Baba-Tangi

Baba-Tangi
(una cordata di due sorelle effettua la prima salita della cresta nord-ovest del Koh-e-Baba-Tangi 6516 m, Afghanistan)
di Pat Deavoll
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2012)

Da tempo desideravo scalare nel Corridoio del Wakhan in Afghanistan, ma con una guerra o l’altra, il paese era stato inaccessibile agli scalatori per oltre 30 anni. Alla fine un gruppetto di scalatori e viaggiatori ha ripreso le visite. Quindi ho pensato: “Ora è la mia occasione”. Nel 2010 ho iniziato a convincere mia sorella Christine, anche lei neozelandese, e il nostro amico indiano Satyabrata Dam ad unirsi a me. Abbiamo scelto il Baba-Tangi, che nel dialetto locale significa Picco di Giada. La montagna più alta nel settore orientale dell’Hindu Kush afghano, la cui unica scalata era avvenuta nel 1963, da una spedizione italiana che includeva Carlo Alberto Pinelli. Avevano scalato la cresta occidentale con tre campi e Pinelli aveva scritto nel suo libro Peaks of Silver and Jade, A Mountaineering Guide Book of The Afghan Hindu Kush (scritto assieme a Gianni Predan) che la cresta nord-occidentale “sembra essere particolarmente attraente… un percorso vario e difficile ma probabilmente non troppo pericoloso, che alterna sezioni di roccia, misto e ghiaccio“. Quindi sarebbe stata la cresta nord-occidentale.

Il Baba-Tangi e la via tracciata dalle due sorelle Pat Deavoll e Christine Byrch

Per i successivi dodici mesi abbiamo lottato con le ambasciate per ottenere visti, abbiamo fatto domanda di sovvenzioni e chiesto sponsorizzazioni. Abbiamo ingaggiato un’azienda afghana per aiutarci con i permessi interni, il trasporto in fuoristrada e i portatori locali. A metà luglio siamo volati a Dushanbe, la capitale del vicino Tagikistan, dove abbiamo incontrato Satya.

Dushanbe è una bella città non congestionata, con edifici eleganti, ampi viali e fontane. Non c’era un briciolo di spazzatura. Ma la temperatura era sui 40 gradi (Celsius), quindi era bello essere in viaggio con il vento tra i capelli dopo una giornata di accordi per gli ultimi permessi e shopping. Avevamo prenotato un veicolo 4WD con Pamir Silk Travel, che è arrivato puntualmente al nostro hotel alle 10 del mattino, guidato da un allegro tagiko di nome Gordo, che non parlava una parola di inglese. Sebbene fossimo usciti dalla città a tutta velocità, entro 10 chilometri le condizioni delle strade ci hanno rallentato a 20 km/h, al massimo. Abbiamo proseguito a questa velocità per i successivi tre giorni, fino al confine.

Donne di Kret con i loro bambini. Foto: Pat Deavoll.

Gordo ci ha lasciato a un ponte recintato sul fiume Panj. La temperatura era di circa 50 gradi C (120 °F). Due piccoli edifici si trovavano in mezzo al letto largo e polveroso del fiume: il posto di immigrazione tagiko e quello afghano. Soldati sorridenti ci hanno fatto passare attraverso il cancello mentre noi lottavamo con i nostri bagagli. Le formalità sono andate lisce, ma dov’era il rappresentante del turismo del Wakhan che avrebbe dovuto incontrarci? Alla fine si è presentato, ha affermato di essere gravemente malato, ci ha accompagnato al piccolo villaggio di Ishkashim e poi è scomparso in ospedale. Quella è stata l’ultima volta che lo abbiamo visto.

Quando non è stato inviato alcun sostituto, è diventato ovvio che avremmo dovuto organizzarci da soli. Ciò si è rivelato una benedizione, poiché ci ha fatto risparmiare una bella somma di denaro. Vagando nel mezzo di Ishkashim (non più di un incrocio di strade sterrate attorno a un bazar malfamato, ma affascinante nella sua semplicità), Satya e io abbiamo fatto la spesa per il resto del nostro cibo, abbiamo acquistato una pentola a pressione e due bombole di gas da cinque chili per cucinare al campo base; abbiamo organizzato un 4WD per portarci a 120 chilometri su per la valle di Wakhan fino al villaggio di Kret. Da lì intendevamo camminare fino alla montagna.

