Roberta Silva, la regina dei rifugi

Gestisce il rifugio Roda de Vaèl ed è la prima donna a presiedere i rifugisti del Trentino. Perse il compagno che cadde da una parete di roccia. «Modernità o tradizione? Entrambe».

Roberta Silva, la regina dei rifugi
di Tommaso Di Giannantonio
(pubblicato su corriere.it il 2 gennaio 2021

In oltre 30 anni di storia non era mai successo che una donna prendesse la guida dell’associazione dei gestori dei rifugi del Trentino. È avvenuto nei giorni scorsi quando il nuovo consiglio direttivo ha nominato come presidente Roberta Silva, 48 anni, gestrice del rifugio «Roda di Vaèl», uno dei luoghi più affascinanti delle Dolomiti a quota 2283 metri nel mezzo del gruppo del Catinaccio. «Ne sono onorata, è il segno di un’apertura verso punti di vista diversi e mi fa sentire ancora di più la responsabilità che ho addosso» dice molto schiettamente.

Roberta Silva

Inizialmente Silva, nata e cresciuta a Bergamo, non ci pensava neanche a diventare una rifugista. Era già un’istruttrice di snowboard quando si è trasferita in val di Fassa nel 2002, ma «non è stata una scelta mia». «Ero sposata con una guida alpina che ha sempre gestito rifugi — racconta — e quando nel 2005 abbiamo iniziato questa avventura mi sono appassionata al modo in cui lui vedeva la montagna». Sei anni dopo, purtroppo, il marito, Bruno Deluca, membro del soccorso alpino, se n’è andato all’età di 48 anni a causa forse di un malore che l’ha fatto precipitare da una ferrata a poche centinaia di metri dal loro rifugio. Silva era incinta del loro secondo figlio, si è fatta forza ed è andati avanti: «Ho sempre cercato di rispettare il lascito di mio marito, ossia la base di vita che volevamo costruire per i nostri figli».

Si aspettava la nomina come presidente?
«A dire il vero no, non se n’era discusso prima. Ero stata riconfermata nel direttivo e già solo questo mi aveva fatto piacere».

È la prima donna a ricoprire questa carica, come ci si sente?
«Sono molto onorata. Mi sento incaricata di un impegno molto importante e il fatto di essere donna mi fa sentire ancora di più la responsabilità che ho addosso».

Che significato ha questa nomina?
«È il segno di un’apertura verso punti di vista diversi. Il direttivo è stato rinnovato molto. Sono usciti componenti storici come il presidente Ezio Alimonta, con cui ho lavorato fianco a fianco come vicepresidente, e come Angelo Iellici, che è stato un po’ il mio mentore. Questo mi fa già pensare che non sarà semplice. All’interno del nuovo direttivo, comunque, ci sono giovani vogliosi di lavorare e di confrontarsi per trovare spunti diversi e far crescere l’associazione a favore dei rifugi, che sono le nostre case».

Cosa le ha insegnato Iellici (gestore del rifugio Larezila sull’Alpe di Lusia)?
«A non essere impulsiva, ad essere più riflessiva. Mi ha aperto al suo mondo filosofico sulla montagna e mi ha sempre coccolata».

È alla guida di un consiglio direttivo molto giovane con quattro componenti sotto i quarant’anni. I primi cambiamenti?
«Stiamo cercando di coinvolgere maggiormente tutti gli associati attraverso canali di comunicazione più veloci come WhatsApp o Telegram e poi abbiamo deciso di definire ruoli precisi all’interno del direttivo: ci sarà un responsabile delle comunicazione, uno dei rapporti con la Provincia ed uno dei rapporti con gli associati».

Gli obiettivi da raggiungere?
«Ora siamo sotto le festività ed è un momento abbastanza caotico per tutti, ma da gennaio si partirà in quarta per avvicinarci ancora di più a tutti gli associati e creare una maggiore voglia di associativismo: su circa 145 rifugi gli iscritti sono solo una novantina. Nei rapporti con la Provincia e con gli altri attori del territorio dovremo riuscire a parlare la stessa lingua per il bene della montagna».

