Azzorre, una vera ossessione

Azzorre, una vera ossessione
(Raggiungere l’arcipelago atlantico partendo dal Portogallo e senza l’apporto dell’Aliseo è un’impresa da pianificare nei dettagli e che richiede una adeguata preparazione fisica)
di Giorgio Daidola
(già pubblicato su Bolina, andar per mare, ottobre 2017)

Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(3)

Nel febbraio 2016 sono ritornato a casa dalla lunga traversata in sci del Finnmark norvegese con due dita congelate, causa temperature in tenda di -35 gradi. L’incidente mi ha fatto capire che il mio grande sogno di attraversare in sci la Groenlandia lungo l’itinerario compiuto dall’esploratore Fridtjf Nansen era meglio rimanesse tale.

Ho quindi cercato di dare significato alla mia sete di avventura progettando una traversata di tutt’altro tipo ma sotto molti aspetti impegnativa, almeno per me: affrontare l’Atlantico con la mia vecchia barca di dieci metri. Non avevo alcuna esperienza al riguardo: in Mediterraneo la più lunga traversata che avevo intrapreso si era conclusa in 48 ore.

Ci ha pensato Carlo Bistagnino, un amico esperto e preparato, a propormi un itinerario poco frequentato e decisamente molto attraente. «Sei arrivato con la barca in Portogallo – mi disse Carlo – perché non vai alle Azzorre? In estate, con l’anticiclone, hai venti dominanti da nord, quindi più o meno al traverso, sia all’andata che al ritorno. Sono poco più di 800 miglia, in una decina di giorni al massimo ce la puoi fare».

Il Gladiateur di 10 metri Zeffiraglia III ormeggiato a Vila Franca do Campo.

Carlo parlava a ragion veduta, avendo fatto questa traversata nel lontano 1996 con la moglie Gloria, di ritorno dai Caraibi con il suo bellissimo ketch Antares II, ora ormeggiata al pontile delle barche d’epoca dell’associazione francese Annerami di Tolone.

Dopo la proposta di Carlo mi è bastato leggere poche pagine sulle Azzorre per farmi venire la voglia di raggiungerle: clima piacevole, turismo intelligente all’insegna della sostenibilità, ambienti incontaminati, pochi abitanti caratterizzati da un grande senso dell’ospitalità, nove isole tutte da scoprire. Isole felici, lontane dagli stress del nostro modo di vivere. Arrivare i con la mia barca in questo paradiso terrestre in mezzo all’Atlantico avrebbe sicuramente dato al viaggio un importante valore aggiunto.

Il Mer-veille segnala l’avvicinamento di un’unità con il radar in funzione.

La classica rotta degli Alisei dalle Canarie ai Caraibi, a parte il tempo necessario per percorrerla e la sua ben nota monotonia, mi interessava molto di meno. Sono stato nei Caraibi e non ne ho apprezzato il clima caldo e umido, così come l’ambiente tropicale troppo antropizzato e spesso degradato a causa del turismo. Inoltre mi risulta che la pirateria nella zona è sempre più diffusa, i prezzi dei marina sempre più alti e gli uragani estivi un rischio da non sottovalutare se si lascia la barca da quelle parti.

La preparazione di Zeffiraglia III, in secco nel cantiere Sopromar di Lagos nell’Algarve portoghese, ha interessato tutto l’ultimo l’inverno e la primavera scorsa. E dire che la barca era già perfetta, grazie ai numerosi lavori straordinari eseguiti negli ultimi anni. Ho voluto migliorarla ulteriormente dotandola di un Windpilot, uno dei più quotati timoni a vento in commercio, di un telefono satellitare fisso Inmarsat, di un Navtex, di un radar Furuno, di un radar detector Mer-veille (segnala la presenza di unità con radar acceso), di una pompa Whale ad acqua di mare, di un Gps Garmin 721 e di tante altre diavolerie che l’hanno trasformata in una specie di showroom di novità per la nautica. Si è trattato di un investimento notevole, circa 20.000 euro: decisamente troppi per una barca che ne vale al massimo 25.000. Ma quando “signora follia” prende per mano può succedere anche questo.

La navigazione dal Portogallo alle Azzorre è particolarmente faticosa perché molte delle circa 800 miglia del percorso devono essere affrontate di bolina.

