Incuriosito dalla scelta del Monveso di Forzo come simbolo di Montagna Sacra, nell’autunno 2021, sono ritornato nel vallone di Forzo, diramazione della Val Soana, che in un passato che si fa sempre più lontano avevo frequentato molto. A dire il vero a spingermi era anche la voglia di rivedere e fotografare le pareti dell’Ancesieu nei loro colori autunnali.
Ancesieu è il nome della montagna che incombe con alti e, direi quasi oppressivi, dirupi sui villaggi posti sul fondo del breve Vallone di Forzo. E’ roccioso il versante che protende a sud-ovest con balze impressionanti che da sempre hanno attirato gli sguardi degli alpinisti (pochi) che sono transitati lungo quel solitario solco vallivo.
Ora i dirupi dell’Ancesieu sono solcati da numerosi itinerari di arrampicata. Sono note le eccezionali vie di scalata sportiva tracciate da Manlio Motto all’inizio degli anni ’90 sulla grande parete dell’Anticima. E’ rinata l’antica Strategia del Ragno sulla parete della cima principale grazie all’opera di pulizia e sistemazione da parte del compianto Adriano Trombetta. Infine ha contribuito alla celebrità del luogo la difficilissima via La Cruna dell’Ago sulla parete dell’Anticima, tracciata da Rolando Larcher con Andrea Giorda e Maurizio Oviglia.
Insomma il nome di Ancesieu è ormai molto noto tra gli scalatori anche se la frequentazione non è quella di altri luoghi delle alpi Torinesi come Caporal, Sergent, Sea. Ma questa cima complessa ha una storia che inizia negli anni ’70 quando il suo toponimo non diceva niente a nessuno. Su Monti e Valli, notiziario della Sezione di Torino del CAI, ho raccontato, nel numero 19 – 1982, l’inizio della storia dell’Ancesieu. Rileggendola a 40 anni di distanza mi è venuto voglia di riproporla (Ugo Manera).
Ancesieu
di Ugo Manera
(pubblicato su Monti e Valli n. 19-1982)
L’alpinismo ha una sua storia densa di avvenimenti avventurosi, a volte drammatici, che lo rendono avvincente anche per chi non lo pratica assiduamente. Anche in alpinismo il soggetto delle storie, come in altre attività, è sempre e solamente l’uomo. La montagna più alta o la parete più difficile non sono che dei riferimenti che assumono importanza determinante solo se l’uomo vi proietta sopra il proprio interesse. Non appena l’inesauribile sete di novità dell’alpinista inventa un altro problema, quella montagna o quella parete perdono di attualità e il loro nome non rimane che a significare un riferimento storico del passato.
La quota di una cima o l’altezza di una parete solo occasionalmente rappresentano dei fattori primari come selezione di importanza dell’evento alpinistico. Il superamento di un passaggio su una paretina breve può diventare un fatto evolutivo più importante della scalata di una cima himalayana. Tutto dipende dagli interessi di attualità tra gli scalatori di punta.
La storia alpinistica genera letteratura, sarà una letteratura in tono minore ma è innegabile che poche altre attività di evasione dell’uomo moderno spingono i protagonisti a scrivere come l’alpinismo. Non sempre gli scritti più avvincenti hanno per oggetto il racconto di imprese su montagne celebri; spesso si scoprono motivi interessanti ed evolutivi nel racconto di vie aperte su pareti nascoste sui fianchi delle valli, ai piedi delle grandi montagne.
Restando in ambito alpinistico piemontese, e scorrendo le numerose pubblicazioni che di tale attività trattano, troviamo spesso delle pagine avvincenti che raccontano la conquista di pareti a bassa quota. Sono degli avvenimenti alpinistici che, nel contesto storico dell’arrampicata su roccia, rappresentano dei punti di riferimento importanti, e non solo per l’alpinismo locale. Basta ricordare i vari scritti che raccontano della Parete dei Militi in Valle Stretta, ed ancora il bel racconto di Gian Piero Motti dedicato al Caporal, pubblicato su Scandere 1974.
