Arrampicare ieri e oggi

Arrampicare ieri e oggi
(intervista ad Alessandro Gogna)
di Erika Pozzi
(pubblicata su Outdoor Magazine n.7/8, agosto 2021)

A 40 anni dall’uscita di Cento nuovi mattini, un “libro che, senza volerlo, ha fatto scuola”, Alessandro Gogna ci regala ricordi, sensazioni e opinioni, raccontando quello che, a oggi, è un vero documento storico dell’arrampicata libera. Cento vie, tutte percorse dall’autore, per comunicare quanto sia importante non tanto un ri-petere un percorso, quanto ri-creare il proprio itinerario ai fini di una propria esperienza.

Il rapporto di Alessandro con la montagna è qualcosa in costante evoluzione. Attratto da ciò che lo circonda sin da bambino, quando in Valsugana, armato di matite colorate, ricopia un tabellone con indicati malghe e sentieri, negli anni riesce a cogliere e far suo ogni dettaglio di quelle vette che gli permetteranno di scrivere la storia dell’alpinismo, non solo italiano ma anche internazionale.

Era il 1960 quando, su frane di terra rossastra, scopre la bellezza della scalata. Di lì il desiderio di salire sempre più in alto, battendo ogni record personale (e dell’amico di allora, Paolo) e raggiungendo, a soli 15 anni, i 3645 metri del Monte Vioz del gruppo Ortles-Cevedale. Oggi Alessandro, guida alpina emerita per scelta, non smette di arrampicare e godere della montagna, concedendosi pause rigeneranti sulle pareti delle cime di casa, scoprendone nuovamente il sapore a ogni ascesa. Perché, come lui stesso dice, “credo che a suo modo ciascuno ri-crea una sua esperienza personale nel filo della sua esperienza totale di vita”.

Come presenteresti in qualche riga Alessandro Gogna ai (pochi) nostri lettori che non dovessero conoscerti?
Presumo che la mia notorietà investa un certo target di persone di età superiore ai 45 anni massimo, poi sotto questa fascia sono indubbiamente meno popolare e credo che i lettori di Outdoor Magazine ne facciano parte (ride, ndr). Ho 75 anni e vado in montagna da 67, inizialmente praticavo escursionismo poi è subentrato l’alpinismo. Parliamo di tanti anni in cui ho vissuto parecchie esperienze – alcune le rivivrei volentieri e altre no – e commesso altrettanti errori. Ci sono molte riviste e libri che raccontano quel poco o tanto che sono stato. Oggi invece il mio impegno è nell’ambito della comunicazione non solo strettamente alpinistica ma anche ambientale, in quanto ormai le due cose sono inscindibili. C’è una compenetrazione delle due discipline molto maggiore rispetto a quanto si possa pensare. C’è bisogno di continua comunicazione, di far riflettere, di nuovi stimoli e nuove idee. Al di là del mio ricordo storico penso di avere un seguito in questo senso, e la cosa mi riempie di orgoglio.

Com’era l’Alessandro alpinista e climber dei primi tempi rispetto a quello attuale?
Allora ero giovane e molto attivo, oggi invece cerco di fare quello che posso senza esagerare! A parte gli scherzi, ci sono grandi differenze tra ieri e oggi. A 20 anni si ha molta ambizione, voglia di fare, non si sta mai fermi, si ricerca la performance… credo che, nonostante questo, mi sia andata bene perché, tutto sommato, nelle mie follie c’era sempre stato un fondo di prudenza, per evitare di fare il passo più lungo della gamba. Ciò che più mi ha insegnato sono stati i fatti, anche tragici, in cui ho perso tanti compagni. Questi eventi ti costringono a cambiare giorno per giorno, anno per anno. Allora ero riflessivo solo per ciò che riguardava il come fare nel miglior modo possibile una tale cosa, oggi invece rifletto su cosa ricavare dalle poche ore di svago che mi concedo.

