Bushido
(parete nord del Kalanka nel Garhwal indiano)
di Yusuke Sato
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2009)
Sdraiati nei nostri saccopiuma bagnati, abbiamo appena finito il brunch: 20 grammi di purè di patate istantaneo a testa. La piazzola della nostra tenda, schiacciata sotto una roccia, è così stretta che noi tre non riusciamo nemmeno a spostare la nostra roba. Soffrendo per l’alta quota, il freddo, la stanchezza, la mancanza di spazio e di cibo, ci sentiamo infelici. Abbiamo raggiunto i 6600 metri sull’inviolata diretta della parete nord del Kalanka, a soli 300 metri dalla nostra meta, ma siamo sfatti. La tempesta ci ha bloccati qui per tre giorni, incapaci di salire o scendere.

Ieri sera abbiamo visto il cielo sereno e ci siamo emozionati, sperando di poter salire oggi. Ma quando ci siamo svegliati stava nevicando leggermente. Siamo stanchi di aspettare, e dopo aver mangiato le nostre magre razioni decidiamo di salire nonostante il tempo schifoso. Nel nostro stato di esaurimento, andiamo davvero pioano. Dopo quattro ore di pericolosi pendii da valanghe, abbiamo guadagnato solo 150 metri di dislivello. Sta ancora nevicando. Su o giù? La discussione inizia. Fortunatamente, crediamo l’uno nell’altro e decidiamo di andare avanti. Mettiamo da parte un po’ di attrezzatura e continuiamo la spinta a tutto campo per la vetta.
Il Kalanka 6931 m si trova sul bordo esterno del Santuario del Nanda Devi, appena a est del Changabang. La spedizione di quattro membri di Ikuo Tanabe dal Giappone ha effettuato la prima salita nel 1975. Hafatto l’avvicinamento per la gola del Rishi Ganga, hanno attraversato il Shipton Col per raggiungere il colle tra il Changabang e il Kalanka e hanno scalato la cresta occidentale.

Due anni dopo, una spedizione cecoslovacca di 14 membri, guidata da Frantisek Grunt, salì al colle da nord e ripeté la cresta ovest. La via diretta sulla parete nord era stata tentata più volte, con diverse linee, a partire dal 2001. Più recentemente, nel 2007, Nick Bullock e Kenton Cool dalla Gran Bretagna avevano scalato i pendii di neve e ghiaccio sul lato sinistro della parete per raggiungere la cresta est, ma non erano riusciti a proseguire fino alla vetta.
Tre di noi si sono recati in Garhwal alla fine di agosto 2008 per tentare il Kalanka e il Changabang: Kazuaki Amano, Fumitaka Ichimura e io, tutti membri dei Giri-Giri Boys, o “Just Barely Boys”. Il nostro obiettivo sul Kalanka era quello di iniziare sulla linea salita da Bullock e Cool e poi salire direttamente attraverso la parete terminale. Ma questo progetto si era rivelato troppo ripido e difficile, e alla fine abbiamo salito una via molto più lunga, traversando molto a destra per raggiungere lo sperone centrale. Il nostro piano prevedeva una salita di tre o quattro giorni, con discesa l’ultimo giorno: invece tra andata e ritorno siamo stati in ballo 11 giorni.
Il 14 settembre, dopo esserci acclimatati salendo a 5800 metri vicino al Saf Minal, si parte con una bella giornata per il campo base avanzato a 5100 metri. Portare zaini da 30 kg su per la morena è un duro lavoro, ma dopo otto ore arriviamo all’ABC (campo base avanzato). La parete nord del Kalanka è proprio di fronte a noi. Come previsto, la scalata sembra impegnativa, ma anche possibile. Siamo entusiasti di voler salire su quella muraglia.
Ci svegliamo alle 2.30 e dopo una buona colazione partiamo con la lampada frontale. Con due sacchi pesanti in mezzo a noi tre, la marcia è lenta, ma riusciamo a guadagnare un po’ di quota senza legarci. Finalmente arriviamo alla prima fascia rocciosa. Nonostante il tempo sia sereno da più di 24 ore, slavine di spindrift scendono a intermittenza dalla parete. Ichimura sale con cautela su terreno misto. Proteggersi è difficile ma lo è anche trovare ancoraggi di sosta, un vero problema. Alla fine spingiamo la via alla base di una grande parete di ghiaccio e neve. Il sole ora risplende sull’imponente parete, facendola apparire estremamente bella.

Salire a jumar con gli zaini pesanti è così faticoso che ci viene voglia di vomitare, ma fino a questo punto abbiamo scalato più o meno nei tempi previsti. Tuttavia, come temevamo, non riusciamo a trovare un posto dove sistemare la nostra tenda mentre si avvicina la notte. Tiriamo fuori le pile frontali e saliamo al buio fino alle 21.30 circa, quando finalmente troviamo una piccola posizione abbastanza grande da permetterci di sederci tutti e tre senza tenda. Sono circa le 2 del mattino quando, finito di mangiare e sciogliere il ghiaccio per l’acqua, iniziamo a cercare di dormire.
Ci svegliamo doloranti per le quasi 24 ore di sforzi il primo giorno. Dopo un tiro di arrampicata su ghiaccio e neve, arriviamo al terreno misto. Le minori difese della parete portano a destra e passiamo tutto il giorno a traversare continuamente. Per lo più saliamo in simultanea, il che rende la giornata molto faticosa. È impossibile trovare un posto o il tempo per riposare e non mangiamo né beviamo affatto. La sera, ancora una volta, non riusciamo a trovare un posto dove piantare la nostra tenda. Le stelle luminose rivelano finalmente il nostro secondo sito di bivacco, a 6100 metri, solo un terrazzino largo 50 centimetri su cui sedersi.

