Cos’è la cultura woke
di Mario Adinolfi
(pubblicato su ariannaeditrice.it il 25 luglio 2024)
Mi chiedono una definizione di “cultura woke”. Il termine deriva dall’inglese “woke” che significa sveglio. È usato come richiamo a stare svegli rispetto alle ingiustizie civili, sociali, razziali. Di fatto il termine è diventato sintesi della cosiddetta ideologia dell’autodeterminazione oltre a costituire un fattore di profonda tensione sociale perché tende ad additare chi si oppone a tale ideologia e alle sue ricadute politiche.
Figlia della cultura woke è l’ideologia dell’autodeterminazione di genere: nessuno ti dice chi sei, tu puoi determinare ciò che sei. Se nasci maschio puoi determinarti come femmina o come né maschio né femmina, cioè non binario. Chi si oppone a questo è sessista, omofobo, transfobico.
Per la cultura woke il luogo “tossico” (l’aggettivo tra i woke è usato spessissimo) per eccellenza è la famiglia, in quanto vecchio retaggio della cultura patriarcale, considerata retrograda e maschilista. Altro caposaldo della cultura woke è l’assoluta equiparazione tra maschile e femminile, condizione intercambiabile e priva di caratteristiche proprie. Ne consegue un femminismo esasperato perché per i woke le donne hanno subito secoli di marginalizzazione. I woke sono infatti con tutte le minoranze, considerate in quanto tali vittime di soprusi da parte delle maggioranze, in particolare bianche caucasiche. Ne consegue una cultura della rimozione storica con valutazione secondo i criteri woke dei comportamenti del passato, che finisce sotto la definizione di “cancel culture”. Grande fastidio è espresso dai woke anche nei confronti delle varie confessioni giudaico-cristiane, considerate facenti parte della cultura dell’oppressione dell’individuo, mentre sorprendente maggiore tolleranza viene garantita a religioni come l’Islam, sempre per il principio del sostegno alle minoranze. Simpatie vengono infatti garantite anche al buddhismo e alle varie correnti misticheggianti new wave.
La cultura woke finisce dunque per limitare fortemente la libertà di espressione additando non solo coloro che non la condividono come propri nemici, ma come nemici della società in generale, includendo tra essi anche personaggi politici, intellettuali, filosofi, scrittori, artisti persino del passato. Chiunque non sia a favore dell’ideologia dell’autodeterminazione (che comprende libertà assoluta di abortire, drogarsi, suicidarsi, cambiare sesso, costruire aggregazioni sociali particolari che chiamano queer da tutelare come famiglie, migrare pretendendo illimitata accoglienza) deve essere espulso dalla comunità o comunque impedito ad esprimersi anche con la censura e con la forza, che può arrivare fino al carcere.
La cultura woke è il comunismo del XXI secolo. Parte da una giusta richiesta di riequilibrio delle ingiustizie sociali ma, indossate le lenti dell’ideologia, si trasforma in un gigantesco tribunale pesantemente inquisitorio che punta alla conquista del potere per imporre una vastissima limitazione reale dei diritti di libertà della persona. Terra di massima applicazione concreta della cultura woke è la California, il più popoloso e ricco degli Stati americani. La California detiene così il record di cliniche per l’utero in affitto e la transizione sessuale anche dei minori senza consenso dei genitori, il record di aborti, dal 2014 ha liberalizzato uso e possesso delle droghe oltre a legalizzare il commercio della cannabis, con leggi permissive che hanno condotto al primato di violenza giovanile con 40 gang pesantemente attive nella sola Los Angeles, dove nel 2023 sono state uccise 387 persone tra cui un vescovo cattolico, il primato di scontri e raid a sfondo razziale, il primato dei morti per droga con 750 nella sola San Francisco, il primato di homeless tra cui molti immigrati per un totale di oltre 171mila, il primato di minorenni diagnosticati con la disforia di genere che sono 300mila tra i 13 e i 17 anni, il primato di abbandoni della residenza nello Stato con sette milioni e mezzo di californiani che dal 2010 hanno preferito andare a vivere altrove.
