Qualche settimana fa avevamo dato notizia dell’iniziativa proposta nell’Agordino: vacanza gratis in rifugio in cambio di astinenza da smartphone (https://gognablog.sherpa-gate.com/vacanze-gratis-se-disconnessi/).
E’ ora interessante riportare i riscontri (feedback) segnalati dalla cronaca. Staccare fa bene. Beh, non ci voleva granché a focalizzarlo, ma si tratta di una prova provata, inconfutabile.
A essere sinceri fa un po’ sorridere che si debba ricorrere allo yoga e alle campane tibetane (come nell’iniziativa in questione), quando basta fare una semplice escursione. Camminare: un gesto antico come il mondo, un piede e poi l’altro e vai, ti stacchi da tutto, da tutti. Cosa c’è di più bello?
Ognuno cammina come vuole. Io lo faccio spesso da solo o comunque tendo a isolarmi anche all’interno di una comitiva. Altri parlano, comunicano, condividono, ma direttamente fra loro, senza passare dai social.
Il cellulare io ce l’ho, spento, nella patta dello zaino: non si sa mai, potrebbe risultare utile in situazioni di emergenza, sempre che ci sia campo. Ma per il resto bastano i miei sensi naturali: guardo, percepisco, ascolto la montagna e l’ambiente che mi circonda.
Non è importante la metodologia, basta che il risultato finale sia lo stesso. Quello che sottolinea lo psicologo al termine dell’articolo. Se cerchiamo la montagna per staccare e poi non stacchiamo, che montagna è? (Carlo Crovella)
«Noi cinque giorni senza smartphone: ora fatichiamo a riaccenderlo»
di Andrea Priante
(pubblicato su Corriere della Sera del 18 settembre 2019)
Il paragone che ricorre più spesso è quello con l’adolescenza:
«E’ stato come tornare agli anni Novanta, quand’ero una ragazzina che usciva con gli amici. Siamo rimasti fino alle 4 del mattino a confidarci, guardandoci dritto negli occhi, con l’impressione che non potesse esserci nulla di più importante del trovarsi lì in quel momento…».
Valentina Visconti ha 37 anni, è nata ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, ma vive a Roma, dove lavora come manager per una grossa società: tra i suoi compiti, c’è l’implementazione delle tecnologie.
E questo può suonare come un paradosso, visto che è una dei protagonisti di «Recharge in Nature in the Heart of Dolomites»: cinque giorni nell’Agordino, sulle Alpi bellunesi, gratis ma rigorosamente senza telefonino.
Un’esperienza per la quale si erano candidati in ventimila da tutto il mondo, e che si è conclusa ieri per i dieci selezionati ad affrontare questa sorta di esperimento sociale che prevedeva la rinuncia a ogni tipo di connessione tecnologica: niente cellulare, niente social, niente email né computer. Cinque uomini e altrettante donne provenienti da Italia, Romania, Inghilterra, Slovacchia.
«Il primo giorno è stato il più complicato – spiega Valentina – Ero abituata a usare il telefonino per superare i momenti di imbarazzo, la paura di dovermi confrontare con degli sconosciuti. Ma presto ho riscoperto il piacere di conoscere persone nuove, di concentrarmi sul “qui e ora”, di riflettere su me stessa».
Ieri – dopo cinque giorni di attivita di rilassamento, equilibrio e concentrazione ai 2000 metri di quota del rifugio Falier, in valle Ombretta – i partecipanti sono scesi a valle e hanno fatto molta fatica a riprendere in mano quegli srnartphone che giovedì scorso avevano consegnato agli organizzatori.
«D’ora in poi – assicura Valentina – trascorrerò un giorno alla settimana con il cellulare spento».
Anche lonela Bohaiciuc promette di cambiare il proprio rapporto con le tecnologie: «Ne farò un uso più responsabile». Ha 41 anni, un figlio, è nata in Romania, ma vive nel Ferrarese: «Lavoro a una scrivania con due computer e tre telefonini. Sono sola in ufficio, eppure mi ritrovo a interagire continuamente con clienti e dipendenti. E’ assurdo».
Sulle Dolomiti è arrivata carica di stress. «Volevo “ripulirmi” e ci sono riuscita. In questi giorni abbiamo fatto yoga, ascoltato il suono delle campane tibetane e imparato tecniche di rilassamento. E poi ci siamo impegnati nel volontariato: liberando i sentieri dai rami e dagli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia».