Dopo la pandemia sempre più persone hanno iniziato a frequentare la montagna. Chi sono i nuovi escursionisti?
«Si sono avvicinati tanti giovani. Prima venivano i nonni con i nipoti oppure i genitori con i bimbi piccoli, ma mancava la fascia centrale. Con la pandemia i giovani hanno visto la montagna come una possibilità di vivere in libertà, ma molte di queste persone non hanno le basi o le informazioni dei vecchi alpinisti. Spetterà anche a noi riuscire a far capire i giusti comportamenti che si devono tenere per vivere la montagna».

Da più parti si parla dell’obiettivo «destagionalizzazione», ossia estendere l’offerta turistica oltre la stagione estiva e quella invernale. È una meta raggiungibile per i rifugi?
«Molti rifugi, ove possibile, stanno già cercando di allungare la loro stagione. C’è chi riesce ad affrontare periodi di apertura più lunghi e chi apre solo il fine settimane fuori stagione, ma non è dappertutto così semplice».

C’è il rischio che la montagna diventi un parco divertimenti?
«La montagna non è certamente un elemento da sfruttare: per quanto possa sembrare solida, basta un nulla per sgretolarla. Basta vedere cos’è successo con la tempesta Vaia. Gli attori che vivono la montagna devono riuscire a trasmettere la passione e l’amore per la montagna».

Modernità o tradizione?
«La risposta sta nel mezzo. Da una parte non si può rimanere fermi a 50 anni fa con i cameroni e un piatto di minestra, ma dall’altra non si può neanche snaturare l’idea di rifugio. I valori della montagna sono la cosa più importante: condivisione, amicizia e rispetto. Sono i valori che devono rimanere inalterati».

Com’è il rapporto con le persone in quota?
«Si tende ad avere rapporti più diretti, più personali. Già solo il fatto di condividere le difficoltà che si devono affrontare per raggiungere un rifugio crea un senso di unione. Poi dentro al rifugio si studiano le mappe, si chiedono consigli, viene quasi istintivo chiacchierare. Tutte le persone vivono la stessa cosa. E nel rifugio, per esempio, viene più naturale darsi un abbraccio. In città è completamente diverso: c’è molta più gente e i ritmi sono molto più frenetici, non si ha il tempo di condividere. Bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi ed osservare, bisognerebbe avere il coraggio di portare la montagna in città, e non il contrario».

Perché ha scelto di essere una rifugista?
«Non è stata una scelta mia. Ero sposata con una guida alpina che ha sempre gestito rifugi e quando abbiamo iniziato questa avventura mi sono appassionata al modo in cui lui vedeva la montagna. Ho continuato perché mi ci sono ritrovata in questa vita, in questo modo di accogliere la gente. Oggi mi sveglio la mattina e non vedo l’ora di incontrare i primi clienti. Lo dico sempre ai miei figli: fate un lavoro che vi faccia svegliare la mattina con il sorriso e non vi faccia sentire il peso delle fatiche».

È diventata presidente dell’associazione dei gestori dei rifugi del Trentino a dieci anni dalla scomparsa di suo marito: dove ha trovato la forza per andare avanti?
«Ho sempre cercato di portare avanti le sue idee e di fare del mio meglio come rifugista, nel tentativo di rispettare un suo lascito, ossia la base di vita che volevamo costruire per i nostri figli. Ho sempre cercato di non tradire le sue aspettative e fare un qualcosa per cui potesse essere fiero di me, come se mi guardasse da lassù e direbbe “così è giusto” oppure “così è come mi piacerebbe che i nostri figli crescano”. Spero che lui possa guardarmi e dirmi, sorridendo, “brava”».

