Cambiamento climatico – 2 (2-5)
(cause e conseguenze del cambiamento climatico)
di Elena Gogna
(già pubblicato su www.scienceforpeace.it il 6 settembre 2017)
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“Non è un problema di ricchi o poveri, di nord o sud. Si verifica in tutte le regioni” (Ban Ki Moon, Davos, 2008)”.
Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il comitato promosso dalle Nazioni Unite che passa in rassegna e valuta le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte a livello mondiale sui cambiamenti climatici, la principale responsabilità del cambiamento climatico è dovuta con probabilità molto elevata (95%) all’attività umana e, in particolare, alle emissioni di biossido di carbonio (CO2) causate dall’utilizzo dei combustibili fossili (vedi Tab.1). Dalla rivoluzione industriale ad oggi le emissioni di CO2 non hanno fatto altro che aumentare (vedi Fig.1).
Fig.1: Dal 1970 le emissioni di CO2 sono aumentate del 90%. Fonte: Boden et al. (2017). Global, Regional, and National Fossil-Fuel CO2Emissions. Carbon Dioxide Information Analysis Center, Oak Ridge National Laboratory, U.S. Department of Energy, Oak Ridge, Tenn., U.S.A
Tab.1: Dati ricavati da L’uomo e il clima, Bruno Carli, 2017
Tipo di combustibile fossile | Forma | Composizione | Periodo di utilizzo | Emissione di CO2 | Inquinanti | Trasporto |
Carbone | Solida | 75-90% Carbonio | Rivoluzione industriale | Alto | Ossidi di zolfo | Difficile |
Petrolio | Liquida | Idrocarburi (80-85 % Carbonio, 15-20% Idrogeno) |
XX-XI secolo | Medio | Ossidi di zolfo | Facile |
Gas Naturale | Gassosa | 70-90% Metano | Ultimi 50 anni | Basso | Nessuno | Difficil |
I combustibili fossili liberano energia sotto forma di calore attraverso la reazione con l’ossigeno, la quale produce una molecola di CO2 di 3.66 g per ogni atomo di carbonio (C) e una molecola di H2O per ogni atomo di idrogeno. Ciò significa che i combustibili che contengono più carbonio liberano più CO2 rispetto ai combustibili con meno carbonio. Il carbone genera il maggiore inquinamento atmosferico poiché, oltre alla CO2, produce ossidi di zolfo, anidride solforosa e polveri finissime (denominati PM10) che, restando sospesi in aria per molto tempo, possono finire nei nostri polmoni rischiando di generare tumori. A parità di energia prodotta, il carbone rilascia più del doppio della CO2 emessa dalla combustione di gas naturale, e il 40% in più rispetto al petrolio. Quest’ultimo è una miscela di idrocarburi liquidi, ossia di lunghe catene di atomi di carbonio e idrogeno derivante dalla fossilizzazione di resti organici animali, principalmente del plancton in ambiente marino.
Per quanto riguarda il gas naturale, esso contiene principalmente metano (CH4), etano (C2H6), propano (C3H8), butano (C4H10) e pentano (C5H12). Il gas naturale non contiene zolfo, quindi, la sua combustione non produce anidride solforosa, che è una delle cause delle piogge acide. Sebbene anche il gas naturale provochi emissioni di CO2, esso rimane il combustibile fossile più “pulito” e quello su cui si concentrano oggi le ricerche nell’ambito delle “green technologies”.
Fig.2-3: (2) Emissione globale di gas a effetto serra; (3) Emissione globale di gas a effetto serra per settore
(Fonte: IPCC, 2014)
Come mostrato nella Fig.2 le emissioni di CO2 non derivano unicamente dall’uso di combustibili fossili ma anche dalla deforestazione e degradazione dei territori e dei suoli. Questo 11% rappresenta un settore di cui si parla poco ma che è molto importante conoscere. Alberi e foreste aiutano ad attenuare l’emissione di CO2, sottraendola all’atmosfera e trasformandola (attraverso la fotosintesi) in carbonio, che poi “immagazzinano” sotto forma di legno e vegetazione. In genere, gli alberi sono costituiti per circa il 20 % del loro peso da carbonio e l’intera biomassa forestale agisce come un “serbatoio” di assorbimento del carbonio. Secondo uno studio della FAO del 2014, le foreste del pianeta e il loro sottobosco assorbono in totale più di un trilione di tonnellate di carbonio (il doppio di quello che si trova nell’atmosfera). Tuttavia, la distruzione delle foreste aggiunge all’atmosfera quasi sei miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Il metano è un gas a effetto serra emesso principalmente da bovini e ovini, che ne producono grandi quantità durante il processo di digestione. Negli ultimi anni il settore degli allevamenti e, più in generale, dell’agricoltura è andato espandendosi progressivamente, determinando un aumento delle emissioni di metano. La rivista accademica Earth System Science Data ha pubblicato un’analisi sul Global Methane Budget, che mostra come nel corso del decennio 2003-2012 le emissioni globali di metano siano state pari a 558 milioni di tonnellate all’anno e che esse sono aumentate a un ritmo 10 volte più elevato negli anni successivi.
