Il manifesto dei 19

Il manifesto dei 19
(scritto nel 2003)

Nella primavera 1986 gli amici di Udine Roberto Mazzilis e Attilio De Rovere mi parlarono di un raduno previsto per settembre: gli enti locali volevano invitare un bel po’ di arrampicatori, per un festoso incontro non competitivo allo scopo di far conoscere nuove valli carniche e nuove montagne un po’ dimenticate, con falesie bellissime. Il nome dell’iniziativa era Arrampicarnia. L’anno precedente a Bardonecchia, in Piemonte, si erano tenute le prime gare di arrampicata del mondo occidentale, indubbiamente con grande successo di pubblico e di clamore. Mi assicurai che davvero non ci fosse l’intenzione di fare competizioni anche in quell’occasione. La mia età mi avrebbe comunque impedito di partecipare personalmente, ma al di là di ciò non volevo neppure essere presente come spettatore a raduni a scopo di gara. Mi risposero che l’unica gara prevista era una specie di albero della cuccagna. Le due giornate, favorite da un mite sole settembrino, furono bellissime e indimenticabili. C’era anche Manolo, divo ammirato e neppure in futuro protagonista di competizioni: quella volta, costretto ad arrampicare perché tutti lo volevano vedere, si dimenticò di legarsi. Nessuno si accorse che il nodo non era stato fatto e, incredibile, cadde proprio nei primi metri di una via per lui facile. Dopo il primo tonfo per terra, rischiò di ruzzolare oltre un ciglio nel burrone. Non si fece nulla, ma fu una gran paura per tutti. Scherzi dell’emozione.

Alain Ghersen

L’atmosfera simpatica ed anche sinceramente alcolica del raduno fece dimenticare le diete sportive e i sacrifici mortificanti a scopo competitivo che ormai segnavano la vita quotidiana di centinaia di arrampicatori. In quel tempo sembrava proprio che la mentalità agonistico-sportiva avesse preso il sopravvento su libertà e anarchia. Destò quindi particolare impressione che nel 1985 diciannove arrampicatori «di punta» francesi scrivessero una lettera aperta, prendendo posizione contro le gare di arrampicata. Di questi diciannove, forse solo Patrick Berhault e pochi altri rimarranno fedeli allo spirito della lettera e non parteciperanno a gare. A diciotto anni di distanza… (oggi trentasei, NdR) ognuno legga e valuti.

Il manifesto dei 19
1985, dieci anni che l’arrampicata libera si è sviluppata in Francia. Oggetto di irrisione all’inizio, attualmente costituisce la regola del gioco per la maggior parte degli arrampicatori.
1985, varie competizioni sono previste in Francia, alcune organizzate da associazioni, altre da società commerciali e quindi sponsorizzate. Alcuni si rallegrano di tale evoluzione.
Altri, no.
Noi facciamo parte di questa seconda categoria. Noi, cioè tutti gli arrampicatori che, dopo aver letto ed approvato, hanno firmato questa lettera. Persone che per tutto l’anno investono tempo, fatica e denaro allenandosi ed arrampicando in falesia. Lo scopo di questo testo non è di tentare di analizzare le cause della nascita delle competizioni (che non fu del tutto democratica…), né di denunciare un responsabile, ma di tratteggiare le conseguenze possibili e probabili di un’ulteriore evoluzione.
Innanzi tutto è falso credere che la maggior parte degli arrampicatori «forti» sia favorevole e pronta a partecipare alle future competizioni. Questa lettera ne è la prova.
Certi sport, come ad esempio il calcio o il tennis, traggono la loro ragione d’essere dalle competizioni. Ma l’essenza dell’arrampicata è un’altra. La sua finalità ultima è e deve restare la ricerca di una difficoltà tecnica e di un impegno (solitarie, chiodature lunghe) sempre crescente. E già qui compare una contraddizione con le gare. Siamo realisti. Ci si può immaginare una competizione basata sulla difficoltà pura, ma le necessità dei media sono altre. Per essere spettacolare e fruibile al grande pubblico, la gara deve fornire un parametro di misura facilmente comprensibile a tutti; è del resto il problema di altri sport visivamente troppo complessi, come la scherma ed il judo.

