Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 4 al Turismo in Montagna. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 4.
In questo punto Il Nuovo Bidecalogo è quasi completo, comunque incisivo, specie quando sostiene con chiarezza che lo sci di pista e le sue infrastrutture abbiano “un impatto devastante sul territorio montano” e che ciò vale anche “per altri tipi di infrastrutture al servizio del turismo di massa in montagna quali: parchi avventura, campi da golf, piste per il downhill”.
Fa inoltre proprie alcune tematiche proprie dell’ambientalismo, di vecchia e nuova data, quando afferma che nella sostituzione di impianti obsoleti il terreno ove insistevano i vecchi impianti debba essere riportato quanto più possibile allo stato originale, ripristino che vale anche dopo il semplice smantellamento degli impianti non più in funzione.
Ineccepibile e doverosa è l’affermazione che il CAI è contrario a nuove strade, come pure che intende “contrastare o comunque scoraggiare l’uso di aerei, elicotteri, motoslitte per finalità ludico-sportive”, anche se qui io avrei aggiunto “turistiche” al binomio “ludico-sportive”.
Vediamo ora quali sono i punti insufficienti: perché il CAI limita la sua contrarietà a “nuove opere a fune per raggiungere vette, ghiacciai, valichi, o territori che comunque superino i 1.600 metri sulle Alpi ed i 1.200 metri sull’Appennino”? Perché fa lo stesso condannando la “realizzazione di nuove stazioni sciistiche sotto i 2.000 metri di quota”?
Cosa significa, che sulle Alpi sotto i 1.600 metri (e sugli Appennini sotto ai 1.200) va tutto bene, il CAI benedice? E sotto i 2.000 si possono costruire nuove stazioni sciistiche, magari tipo Sestrière o Cervinia o tipo le orrende megastazioni francesi sorte dal nulla di tanti prati con una malga?
Trovo queste due affermazioni, oltre che ingiuste, perfino in contraddizione tra di loro.
Passiamo poi al punto in cui il CAI s’impegna a “intervenire nelle procedure amministrative di approvazione della pianificazione e in particolare dei piani neve, a tutela del paesaggio e dell’ambiente, esperendo, se necessario, i previsti ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali”. Giusto che il concetto di intervento sia espresso, in modo da andare oltre la sola “contrarietà”. Però attenzione, perché questo è esattamente il punto in cui si vedrà se alle parole seguiranno i fatti. L’esempio del rifugio del passo Sella purtroppo ci dice il contrario.
Infine, è di estrema importanza il concetto di de-stagionalizzazione, processo senza il quale è difficile la realizzazione di qualunque cambiamento positivo.
Giustamente il Bidecalogo sostiene che occorre “un grande sforzo per la diversificazione dell’offerta mirata alle presenze lungo tutto l’arco dell’anno”. E Annibale Salsa incalza: «Il turismo montano cambia. Si dice che quello invernale dovrà fare i conti con i cambiamenti climatici. Il nuovo verbo è, dunque, la de-stagionalizzazione. La montagna, infatti, è bella in tutte le stagioni. Noi soci del Club alpino andiamo in montagna tutto l’anno. Siamo consapevoli che la montagna rappresenta un valore in tutte le quattro stagioni. Pertanto, il concetto di de-stagionalizzazione dobbiamo lanciarlo noi, che andiamo tutto l’anno in montagna, e sostenerlo laddove si decidono le politiche turistiche».
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 3 (precedente)
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 5 (successivo)
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Quella della destagionalizzazione era la Brambilla, anche se non l’ha inventata (lei, al momento buono, andava a sciare al Monte Rosa con l’elicottero e intanto sognava un Codice della neve simile a quello della strada). Aiuto!
Vedi un articolo: Iossa Mariolina 4 marzo 2010, Corriere della Sera (“Maestri alpini e divieti Arriva il codice della neve”).