L’ossido di diazoto (N2O), prodotto principalmente dall’uso di fertilizzanti azotati nel settore dell’agricoltura, rappresenta il 6% delle emissioni globali di gas serra. In uno studio del 2008, il premio Nobel Paul Crutzen, sosteneva che le conseguenze delle emissioni di ossido di diazoto rilasciate negli ultimi anni erano state sottovalutate dalla comunità scientifica. Infatti, sebbene la concentrazione del questo gas sia 1/1000 di quella del biossido di carbonio, esso ha una capacità di trattenere il calore 298 maggiore, ed è quindi da considerarsi una minaccia altrettanto seria.
I gas fluorurati causano un potente effetto serra, fino a 23.000 volte più forte dei quello provocato dalla CO2. Fortunatamente, questi gas vengono emessi in quantità minori e la legislazione UE ne prevede la graduale eliminazione.
La Fig.3 mostra come i principali settori di produzione delle emissioni di gas serra siano associati alla combustione di combustibili fossili. Nonstante ciò, all’agricoltura è imputabile il 47% del totale delle emissioni di metano (CH4), che derivano principalmente dagli allevamenti (73%) e dalla gestione dei fertilizzanti organici (26%), e circa il 58% delle emissioni globali dell’ossido di diazoto.
Conseguenze del cambiamento climatico
Finora sono state descritte le cause del cambiamento climatico. Ma quali sono le principali conseguenze di questo fenomeno per l’ambiente e per le attività dell’uomo? Rispondere a questa domanda è indispensabile per giustificare la necessità di mettere in atto azioni incisive al fine di mitigare i cambiamenti climatici.
Scioglimento dei ghiacci
Questo fenomeno interessa la criosfera, ossia quella parte della superficie terrestre coperta da acqua allo stato solido, ossia le calotte polari, i ghiacciai presenti sulle montagne e il permafrost. Tra il 1992 e il 2012, si sono sciolti 3.000 km3 di ghiaccio in Groenlandia e 2000 km3 in Antartide. Il quinto rapporto dell’IPCC mostra che in media si sciolgono ogni anno 300 km3 di ghiaccio. Ciò comporta non solo una perdita di habitat per numerose specie animali e vegetali, ma anche un progressivo innalzamento del livello del mare, calcolato a 3.1 mm/anno e in constante crescita. Questo problema potrebbe nel lungo periodo rivelarsi catastrofico per tutte le grandi città sviluppate sulle coste e al livello del mare, quali New York, Rotterdam e Mumbai.
Desertificazione
Un quarto della superficie terrestre è a rischio desertificazione e già oggi l’inaridimento riguarda circa il 47 % delle terre emerse, interessate da carenza di piogge e da innalzamento delle temperature. La regione più interessata dalla desertificazione è l’Africa, in cui il 73 % delle terre coltivate è a rischio degrado e desertificazione, ma anche numerose aree in Asia, America Latina e nord del Mediterraneo sono egualemnte a rischio degrado.
Perdita di biodiversità
Molte specie animali e vegetali agiscono sulla base di processi biologici che sono stimolati dalle condizioni dell’ambiente circostante, il che rende tali specie molto sensibili ai cambiamenti climatici. Le evidenze empiriche mostrano come i principali eventi stagionali, quali fioritura, la maturazione dei frutti, la caduta delle foglie per le piante e le migrazioni, la nidificazione, la schiusa delle uova per gli animali si stanno modificando a causa dell’aumento delle temperature. La natura è in genere in grado di adattarsi con successo a nuove condizioni ambientali. La rapidità dei cambiamenti in corso, tuttavia, sta determinando l’estinzione di numerose specie, come registrato dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN). Anche gli esseri umani devono fare i conti con le conseguenze dei cambiamenti climatici e, di conseguenza, proprio come numerose specie di uccelli sono indotti a migrare in cerca di migliori condizioni di vita. Affronterò la questione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui fenomemi migratori nel prossimo articolo.
(continua)
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Comunque sembra che nel mare la Natura si stia organizzando per eliminare la plastica e assorbire più velocemente i “perturbatori”. Bisognerà vedere se le nuove evoluzioni della Natura consentiranno al giovanissimo animale chiamato Uomo di continuare a sopravvivere.
L’Uomo è troppo giovane per capire ciò che fa: come tutti i bambini ignoranti pensa di essere al centro di tutto e di sapere tutto…… però un po’ ci pensa e assaggia tutto.
Un ente, IPCC, sputtanato e smascherato quandio ha falsicato i dati. Uno degli inutili carrozzoni, parassiti, dell’onu, ente inutile e parassita, dominato da arabi e stati islamici. Ha ragionissima TRUMP, uscire da questi organismi inutili e dannosi.