamo, ma il fatto che non siano così fondamentali ci fa credere che siano solo gli occhi a fornirci le informazioni.

In montagna si accendono tutti i miei sensi, e forse, in qualche occasioni, seppur con udito e vista ridotti, mi sembrava di essere quello più veloce, più attento, quello che aveva già visto il prossimo villaggio col naso, sentendo quell’odore di sterco di yak che brucia nella stufa.

L’Himalaya è stato anche questo. L’annullamento di quella overdose quotidiana di sensazioni, per cercarne una, qualunque fosse e esaltarla a unica.

Passo dopo passo, rifugio dopo rifugio, mi stavo avvicinando alla meta. Anche se l‘emozione di aver visto l’Everest già al terzo giorno era tanta, non immaginavo che in realtà sono le montagne intorno ad essere più belle. Mi sono innamorato di Ama Dablam, di quella gran signora che mi ha custodito per diversi giorni. Mi sono innamorato delle acque ai suoi piedi, del sole sulle sue pareti.

Non racconterò in queste poche righe le mie sofferenze e difficoltà. Avevo un’amica, una GoPro che ho usato per i miei sfoghi, insieme alle pagine di un diario mai riletto, scritto alla luce fioca di candela, spesso aiutato dalla mia lampada frontale, mentre la zuppa d’aglio fumava sul mio tavolo.

Ho scelto di raccontare tutto con la voce e le immagini, perché volevo che il messaggio arrivasse lontano, rimbalzando sulle pareti di quella distanza che avevo annullato.

Ero sul mio zero al contrario. Ero sul mio tetto di mondo, che non sarà il più alto assoluto, ma sicuramente quelle lacrime che ho ghiacciato a 5364 metri saranno ora cristallizzate lassù. Fino a quando qualcuno, magari ispirato da questo racconto e da questo film, vorrà farle diventare il proprio sogno.

Collaborare con NoisyVision Onlus
Vuole dire lavorare per organizzare diversi tipi di viaggi, dal trekking in montagna a weekend in città. Per incoraggiare le persone a vivere le loro avventure e a godersi il mondo anche attraverso i propri limiti.
Vuole dire diffondere una cultura dell’accessibilità in spazi urbani e non urbani. Puntiamo a migliorare le possibilità di movimento per persone con diverse abilità visive.
Vuole dire pensare che l’arte, visiva o verbale, sia un importante strumento di comunicazione per persone con limiti percettivi, che possa connetterle sia a chi affronta le stesse sfide sia a chi non lo fa. Quindi produrre video, pubblicare prosa, promuovere arti visive ed eventi artistici.
Vuole dire essere costantemente a caccia di storie e notizie relative alle diverse abilità visive e uditive, e seguiamo questi argomenti in una prospettiva sociale, scientifica e istituzionale.

Il team di Dario Sorgato
Donato Di Pierro
, partner
Blogger curatore del progetto STARGARDT… e dintorni e consigliere di Retina Italia Onlus, ha camminato dal Tirreno all’Adriatico per raccogliere fondi per la ricerca sulle distrofie retiniche ereditarie.
Con NoisyVision ha realizzato il progetto Anche agli Dei Piace Giallo.

Timo Vehviläinen, Social worker
Operatore sociale, viaggiatore e amante della sauna. Ipovedente fin dalla nascita è attivo nella comunità di ipovedenti di Helsinki, dove vive e lavora. Dal 2014 è consulente di riabilitazione per i bambini ciechi e le loro famiglie.

Karina Chupina, counselor
Appassionata sostenitrice dei diritti dei disabili per più di 15 anni. Nel 2011-2015 Karina è stata consulente globale per la Disability Rights Fund (Boston, USA). Trainer professionista e consulente per le ONG, per la partecipazione dei giovani, le politiche giovanili e diritti dei disabili.

Maaike Bennink, activist
Olandese, massaggiatrice sportiva, viaggiatrice e atleta fanatica. E’ diventata ipovedente nel 2006 in un giorno. Ama le sfide ed è socialmente attiva nella diffusione di quest’attitudine alla vita.

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#YellowTheWorld ultima modifica: 2018-02-01T05:23:46+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “#YellowTheWorld”

  1. Ammirazione per il saper affrontare , tutto questo, con coraggio  e grande forza di volontà…!   Grandi…G.C.

  2. Gente coraggiosa che non si arrende e non usa sotterfugi!

    Esempi di individualità e di socialità per me  da stimare.

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