Di che grado è?
(trad e avventura al piccolo Half Dome in Valle dell’Orco)
di Andrea Giorda
L’ultima via che abbiamo aperto il mio socio Claudio Battezzati ed io, la Gran Traversata alle Noasca Towers, ci ha fruttato ben due casse di vino di un ammiratore riconoscente, Mirco, che abita in zona Gavi, circondato da buone vigne. Chi pensa che sia una attività inutile farsi strada su pendii infestati dai rovi e dai ginepri e con zaini che confermano le leggi di Newton solo per cercare pareti, è servito, non è una attività inutile.
Non so se questa nuova scoperta, la falesia del Piccolo Half Dome, incrementerà la nostra cantina, ma i presupposti ci sono tutti.
La Valle dell’Orco è nota per le sue splendide vie, ma è indubbio che in quanto a falesie, i cugini dell’Ossola hanno strutture naturali molto più adatte, remunerative e di caratura internazionale. Le falesie di granito belle poi, in generale, sono molto rare, spesso sono placche chiodate a spit, con linee tutte abbastanza simili.
Esplorando le Torri di Noasca, avevamo notato sulla destra una grande struttura rocciosa che richiamava, per forme, il famoso mezzo cupolone, l’Half Dome della Yosemite Valley. Il nostro era esattamente in scala 1:10, alto circa 70 metri nel punto più elevato e segnato da linee di salita naturali di straordinaria qualità.
Che fosse la falesia che tanto mancava alle Valle Orco? Intanto raggiungerlo a piedi era una impresa, in mezzo a salti di roccia e vegetazione inestricabile. Un gioiello ben difeso.
Fausto Aimonino, un local di Noasca, ci aveva accennato a un antico sentiero, ma visto il luogo inaccessibile, sembrava più una leggenda che altro. A suo favore vi erano, alla base della parete, straordinarie strutture costruite dall’uomo, muri con pietre ciclopiche disposte per ricovero di animali e persone.
Dopo infinite prove, scoviamo i passaggi chiave tra le pareti e scorgiamo segni di antichi gradini. Con pazienza, intuizione e un grande lavoro da boscaioli, abbiamo riesumato l’antica traccia, che stranamente è segnata per tutto il percorso da betulle che aiutano l’orientamento.
Il “Sentiero delle Betulle”, così l’abbiamo chiamato, è sicuramente l’opera di cui andiamo più fieri, perché con 45/50 minuti di percorso, tra panorami mozzafiato, si giunge in tutta comodità nel cuore di questo angolo selvaggio e sconosciuto della Valle dell’Orco.
Il resto, complice un inverno mite, sono sei mesi di lavoro per pulire e scovare le linee più belle.
La qualità, e aggiungerei anche una forte valenza estetica, sono elementi fondamentali della nostra ricerca. Non abbiamo realizzato tutte le linee possibili, per far numero, ma solo quelle che la struttura della pietra ci indicava. Messi tutti insieme i tiri tracciati farebbero una straordinaria Big Wall, ma il bello è che qui si scala con una corda da 80 metri, due serie di friend e una di nut, su monotiri spettacolari o brevi vie di due, massimo tre, lunghezze. La sensazione, appena ci si alza da terra, è di essere su una parete di vaste dimensioni, le scenografie sono quelle grandiose del granito.
Eagle Team: operazione clandestino
Per un caso fortuito, cattive condizioni sul Monte Bianco, il gruppo dell’Eagle Team ha anticipato il suo arrivo in Valle lunedì 15 aprile 2024 (dovevano arrivare il venerdì). Proprio quel lunedì, disceso al termine di una giornata di pulizie, sbrindellato e sporco ancora di terra, incontro a Noasca Matteo Della Bordella con i suoi ragazzi.
