Contro l’antropocentrismo

Contro l’antropocentrismo
di Maurizio Pallante (Presidente Sostenibilità Equità Solidarietà)
(pubblicato su sostenibilitaequitasolidarieta.it il 25 luglio 2023)

Nell’Operetta morale di Giacomo Leopardi intitolata Dialogo di un folletto e di uno gnomo, allo gnomo che, spedito da suo padre «a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfanti degli uomini; perché ne sta con gran sospetto, a causa che da un pezzo in qua non ci danno briga, e in tutto il suo regno non se ne vede uno», il folletto risponde che «gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta». E allo gnomo che, incredulo, chiede: «Ma come sono andati a mancare quei monelli?», spiega: «Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male».

«Ben avrei caro – replica lo gnomo – che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli». Al che il folletto aggiunge: «Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo: benché si potevano numerare, anche dentro ai termini della terra, forse tante altre specie, non dico di creature, ma solamente di animali, quanti capi d’uomini vivi: i quali animali, che erano fatti espressamente per coloro uso, non si accorgevano però mai che il mondo si rivoltasse».

E allo gnomo che ironicamente chiosa: «Anche le zanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?», il folletto risponde: «Sì erano; cioè per esercitarli nella pazienza, come essi dicevano».

«In verità – commenta lo gnomo – che mancava loro occasione di esercitar la pazienza, se non erano le pulci».

«Ma i porci, secondo Crisippo, – conclude il folletto – erano pezzi di carne apparecchiati dalla natura a posta per le cucine e le dispense degli uomini, e, acciocché non imputridissero, conditi colle anime in vece di sale».

Le pandemie che negli ultimi cento anni si sono diffuse nella specie umana con alti tassi di mortalità, sono state causate da virus che le sono stati trasmessi da animali selvatici, costretti a trasferirsi in territori antropizzati perché le foreste primarie in cui vivevano erano state abbattute per rendere edificabili, o agricoli i terreni che occupavano. La ricerca di un maggior benessere per gli esseri umani, perseguita infliggendo una sofferenza a quegli animali, ha generato sofferenza tra gli esseri umani. Analogamente l’incremento delle emissioni di anidride carbonica, derivanti dalla combustione delle fonti fossili utilizzate per ottenere l’energia necessaria a far crescere la produzione e il consumo di merci, ha innalzato la temperatura della terra, accentuando i fenomeni meteorologici estremi che sconvolgono, con frequenza e intensità crescenti, gli insediamenti umani e causano numeri crescenti di morti. La ricerca di un maggior benessere materiale, perseguita con l’uso di tecnologie che hanno alterato gli equilibri nei rapporti tra i fattori abiotici, sta generando forme di sofferenza sempre più gravi tra gli esseri umani.

La concezione progressista della storia e la confusione, messa in luce da Pier Paolo Pasolini nei primi anni settanta del Novecento, tra il concetto di progresso, come costante avanzamento dell’umanità verso il meglio, e il concetto di sviluppo, che identifica il progresso con la crescita economica, hanno rafforzato negli esseri umani la convinzione che tutte le specie viventi, animali e vegetali, tutti i minerali accumulati sotto la crosta terrestre, tutte le forze naturali suscitate dal sole – l’energia termica, i venti e il ciclo dell’acqua – siano risorse messe a loro disposizione, che il progresso consista nella loro capacità di sfruttarle in misura sempre maggiore per soddisfare sempre meglio i loro bisogni e i loro desideri, che l’equità consista nella definizione di rapporti sociali che consentano a tutti i popoli e a tutte le classi sociali di usufruirne equamente. Ma questa concezione antropocentrica del mondo non tiene conto del fatto che, se per accrescere la disponibilità di risorse si accresce lo sfruttamento delle altre specie viventi e si sconvolgono gli equilibri che regolano i rapporti tra i fattori abiotici, si otterrà il risultato opposto di peggiorare le condizioni di vita della specie umana. E di avvicinarla all’estinzione.