Cosa rappresenta per te l’alpinismo e come è cambiato in meglio e in peggio negli ultimi 20-30 anni?
L’alpinismo è innanzitutto uno stile di vita. Una disciplina che si esercita più o meno bene, più o meno regolarmente, più o meno fanaticamente. Io l’ho esercitata per tutta la vita, questo è un dato certo. Esito sempre a dire se l’alpinismo è cambiato in meglio o in peggio, non voglio dare un giudizio di qualità perché ritengo che lo si valuti in un modo mai oggettivo. Ciò non toglie il fatto che si possa fare un bilancio delle differenze (e sono moltissime) avvenute soprattutto negli ultimi tempi. La tecnologia è senza dubbio quella maggiore, uno strumento che ci permette di fare cose che altrimenti non avremmo mai potuto fare, che ci consente di condividere con immediatezza esperienze e ci connette in un solo click con milioni di persone. Questa però è una differenza di qualità tipologica e non di qualità etica, dunque non c’è un modo per poter dire se è stato meglio o peggio. Poi i giovani stanno trovando la loro strada e lo fanno nel proprio modo. Quello di oggi è un mondo costellato dalla tecnologia e dall’immediatezza.

Tra i vecchi liguri, Toirano. Foto: Ezio Marlier.

In Cento nuovi mattini hai raccontato cento vie fornendo caratteristiche e relazioni tecniche molto accurate. Al di là dei tecnicismi e dei gradi di difficoltà, a quali tre sei più legato e perché?
Quella che mi è rimasta nel cuore, che non coincide con una maggiore avventura, è la via del Sette Aprile al Pappagallo situata in Val di Mello (SO), la più difficile racchiusa in Cento nuovi mattini. Sono inoltre molto legato alla via del Folletto Rosso a Rocca di Corno, Finale Ligure (SV), perché su quella stupenda e inconfondibile parete per la prima volta ho realizzato l’importanza di salire la parete in arrampicata libera, dunque senza attaccarsi ai chiodi, neppure per un attimo di riposo. Prima non avevo mai ben capito quella nuova moda (ndr, il free climbing), invece su quella via ho compreso che anche quell’esercizio poteva essere formativo. Da allora ho dato maggiore importanza a questo nuovo gioco dell’arrampicata libera, rendendomi conto della grande differenza dal punto di vista alpinistico che sussiste tra le due modalità di ascesa: se con la prima bastava solo salire, con la seconda era necessario farlo in un certo modo, in quanto si rinuncia a sfruttare qualsiasi mezzo che non sia mano o piede. Tra le salite di montagna, che non rientrano in Cento nuovi mattini, alle quali non rinuncerei mai e che ho vissuto con grande profondità, c’è la prima solitaria alla via Cassin alle Grandes Jorasses e certamente anche la prima salita del Naso di Zmutt al Cervino. Nel cuore porto anche una via, vissuta molti anni dopo, nel 2005, quando, dopo un periodo di salute complicato, ho fatto la prima ascensione della parete est della Cima di Pino Sud, nelle Dolomiti d’Oltre Piave. Per me quello è stato un ritorno: è stata un’esperienza fantastica, l’ho vissuta da capo cordata e in compagnia di tre grandi amici. Mi è sembrato di rinascere.