La gente del posto era amichevole, disponibile e non era contraria a farsi fotografare. Per strada c’erano molte donne e ragazze con il colorato abito Wakhi. E qualche burka. Un giovane di nome Adab ci ha accompagnati dal governatore regionale e dalla polizia per ottenere i documenti necessari per entrare nel Wakhan. All’interno del complesso della polizia di frontiera, gli uomini avevano posato i loro AK47 e stavano giocando a scacchi su un grande tavolo al sole. Abbiamo trascorso due notti divertendoci con un gruppetto di altri viaggiatori occidentali in un’eccellente guesthouse. Poi ci siamo rimessi in viaggio.

Lo scenario nel Wakhan Corridor è ultraterreno: vaste montagne aride, con brevi scorci di ghiacciai e montagne innevate lungo le valli laterali. Villaggi di case di fango.

Pat Deavoll sulla parete di ghiaccio iniziale (giorno 1). Foto: Christine Byrch.

E il vasto fiume Panj, che ci divideva dal Tagikistan e dai monti del Pamir a nord. Il nostro autista era un anziano afghano che ha affrontato allegramente una foratura e ha fatto marcia indietro su un’enorme roccia, dove siamo rimasti temporaneamente bloccati. Oh beh, queste cose succedono. Siamo arrivati ​​a Kret nel tardo pomeriggio e siamo stati invitati a soggiornare nella guesthouse del villaggio. Il giorno dopo sono stata male con lo stomaco, ma Satya e Christine hanno incontrato un capo villaggio e insieme hanno organizzato i portatori. Siamo partiti la mattina dopo per il campo base con otto portatori e un cane.

Il primo giorno abbiamo salito 1000 metri, il che ha richiesto un grande sforzo da parte dei nostri portatori, che trasportavano tutti 25 chili o più. Erano una squadra deliziosa: divertenti, gentili e generosi, condividevano con noi il loro tè, riso e naan. Abbiamo trascorso la prima notte ai piedi del ghiacciaio, dopo aver scalato un pendio ripido per tutto il pomeriggio. Il giorno dopo ci siamo spostati dove una spedizione italiana aveva piazzato il campo base tre anni prima, quando avevano tentato la via originale sulla cresta occidentale (avevano rinunciato a 6000 metri, a 500 metri dalla vetta). Dopo un’ultima tazza di tè, i portatori sono rientrati a Kret con la promessa di tornare dopo tre settimane.

Durante i 10 giorni di acclimatamento, abbiamo esplorato la cresta nord-occidentale, il nostro obiettivo. Il percorso sarebbe iniziato con una parete di ghiaccio di 500 metri con 60-80 gradi, prima di proseguire in uno stretto canalone di ghiaccio. Da lì non eravamo sicure di cosa sarebbe successo, ma speravamo che in pochi giorni saremmo arrivati ​​sul pianoro della vetta, poi alla vetta. Avremmo percorso la via di ritorno lungo il percorso con doppie su abalakov oppure attraversato la montagna per scendere lungo la cresta occidentale.

Quando è arrivato il momento di scalare, Satya ha deciso di non accompagnarci, con nostro grande sgomento. Non era per l’altitudine (ha scalato l’Everest senza ossigeno), ma per un infortunio. Christine e io abbiamo ideato un piano per i nostri carichi di zaini nel caso non fossimo riuscite a trasportarli sui terreni più ripidi. Abbiamo deciso che sarei stata io a guidare, mentre Christine avrebbe trasportato con i jumar lo zaino più pesante. Se questo si fosse rivelato troppo faticoso, saremmo ricorse all’hauling del saccone. Il 4 agosto abbiamo salutato Satya, che ha promesso di dare l’allarme se non fossimo tornate entro 10 giorni. Abbiamo pernottato sotto un cielo cristallino con splendide viste sul Tagikistan e sul Pamir a nord.