Nel 1967, dopo un ventennio in cui nei Paesi industrializzati l’economia era cresciuta ininterrottamente, ma non era successo altrettanto nei Paesi che venivano definiti del Terzo mondo, Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio scrisse che bisognava perseguire una più equa distribuzione delle risorse naturali tra tutti i popoli, aumentando le quantità a disposizione dei popoli poveri, perché questa era una conseguenza intrinseca alla volontà di Dio di destinare la terra e tutto ciò che contiene all’uso della specie umana. Non di una parte soltanto di essa. Nelle sue parole la presunzione antropocentrica descritta da Giacomo Leopardi con amara ironia assumeva non soltanto una valenza etica, ma una connotazione religiosa.

«“Riempite la terra e assoggettatela”, (Gen 1, 28): la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla a valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. […] Il recente concilio l’ha ricordato: «Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, di modo che i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità (Const. past. Gaudium et spes, n. 69)». (Pop. Pro., n. 22)

Abbagliati dalle luci dei progressi tecnologici, intorpiditi dall’abbondanza crescente di beni materiali, storditi dall’esaltazione delle magnifiche sorti e progressive, gli esseri umani, nei trent’anni di crescita economica successivi alla fine della seconda guerra mondiale, non riuscivano a vedere il nesso causale tra i progressi nella sottomissione della natura e l’aumento delle malattie causate dalle sostanze di sintesi utilizzate per accrescere la produttività industriale e agricola, dalle emissioni inquinanti di molti processi produttivi, dalla crescita dei rifiuti liquidi, solidi e gassosi. La convinzione che «la creazione intera è per l’uomo […] che Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli», impediva a Papa Paolo VI e alla maggioranza dei suoi contemporanei di vedere, mentre avveniva davanti ai loro occhi, l’inizio del cammino verso l’esito che Giacomo Leopardi aveva previsto un secolo prima che cominciasse a diventare una prospettiva possibile.

Eppure in quegli anni a qualcuno non era sfuggito quanto stava accadendo. Nel 1962 la biologa e zoologa statunitense Rachel Carson aveva dato alle stampe il libro Primavera silenziosa, che ebbe un grande successo, fu tradotto in molte lingue e venne pubblicato in italiano nel 1964. In questo libro, analizzando il processo che aveva sterminato gli uccelli di passo in una piccola oasi faunistica realizzata da una famiglia di naturalisti in un terreno di sua proprietà, ne aveva attribuito la causa a un potente insetticida, il DDT, disseminato dagli aeroplani per uccidere gli insetti che danneggiavano le colture agricole circostanti. Risalendo lungo la catena alimentare, dalle foglie e dalle cortecce degli alberi irrorati dal pesticida, all’humus in cui si erano trasformati, ai lombrichi che se ne erano nutriti, agli uccelli che si erano nutriti di quei lombrichi, le concentrazioni dell’insetticida erano aumentate progressivamente, diventando letali per tutti i livelli trofici. Il fenomeno della bioaccumulazione dei pesticidi lungo le catene alimentari fu riscontrato anche in altre nicchie ecologiche. Il ritrovamento di molecole di DDT nel grasso dei pinguini dell’Antartide avrebbe confermato che le connessioni di tutte le forme di vita tra loro formano catene in grado di attraversare i continenti.

Poiché la specie umana è al vertice di tutte le catene alimentari, l’antropocentrismo, oltre a configurare un rapporto di sopraffazione nei confronti delle altre specie viventi, è una forma di suicidio collettivo inconsapevole. Nel grafico cartesiano riportato nell’aureo libretto Allegro, ma non troppo, l’economista Carlo Maria Cipolla misura sull’asse delle X i vantaggi e i danni che può ottenere un soggetto che compie un’azione nei confronti di un altro soggetto, di cui misura sull’asse delle Y i vantaggi e i danni che può riceverne. Se l’azione del primo soggetto è vantaggiosa per entrambi, si colloca nel quadrante in alto a destra. Chi la compie è intelligente. Se l’azione lo danneggia, ma avvantaggia l’altro, si colloca nel quadrante in alto a sinistra. Chi la compie è sprovveduto. Se l’azione lo avvantaggia, ma danneggia l’altro soggetto, si colloca nel quadrante in basso a destra. Chi la compie è un bandito. Se l’azione è dannosa per entrambi, si colloca nel quadrante in basso a sinistra. Chi la compie è uno stupido. L’antropocentrismo può rientrare nel quadrante dei banditi, perché può procurare alla specie umana dei vantaggi a danno di altre specie viventi, ma in un bilancio complessivo si colloca nel quadrante degli stupidi.