L’idea è partita proprio da sette paesi (come Rocca Pietore e Alleghe) danneggiati dalle raffiche di vento che si sono abbattute sul Nord-est lo scorso ottobre. E la speranza è che i dieci ospiti ora si trasformino in «ambasciatori» del territorio.
«La bellezza dei luoghi – assicura Stefania Vinciullo, marchigiana di 39 anni – ha sicuramente avuto un ruolo in questa esperienza. Abbiamo ritrovato il piacere di ammirare i paesaggi, di coglierne le sensazioni. Ogni tanto provavo l’istinto di scattare una foto da condividere con gli amici a casa, ma era la tentazione di un momento. Sarà più bello incontrarli di persona e raccontare quanto può essere bello, ogni tanto, disconnettersi da tutto».
Ad accompagnarli in queste cinque giornate c’era anche uno psicologo. Si chiama Alberto Fistarollo ed è sicuro che questo «esperimento» abbia segnato profondamente tutti i partecipanti: «Erano arrivati con un alto livello di tensione e la mente intrappolata in tanti “altrove”, mentre in poche ore hanno recuperato molto della consapevolezza che la vita è in quello che li circonda e non in ciò che accade sui social».
Lo psicologo parla di una trasformazione profonda: «Hanno recuperato una dimensione che definirei “adolescenziale”, fatta di abbracci, di lunghe chiacchierate di fronte a un bicchiere, di battute e di confidenze. Ho visto arrivare delle persone molto distratte e le vedo ripartire concentrate, capaci di condividere davvero qualcosa di se stessi con gli altri».
Anche se privi di cellulare, si trovano a volte gruppetti urlanti che appestano di inquinamento sonoro vasti ambienti.Il peggio sopportato fu , all’interno di un bivacco( Carnielli in val Zoldana) sotto effetto temporale, l’arrivo di una coppia di coniugi che, senza salutare, saturarono l’ambiente con le loro dispute circa la ripartizione spese di riscaldamento del loro resort in multipropieta’ : cosa dire all’amministratore in assemblea e bla blabla…Anzi parlava solo Lei, al marito abituato e rassegnato..noi preferimmo scappare e affrontare fulmini e grandine…il meno peggio…anche per non essere tentati di usare in modo improprio un martello da roccia che avevamo.
c’è anche gente che vive senza usare il cellulare neppure in città, senza sentirsi infelice.
Uso sempre le smartphone in montagna. No mappe, no gps, lo uso come macchina fotografica. A dati spenti.
E se una foto la voglio condividere con qualcuno accendo i dati apro whatsapp e la invio. Poi chiudo i dati e riparto. Muta forse la mia esperienza? Rientro fra quelli che è meglio stiano a casa?
Che differenza c’è fra il girare in città e spedire una cartolina o inviare una foto con messaggio fra il calcare e il paleo?
Quale differenza c’è nel condividere un’esperienza nell’immediato o a posteriori?
Credo che si esuli dalla Montagna e si sconfini in territori narrativi: stream of consciousness o recollection in tranquillity?
Come diceva Casarotto nello zaino ho dentro tutto me stesso. La montagna come fuga, da sé e dagli altri, è illusione e, per me, anche un errore.
Per chi va in montagna o in Natura da sempre, che ha imparato a farlo in un’altra epoca… che riflessione fare di fronte a questo esperimento?
Scusate… Non ce la faccio. Stavolta è più forte di me: questa è una furbata di marketing per Gonzi e una cretinata. Non ho voluto usare frasi più colorite.
La scoperta dell’acqua calda. Senza bisogno di scimmiottare l’inglese con “Recharge in Nature in the Heart of Dolomites”, ricordo che si può fare altrettanto – e altrettanto bene – anche sui magnifici sentieri dell’Appennino Modenese, su quelli delle Alpi Marittime e pure nei Monti Sibillini: si chiama “escursionismo in montagna”.
Lo si può fare senza pubblicità. Perfino senza articoli sul Corriere della Sera.
Lo facevano già nell’Ottocento e anche a fine Settecento. Pure allora senza cellulare (scusate, “smartphone”). 😂😂😂