Siamo finalmente arrivati al tratto di misto sul contrafforte centrale, dove ci aspettiamo di trovare il passaggio chiave della via. L’arrampicata si fa progressivamente più difficile, e contemporaneamente il tempo peggiora; presto inizia a nevicare da un cielo sempre più scuro. Tuttavia, continuiamo a salire. Mentre sto scalando un tratto di ghiaccio sottile, la neve scende così forte che non riesco a vedere le punte delle mie piccozze o ramponi, ma riesco a mantenere la calma grazie alla grande esperienza in situazioni simili. Continuo ad andare avanti fidandomi delle sensazioni che provo attraverso gli attrezzi nelle mie mani.
Alla fine, salendo alla luce della sua lampada, Amano conduce su un canalone di neve instabile fino a un punto in cui si incontrano diverse creste strette e complesse. Con i nostri corpi esausti e sfatti, siamo in grado di scavare un terrazzino di 1,5 metri quadrati a 6550 metri. Un altro bivacco all’aperto in una tempesta di neve così forte finirebbe per toglierci la voglia di continuare, ma ci risparmiamo lo scroscio di neve su di noi per tutta la notte perché riusciamo a improvvisare un modo per proteggerci con la nostra tenda. Questa può essere aperta dal basso, il che ci permette di stenderla sopra di noi seduti in questo posto davvero esiguo e irregolare. È passata l’una di notte quando finiamo di mangiare e sciogliere l’acqua. Ci mettiamo a dormire tutti e tre accucciati così strettamente assieme che dobbiamo abbracciarci le gambe l’uno con l’altro.
Siamo svegli alle 4 del mattino, e iniziamo la colazione sperando di sfuggire rapidamente a questa spiacevole situazione, ma la neve che continua ci costringe ad aspettare. Alle 8.30 abbandoniamo l’idea del bel tempo e smontiamo il campo, proseguendo su un canalone instabile pieno di sassi e neve. Amano si arrampica lentamente e con cautela nella forte nevicata. A metà del secondo tiro trova una posizione decente per la tenda, molto meglio protetta del nostro miserabile accrocchio della sera prima.
Con la neve che scende ancora forte, lasciamo cadere gli zaini e proviamo a esplorare la via sopra. Nonostante la visibilità molto scarsa, dopo aver scavalcato una piccola cresta intravediamo quella che sembra essere la vetta del Kalanka. Sembra molto vicina, solo circa 300 metri più in alto, ma è già troppo tardi per provarci. Torniamo ai nostri zaini e scaviamo una piattaforma per la tenda al riparo di uno strapiombo roccioso. La nostra nuova casa è più piccola della terrazza della sera prima, ma molto più sicura. Sebbene la tenda sia costretta tra le rocce, è il miglior sito che abbiamo trovato sull’intero percorso. Decidiamo di chiamarlo Hotel Kalanka.
Dormiamo con la testa dalla parte opposta del canalone per il quale siamo saliti; da quel lato la tenda è così compressa dallo strapiombo che non riusciremmo nemmeno a dormire a faccia in su. Siamo tutti rivolti a destra e siamo così stretti che non possiamo girarci. Questo rende la tenda “calda”, ma la scomodità non favorisce la circolazione. Nel cuore della notte le slavine si schiantano giù per la montagna, e alcune sono appena deviate a malapena dallo strapiombo, sì da sfiorare la nostra tenda. La montagna sembra determinata a non farci passare una notte confortevole.
Per i tre giorni che seguono non possiamo muoverci. C’è una forte nevicata per tutto il quinto giorno di salita e la tenda viene continuamente sepolta. Le slavine colpiscono le pareti tutt’intorno a noi, producendo suoni orribili e spaventosi. Il cibo per cinque giorni è quasi finito, quindi iniziamo a razionare con rigore.
Quando ci svegliamo la mattina dopo c’è così tanta neve che copre la tenda che ci vuole molto tempo solo ad uscire. Con la forte nevicata ancora in atto, impieghiamo circa tre ore per disseppellire la tenda, ma almeno siamo in grado di migliorare un po’ la situazione.
Il giorno successivo, il nostro settimo in parete, la neve non si ferma, ma nel corso della giornata il cielo schiarisce. Verso sera vediamo anche un po’ di sole, il che fa crescere le nostre speranze per la continuazione il giorno successivo. La razione giornaliera di ogni persona è di 20 grammi di purè di patate a colazione e un biscotto a pranzo. La sera mangiamo dei biscotti e delle barrette di cioccolato. Il totale della giornata è di circa 500 calorie a testa e probabilmente assumiamo meno di due litri di acqua a testa. Tuttavia, all’interno dell’Hotel Kalanka a cinque stelle, la psiche regge ancora. Ci sentiamo come se potessimo farcela in ogni modo.