Le tesi sostenute da Rachel Carson nel suo libro furono criticate aspramente dall’industria chimica e dalle associazioni degli agricoltori, ma furono ascoltate con grande attenzione dal presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e dai suoi collaboratori, che sulla loro spinta impostarono la legislazione ambientale del Paese. Il libro fu una pietra miliare per lo sviluppo e la diffusione della coscienza ambientalista in tutto il mondo, ma non riuscì a superare le mura del Vaticano.

Nel 1968, su impulso dell’imprenditore italiano Aurelio Peccei, un gruppo di intellettuali, politici, dirigenti industriali e scienziati, preoccupati dai problemi ecologici causati dalla crescita economica degli ultimi venti anni, fondò il Club di Roma e affidò a un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology uno studio finalizzato a prevedere fino a quando il pianeta sarebbe stato in grado di fornire al sistema produttivo le quantità crescenti di risorse di cui aveva bisogno per continuare a far crescere la produzione e il consumo di merci, e di metabolizzarne gli scarti. Lo studio venne focalizzato su cinque fattori di crisi: la crescita della popolazione mondiale, della produzione agricola, della produzione industriale, dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili e dell’inquinamento. Nel rapporto, pubblicato nel 1972, in inglese col titolo The Limits to Growth (I limiti della crescita), in italiano col titolo I limiti dello sviluppo, si sosteneva che, a quei tassi di crescita, il sistema economico e produttivo nell’arco dei successivi cinquant’anni avrebbe superato le capacità del pianeta di sostenerlo. Poiché la ricerca metteva in discussione il pilastro su cui si fondava l’economia dei Paesi industrializzati, suscitò forti polemiche tra chi ne condivideva le analisi e chi le riteneva infondate. Introdusse nel dibattito scientifico temi sino ad allora ignorati, ma non riuscì a far maturare una sensibilità ecologica in grado di ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi e degli stili di vita consumistici.

Indifferente alle diatribe umane, l’economia continuò a crescere e la crisi ecologica ad aggravarsi. L’ONU cominciò a preoccuparsi e nel 1983 istituì una Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, affidandone la presidenza alla dottoressa Gro Harlem Brundtland, già primo ministro della Norvegia. L’obbiettivo della Commissione, come si evince dal suo stesso nome, era l’elaborazione di una strategia che consentisse di conciliare le esigenze dello sviluppo economico con la tutela dell’ambiente. Tuttavia il messaggio principale del rapporto conclusivo, pubblicato nel 1987 col titolo Il nostro comune futuro, non metteva in correlazione lo sviluppo economico con la possibilità di ridurre il suo impatto sulla biosfera, ma con la possibilità di soddisfare le esigenze della specie umana in saecula saeculorum. In quel rapporto venne coniato il concetto di sviluppo sostenibile, che veniva definito in questi termini: «uno sviluppo che consente alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Anziché superare l’antropocentrismo, che è la matrice filosofica su cui la specie umana fonda il suo diritto di instaurare rapporti di dominio con le altre specie viventi e con gli ecosistemi, la proposta della commissione Brundtland lo rafforzava. Non poteva che derivarne un aggravamento ulteriore della crisi ecologica, come fu dimostrato dal fatto che appena cinque anni dopo l’ONU fu indotta a convocare a Rio de Janeiro un congresso mondiale, sempre sull’ambiente e lo sviluppo, con l’obbiettivo di conciliare l’inconciliabile: la riduzione delle emissioni di CO2 con la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci, che le fa aumentare. Il compito di affrontare questa missione impossibile fu assegnato all’organizzazione annuale di Conferenze delle parti (COP), in cui si sarebbero dovuti incontrare i responsabili politici e gli staff tecnici del maggior numero possibile di Paesi del mondo. Nei successivi trent’anni, pur essendo state organizzate 27 di queste Conferenze, con la partecipazione di delegazioni da 196 Paesi, la concentrazione della CO2 nell’atmosfera non solo è cresciuta costantemente, ma sono aumentati anche i suoi tassi di crescita annui: dal 1990 al 2000 di 1 parte per milione; dal 2000 al 2010 di 1,5 ppm; dal 2010 al 2020 di quasi 2 ppm. Per 5 milioni di anni, fino alla fine del Settecento non aveva superato le 280 ppm. A maggio del 2023 ha raggiunto le 424 ppm. Di conseguenza la crisi climatica si è progressivamente aggravata, avvicinandosi sempre di più al punto di non ritorno.