Com’è stato vivere il momento in cui l’arrampicata si afferma come disciplina a sé stante e non più come mero metodo di allenamento per l’alpinismo? Quando hai capito che stava iniziando una nuova era?
Come dicevo prima è successo nel 1980 a Rocca di Corno) sulla via del Folletto Rosso dove, improvvisamente, mi si è aperto un mondo. È proprio qui che ho pensato di scrivere Cento nuovi mattini, cioè di riportare su carta esperienze di questo tipo, ovvero salite che tutti avevano già compiuto fatte però nell’ottica dell’arrampicata libera, o per lo meno della maggior parte possibile in free climbing. È il momento in cui l’arrampicata si afferma come disciplina a sé stante. Qualche anno dopo è arrivata l’arrampicata sportiva, precisamente tra il 1982 e il 1983, affermandosi come un nuovo modo di vivere lo scalare. Essa ha messo in ridicolo parzialmente Cento nuovi mattini in quanto in tutto il libro, anche nella postfazione, non si accenna minimamente all’arrampicata sportiva. Anzi, possiamo considerare il free climbing come la continuazione dell’alpinismo, mentre la disciplina che è nata in quel biennio se ne discosta enormemente. Nonostante ciò ho praticato anche l’arrampicata sportiva per anni e, in fondo in fondo, l’ho sempre considerata come qualcosa di divertente, allenante, ma nettamente inferiore a ciò che invece alpinismo e free climbing possono dare. Ancora oggi pratico arrampicata sportiva perché, non essendo pericolosa, posso farlo tranquillamente tutte le volte che voglio. Il free climbing e il trad li pratico con “moderazione”.

Cos’ha rappresentato per te al momento della stesura e cosa costituisce oggi Cento nuovi mattini dopo 40 anni dalla sua uscita?
Al momento della stesura è stato un invito a percorrere delle vie ri-creandole, un concetto che ha un significato ben preciso: mi riferisco all’interpretazione che si può dare a un percorso. Ciascuno di noi può ri-creare un itinerario e farlo proprio. È un qualcosa di esperienziale. Quindi quello che Cento nuovi mattini costituisce oggi, dopo 40 anni, è un pio ricordo di com’erano le cose e un invito a ricercare le stesse sensazioni ed esperienze in altri luoghi che non siano quelli riproposti al suo interno.

Il libro è uscito nel 1981, edito da Zanichelli in 5.000 copie, ed è andato esaurito in un anno. Per molto tempo mi è stato chiesto di ristamparlo ma ho sempre temporeggiato sino al 2016 perché, dopo solo un anno dall’uscita, era stato quasi sbeffeggiato dall’avvento dell’arrampicata sportiva. E invece anche le copie della ristampa sono andate tutte esaurite!

L’orologio gigante dell’Enigma Café di Cluj-Napoca (Romania), 2019

Qual è stato il segreto di questo libro e i motivi che lo hanno reso un cult tra gli appassionati?
La risposta è abbastanza semplice. Non tanto per la sua qualità, nonostante questa abbia avuto la sua importanza – come per esempio la novità delle fotografie che hanno un focus sulla persona e non sulla via – ma per il fatto che si tratta di un testamento. Con ciò non voglio dire che il free climbing sia superato, perché è vivo in tutto il mondo, ma è fuori discussione che, l’arrampicata sportiva, l’abbia un po’ soverchiato. Di fronte a questo tutti coloro che non si sono mai trovati a proprio agio nell’atletismo e nella ginnastica estrema dell’arrampicata sportiva hanno ritrovato in Cento nuovi mattini il loro canto del cigno. È il degno contraltare di un’attività che, pur essendo bellissima, è quella che ha messo un po’ in ombra il free climbing.

Con il senno di poi amplieresti o modificheresti Cento nuovi mattini con ulteriori vie aperte a posteriori?
No, perché sarebbe inutile, anacronistico e velleitario. Lascio agli altri la possibilità di scrivere nuovi libri.