Antoine Le Menestrel a Buoux

Il parametro più comprensibile è la velocità, il verdetto del cronometro. L’arrampicata come lo sci: un circuito professionistico con una monopolizzazione delle falesie.
Ed anche se si facessero le gare di difficoltà pura, cosa ci darebbero di più? Ci mostrerebbero chi sono i migliori? Nemmeno quello, perché l’arrampicata moderna è troppo complessa (salite in libera, a vista, a tentativi, in solitaria) per dare giudizi netti. Attualmente esiste una competizione indotta (argomento di fondo dei sostenitori delle gare) e la ricerca di un certo riconoscimento da parte delle riviste specializzate. Ed allora? È proprio per queste cose che si sono avuti i fantastici progressi degli ultimi anni. Ma sarebbe più giusto parlare di emulazione. Certo, ci sono delle tensioni fra gli arrampicatori. Ma sono inevitabili e questa lettera, firmata dagli arrampicatori del Nord e del Sud, mostra che è possibile mettersi d’accordo sui temi di fondo.
Forse questa visione delle cose è un po’ troppo individualista. Ma è quella di un’arrampicata vista come rifugio, di fronte a certi archetipi della nostra società, come opposizione a tutti questi sport giudicati, arbitrati, cronometrati, ufficializzati ed istituzionalizzati. Arrampicare a tempo pieno, o quasi, implica dei sacrifici ed anche una certa marginalità. Ma può essere un’avventura, una scoperta, un gioco in cui ciascuno può fissare le sue regole. Noi non vogliamo allenatori o selezionatori, perché arrampicare è innanzi tutto una ricerca personale. Se nessuno reagisce, la competizione concepita e realizzata da una minoranza può rapidamente e troppo facilmente diventare il riferimento assoluto. Domani, ci saranno gare e concorrenti con il pettorale numerato, di fronte alle telecamere della TV, forse. Ma ci saranno anche degli arrampicatori che continueranno a praticare il vero gioco dell’arrampicata. Degli arrampicatori che saranno i guardiani di un certo spirito e di una certa etica.
Seguono le firme di: Patrick Berhault, Patrick Bestagno, Eddy Boucher, Jean-Pierre Bouvier, David Chambre, Catherine Destivelle, Jean-Claude Droyer, Christine Gambert, Denis Garnier, Alain Ghersen, Fabrice Guillot, Christian Guyomar, Laurent Jacob, Antoine e Marc Le Menestrel, Dominique Marchal, Jo Montchaussé, Françoise Quintin, Jean-Baptiste Tribout.

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Il manifesto dei 19 ultima modifica: 2022-01-07T05:53:00+01:00 da GognaBlog

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16 pensieri su “Il manifesto dei 19”

  1. Ritengo corrette le risposte di Placido al tuo commento, Mario, e ci tengo a dirlo, senza nessuna polemica. Tuttavia non ritengo ingiusto il tratto che emerge di costoro; è quello che la storia ci ha consegnato di un piccolo evento che per parecchi di loro non è stato un evento così fondamentale da ritenerlo inviolabile. In tal senso però hai ragione, un tratto insufficiente per definirne i caratteri ma proprio per questo funzionale ad un discorso distaccato.Begli spaccati di vita di quegli anni si trovano nei libri di Elena Corriero su Marzio Nardi, oppure di Andrea Di Bari, o di Alessandro Lamberti (mio personale riferimento), sui quali riflettere quanto fosse variegata nel popolo rampicante l’idea di arrampicata stessa e quanto distante (ma presente) fosse A. Gogna su Folletto Rosso al Corno (6b), la meno “sportiva”, o “libera” o “free” delle lunghezze sulla sud (secondo me, meglio specificare, prima dell’implacabile e noioso “informati meglio”).   Per soddisfare in parte il tuo desiderio, se vuoi incontrare Tribout è sufficiente recarsi a Lourmarin dove JB è proprietario di un negozio di articoli sportivi, XXL. Lui è persona spumeggiante, gentile e temibile, propenso alla chiacchiera, un bel tipo. Visto che Buoux è a due passi, potresti andare a vedere il set fotografico de La rose et le vampire di Le Menestrel, cosa che io ho fatto una quattordicina di anni fa.