Christine Byrch in traversata verso la sommità della cresta ovest durante la discesa (giorno 6). Foto: Pat Deavoll.

Il giorno dopo sulla parete di ghiaccio è andata sorprendentemente bene. La crepaccia terminale non si è rivelata un problema e dopo sette tiri eravamo appollaiate sotto una sporgenza di ghiaccio di 80 gradi. Era il momento di provare il nostro piano. Ho passato il mio zaino a Christine, che ha attaccato il suo all’estremità di una delle due nostre corde. Sono partita e non è passato molto tempo prima che avessi completato il tiro e Christine si fosse riavvicinata a me. Lo zaino, che penzolava 60 metri sotto di noi, ci ha seguite puntualmente. Un altro paio di tiri a pendenza minore ci ha portato a un colletto che offriva possibilità per un buon campo. Eravamo sulla buona strada!

La mattina dopo ci siamo svegliate alle 3, per essere in movimento entro le cinque. Non eravamo sicure di dove sarebbe uscito lo stretto canalone di ghiaccio e volevamo avere tutto il tempo per trasportare gli zaini. Dopo un po’ il ghiaccio, da fragile e marcio, è migliorato e ho iniziato a divertirmi. Eccomi finalmente a scalare il ghiaccio ripido di una montagna in Afghanistan. Che fortuna! Mi sentivo sicura e felice e sapevo che, se il tempo fosse rimasto stabile e se avessimo suddiviso la montagna in sezioni e affrontato ciascuna come si presentava, avremmo scalato il Baba-Tangi.

Portatori al ritorno dal campo base al villaggio di Kret. Il Baba-Tangi e la via tracciata sono sullo sfondo. Foto: Christine Byrch.

Ma durante un recupero, lo zaino si è incastrato nella roccia e non si muoveva. Abbiamo tirato, strattonato e agitato senza successo, e Christine ha dovuto calarsi in corda doppia per liberarlo. Ormai la giornata era finita. Abbiamo intagliato una cengia all’apice della cresta e ci siamo sistemate per un’altra bella notte.

Quando il sole sorse il terzo giorno, vedemmo una serie di nuvole scure che rovinavano la bellezza del cielo a occidente. Cosa avrebbero portato? Ci trovavamo di fronte a un grande contrafforte di roccia e ci mettemmo a camminare nella neve profonda per aggirarlo sulla sinistra. Poi vedemmo un altro ripido pendio di ghiaccio, circondato da una brutta crepaccia terminale. Feci del mio meglio per scalarlo ma non riuscii a trovare alcun appiglio nella neve marcia e continuavo a cadere in un mucchio di neve. Così aggirai un ponte e feci una brutta traversata per tornare al di sopra della crepaccia. Per Christine fu molto più facile e divertente salire a jumar, ma in totale avevamo perso ben tre ore. Nel frattempo, il cielo continuava a oscurarsi.

A metà pomeriggio ha iniziato a nevicare e la temperatura è scesa. Quasi sul pianoro sommitale, abbiamo girato alla ricerca di un posto dove accamparci, sistemandoci infine su una scomoda sporgenza in pendenza. Stava ancora nevicando alle 4.30 del mattino, quindi ci siamo sistemate di nuovo nei nostri sacchipiuma. Però alle 8 è iniziato a schiarire, quindi abbiamo cominciato ad arrancare nella neve profonda fino al lato occidentale del pianoro e ne abbiamo avuto fino alle 4 di pomeriggio, quando ci siamo imbattute in un posto perfetto per un campo, a circa 6000 metri: piatto e riparato dal vento persistente. Ci faceva bene sapere che ci sarebbe stato solo un altro giorno di salita.

Siamo partite alle 4.30 del mattino, scalando pendii misti di ghiaccio e neve verso la cresta sommitale. Faceva un freddo cane e il vento non si era mai placato. Indossavamo entrambe tutti gli indumenti che avevamo. Alle nove eravamo sotto quella che pensavamo fosse la cima. Ho guidato un tiro di ghiaccio moderato, solo per scoprire che la cresta continuava a salire… e ancora di più. Ma un’ora dopo è apparsa la vera cima. C’eravamo! Abbiamo guardato a sud verso il Pakistan, a nord verso il Tagikistan e a est verso la Cina. È stato un momento magico, rovinato solo dal freddo cane. Eravamo molto felici, anche se stanche, mentre scendevamo.