Sulla Valle dell’Orco è piombato il gelo, temperature basse e vento, così propongo a campioni e campioncini di venire a vedere questo nuovo spot, dove c’è anche uno straordinario tiro appena finito e da liberare, il Clandestino. Spunta dal nulla anche Nicola Tondini che accompagna la troupe che documenta le giornate dell’Eagle Team. Mi fa un immenso piacere, perché lo conosco da un po’ e ho per lui una grande ammirazione come persona e per lo stile delle sue scalate.
Matteo, noto per la Via meno battuta, coerente, mi dà fiducia e accetta la proposta e con lui un manipolo di fortissimi fedeli, tra cui la giovanissima Iris Bielli. Mercoledì mattina ci troviamo e un ragazzo indeciso mi chiede se il posto merita, preso di sorpresa rispondo ”secondo me sì”. Mi guardo intorno e alla partenza mi rendo conto che, tolto Claudio e il mio amico Filippo Ghilardini, nessuno ha mai visto questa falesia e magari me ne sono innamorato troppo. Ma ora è tardi e tocca ballare e tenere la parte.
Stiamo ormai salendo sul sentiero, e se, come dice mia moglie Sabrina, toscanaccia, l’ho fatta fuori dal vaso, il disastro mediatico sarà mondiale. Nicola, Matteo… i ragazzi già famosi hanno decine di migliaia di follower, se diranno come Fantozzi nel film la Corazzata Potëmkin che il Piccolo Half Dome è una “cagata pazzesca”, sarà il diluvio universale.
Mi sento come uno che ha scritto uno spartito su una carta di formaggio e a suonarla ha l’orchestra della Scala. Su Bongo Bong c’è Matteo, su Me Gustas tu Nicola, Iris si scalda sull’off-width di Desaparecido: attendo da un momento all’altro il grido fantozziano.
Altri ragazzi, tra cui Riccardo Volpiano, Luca Ducoli, Matteo Monfrini e il tutor David Bacci (reduce da grandi imprese in Patagonia), sono attratti dalla Bolted Crack. Una misteriosa fessura sulla vicina Seconda Torre di Noasca, con spit vecchi più di trent’ anni, che aspettava, come i templi cambogiani di Angkor, di essere riscoperta. Mi ero portato il trapano e propongo a loro di scalarla e mettere la sosta che manca, ora c’è solo la nostra targhetta. All’ultimo compare anche l’amico Roberto Rouge Rossi, sempre curioso delle novità, con un collega Guida alpina di Como.
I tiri convincono, Nicola esce soddisfatto dalla impegnativa placca di Me Gustas tu… ora tocca al Clandestino, che regala, in una giornata gelida, un raggio di sole. Si presenta in tutto il suo splendore e le poche tracce di umido sono scomparse col vento. Questo posto mi vuole bene.
Il Clandestino si concede a Matteo della Bordella e a Matteo Monfrini, per ora con le protezioni in loco; i due, con siparietto divertente e come da copione, non rivelano il grado. La Bolted Crack, dopo spettacolari tentativi stile Separate Reality, resiste. Gli spit su questa fessura sono figli dell’epoca, di certo in passato non è stata mai stata salita in libera, ma il chiodatore ha immaginato una linea avveniristica. Mesi di nostre ricerche per scovare l’autore, non hanno dato risultati. Io e Claudio siamo felici di averle donato nuova visibilità, di averla ripulita e resa scalabile e di averle dato un nome che dice tutto.
Claudio, che purtroppo è assente, ed io, forse abbiamo superato lo stress test: la nostra falesia convince, anche Matteo si ripromette di tornare e mi dice che può essere la Yosesigo della Valle dell’Orco, solo un po’ più difficile. Io abbozzo, poi confesso che non so dove sia ‘sto posto… vado a vedere su internet e leggo che è una delle falesie più belle dell’Ossola.
I gradi?