  2. Mario, non c’è alcun dubbio che ci sia molto di più da sapere. Lungi da me fare le pulci o, peggio, giudicare a posteriori le persone che ho citato, cosa che comunque mi sembra di non aver fatto (e ci mancherebbe), a meno di non scambiare per giudizio morale la bonaria ironia che ho usato a proposito della coerenza di comportamento della Destivelle, coerenza della quale peraltro non deve rendere conto a nessuno, allo stesso modo degli altri personaggi.
     
    Tuttavia, consentimi, se i fatti che mi sono permesso di riportare sono parziali e insufficienti, a maggior ragione allora lo è anche rendere conto soltanto della firma del “manifesto”.
    Ciao

  3. Placido  nessuna vis polemica, solo la precisazione che c’e’ molto di piu’ da sapere su quelle persone , sui fatti  e su quel precisi mezzi anni  1980  di quello che si trova su riviste o articoli sparsi . Ci sarebbe, perche’ chi ne sa non dira’ e men che meno in un forum . Ma con certezza , il brevissimo accenno  alle persone citate offre di loro un tratto  profondamente insufficiente ed ingiusto. Ed e’ un peccato. Ciao

  4. Mario (commento 12), per quanto mi riguarda le tue aspettative saranno disattese, visto che non conosco nessuno dei personaggi citati. Anzi, se avessi mai “conosciuto/scalato/bevuto una birra” con uno di loro allora non verrei certo a spiattellarlo qui, visto che sarebbero fatti miei.
     
    A mio modo di vedere, è proprio l’assenza di qualsiasi coinvolgimento personale che mi permette di “citare con nonchalance” fatti di pubblico dominio (non chiacchiere), alcuni dei quali arcinoti per essere stati raccontati su libri/riviste, a volte dagli interessati stessi.
     
    Spero mi scuserai nel caso non ti avessi risposto a tono, visto che non ho ben capito (ovviamente per miei limiti) il tono del tuo commento.
    Ciao
     

  5. Certo che Mastronzo e Pellegrini dimostrate  di trovarvi  bene nella chiacchiera arrampicatoria,  familiarità di che forse deriva dalla diretta frequentazione delle persone che citate con nonchalance. Avete mai conosciuto\scalato\bevuto una birra con Le Menestrel o Tribout o Destivelle ? Se si diteci qualcosa di più , forza non temete ..,

  6. Grazie Placido (non si offenda, preferisco chiamarla per nome, invece che per cognome).
    A correzione della mia sotto, prima di pigliarmi un’altra volta del buffone, i conti corretti sono 10 su 19, spero.
     

  7. Pellegrini (commento 8): giusta precisazione su  Antoine Le Menestrel, a proposito del quale aggiungo che, pur non partecipando come atleta, fu capo tracciatore alle gare di Vaulx-en-Velin già nel 1986 (una delle prime competizioni su muro artificiale, se non proprio la prima). Fu poi tracciatore ad altre manifestazioni come i master di Bercy e alcune tappe di coppa del mondo.
     
    Dei firmatari che non ho citato prima (Bestagno, Garnier, Marchal, Quintin) non ho informazioni, ma credo che nemmeno loro abbiano partecipato a competizioni successivamente alla firma del manifesto.

  8. Insomma, la Catherine è mobile, qual piuma al vento.
    E cosí pure gli altri menzionati.

  9. Grazie Placido Mastronzo. Questa tua analisi è ciò che ci si dovrebbe aspettare in fase di rilettura puntuale di un importante evento culturale di anni fa. 
    Aggiungo che Le Menestrel Antoine vero è che non partecipò mai a competizione alcuna, ma si dedicò a creare appigli artificiali (leggasi scavi) a Buoux, ad esempio su La rose et le vampire, per poi farci le sue foto vestito di tutto punto.
    Parlando di etica, anche questo potrebbe/dovrebbe essere valutato. Quindi alla fine, 5 su 19 (anche se dei 5, conosco bene solo la traiettoria di Berhault).
    Ciao e grazie ancora.

  10. Tra i 19, il “premio coerenza” va senza dubbio a Catherine Destivelle che solo pochi mesi dopo aver firmato il “manifesto” come tutti sappiamo partecipò alle gare di Bardonecchia (e le vinse).
    Oltre a lei e al già citato Tribout, cambiarono idea anche Chambre, Ghersen, Gambert e Marc Le Menestrel.
    Boucher e Jacob invece parteciparono alle gare di velocità di Yalta, antecedenti a quelle di Bardonecchia.
     