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Roberta Silva, la regina dei rifugi ultima modifica: 2022-03-05T05:54:00+01:00 da GognaBlog

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10 pensieri su “Roberta Silva, la regina dei rifugi”

  1. “Il rifugio Roda de Vaèl ha ridotto i minuti per le docce da 4 a 3 concedendone l’utilizzo solo a chi soggiorna più di due giorni. “È come se fossimo avanti di un mese” ha dichiarato la gestrice, e presidentessa dei rifugisti trentini, Roberta Siova, ragionando su possibili soluzioni pratiche al problema, come gli elicotteri” (cfr. montagna.tv).
    Se in un rifugio vi è scarsità d’acqua, si chiudono tutte le docce, sempre. Se manca l’acqua, si ricorre agli elicotteri? No, si chiude.
    … … …
    Si è chiacchierato tanto di ecologia, riduzione degli sprechi, riduzione dei consumi, NO qua, NO là, NO su, NO giú.
    È tempo di passare ai fatti: nei rifugi alle quote basse e medie, come per esempio nelle Dolomiti, dobbiamo evitare i pernottamenti, i menú alla carta, il vino; dobbiamo bere l’acqua dei ruscelli o quella nella borraccia.
    E si sale a piedi dal fondovalle. Se non ci riusciamo, si sceglie un’escursione piú breve. 

  2. Complimenti vivissimi alla Signora Roberta Silva e augurissimi di buon lavoro!!

  3. Ed è proprio per il fatto che la montagna non appartiene né a te né a me che gli impianti a fune sono uno scempio della natura. Purtroppo molte valli dolomitiche sono ” impestate” da questi obbrobri schifosi che con la scusa di portare tutti sui monti hanno trasformato proprio queste montagne che per me sono solo abbruttite!

  4. “Fabio BertocelliDomanda: esiste ancora la possibilità di andarci senza incrociare funivie, cabinovie, seggiovie, sciovie, ovovie, cestovie, elicotteri, strade, terrazze panoramiche, turisti in mocassini, fighetti vari?Insomma, per un bel sentiero nel bosco, in solitudine o con un paio di amici fidati, e in pace col mondo. Come una volta, quando la vita ci sorrideva.”
    Immagino che ti muovi a piedi o su un carro trainato da cavalli, che ti accenda con le candele e che ti riscaldi con la legna. Gli impianti di risalita che tu critichi sono necessari o addirittura indispensabili per alcune persone, per ragioni economiche ad esempio. La montagna non appartiene a te, né a me. Vivi la tua vita e lascia che gli altri vivano la loro secondo le loro possibilità e desideri.

  5. “Come una volta, quando la vita ci sorrideva.”
     
    Ma noi non lo sapevamo.

  6. Quasi quasi saluto tutti e parto per il Rifugio Roda di Vael.
     
    Domanda: esiste ancora la possibilità di andarci senza incrociare funivie, cabinovie, seggiovie, sciovie, ovovie, cestovie, elicotteri, strade, terrazze panoramiche, turisti in mocassini, fighetti vari?
    Insomma, per un bel sentiero nel bosco, in solitudine o con un paio di amici fidati, e in pace col mondo. Come una volta, quando la vita ci sorrideva.

  7. Un piccolo ricordo personale sul marito, Bruno Deluca, morto in montagna come dice il pezzo.. Con mio fratello Renzo e altri due amici, andammo lì per fare una via e lo dicemmo a lui, gestore. Ci fece una descrizione della via che ci indusse ad optare per una più moderna, e meno complicata, via. Glie ne sono molto grato, perché ho poi scoperto, sperimentalmente per così dire, che aveva proprio ragione lui.

  8. A proposito di donne che gestistono rifugi, vorrei ricordare, con tanta emozione, e un filo di nostalgia, la Monica, che per tanti anni ha condotto con passione,  la Casera Bosconero sotto la Rocchetta Alta. 
    Le tante volte che son stato li per salire le vie della Rocchetta Alta , ho sempre trovato una calda accoglienza, simpatia e disponibilità. 

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