Uno scambio intenso di e-mail durante tutto l’inverno con Pedro Pereira, responsabile tecnico del cantiere Sopromar di Lagos, e con Peter Foerthman inventore e produttore tedesco del Windpilot, ha permesso di realizzare un nuovo bel balconcino a poppa adatto al timone a vento, con dolorosa rottamazione di quello esistente. Ho inoltre lavorato personalmente sulla barca per tutto il mese di maggio, per montare i nuovi strumenti e per preparare il varo. Con il senno di poi avrei dovuto prevedere almeno un altro mese per provare le nuove attrezzature, prima di effettuare una traversata impegnativa come quella alle Azzorre.

Soprattutto avrei dovuto aspettare, come mi consigliava Carlo per telefono, che si instaurasse l’anticiclone, ovvero l’alta pressione sull’arcipelago. Cosa che, secondo le pilot charts di Jimmy e Ivan Cornell difficilmente avviene prima della fine di giugno. Io invece, appena messa la barca in acqua e averla provata con i classici due bordi davanti al marina, fatta cambusa e rifornimenti vari, sono partito con due amici, Mauro Giacomelli e Philippe de Guillebon, venuti appositamente a Lagos.

Non c’è dubbio che rimanere a lungo nel pur confortevole marina ad aspettare le condizioni meteo favorevoli non era una prospettiva interessante per nessuno.

Questo non giustifica però di partire con previsioni appena accettabili, sottovalutando cosa significa una settimana di mare con onde di 2-3 metri e vento sui 20-25 nodi, spesso di bolina, con una piccola barca. Il sito web www.windy.com, con previsioni per ben 9 giorni, metteva in evidenza che l’anticiclone non aveva ancora raggiunto le Azzorre ma si trovava più a sud, e che sulla nostra rotta erano attesi venti piuttosto forti da nord-ovest. quindi poco favorevoli per andare per 280 gradi.

«Meglio aspettare», continuava a ripetermi Carlo per telefono, preoccupato di essere stato lui a darmi l’idea di questa traversata. Anche Ingrid Fortunato, la simpatica direttrice del marina di Lagos, nonché istruttrice di vela, era dello stesso parere.

Purtroppo, come spesso capita nelle salite a grandi montagne, non si resiste al desiderio di arrivare il prima possibile alla meta. Se a questo si aggiunge il fatto che i miei due marinai non potevano o volevano aspettare a oltranza, la decisione di partire venne irrevocabilmente presa.

Fino a Cabo de São Vicente, 20 miglia circa da Lagos, lutto è filato liscio, abbiamo veleggiato tranquilli lungo costa aiutandoci con il motore. Abbiamo fatto anche pranzo a base di prosciutto crudo e melone. Oltre il capo, celebre per le sue spaventose tempeste, la digestione è diventata subito difficile per me e per Mauro. Non avevo mai patito il mare in vita mia, ma c’è sempre una prima volta.

Prendere i terzaroli vomitando è un’esperienza da non augurare a nessuno. Sarà il melone, sarà la mancanza di allenamento, sarà perché non avevo previsto di trovarmi di fronte a un mare così agitato, con raffiche a 30 nodi sul naso e onde sui tre metri, sarà l’effetto congiunto di tutte queste avversità, sta di fatto che il risultato è stato una vera Caporetto. Carlo per telefono ci incoraggiava dicendo che 10 miglia al largo di Cabo de São Vicente il vento sarebbe diventato più favorevole. Siamo quindi andati avanti per un bel po’ in quel pu­tiferio, vomitando e imprecando.

Alla fine, quando era già notte, una manovra sbagliata per ridur­re ulteriormente il genoa ha creato la fuoriuscita della cima del nuovo avvolgifiocco Harken. La vela era avvolta trop­po stretta e venendo a mancare i giri di sicurezza, il nodo dì arre­sto, volutamente piccolo, non ha tenuto. È stato quindi necessario ammainare il genoa in condizio­ni estremamente difficili e peri­colose. Eravamo a circa 100 mi­glia dalla costa, non rimaneva che fare dietro front. In piena notte, con la sola randa terzarolata e con paurose onde e vento in poppa siamo ritornati a Lagos, consci di non avere il tempo per leccarci le ferite e tentare un’al­tra volta.