Oltre a quelli già fatti all’epoca, chi ti senti di ringraziare per averti aiutato o ispirato a scrivere questo libro?
Tutti i miei compagni sui quali ho potuto contare in quell’avventura che è durata un anno pieno. Ci sarebbe da scrivere un libro solo su questo perché ne sono successe di tutti i colori! Roberto Bonelli, Gabriele Beuchod, Ornella Antonioli (che oggi non ci sono più), Guido Azzalea, Marco Marantonio, Ivan Guerini, Massimo Marcheggiani, Giorgio Mallucci, Fabrizio Antonioli, Guido Merizzi. E oltre a questi la prima persona che devo ringraziare è Gian Piero Motti, un carissimo amico, l’iniziatore de il “Nuovo mattino” in Italia a livello filosofico. L’idea di Cento nuovi mattini è certamente figlia di tutte le nostre chiacchierate e delle arrampicate insieme. Non posso non citare Ken Wilson, giornalista inglese che per anni (dal 1969 al 1978) ha diretto la più importante rivista britannica di montagna, Mountain. Ha scritto Hard Rock: Great British Rock-Climbs ed Extreme Rock: Great British Rock-Climbs, due libri in cui vengono descritte vie inglesi. Questi hanno senza dubbio ispirato la modalità di stesura di Cento nuovi mattini, sia dal punto di vista estetico che contenutistico, racchiudendo itinerari brevi da compiere in free climbing.

Come vedi il futuro dell’arrampicata anche a seguito dell’ingresso nelle Olimpiadi e come giudichi questo ulteriore passaggio storico?
Seguirò gli azzurri in gara facendo un gran tifo per loro, ma l’arrampicata di competizione è qualcosa di molto distante da me. Non so dire come si evolverà e se queste nuove discipline piaceranno al pubblico, ma ritengo di sì… Tra le tre specialità (boulder, lead e speed), preferisco le prime due, forse perché le sento più vicine. Ammiro moltissimo la capacità sportiva di questi atleti, vorrei aver avuto ai tempi la stessa costanza che hanno loro oggi. Su come giudico questo ulteriore passaggio storico, non rilascio dichiarazioni.

Alpinismo e comunicazione: com’è cambiato nel tempo e come ritieni si debba comunicare oggi il mondo della montagna?
La mia risposta comincia con un’esclusione: vorrei togliere la parola dovere, perché ritengo che ognuno comunica come vuole. Non voglio spacciare la mia come la miglior modalità, ma con l’età e l’esperienza, oltre che con l’apertura che posso riscontrare in me stesso di fronte ai cambiamenti, mi sento autorizzato a parlare di comunicazione.

Bisogna riuscire a trasmettere fatti, imprese, commenti, riflessioni e tutto ciò che si sta facendo nel campo dell’alpinismo e della montagna. È importante anche riscoprire vecchi scritti e riproporli per il valore che conservano dopo tanti anni, dall’impresa al racconto autobiografico, fino all’esposizione monografica di una certa zona. La cosa che più mi attrae è il tentativo di spingere il lettore nella direzione della comprensione. Non è un hobby ma qualcosa di ben più importante, perché fonte di ispirazione, creatività ed esperienza. La tematica principale che desidero comunicare è la voglia di spingere quante più persone sia possibile all’autocoscienza, alla consapevolezza di ciò che stanno facendo, all’importanza del proprio inserimento in un contesto sociale, alla sostenibilità. Oggi alpinismo e arrampicata per migliorare hanno bisogno di prese di coscienza. È un tentativo per spostare il fuoco dell’attenzione su quanto di importante ci sia ancora da scoprire, su quanto comodità e tecnologia abbiano nascosto e quanto ci stiano ancora nascondendo; questo per togliere tutto il velo di incomprensione e di ignoranza che è stato apposto all’esperienza dell’alpinismo con la tecnologia. Il valore di trovare una strada lo si scopre solo ed esclusivamente se non si hanno né bussola, né guida, né gps. Sfruttare tutti i moderni ausili equivale a essere automi che evitano le difficoltà che la natura stessa oppone e non uomini che entrano in contatto con l’ambiente. La natura deve essere partner e non sfondo delle nostre imprese.