Ci svegliamo presto al mattino solo per scoprire che ha ripreso a nevicare. Nella nostra delusione, ci riaddormentiamo. Quando ci svegliamo di nuovo, è molto tranquillo. Quando guardiamo fuori vediamo il cielo blu! Ci affrettiamo a prepararci per la scalata, ma quando siamo finalmente pronti ricomincia a nevicare leggermente. Tuttavia la visibilità è migliorata rispetto agli ultimi giorni, quindi decidiamo di salire comunque. Le valanghe dei giorni precedenti hanno formato una lastra spessa un metro proprio sopra la nostra piattaforma della tenda e le condizioni della neve sono orribili.
Saliamo con la maggior cautele possibile attraverso la neve alta, mescolando qualche sosta all’arrampicata in simultanea. Abbiamo mani e piedi di legno. Un canale largo 70 metri sembra pronto a svalangare da un momento all’altro. Dopo quattro ore abbiamo fatto solo 150 metri. Ora ci rendiamo conto di quanto il nostro fisico si è indebolito per essere stato così tanti giorni e notti in quota in quella posizione.
Dopo qualche discussione, decidiamo che questa è la nostra unica possibilità, lasciamo i nostri zaini e fissiamo una delle nostre due corde pronta per la doppia, quindi ci dirigiamo verso la vetta, arrampicandoci in simultanea con una sola corda da 60 metri. Tutto quello che prendiamo è un piccolo marsupio contenente le nostre lampade frontali e un thermos da un litro. La vetta è solo circa 150 metri più alta, ma sappiamo che si dovrà andare parechio in traverso, quindi non ci aspettiamo che sia facile o veloce. Le nostre capacità di trovare la via vengono ripagate su questo terreno complicato e difficile, e all’inizio di un canalone di neve intravediamo la vetta. “Ci siamo quasi”, pensiamo, ma mancano altre tre ore prima che finalmente tagliamo il cornicione e saliamo in vetta, verso le 18. Anche il cielo vuole festeggiare: smette di nevicare e solo per quel momento abbiamo il cielo azzurro.
Non c’è tempo per indugiare: presto iniziamo la nostra discesa, scendendo con cautela e calando in doppia con le pile frontali. Sono passate le 21.00 quando raggiungiamo l’Hotel Kalanka. Non so nemmeno che ora sia quando finalmente entriamo nei nostri umidi saccopiuma.
Con deboli rovesci di neve, per tutto il giorno successivo ci caliamo in doppia, finché finalmente raggiungiamo un terreno pianeggiante in cima al ghiacciaio. Il nostro deposito di cibo al campo base avanzato dovrebbe essere vicino, ma mentre il sole tramonta non siamo in grado di trovarlo nella nebbia e nell’oscurità. Finiamo per passare la notte accanto a un crepaccio profondo e scuro. Tutto ciò che abbiamo potuto mangiare quel giorno erano alcune caramelle indurite; tutto ciò che ci rimane sono due o tre cubetti di brodo.

Sul ghiacciaio è caduto un metro e mezzo di neve. Al mattino ci aggiriamo per un’ora fino a quando finalmente troviamo l’ABC. La nostra scorta di cibo è sepolta sotto più di un metro di neve fresca. Finalmente possiamo mangiare a sazietà.
In discesa verso il campo base, ci muoviamo molto lentamente. Per alleggerire i nostri zaini, nascondiamo l’attrezzatura da arrampicata e la maggior parte della nostra attrezzatura da bivacco: non vorremmo dover tornare su per questo, ma dovremo semplicemente farlo. Non abbiamo infortuni o mal di montagna, ma siamo completamente esausti. Probabilmente perché ho mangiato troppo e troppo in fretta all’ABC, vomito tre volte durante la discesa.
Individuiamo il campo base mentre il sole tramonta, ma non lo raggiungeremo prima di mezzanotte. Sembra passata un’eternità da quando siamo partiti.
Sommario
Area: Garhwal orientale, India
Ascensione: prima salita in stile alpino della parete nord del Kalanka 6931 m per la via Bushido (1800 m, AI5 M5+), Kazuaki Amano, Fumitaka Ichimura e Yusuke Sato, 15-24 settembre 2008. La cordata è discesa per la linea di salita a circa 6100 m, quindi ha seguito una rampa a ovest fino al ghiacciaio.
Una nota sull’autore
Yusuke Sato, nato nel 1979, è un ingegnere ambientale che vive a Yamanashi, in Giappone. Protagonista tra l’altro dell’impresa sul Denali di cui qui.
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Avvincente ed emozionante racconto che ha rinnovato in me ricordi ed un po’ di nostalgia. Changabang, Kalanka, Risi Kot….. sono le più belle montagne della mia vita di alpinista. Ricordo che le temperature in autunno da quelle parti, quando non si è al sole, sono veramente basse e sulla parete Nord il sole non si vede.