Il mio stato d’animo non pote­va essere peggiore, ho pensato di avere sbagliato tutto e che a quel punto la cosa più saggia da fare sarebbe stata quella di mettere la barca in vendita. Gli amici han­no fatto le valigie e io sono rima­sto solo a rimuginare. Avevo si­curamente sopra valutato me stesso e Zeffiraglia che, malgra­do le nuove attrezzature lucci­canti, non aveva mancato di met­tere in luce i suoi acciacchi e il suo limitato comfort in situazio­ni come quelle in cui ci eravamo trovati. Mi sono sentito svuota­to, privo di obiettivi alternativi. Ritornare in Mediterraneo sareb­be stata una ritirata, andare ver­so nord lungo le coste del Porto­gallo avrebbe significato avere vento e mare contrari. Confesso le mie pene a Pedro, che avendo seguito la preparazione della barca, si rende conto del mio sta­to d’animo. La mattina successi­va, grazie a lui, ecco che appare sul pontile Keith Edwards, skip­per professionista gallese, resi­dente da molti anni a Lagos. Sul­la sessantina, di poche parole, piuttosto duro nei modi ma sin­cero, si dedica al trasferimento di barche in tutte le parti del mondo, le deliveries come le chiama lui. Non ho mai pagato qualcuno per venire con me in barca, ma questa volta sono di­sposto a farlo. Questa traversata è diventata un’ossessione, devo assolutamente farla, per “dare un senso al tutto”.

Come prima cosa Keith vuole provare la barca e Zeffiraglia su­pera senza problemi l’esame. «Un ottimo scafo per mari duri – dice Keith – appena ci saranno le condizioni se vuoi proviamo. Preparati comunque a una traver­sata impegnativa, non è come an­dare da qui alle Canarie con il vento in poppa. Per questo voglio che venga con noi anche Miguel Sousa, anche lui fa questo mestie­re, meglio essere in tre».

Il 17 giugno finalmente si ri­parte. L’anticiclone non è ancora sulle Azzorre, ma le previsioni non sono malvagie per la prossi­ma settimana. Ogni cosa nella barca è sistemata a dovere, le cuccette con i teli antirollio sono pronte. Faremo turni di due ore, notte e giorno.

Passato Cabo de São Vicente vento e mare da nord-ovest si fanno nuovamente sentire, bolinare con mare agitato è faticoso ma inevitabile. La strategia vin­cente è di portarsi il più a nord possibile, in modo da non trovar­si con il vento sul naso a metà per­corso, quando mancheranno an­cora oltre 400 miglia per São Mi­guel e avremo quasi sicuramente vento da ovest-nord-ovest.

«Guai a lasciarsi andare a sud, diventa quasi impossibile risalire verso le Azzorre!», dice Keith. Dopo un giorno e una notte non proprio tranquilli ci troviamo così una quarantina di miglia a nord della nostra rotta ideale. Attraversiamo la pericolosa rotta dei cargo che dal Nord Europa sono diretti a Gibilterra e viceversa.

In oceano è importante scegliere gii ali­menti e cucinare pasti caldi e nutrienti.

L’unica cosa che manca a Zeffiraglia è un apparecchio Ais ricetrasmittente: mi rendo conto solo ora di come sarebbe stato utile, avrebbe evitato di dover tenere il radar sempre accesso. Niente melone e prosciutto in questa traversata, ma ogni sera succulenti piatti caldi con carne, verdura cotta e patate lesse, cucinati da Keith in condizioni spesso proibitive. Niente mal di mare e digestione perfetta come ai vecchi tempi. Va insomma tutto a gonfie vele.

«Se teniamo una media di cinque nodi ce la facciamo in sette giorni», dice Keith. E ovvio che lui ha fretta di arrivare, mentre io preferirei assaporare lentamente questa nuova avventura. Sto infatti incominciando a capire come le lunghe traversate siano innanzitutto delle stupende avventure dello spirito. Miguel, lo skipper in seconda, portoghese, simpaticissimo, la pensa come me. Ma è chiaro che chi decide è il coriaceo gallese. Appena ritornerà a Lagos dovrà portare una barca alle Canarie. Il suo è un lavoro e nelle deliveries gli skipper non sono pagati a giornata, ma un tanto a miglio percorso. Un particolare importante che non avevo valutato.

Giunti circa alla metà della traversata il vento cala un po’, montiamo bompresso e frullone e con il gennaker facciamo 7 nodi fra onde maestose, con il Windpilot che, precisissimo, fa tutto lui. Dopo un’intera giornata di grande vela, verso sera il vento purtroppo cala e riusciamo a mala pena a fare 4 nodi. Senza indugio Keith accende il motore per dare una mano alle vele e mette il pilota automatico. Faccio presente a Keith che non abbiamo il gasolio necessario per arrivare a destinazione tenendo il motore sempre acceso, anche se solo a 1.800 giri. Mancherebbero almeno una ventina di litri. Sto raccontando una bugia: ho infatti ben nascosto una tanica da venti litri! Provo a dire che 4 nodi a vela sono un’ottima andatura, che i bollettini meteo che ci invia mia moglie Cristina con il satellitare sono ottimi per i prossimi cinque-sei giorni.