Ogni cinque anni la specie umana celebra il suo potere organizzando una fiera mondiale denominata Expo, dove le aziende di molti Paesi espongono le innovazioni tecnologiche con cui nel quinquennio precedente hanno accresciuto la loro capacità di dominare la natura e le altre specie viventi. Nel 2015, la fiera è stata ospitata a Milano e gli organizzatori hanno pensato di conferirle una valenza etica intitolandola Nutrire il Pianeta. Non è necessario avere un master in sociologia per sapere che l’ignoranza e la presunzione sono due sorelle gemelle inseparabili ed equipollenti. E basta aver frequentato la scuola primaria per sapere che non è la specie umana a nutrire il pianeta, ma è il pianeta a nutrire tutte le specie viventi, tra cui la specie umana. Quello slogan è una spia del più ottuso antropocentrismo. Qualcuno potrebbe obbiettare che volesse semplicemente indicare il proposito di utilizzare le innovazioni scientifiche e tecnologiche per nutrire regolarmente gli 800 milioni di esseri umani che patiscono la fame. Sarà (forse), ma per risolvere o, quanto meno, attenuare questa inaccettabile ingiustizia senza accrescere lo sfruttamento delle risorse naturali e l’impatto della specie umana sul pianeta, bisognerebbe innanzitutto che i popoli ricchi riducessero la quantità di cibo che buttano e adottassero una dieta meno carnivora, in modo da poter destinare all’alimentazione umana una quota significativa dei terreni agricoli attualmente coltivati per l’alimentazione degli animali da allevamento. Dovrebbero inoltre indirizzare le innovazioni tecnologiche a ridurre il consumo di materia e di energia per unità di prodotto, allungare la durata di vita degli oggetti, riutilizzare i materiali contenuti negli oggetti dismessi, in modo da lasciare ai popoli poveri una maggiore disponibilità di risorse. La vera misura del progresso tecnologico è la capacità di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani che ancora non riescono a soddisfare le esigenze della sopravvivenza, senza danneggiare le condizioni di vita di altre specie viventi, né aggravare l’insostenibilità ambientale.

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Contro l’antropocentrismo ultima modifica: 2025-01-09T04:55:00+01:00 da GognaBlog

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12 pensieri su “Contro l’antropocentrismo”

  1. Se lo meriterà lei, sig Francesco, il meteorite.
    Io no. E che cavolo, cos’è devo farmi carico di tutte le vaccate fatte dalla mia specie? 
    Il pianeta continuerà senza di noi. Si, e quindi continuerà anche senza mantide del Mekong. 
    Io, ancora preferisco la mia specie alle altre.
    Certo sono cosciente che certe scelte sono come tirarsi la zappa sui piedi, e quindi faccio quello che è in mio potere per cambiare direzione.
    Ma la logica da meteorite la trovo quanto meno sciocca.

  2. Sig. Fabio Bertoncelli,
    Se usando una storpiatura romanesca del tuo cognome ti ho offeso mi scuso, giustamente, non conoscendoti, non avrei dovuto. Speravo che il tono di questo blog potesse ammettere anche un po’ di sano umorismo, prometto di fare più attenzione la prossima volta.
    Quanto alla maturità, potrei essere io a sentirmi offeso, il mio nome reale lo ho utilizzato, i miei riferimenti tecnici (IP Address e email) il proprietario del blog li ha e, di conseguenza, mi ritengo perfettamente in regola. Evito di aggiungere altri dati anagrafici in rete soprattutto perché oggi di dati ne viaggiano fin troppi su Internet. Vorrei inoltre far notare che mettere un nome e cognome non significa nulla, avrei potuto scrivere Mario Brambilla o Salvatore Esposito che nulla sarebbe cambiato.
    Per concludere, non c’è alcuna protervia nel mio commento, non sono d’accordo su quanto da lei espresso, Sig. Fabio Bertoncelli, ho aggiunto il mio pensiero e nulla più. Come recita una frase attribuita a Massimo Troisi: Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci tu.