La cultura woke è pesantemente pervasiva e viene spesso descritta come un virus che si espande molto velocemente. Occorre certamente riconoscerla ed opporre un antidoto a questo avvelenamento in corso. Grande attenzione va posta ai territori della cultura popolare, visto che la cultura woke tende ad affermarsi tramite le star della musica e dei social, con particolare maniacalità dedicata alla scrittura di film e serie televisive o per piattaforme streaming. La censura operata nei confronti dei comici non allineati è forse la spia più evidente della ferocia della cultura woke che punta a espellere dalla possibilità di esprimersi anche chi si limita ad una battuta non gradita o non omologata. Proprio alcuni comici sono stati però i più capaci di evidenziare la pericolosità e la intrinseca violenza della cultura woke. Il giullare spiega bene come questo nuovo re sia nudo e il castigat ridendo mores resta l’insegnamento più efficace degli antichi anche su questo terreno.
PER CHIARIRE UN PUNTO SUL QUALE, TANTO PER CAMBIARE, C’E’ MOLTA CONFUSIONE, RIPORTO UN ESTRATTO DI UNA RECENTE INTERVISTA a LUCA RICOLFI: SI E’ SEMPRE DICHIARATO DI SINISTRA, MA ANCHE LUI CRITICA IL “POLITICAMENTE CORRETTO” ORMAI DITTATORIALE, CHE E’ LA MANIFESTAZIONE DIALETTICA DELL’IDEOLOGIA WOKE (per cui i due fenomeni si legano profondamente). QUESTI DUE FENOMENI SONO NOCIVI, INNAZI TUTTO PER LA SOCIETA’ OCCIDENTALE NEL SUO INSIEME, MA POI ANCHE PER GLI INTERESSI DELLA SINISTRA, PERCHE’ HANNO GENERATO UN BOOMERANG A SUO DANNO.
È, insomma, uno smascheratore dei luoghi comuni della sinistra, ma Ricolfi precisa: “È la sinistra, non solo italiana, che me li offre su un piatto d’argento”. Politically correct è di sinistra, “politically incorrect” è di destra? Così Ricolfi: “Il politicamente scorretto di una parte della destra non mi piace per niente, perché è semplicemente l’altra faccia del follemente corretto: una reazione eguale e contraria. Quel che io e tanti altri rivendichiamo è semplicemente la piena libertà di espressione, il diritto di parlare come ci pare senza subire processi sommari per le parole che usiamo”.
Luca Ricolfi, sociologo dell’università di Torino e presidente della Fondazione Hume, ha presentato il suo nuovo libro ad Alessandra Ricciardi di Italia Oggi, dal titolo: “Il follemente corretto. L’inclusione che esclude e l’ascesa della nuova nuova élite”. Un’occasione per fare anche un quadro politico sull’attualità, con non pochi attacchi alla sinistra: “Le élite, proprio perché vivono molto più agiatamente delle masse popolari, hanno continuamente bisogno di mostrare la loro virtù e la loro sollecitudine nei confronti dei deboli, ma, dato che occuparsi dei veri deboli e dei loro bisogni, a partire dal welfare, costerebbe uno sproposito, hanno trovato una soluzione geniale, occuparsi dei diritti LGTBT+, che costano pochissimo, e dei migranti, che costano relativamente poco in termini di accoglienza e salvataggi, e in compenso forniscono manodopera a basso costo a datori di lavoro più o meno spregiudicati”. Quando la Ricciardi gli chiede se il suo libro definisca lui come anti-progressista, Ricolfi nega: “Non direi, semmai ho invitato i progressisti ad esserlo davvero, occupandosi di diritti sociali e abbandonando la zavorra del follemente corretto. I diritti civili vanno benissimo, ma solo se non sostituiscono quelli sociali e accettano dei limiti, innanzitutto in materia di utero in affitto e di cambio di sesso dei minori”. CONT.