I fianchi delle valli canavesane offrono un campo inesauribile per l’arrampicata ad alto livello. Dopo la scoperta dello Scoglio di Mroz di Alessandro Gogna e Guido Machetto, e del Caporal da parte di Gian Piero Motti e mia, fu anche lo scozzese Mike Kosterliz a valutare la dimensione di queste possibilità. Il forte scalatore, che per qualche stagione arrampicò con noi, ci diede un bell’aiuto nell’ampliare i nostri orizzonti arrampicatori che, a dire il vero, erano allora abbastanza limitati.
Dopo la vasta esplorazione delle possibilità del Caporal e delle limitrofe pareti dei dirupi di “Balma Fiorant”, ci voleva qualche cosa che andasse oltre, che rappresentasse un impegno più completo e totale delle pur complesse vie tracciate sulle bastionate della Valle dell’Orco. Una parete che richiedesse più giorni di impegno, l’uso delle tecniche più moderne ma con l’esclusione del perforatore e dei chiodi a “pressione”.
Quella parete esisteva ed era già stata scoperta quasi contemporaneamente al Caporal. Solo che i numerosi tentativi venivano condotti in gran segreto: era la parete sud-ovest dell’Ancesieu.
L’Ancesieu è una vera cima, la sua quota è 1885 m. Posto nel Vallone di Forzo, tributario della Val Soana, presenta un grandioso versante sud-ovest con impressionanti e complesse pareti granitiche che incombono sulle borgate che circondano Molino di Forzo.
Per innumerevoli anni l’Ancesieu non fu che un insormontabile ostacolo ai montanari che per vivere dovevano strappare all’impervio terreno ogni manciata di erba possibile e ogni tronco d’albero che riuscivano a raggiungere. I montanari dei tempi andati sui fianchi dell’Ancesieu si sono spinti superando i combetti più ripidi per strappare ben magre risorse. Ancora oggi si trovano tracce di opere ardite che consentivano il passaggio tra lisce placche di roccia compatta.
E’ con un senso di tristezza che si osservano queste opere scomparire inghiottite dal tempo, sono il frutto di un faticoso lavoro e la testimonianza di un periodo importante della storia della dura vita in quelle vallate alpine. A ricordare quei tempi rimangono suggestivi toponimi come quello del Combetto degli Embornei che rappresenta il migliore accesso alle grandi pareti dell’Ancesieu.
Quelle pareti di gneiss, verticali, a volte strapiombanti, non potevano sfuggire agli occhi degli scalatori. Certamente all’inizio non si trattò che di un interesse spettacolare, lo stesso che ogni alpinista, seppur modesto scalatore, prova al cospetto di una parete che appare di elevata difficoltà. Io stesso, nel lontano 1958, alle prime armi come alpinista, sostai a lungo sotto quelle pareti tracciando, con la fantasia, vie impossibili per il futuro da me allora immaginato e per il mio alpinismo.
Nel 1962, sui fianchi dell’Ancesieu, avviene il primo fatto di rilevanza alpinistica: Enrico Frachey con Fernando Vallesa raggiunge l’ardita “Guglia del Frate” salendo lungo lo spigolo sud. E’ questo un ardito e curioso monolite a cuspide strapiombante, ben visibile dal fondo valle. La via tracciata per raggiungere la suggestiva guglia offre una interessante arrampicata, mista libera ed artificiale. Conosce alcune ripetizioni ma l’accesso lungo e complicato non attira gli scalatori.
La storia delle imponenti pareti del versante sud-ovest inizia poco dopo la scoperta del Caporal della valle dell’Orco quando Antonio Cotta e Giulio Saviane danno il via ad una lunga serie di tentativi che si concluderanno solo nel 1980. Scelgono la parete della cima principale il cui accesso è lungo e difficile e si svolge lungo il ripidissimo canale che scende fino in fondo valle. Il più agevole accesso attraverso il Combetto degli Enbornei, già percorso dai montanari, verrà riscoperto solo dopo il felice esito dell’impresa.
I primi tentativi di Cotta e Saviane vengono portati a destra di quella che sarà poi la via di salita, lungo un percorso che assumerà il nome di Variante del Preambolo. Almeno quattro tentativi non portano gli intraprendenti scalatori oltre la grande cengia erbosa posta ad un terzo della parete. Un grande tetto sembra impedire ogni possibilità di salita.
Dopo questa fase iniziale dei tentativi si ha notizia di approcci da parte di altri scalatori, probabilmente locali, dai quali viene tentato un attacco diretto. Infatti più tardi verrà reperito un ancoraggio da doppia lungo quello che sarà il percorso della via diretta.