  3. Un esempio recente:
    “In altre parole sei solo un Vecchio di Merda che non capisce un cazzo, acido, frustrato, maldicente e mentitore” .

  4. Offese? Insulti bestiali?
    Per aver detto che dialetticamente applichi categorie di pensiero di un bambino prescolare?
     
    Direi che non avendo idea di significano le parole che dici anche il tuo lessico lascia a desiderare…

  5. La protervia che quasi sempre tracima dai vostri commenti quando dovete confrontarvi con opinioni diverse dalle vostre vi qualifica perfettamente.
    Per non parlare delle offese – se non  insulti bestiali – a cui ricorre spesso Matteo quando non sa che dire e non riesce a controllare i propri nervi. 
    Per non parlare della maturità di chi evita di presentarsi con nome e cognome ma si diletta ad alterare quelli altrui allo scopo di derisione. Roba da asilo infantile. 
     
    Non ci fate una bella figura. 

  6. Come al solito appare il generalizzatore/banalizzatore che manda in vacca il discorso.
     Chiedere dell’importanza e il valore della “mantide religiosa del Mekong” e del “raponzolo azzurro del Nanda Devi” o peggio della mamma o della moglie di Luciano è solo una “scappatoia” retorica per giustificare l’elusione del problema, per negarlo.
    In realtà il problema è piuttosto semplice ed evidente: se la razza umana non riuscirà a concepire se’ stessa come parte di un sistema ecologico complesso, di una biosfera entro un tempo piuttosto breve regredirà fortemente in numero e quantità fino a rischiare l’estinzione.
    A quel punto Bertoncelli prova a riproporre la tua domanda sul valore degli esseri umani (comprese mamme e mogli).
     
    In ogni caso chiudere gli occhi per negare l’esistenza di un problema, difficilmente lo farà sparire o lo risolverà, come ogni bambino impara di solito entro i quattro o cinque anni. 

  7. A Bertoncé, ancora pensi che quello che facciamo alla Terra sia umanamente “continuabile”? Il concetto non è se la “mantide religiosa del Mekong” o il “raponzolo azzurro del Nanda Devi” siamo più o meno importanti di mia madre o mia figlia, ma che l’umanità ha distrutto la terra e non l’ha ancora capito (come dice il nostro amico Donny: Drill, baby, drill).
    Bella la storiella degli gnomi, nella mia piccola ignoranza dico solamente che ciò che ci meritiamo sia un bel meteorite come quello che estinse i dinosauri, tanto la Terra c’era miliardi di anni prima e, prima di esplodere ci sarà ancora per altri miliardi di anni dopo che noi saremo estinti.

  8. Dimmi, Regattin: davvero per te la “mantide religiosa del Mekong” e il “raponzolo azzurro del Nanda Devi” devono avere la stessa importanza degli esseri umani? della tua mamma? del tuo papà? della compagna della tua vita? dei tuoi figli?

  9. E per quale motivo Bertoncelli l’unica specie in grado di portare il pianeta alla distruzione, ed è ciò che sta facendo, dovrebbe essere più importante delle altre? 

  10. Mi sbaglierò ma, nonostante tutto, continuo a ritenere che l’umanità sia piú importante della “mantide religiosa del Mekong” e del “raponzolo azzurro del Nanda Devi”.
     
    N.B. Nulla ci vieta di proteggere sia la mantide che il raponzolo.

  11. Aspetto ancora che qualche “Chiesa” butti nel cestino l’Antico Testamento. L’Animismo-Panteismo è la religione più antica della Terra. Jane Goodall l’ha trovato anche fra gli scimpanzé.

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