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Arrampicare ieri e oggi ultima modifica: 2022-01-06T05:31:00+01:00 da GognaBlog

27 pensieri su “Arrampicare ieri e oggi”

  1. Maffei, Frizzera, Leoni.
    Li definivano i carpentieri delle Dolomiti….😂😂😂

  2. Dialogo similfantozziano tra un arrampicatore di ieri e un arrampicatore di oggi.
    “L’estate scorsa sono andato in Dolomiti, ho fatto la Lacedelli alla Scotoni. Bella.”
    “Tutta in libera?”
    “Scherzi? Sul tiro duro all’inizio ho tirato fuori le staffe…”
    “Allora non la hai fatta. Oggi è scontato che quella roba si fa in libera o non si fa”.
    “Tu la hai fatta?”
    “Due anni fa”
    “A vista?”
    “No, il tiro duro all’inizio ho dovuto provarlo molto. La ho chiusa al quinto giro”.
    “Bravo comunque. Certo, dopo fino in cima è più facile”.
    “Ma in cima mica ci sono andato. Siamo usciti camminando dalla seconda cengia.”
    “Allora non la hai fatta”.
    E so’ probblemi, so’.

  3. Battimelli (21). Si parlava di arrampicata libera. “Etica data per scontata” significa che, l’interesse generale per una certa salita di roccia pura scende notevolmente laddove la libera non sia possibile. Ovvio che ci sono notevoli eccezioni. In Dolomiti sono io che ho dei dubbi che di eccezioni ci siano. Ma poi e’ anche un fatto generazionale, ognuno faccia quello che vuole. La chiamiamo pomposamente etica, ma non sono altro che le regole di quello che e’ un gioco…  Per Yosemite, e’ del tutto vero quello che dici, ma allora e’ semmai li’ che l’attivita’ viene distinta, e si parla di artificiale. 
     

  4. @ 15 (commento di Giacomo Govi). “L’etica dell’arrampicata libera ( progressione senza mezzi artificiali ) e’ ormai data per scontata per qualsiasi tipo di arrampicata su roccia.”
    Mi permetto di avere i miei dubbi. Non sono così sicuro che le centinaia di cordate che fanno la Salathè al Capitan (ma anche la Comici-Dimai alla Nord della Grande, per restare su un livello più modesto) passano tutto in libera. Nel primo caso (El Cap) credo che ad essere molto ma molto ottimisti a fare la via in libera sia il 10% di quelli che la salgono. Fortunatamente, credo che i componenti del restante 90% si godano ugualmente quella che per molti è l’avventura di una vita, e soprattutto una splendida esperienza, e che riescano a dormire sonni tranquilli pur sapendo di avere infranto l’etica scontata dell’arrampicata su roccia.

  5. Non so quanto si possa declassificare a semplice gergo obsoleto o financo gratuito o piuttosto impiegarlo anche attualmente per alludere a uno stile di salita (free climbing) o al tipo di terreno (arrampicata sportiva, arrampicata libera) di una salita, così come il grado lo è per la difficoltà. Sono semplici informazioni legittimata dall’evoluzione storica. Pienamente intellegibili da chi ne ha riconosciuto l’identità cui alludono.
    Anche chi non ha riconosciuto che il grado segnalato non è che un’indicazione, dimostra di non aver colto il vero significato, se conclude “non è vero che era TD – VII – 5a”.
    Ovvero se prende le previsioni del tempo come definitive invece che orientative.

  6. In Italia, perchè prima di poter andare ad arrampicare all’estero bisognava avere macchina e soldi, siamo passati dall’alpinismo(metà anni 70), free climbing( che già Manolo faceva nel 1978) e poi giustamente arrampicata dall’81/82 in poi.
    Alessandro ha fatto una correttissima analisi della storia che probabilmente solo quelli che ci sono passati sentono propria, agli altri è dato il fatto di aver letto quello che accadeva… ma attenzione perchè non tutti gli scritti riportano la storia così com’è stata !!!
    Cento nuovi mattini una pietra miliare della letteratura di alpinismo !!!