Fin dai primi tentativi risultano evidenti le caratteristiche dell’arrampicata sull’Ancesieu: la roccia è compatta, avara di fessure, quelle arrampicabili sono spesso intasate da ciuffi d’erba tenace; nei tratti ove occorre ricorrere all’arrampicata artificiale la chiodatura è molto tecnica e laboriosa. Malgrado queste problematiche l’ambiente esercita un fascino particolare che spinge i volonterosi protagonisti a ritornare con accanimento sul difficile problema.
Antonio Cotta è un “liberista” di grande qualità, molte volte ci ha lasciati di stucco superando con eleganza dei passaggi da masso sui quali noi ci spellavamo inutilmente le dita. Quando però l’arrampicata diventa una dura lotta ed è necessario ricorrere all’arte più raffinata nella posa di ancoraggi precari, non è più affar suo; per questo i vari tentativi condotti non andarono oltre la cengia erbosa.
Le operazioni Cotta-Saviane vennero sempre condotte in grande segreto, nessuno o quasi, nell’ambiente torinese, ne era al corrente. Giunti però al punto morto della cengia sotto al grande tetto, e per il fatto che Saviane si ritirava dalla competizione, ad Antonio non rimase che chiedere aiuto. La scelta non poteva cadere meglio: Isidoro Meneghin! Isidoro è un grande specialista nell’arte della chiodatura sofisticata e nell’aprire vie sulla roccia più ostica. Era solo una questione di tempo ma con l’apporto di Meneghin il successo era assicurato.
All’inizio del 1980 riprendono le operazioni sulla grande parete dell’Ancesieu: Cotta, Meneghin e Biagio Merlo salgono lungo la Variante del Preambolo ed esplorano, scendendo in corda doppia, l’attacco diretto che viene superato in un secondo tentativo da Cotta e Meneghin che lasciano due corde fisse. I due ritornano e, salendo per il vallone del rio Arcando raggiungono la vetta dell’Ancesieu. Scendono in corda doppia fino alla base della parete, risalgono fino alla cengia ed aggiungono, al di sopra, un’altra corda fissa.
Finalmente il 31 maggio 1980 la parete è vinta. L’ascensione è portata a termine in giornata grazie alle corde fisse lasciate in precedenza. A concluderla sono: Cotta e Meneghin ai quali si è aggiunto il talentuoso Giovanni Bosio. In considerazione delle tante e pazienti operazioni Isidoro denomina la via La Strategia de Ragno.
Un cruccio rimane però a Meneghin: da metà parete, per evitare un bivacco, è stata scelta una soluzione di ripiego: i tre sono saliti lungo dei diedri che, in obliquo, portano a sinistra della cima mentre la soluzione ideale sarebbe passata lungo una serie di formidabili diedri chiari che conducono direttamente in cima.
Anche l’ultima fase dell’”operazione Ancesieu” venne condotta in grande riserbo ed il segreto rimase anche dopo la felice conclusione dell’impresa. Isidoro, tornato con Cotta per ricuperare del materiale lasciato, si rese conto che la parete che cade dall’Anticima Sud sul Combetto degli Embornei, era ancora più maestosa di quella della cima principale, vinta tracciando la Strategia del Ragno. Decise perciò di prepararsi ad affrontare il nuovo straordinario problema mantenendo il segreto onde evitare di essere preceduto da possibili concorrenti.
Scoprì in solitaria l’accesso attraverso il Combetto degli Ebornei e portò, e nascose, alla base della sconosciuta parete delle corde e del materiale.
A questo punto avviene il mio ingresso nella storia di questa straordinaria struttura rocciosa. Già ne conoscevo l’imponenza per averla osservata transitando per il Vallone di Forzo verso altri obiettivi; poi successivamente, con Claudio Sant’Unione, ignari dei tentativi in corso, avevamo condotto una esplorazione raggiungendo la cima dell’Ancesieu. Ingannati però dall’erba che sembrava ingombrare le fessure percorribili, avevamo avuto un’impressione negativa e desistemmo da mire di conquista.