Il giorno dopo siamo partite verso la cresta occidentale, con la speranza di tornare al campo base in due giorni. Sarebbe stato bello fare una traversata della montagna. Alle sei del mattino eravamo in piedi sul bordo del pianoro, chiedendoci che direzione prendere. Sotto c’era un grande contrafforte di granito e non sembrava esserci altra alternativa che calarci in corda doppia oltre il bordo. Ma le cose sono andate bene e cinque calate in corda doppia dopo abbiamo trovato una lunga traversata di neve/ghiaccio che ci ha portate in cima alla cresta occidentale vera e propria. Lì abbiamo trovato degli ometti di pietra e un vecchio campo, completo di legna da ardere. Abbiamo iniziato una discesa faticosa lungo lo sperone roccioso di 1500 metri. Alla fine del pomeriggio, ci siamo imbattute in un altro campo sgomberato e abbiamo deciso di fermarci per la notte, la nostra settima sulla montagna. Eravamo rimaste con gli ultimi viveri, esauste, affamate e desiderose solo di scendere. Ma era una bella serata e non ci siamo preoccupate di montare la tenda.

La mattina dopo siamo arrivate ​​sul ghiacciaio euforiche. Eravamo così eccitate…! Poi Christine ha avvistato una figura in lontananza. Era Satya, che agitava entrambe le braccia in aria, che saliva sul ghiacciaio per venirci incontro.

Pat Deavoll (a sinistra) e Christine Byrch in vetta al Baba-Tangi (giorno 5). Foto: Pat Deavoll.

Sommario
Area: Corridoio del Wakhan, Hindu Kush, Afghanistan.
Ascensione: il 9 agosto 2011 le sorelle neozelandesi Pat Deavoll e Christine Byrch hanno raggiunto la cima del Kohe-Baba-Tangi 6516 m, tramite una nuova via sulla cresta nord-occidentale, durante una traversata di sette giorni della montagna dal campo base. La loro è stata solo la seconda salita della montagna, la prima risale all’agosto 1963 ad opera degli italiani Giancarlo Biasin, Giancarlo Castelli e Carlo Alberto Pinelli, che hanno piazzato tre campi sulla cresta occidentale. Nel 2008 quattro donne italiane (tra cui la campionessa di Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio Anna Torretta), molto probabilmente la prima spedizione di arrampicata tutta al femminile sulle alte montagne del corridoio del Wakhan in Afghanistan, hanno tentato di ripetere questa via ma l’hanno trovata più difficile del previsto e si sono ritirate da quota 6000 m.

Una nota sull’autrice
La carriera di alpinista trentacinquennale della neozelandese Pat Deavoll si estende da una traversata di tre mesi delle Alpi Meridionali nel suo paese d’origine alla prima scalata in solitaria del Karim Sar nel Pakistan settentrionale. Nel 2006 ha effettuato la prima scalata dell’ambita parete nord dell’Haizi Shan nel Tibet orientale, con Malcolm Bass. Ha anche scalato duramente nell’Alaska Range e nelle Montagne Rocciose canadesi e ha preso parte a 12 spedizioni negli angoli remoti delle Greater Ranges negli ultimi 11 anni. Il suo libro Wind From a Distant Summit è stato pubblicato di recente. L’autrice ringrazia le organizzazioni che hanno contribuito a rendere possibile questa scalata: Beattie Matheson e Berghaus; Southern Approach e Black Diamond; The Mount Everest Foundation; The New Zealand Alpine Club Expedition Fund; Icebreaker NZ.

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Baba-Tangi ultima modifica: 2024-08-15T05:44:00+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Baba-Tangi”

  1. “Quando l’alpinismo è una scusa per vivere.”
    Meditate, gente! Meditate!
     

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