    Oltre a Berhault, credo che nemmeno Bouvier, Droyer, Guillot, Guyomar, Antoine Le Menestrel e Montchaussé parteciparono mai ad alcuna competizione.
     

  11. Per ragioni anagrafiche (ed affettive)  tra chi si spello’ le dita per una filosofia e chi per un trofeo  preferisco i primi. Chi dei 19 rimase sulle sue posizioni usci’ dalla cronaca per entrare direttamente nella leggenda, alcuni di loro ci sono rimasti a pieno titolo. 

  12. Grazie Ugo Manera. Meno male che ci sei.
    Scrivi di più, se puoi. Io apprezzo moltissimo il tuo pensiero solido, dritto ed estremamente aperto, di chi sostanzialmente nella vita ha arrampicato e si è messo sempre in gioco, senza troppe menate.
    Ad ogni modo nel manifesto appare il nome anche del grande Tribout, quello che ha smontato una presa sul passo chiave di Les Spécialistes (8b+, ma aspettiamo la conferma di Cominetti), portandosela a casa, per non farla fare a nessuno prima di lui. Direi dunque in linea assoluta con lo spirito del manifesto, “guardiano di un certo spirito e di una certa etica”. Forse, più che nel manifesto, la descrizione corretta di uno come Tribout andrebbe letta nel bel libro di Elena Corriero, dove Tribout viene descritto più o meno così: “le gare erano il suo ambiente naturale, animato da un fortissimo spirito competitivo…”
     

  13. Il “Manifesto dei 19” rappresenta indubbiamente una posizione conservatrice anche se firmata da personaggi estremamente autorevoli. Come quasi tutte le posizioni conservatrici è stata travolta dall’evoluzione dei tempi ed oggi appare anacronistica. Ritornando a quegli anni può essere comprensibile il timore espresso nel manifesto perché allora le competizioni si svolgevano sulla roccia vera e potevano interferire con la visione sportiva dell’arrampicata libera in piena espansione. Poi ogni specialità ha definito indirizzi e terreno di attività riducendo il manifesto dei 19 a documento storico superato dagli eventi. Destino comune (secondo me) a quasi tutte le forme di conservatorismo. Va ricordata invece la lungimiranza di allora di grandi personaggi dell’alpinismo come Andrea Mellano e Riccardo Cassin. 

  14. Quel manifesto, come tutti sappiamo, vide l’assenza di alcune firme importanti, una su tutte quella di Edlinger che partecipo’ ad alcune competizioni ma che certo non fece delle gare il motivo della sua scalata. Cosi come qualche successivo ripensamento tipo destivelle, tribout che comunque non fece, a mio avviso, perdere loro la coerenza con lo spirito essenziale del manifesto.

  15. Si è verificato effettivamente quanto preconizzato nel manifesto : pettorali numerati, riprese televisive e l’approdo alle olimpiadi. Nonostante ciò tutti noi pratichiamo ancora il free climbing, l’arrampicata sportiva, l’alpinismo. Gli atleti di punta scalano, a proprio agio, sia sulla roccia che sul sintetico, e la loro emulazione non ha fatto altro che spingere verso l’alto il livello medio dell’arrampicata.
    Ancora una volta, come successe nel passaggio, o meglio, nella diversificazione tra alpinismo e free climbing, si è creato un altro mondo, quello dell’arrampicata competitiva e sul sintetico, senza però annullare o rinnegare le altre tipologie di scalata, instaurando sovente dei passaggi trasversali tra le varie discipline.
    D’altra parte, quando mai non c è stata competizione nell’alpinismo?! Quello che è accaduto negli ultimi anni nel nostro mondo, non ha fatto altro che cancellare l’ipocrisia dietro la quale si sono barricati tanti “puri”. Insomma, un’altra “ri-creazione’. 

  16. Leggere quei nomi mi emoziona ancora. E quel manifesto segna un momento particolarmente intenso, di frenetiche vie sul Gran Sasso e i Sibillini. Che confesso mi stava facendo venire l’ansia da prestazione perché gli amici di allora sembravano impazziti. 
    Io mi scoprivo amante delle nevi e dei grandi orizzonti. La concentrazione continua dell’arrampicata mi destabilizzava e dopo un paio di vertiginose cadute smisi.
    E mi specializzai in altre tecniche a me più congeniali.

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