All’inizio dell’estate 1980 avevo scoperto che nell’alto Vallone di Lasinetto esistevano delle pareti che risultavano mai scalate. Mi accordai con Meneghin per andare a tentarle e, un sabato, ci avviammo lungo quel dimenticato vallone. Ad una svolta del sentiero ci fermammo per una breve sosta: di fronte a noi si ergeva maestosa la parete sud-sud-ovest dell’anticima dell’Ancesieu. Manifestai la mia ammirazione per quell’appicco ed Isidoro sorpreso mi chiese:
– Ti interesserebbe tentarne la scalata?
– Certo! – risposi.
– Credevo non ti interessasse… – osservò.
Iniziò allora a raccontarmi la lunga storia della Strategia del Ragno che io, come tutti, ignoravo. Mi disse anche del materiale che aveva nascosto alla base della parete e mi propose di tentarla insieme nell’autunno a seguire.
Quella parete rappresentava con evidenza qualche cosa che andava oltre ciò che avevamo realizzato fino ad allora nelle valli torinesi: la sua ascensione, ammesso che fosse possibile, avrebbe richiesto più giorni e un impegno totale.
Rimaneva in me un po’ di perplessità nel pensare di affrontare le fessure con erba e i numerosi strapiombi ma nello stesso tempo andavo ricercando problemi di difficile soluzione onde allenare la mia determinazione in previsione di un grande obiettivo himalayano in progetto per l’anno dopo.
Nell’inverno che seguì la scarsità di precipitazioni ci consentì di arrampicare in continuità e così venne il momento della Sud-sud-ovest dell’Anticima dell’Ancesieu. La prima ascensione di quella parete ci richiese tre giorni di scalata più uno dedicato da Isidoro in solitaria ad attrezzare la discesa lungo quello che egli chiamava il “Pilastro d’Angolo” che delimita le pareti sud-ovest e sud-sud-ovest.
Ogni volta si saliva un tratto di parete, si fissavano vecchie corde lungo le quali si scendeva a fine giornata e si risaliva nei tentativi seguenti, quando le condizioni meteorologiche ritornavano favorevoli.
Ricordo le salite e discese notturne lungo il Combetto degli Embornei che il gelo invernale ornava di gobbe e cascate di ghiaccio; le lunghe soste al freddo mentre il compagno saliva, nella spasmodica attesa di un raggio di sole. Le risalite lungo le corde fisse ruotando nel vuoto staccati dalla parete e l’emozione di una corda quasi tranciata dallo sfregare su uno spigolo di roccia a seguito di alcuni giorni di vento forte. Infine il ricordo più bello: l’uscita dalla via al termine del terzo tentativo, nella luce sfolgorante del sole di un tramonto invernale, lungo la splendida fessura che incide lo strapiombo terminale.
Per superare quella parete siamo ricorsi a tutte le risorse della nostra tecnica: passaggi su cliff-hanger quando scomparivano le fessure, sottili rurp quando le fessure si riducevano a microscopiche screpolature della roccia, pulizia dai ciuffi d’erba lungo le fessure arrampicabili. Anche però entusiasmanti lunghezze di arrampicata libera e spettacolari visioni create dai raggi del sole nelle sottostanti orride gole, in un gioco fantasioso di luci ed ombre.
La Sud-sud-ovest dell’Anticima dell’Ancesieu ci ha costretti ad una dura lotta che però ha suscitato in noi un grande entusiasmo che è durato per molto tempo, quasi avessimo risolto un problema importante. Come è nostra abitudine non abbiamo lasciato chiodi sulla via salvo qualche ancoraggio rotto non utilizzabile. Il tracciato è nelle condizioni in cui lo abbiamo trovato noi, ad eccezione di qualche fessura liberata dall’erba e la certezza che si può uscire.
Il nostro interesse per l’Ancesieu non si era esaurito con la salita della parete dell’Anticima. Isidoro non era soddisfatto della conclusione della Strategia del Ragno, la metà superiore della via gli appariva come un ripiego e restava irrisolto il problema della linea diretta lungo i diedri che conducono alla cima.