  7. Quando ho acquistato i 100 nuovi mattini avevo 19 anni e il concetto di ri-creazione non l’avevo compreso.
    Dopotutto sarei stato ancora per poco un teenager e quel che contava era il senso di immortalità che prende il giusto sopravvento su ogni cosa. Contava ripetere le vie (per me quasi tutte sconosciute) di quel libro che aveva rivelato uno scrigno prezioso. 
    Col mio compagno di quegli anni irripetibili ne abbiamo salite alcune con successo, altre per il rotto della cuffia e da svariate siamo tornati indietro con la coda tra le gambe. 
    Per noi esisteva solo la creazione, perché mai avremmo dovuto ri-crearle?
    Ecco, questa straordinaria nuova interpretazione l’ho intesa molti anni dopo e solo in quel momento ho compreso la vera essenza che travalica la mera divulgazione di quel libro che conservo consumato dalle migliaia di volte in cui ne ho girato le pagine.

  8. La classificazione di Gogna, era riferita a quel momento storico ben preciso, il trad non si chiamava così, ma si diceva Free Climbing, che si distingueva dall’ arrampicata Sportiva che già aveva le protezioni  infisse a Spit o fittoni, spesso messe dall’alto. Mi sembra piuttosto chiaro, adesso il Free Climbing è chiamato Trad, almeno dai praticanti, se parlano i media, la confusione è totale.

  9. Umberto Pellegrini                      lei oltre che ignorante è anche arrogante, tipico, e parla senza conoscere, ho iniziato a scalare nel 1986, per 25 anni non ho fatto altro che scalare in Montagna,  non mi interessa cosa lei faccia e non mi permetto di insinuare nulla di chi non conosco, se non l’evidenza dei fatti, lei è un buffone come ne ho incontrati tanti.

  10. Con tutto il rispetto, a me la classificazione di Gogna mi ricorda un certo linguaggio delle riviste non del settore. Addirittura pare distinguere tra free climbing, arrampicata libera e trad ? Potrebbe derivare dall’esperienza personale con la quale all’epoca aveva percepito ( e recepito ) i cambiamenti. O forse e’ semplicemente una forzatura da intervista. Ma la storia e la realtà’ dei fatti attuale mostrano che non c’e’ una distinzione “a bande discrete” ma una sovrapposizione via via più’ profonda. L’etica dell’arrampicata libera ( progressione senza mezzi artificiali ) e’ ormai data per scontata per qualsiasi tipo di arrampicata su roccia. Potremmo dire che l’Arrampicata Sportiva e’ Arrampicata Libera, mentre l’Arrampicata Libera non e’ necessariamente sportiva. Se poi uso protezioni mobili ( anche in falesia!), diventa Trad?  E se scalo su una via classica in Dolomiti (ormai si suppone senza tirare i chiodi), e’ Trad o free climbing? 
    Non mi sembra un esercizio utile. In francese c’e’ un solo termine, “Escalade”. Infatti guardarsi in giro. I giovani scalano ( in libera ) e basta, che sia falesia, via lunga di bassa quota, o alta montagna… 

  11. «Le parole che sento sempre dire quando, in determinati contesti, salta fuori il nome di Gogna sono “autocelebrazione” e “polemica”».
    Se ci parli, né uno né l’altro. Anzi.

  12. Le parole che sento sempre dire quando, in determinati contesti, salta fuori il nome di Gogna sono “autocelebrazione” e “polemica”. Forse si dirà che almeno fa parlare di sé, chissà magari è vero. Sinceramente a me dispiace molto quando le sento, le trovo fin troppo severe 

  13. Certamente no Bonafini.
    Ma la storia la si fa solo scalando. E da quel che sembra, lei di tacche, con spit, con cordini, con tricam o chiodi, ne ha praticata poca.
    Mi stia bene.