Infine non comprendo il riferimento al fatto che siamo tutti appassionati di montagna e quindi dovremmo esprimerci “diversamente” l’un con l’altro… E allora? A parte che scambiate per insulti quella che è invece schiettezza, cioè dire pane al pane e vino al vino. Ma… non si può discutere, fino a giungere perfino ad un ipotetico insulto, fra appassionati di montagna? E perché mai? Persino con i miei amici storici, con i quali faccio gite da 40 anni e più, non lascio nulla di “sospeso” e altrettanto fanno loro con me. Se è amicizia questo deve essere, altrimenti è solo manierismo di facciata…
Piuttosto che un perbenismo di facciata che ci obblighi a esser artificiali (pur di non ferire un altro appassionato di montagna…), preferisco gli scontri di piazza stile anni Settanta… lì ci menavano di santa ragione, ma almeno eravamo genuini (tralascio il fatto che, se uno si vuol confrontare con la Natura, e questo alla fin fine à l’essenza dell’alpinismo, non può che essere genuino e spietato, altro che “manierismo di facciata”…). Non mi pare cmq che siamo sconfinati in oggettivi insulti. Ciao!
Che il termine “cultura” sia eccessivo, e quindi improprio e sbagliato, per il minestrone woke è evidente. Difatti io preferisco il termine “movimento” che, almeno ai miei occhi, dà più l’idea di essere un qualcosa di non “autogovernato”, non inscatolato in modo sistematico (con tanto di testi di riferimento), ma di un agglomerato di indistinte posizioni, che sono diverse da zona a zona (es dagli USA all’Europa) e addirittura da soggetto a soggetto.
Certo che la sinistra non fa più la sinistra e questo succede da mo’… (secondo me l’ultimo governo “di sinistra” è stato il Prodi 1, anni 1996-98). Ma, a sinistra, ai nostri giorni ci si illude di sostituire questa “assenza di sinistra”, cioè quella attenta alle ns fasce più deboli” con un (presunto) “nobilissimo” interesse verso TUTTI i disgraziati del pianeta e/o verso particolari fattispecie di nuovi (presunti) soggetti deboli interni. Con questa ultima definizione intendo una (presunta) sinistra che non sta più ai cancelli di Mirafiori a battersi per gli operai, ma si batte per i diritti dei fluidi… Ebbene tale “falsa” sinistra attuale ha perso il contatto con la sua base storica e più rappresentativa, che di fatti le sta girando le spalle. L’altro mio concittadino Marco Rizzo, comunista di antichissima data (faceva parte del PCI di Berlinguer), afferma pubblicamente che dobbiamo interrompere l’afflusso indiscriminato degli immigrati irregolari, perché prospetticamente faranno saltare il ns welfare (pensioni, sanità, istruzione), cioè, cito “i diritti che hanno faticosamente conquistato i nostri padri”. Questo significa mettere davanti la tutela delle classi debole italiane rispetto ai miliardi di disperati del pianeta.
Quanti insulti, reciproci, verso chi non la pensa allo stesso modo. È così che ci si esprime tra appassionati di montagna? (Questo è un blog di montagna, giusto?)
Un articolo irrilevante, che parla più di chi l’ha scritto che della presunta, e a quanto pare temibile, “ideologia” woke.
Gli operai votano a destra, non perchè la sinistra pensa agli altri, ma perchè certa sinistra non fa più la sinistra.
Forse “cultura” woke attribuisce un rango elevato di “cultura” ad alcuni orientamenti sparsi e magari un po’ modaioli presenti nel mare della cultura diciamo progressista, soprattutto nei paesi anglosassoni. In Italia lo “zoccolo” progressista è intorno al 30/35 % di quelli che vanno a votare e lì c’è dentro un po’ di tutto. Può darsi che prima o poi tutto, tranne gli irriducibili, finisca per implosione delle schegge dentro un’unico contenitore, un grande sarchiapone come il partito Democratico Americano o il Labour inglese..vedremo. Per la componente woke bisognerebbe capire un po’ meglio e pezzi come quello di Antinolfi non aiutano secondo me. Troppo propagandistici. Io ho trovato un pezzo un po’ vecchiotto che cerca di mettere un po’ di ordine. Utili sarebbero altre segnalazioni, magari anche relative ad eventuali influenza nel mondo montagnardo, visto che questo non è un blog politico in primis.