Il primo maggio del 1981 siamo nuovamente nel vallone di Forzo, è nevicato recentemente, le rocce verticali son pulite ma sui pendii c’è della neve fresca. Dalla borgata Tressi, salendo a sinistra delle pareti, a prezzo di un’enorme fatica e pestando molta neve fresca, raggiungiamo la vetta dell’Ancesieu. Da qui ci caliamo a corde doppie fin a portarci sulla cengia ove il percorso della Strategia del Ragno sfugge verso sinistra. Attacchiamo la serie di diedri che conducono direttamente alla cima e li superiamo con arrampicata mista di grande impegno. Sarà la via della Sveglia.
A conclusione della nostra scalata, sul finire del giorno, ci avviamo per l’interminabile discesa lungo il vallone del rio Arcando. L’Ancesieu, sì, ci è costato impegno intenso e tanta fatica, ma, a conclusione, ne valsa la pena.
10Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Quassù in alto Veneto la manera è un atrezzo ora non più in largo uso soppiantata dalla piu giovane ed energetica ( nel senso di A ampere) spaccalegna .Che sia un caso o un destino quello che ha legato il nome del protagonista e la “sua” montagna dal taglio netto ? Chi può dirlo o negarlo? nessuno!
Magico è il cammino dell uomo e delle sue tracce che percorre e vive in posti fuori dalle più gettonate e blasonate mete.
Senza elettricità e telefonini…favole di altri tempi!
p.s.ovviamente ringrazio R.Bragantini per la veloce convincente logica e colta spiegazione e auguro buona montagna a tutti.
Innanzi tutto grazie a Ugo Manera per questo affascinante resoconto, uno dei tanti esempi della sua eccezionale attività alpinistica; e grazie a lui e Valentina per avere ospitato Lucio Cereatti mio fratello Salvatore e me, con le rispettive mogli e compagne, nella loro bella casa nei dintorni di Briançon, e per averci fatto conoscere le falesie della zona.
Quanto al toponimo, scontato che sia di origine locale, come appunto Manera sostiene, credo sia da mettere in rapporto col latino “cisorium” (forbici, ma anche ‘taglio’), da cui l’antico francese “cisoires”, l’antico catalano “cisores”, l’inglese “scissors” (contro quanto normalmente si crede, più del 50% del lessico inglese è di base romanza), il tedesco “Schere”. Tutto ciò può riferirsi sia al “taglio” verticale della parete, sia allo stesso taglio verificabile nella foto 5 tra l’anticima dell’Ancesieu e il Combetto degli Emburnei.
Grazie signor Manera per la risposta!
Rimane quindi l arcano…chissà se tra i frequentatori di quei posti e il blog troveremo una futura spiegazione .
Sanj
Il toponimo Ancesieu è sicuramente di origine locale ed antica. Non ho proprio idea da cosa derivi. Anche sulla bella guida di Renato Chabod: Gran Paradiso, della collana Monti d’Italia, non ci sono indicazioni relative. Mi pare di riscontrare qualche assonanza con altri nomi locali come il vallone del rio Arcando che scende a Sud della cima dell’Ancesieu
Foto fantastiche che rendono bene l idea delle difficoltà strabene descritte nel tuo brano…una mia piccola curiosità ,il nome del monte sai da cosa deriva?
Bellissimo scritto, una cronaca avvincente raccontando storie su rocce antiche e fuori dai riflettori…
“Strategia del ragno” è un nome significativo e bello.
Veramente un bel nome, che stimola alla ripetizione di questa via, che a vedere dal tracciato e con la variante della Sveglia, deve essere bella.
Le impressioni di Alberto corrispondono perfettamente a quell’importante personaggio (per l’alpinismo), discreto e molto riservato, che è stato Isidoro Meneghin
Vedo Meneghin un entusiasta della sua scalata ma allo stesso tempo una persona defilata, un pò timida e riservata. Un pò per carattere ma anche geloso delle sue sensazioni e passioni.
Fabio si vero ci siamo fatti un pò trascinare dagli eventi, ma la scalata e la montagna non la dimentico. Stanne certo!
Molto interessante la figura di Meneghin che viene fuori dall’articolo di Manera.
Figura di alpinista un pò fuori dagli schemi, un non personaggio, interessato a pareti dimenticate e anche minori. Avrei voluto poterlo conoscere.
Caro Alberto, se non ci fossero Ugo Manera e pochi altri, noi saremmo sempre qui a battibeccare per il Covid e l’Ucraina, dimenticando monti e scalate.
Come sempre Manera ci propone un articolo interessantissimo e ricco di dettagli storici.