  14. Purtroppo per lei, caro Umberto Pellegrini, l’Ignoranza non si può colmare solo scalando.

  15. Gazie Bonafini.
    Ora sono ancor più consapevole della differenza tra chi arrampica e chi parla.

  16. Umberto Pellegrini                 Forse avrebbe fatto meglio a leggere Cento Nuovi Mattini, avrebbe evitato di scrivere sciocchezze. Alpinismo, free Climbing e arrampicata sportiva, oltre che diverse, sono oggettivamente delle tappe fondamentali, soprattutto in Italia, bisognerebbe solo conoscere un minimo di storia e non essere arroganti nell’ignoranza, 

  17. Volendo citare Gullich come al commento precedente, si veda differenza, all’interno delle sue salite, fra
    kanal ( e/o altre 1000)
    separate reality
    eternal flame

  18. Continua a sfuggirmi il motivo per cui A. Gogna utilizza i termini “free climbing”, “arrampicata libera”, “arrampicata sportiva” attribuendo, di volta in volta, ad essi, un significato apparentemente differente. Io ho imparato ad arrampicare in montagna non ieri, ma da subito mi è parso evidente che tirare chiodi non era arrampicare, ma manovalanza tanto meno significativa quanti più artifici si utilizzavano; per tirare chiodi era sufficiente un muro di mattoni, e per arrivare “in cima” erano sufficienti le normali, bellissime, compresa sinfonia dei mulini a vento.Di conseguenza non mi è affatto chiara la collocazione temporale fissata nel 1982-1983 per “l’arrivo dell’arrampicata sportiva”, quando nel 1984  Gullich ha salito (e non c’è bisogno di specificare se in free climbing, in arrampicata sportiva o libera) Kanal im Rucken, il primo 8b del mondo (forse).
    Ma probabilmente è per questi, ed altri, motivi che mai ho comprato né letto cento nuovi mattini.

  19. Caro.! “Alessandro ho iniziato , a conoscerti con la lettura, di un grande “Libro  (K.2 ) scritto,…e vissuto con “R. Messner ….!.e mi sono appassionato, alle grandi Scalate..! Posso solo dirti che quello che scrivi..ci regala grandi “Emozioni.!  Grazie e Salutoni..! G.C.

  20. Ormai quasi coetaneo,   nella calza della Befana trovo niente, ma in compesno questa bella intervista ripaga,    come le nebbie sollevate e la vista di Prealpi e  Dolomiti  lontane innevate.

  21. Nei 100 nuovi mattini c’è anche l’emacipazione dall’ideologia dell’alpinismo pregno di superba retorica autocelebrativa.
    Un intento – quanto consapevole ce lo potrà dire Alessandro – già presente e forte in La parete e forse in Un alpinismo di ricerca.
    Al centro era posta posta la trasperenza del sentire. Ed era sottratta la vanità dell’apparire.
    In quanto l’esperienza non è trasmissibile, passare dalla vanità alla trasparenza richiede il percorso personale.
    Liberarsi dalle gabbie delle proprie ideologie, scoprire il proprio sé, affermarlo è il Nuovo mattino ancora disponibile a tutti attraverso il ponte emozionale della ri-creazione.
     
    Evolutivo.
     

  22. La RI-creazione di Alessandro sta, secondo me, a “il viaggio è la meta” e “quello che conta non è la cima ma come vivi i minuti per raggiungerla” e “ora il mio obiettivo sarà l’arte di come salire una montagna” di Reinhard Karl. Concettualmente esprimono la bella volontà di usufruire dello stesso terreno per trarne sensazioni oneste e lontane dalla retorica della vetta a tutti i costi indipendentemente dal come si è raggiunta.
    Il mio Cento nuovi mattini perde i pezzi da quanto l’ho sfogliato e, non ultimo, mi aveva fatto scoprire l’ottima qualità della Ricoh, fotocamera compatta ai tempi snobbata per via del suo basso costo, che io ho sempre apprezzato.

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