https://www.ilpost.it/2021/11/12/woke-significato/
Ricolfi si è sempre dichiarato pubblicamente di sinistra. Solo che è intriso di onesta intellettuale e dice, anche alla sinistra (specie alla sinistra), “pane al pane e vino al vino”. E’ caustico anche con la sinistra e forse pefrfino un po’ di più (intuisco perché, essendo di sinistra, gli spiace che si macchi di certi errori). Per questo Ricolfi non piace alla sinistra che per ripicca tende a ostracizzarlo non “catalogandolo” fra i pensatore di sinistra. Ma è di sinistra. dovreste imparare a far tesoro dei vostri correligionari politici che criticano la sinistra, perché sono critiche costruttive. A forza del vostro voler bene agli “altri”, ora le nuove generazioni degli operai vota a destra… magari non nella totalità ma in una percentuale significativa. Il solo fenomeno (voti a destra dalla classe operaia) 40-50 anni fa era impensabile.
Questo è calderonismo di comodo.
Ricolfi di sinistra?
Prodi quindi è un rivoluzionario e Cacciari un teorico del terrorismo…
Sul tema io mi riconosco nella tesi del mio concittadino Luca Ricolfi, notoriamente di sinistra (da sempre): “A forza di voler includere tutti, ci siamo esclusi noi“.
Vedi sua intervista: https://www.panorama.it/news/luca-ricolfi-intervista
“’ un movimento generale e generico… Impossibile poterlo ingabbiare in una collocazione sistematica, ufficializzata da testi accreditati.”
“Può darsi che ad alcuni appaia forzato il mio collegamento… fra i due fenomeni io scorgo una continuità ideologica”
Ecco appunto…io invece sono allibito dalla sicumera delle tue convinzioni e dalla tua capacità di fare affermazioni contraddittorie tra loro. Nel medesimo intervento, peraltro!)
“mentre i woke attuali urlano slogan idioti (e spesso fuorilegge) di stampo Pro Pal oppure fanno i pagliacci sui carri dei gay pride.”
Per arrivare ai soliti giudizi insultanti oltre che infondati: evidentemente un imbecille come Adinolfi può essere per alcuni un vero e proprio Maître à Penser…
Sono allibito da alcune osservazioni: non esiste mica un registro ufficiale degli iscritti alla cultura woke. E’ un movimento generale e generico, che si estende dagli USA all’Europa, molto frastagliato, con personalizzazioni geografiche e addirittura individuali. Impossibile poterlo ingabbiare in una collocazione sistematica, ufficializzata da testi accreditati. Può darsi che ad alcuni appaia forzato il mio collegamento (di cui, però, io sono convinto) fra i movimenti per i diritti dei decenni ’60-70 e l’attuale variegato movimento woke. Fra i due fenomeni io scorgo una continuità ideologica, con adattamento ai tempi: la versione odierna è decisamente più ridicola, nella forma e nella sostanza. Infatti i padri andavano in piazza per reclamare maggiori diritti per loro stessi, mentre i woke attuali urlano slogan idioti (e spesso fuorilegge) di stampo Pro Pal oppure fanno i pagliacci sui carri dei gay pride.
Ma cos’è esattamente la cultura woke e chi ne è sostenitore, portavoce, adepto?
Comunque il pezzo è una fantastica dimostrazione di come si possa travisare e demonizzare per creare polarizzazioni faziose, quando chi scrive è un fanatico integralista, di scarsa cultura e intelligenza, ma molto convinto.