São Miguel

Keith è irremovibile, è lui lo skipper, è lui che comanda. Provo allora una spiacevole sensazione di impotenza: non mi era mai successo sulla mia barca! Miguel cerca di mediare, capisce il mio disappunto. Durante i suoi turni e i miei cerchiamo di far riposare un po’ il motore.

E così riposa bene anche Keith, mentre quando tocca a noi andare in cabina il rumore assillante del piccolo diesel e il calore che emana ci fanno purtroppo compagnia. Ma tutto passa, per fortuna, e all’alba del settimo giorno São Miguel appare all’orizzonte, mentre stiamo navigando con il solo gennaker e il motore sui 1.500 giri, in modo da risparmiare al massimo carburante. Tengo duro, non dico della tanica nascosta e così in serata arriviamo a destinazione con questa andatura mista motore e vela che ho sempre detestato, ovviamente il serbatoio è quasi vuoto.

Provocatoriamente chiedo a Keith se utilizza così tanto il motore anche nella classica traversata ai Caraibi. «Certo che no risponde ma qui non c’è l’Aliseo che spinge. Qui il vento cambia continuamente e non sempre in modo favorevole. Siamo a una latitudine in cui il brutto tempo può arrivare imprevisto e costringere ad aspettare, a secco di vele e con un’ancora galleggiante, per giorni».

E chiaro che cerca di spaventarmi. Ma si fa più convincente affermando che «con il motore acceso si evita di sfasciare la barca contro un capodoglio!». Le balene infatti non sentono avvicinarsi le barche che procedono a vela e, dopo l’abolizione della loro caccia nel 1984, sono sempre più numerose intorno alle Azzorre. I grandi cetacei sono un serio pericolo e più dì una barca a vela è colata a picco urtandoli.

Vila Franca do Campo

Nell’accogliente e super sicuro marina di Vila Franca do Campo la direttrice Berta Aguiar ci accoglie calorosamente sul pontile. Siamo la prima barca della stagione ad arrivare dal Portogallo nel suo piccolo porto.

Metto barcollante i piedi a terra. Ho raggiunto il mio obiettivo, ho scalato la mia montagna. Con una guida questa volta, ma l’ho scalata. Non penso per ora alle difficoltà del ritorno o a quelle di proseguire verso altre mete. Mi fermo a contemplare in silenzio i prati verdi e le dolci montagne che cingono il porto. C’è nell’aria qualcosa di magico, di idilliaco, sto per scoprire un mondo nuovo. Penso istintivamente che Zeffiraglia III rimarrà parecchio in questo arcipelago.

Il giorno dopo l’arrivo è la festa di San Giovanni, patrono di Vila Franca e di Torino, la mia città natale. Qui è appena iniziata una grande festa per le vie dell’antica cittadina. Durerà tutta la notte e quella successiva. Si canta, si balla, ci si sorride. Per un attimo si tocca la felicità.

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Azzorre, una vera ossessione ultima modifica: 2018-04-09T04:27:44+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Azzorre, una vera ossessione”

  1. Fantastico, grande nostalgia ed invidia per esperienze di navigazione come queste…

  2. Racconti  Bellissimi..anche il “Mare , a il suo fascino , e molto di più…! Saluti..

  3. E’ una lettura che ….ti fa navigare con la fantasia in un modo piacevolissimo…!!

  4. Il tempo. Merce preziosa oltre ogni dire. Ce ne accorgiamo sempre e solo quando gli anni davanti cominciano a essere di meno di quelli già andati. Andar per mare e per montagna ha questo di vantaggio rispetto alle altra esperienze della vita: il tempo scorre con una scansione differente del solito. Così, questo andare non può che essere pacificatore per la nostra anima, regalando tempo al tempo e con esso una nuova e sempre viva giovinezza.

  5. Tutti sappiamo che il rischio zero non esiste e che la natura quando ci bacchetta può far veramente male. Umiltà, preparazione e un po’ di fortuna sono la base. Curiosità e avventura motivano il nostro cammino in questo meraviglioso mondo, nel quale siamo ospiti.

     

  6. Bellissimo racconto. Forse più ancora che in montagna, le storie di mare trasmettono l’avventura

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