Per mia curiosità: chi sono i cantori/ideologi/influenzatori della cultura “woke”? Quali sono i test/manifesti di riferimento? Mi piacerebbe capire meglio in che cosa si differenzia dai movimenti “libertari” degli ormai lontanissimi anni 60 prima che iniziassero gli anni di piombo. Magari qualcuno ha più conoscenza delle” fonti” e potrebbe socializzarla.
Nella “cultura woke” i diritti appartengono alle minoranze che in realtà non hanno altro diritto se non la propria minoranza, come se la condizione di minoranza fosse sinonimo di ragione o verità. In questo modo si formano minoranze rumorose e spesso pericolose che minacciano impunemente la convivenza civile. Per esempio il terrorismo verde: dopo il terrorismo rosso e nero nasce anche il terrorismo delle minoranze che protestano contro il turismo di massa con la distruzione delle chiave elettroniche nelle case per le vacanze. Purtroppo non vedo soluzioni: da una parte le minoranze crescono per la demagogia della sinistra che preferisce ignorare o nascondere i problemi sociali e dall’altra prosperano per la nostalgia della destra che risponde al rinnovamento con l’autoritarismo della repressione.
Non abbiamo più risorse finanziare ed è sempre più difficile finanziare il welfare, che è l’espressione esplicita dei “diritti”. Oggi stride che l’Europa, che ha letteralmente le pezze al culo, si metta a voler esportare diritti a tutta l’umanità. La torta europea sarà sempre più piccola, per i sopracitati motivi, e sarà già difficile conservare i diritti fondamentali per noi. Quindi considero, come dire?, “poco lucido” già solo pretendere di inventare “nuovi” diritti per noi europei (accontentiamoci di conservare quelli fondamentali, conquistati dai nostri padri), ancor più stupido pensare di dispensarli a mani basse anche ai non europei. Questo è il grande limite della cultura woke: che non dice (o perché non se ne rende conto o perché è in mala fede) che più diritti regaliamo in giro e più si ridurrà la fetta individuale di ogni europeo alla partecipazione alla “torta” dei diritti sociali. Siccome i ricchi se ne possono anche sbattere di tale riduzione delle fette individuali della torta, perché suppliscono con le proprie risorse finanziarie (lo vediamo attualmente nella sanità, in futuro nelle pensioni o nell’istruzione dei figli), la conclusione è che la cosiddetta cultura woke produce un effetto boomerang a scapito degli strati meno favoriti della società occidentale. Il fallimento della cultura woke è che, per diffondere il più possibile i diritti, alla fine riduce i diritti delle fasce più deboli (di cui dovrebbe essere un difensore d’ufficio).
Possiamo anche riconoscere un valore evolutivo alla cultura dei diritti, tipica dell’occidente, in èparticvolre europeo. ma la dobbiamo circostanziare all’attività degli anni Sessanta e soprattutto Settanta. negli ottanta era facile fare i generosi: l’Occidente (mi riferisco in particolare all’europa, anche se in scia agli USA) era un a delle locomotive dove si creava la ricchezza. Maggior ricchezza economica significa maggior ricchezza intellettuale, sociale, ideologica. Insomma negli Ottanta faceva figo l’idea di dispensare a tutta l’umanità i diritti, che i ns padri avevano conquistato nei decenni precedenti – e magari versando anche il propprio sangue. Ma il mondo è radicalmente cambiato: ora le locomotive mondiali sono la Cina, l’India, le tigri del sud est asiatico e le petromonarchie (fuinché dura il business del petrolio). un po’ della ricchezza mondiale viene ancora prodotta dagli USA (per inerzia dovuta alla enormi dimensioni assolute del loto PIL) e dalla Russia (per gas/petrolio ecc). Guarda caso si tratta di aree che NON coltivano particolare attenzione per i diritti umani, ad eccezione degli USA, che però vivono un trend di netto ridimensionamento del loro ruolo di leader mondiale. L’Europa è crollata in termini di creazione di ricchezza: la faccio breve sulle cause, che non sono l’epicentro delle mie attuali riflessioni, ma i dati sono oggettivi: si esulta al successo quando la crescita del PIL è dell’1% annuo. CONT