Già, di gradi non ho parlato, e non ne parlerò. Anche a Matteo e ai suoi ragazzi ho proposto di scalare un giorno senza l’ossessione o l’obiettivo del grado, non per polemica, ma per farsi catturare una volta dalla bellezza della scalata, del luogo e vivere una piccola avventura. Avventura fa rima con incertezza, non abbiamo neanche dato indicazioni asfissianti su quali friend portare. L’unica certezza sono le soste e la pulizia dei tiri per quanto possibile. L’arrampicata sportiva è stata salutare per la progressione dell’alpinismo, ma ora mi sembra che i giovani siano concentrati esclusivamente sul grado da portare a casa e mettere su Instagram. Quando apriamo le vie non ci chiedono neanche più se è bella… ma che grado è.
In Valle dell’Orco il primo 8a è stato scalato dal mio caro amico Rolando Larcher, un trentino, nel 2002! La Valle non è una mecca delle difficoltà, riavviciniamoci rilassati al contatto con la roccia, facciamoci catturare dal fascino delle linee, dall’ambiente naturale che ci pervade e lasciamo spazio ad un pizzico di incertezza, di avventura, valutando con i nostri sensi quello che possiamo fare e quello che richiederà più impegno.
Ormai per leggere un territorio ci affidiamo al navigatore, al satellite, in realtà seguendolo sullo schermo ne diventiamo dipendenti, non alziamo la testa e perdiamo la percezione dell’ambiente circostante, i nostri sensi si annullano e non sappiamo più dove siamo. Se per qualche motivo il navigatore si spegne, ci ritroviamo come in mezzo al mare, impauriti nella notte, con un salvagente di pietra.
Nella nostra società vogliamo avere tutto sotto controllo, pensando di governare tutto razionalmente. Per lavoro tenevo corsi per parlare in pubblico e ricordo bene che le difficoltà maggiori le aveva chi pensava di governare ogni cosa con foglietti, schemi… dimenticandosi di guardare chi aveva davanti, dimenticandosi di comunicare anche la sua emozione, spesso più importante del contenuto.
Il pilota di formula uno che tiene d’occhio tutti gli strumenti, non va forte, i veri campioni si affidano ai loro sensi per arrivare al limite della tenuta in curva, pochi centesimi di secondo dividono un campione da un brocco, la differenza la fa la pancia non la testa. Ci figuriamo come esseri razionali (di testa), ma il novanta per cento delle nostre decisioni sono frutto dell’inconscio (di pancia).
Non sappiamo più navigare a vista… con percezione animale. Dico sempre ai miei allievi della Scuola Gervasutti che “un bravo alpinista e un bravo istruttore non è solo quello che fa il 7b, ma è quello che nella nebbia e nella tempesta, senza mezzi, sa ritrovare la strada del ritorno, affidandosi ai propri sensi, alla propria esperienza”. Non c’è scritto sui libri come si fa, ma salva la vita.
Negli anni ’70 per noi c’era solo la Scala Welzembach fino al VI+. Noi davamo massimo V+ perché il VI era il limite delle difficoltà umane e noi eravamo solo ragazzi, non di certo il top mondiale. Alcuni tiri scalati negli anni ’70, come il Diedro atomico, sono gradati 6c+, ma a noi interessava l’avventura, la scoperta, il coraggio di affrontare una fessura solo con pochi excentric, senza poter cadere e sperando in una pianta o un masso per far sosta.
Ora ci sono i comodissimi friend, le soste a spit, ma un pizzico di suspense, di brivido, va lasciato, o diventa solo un esercizio fisico, sportivo, che in luoghi come Céüse o Finale ha sicuramente molto più senso. Scalare in Valle dell’Orco si avvicina forse più all’arte che allo sport. Anche in Val di Mello, alla fine degli anni ’70, l’immagine simbolo non era uno appeso su gradi da paura, ma Ivan Guerini che parlava ad una farfalla, in armonia con l’ambiente naturale. Recuperiamo un po’ di quello spirito, nulla ci verrà tolto, ci potremo solo guadagnare.
Forse un domani ci arrenderemo e metteremo gradi e tipi di friend, ma ora no, come non va “spoilerato” il finale di un film. Sappiamo che non sarà una scelta popolare, chi vorrà provare chiuderà qualche tiro in meno, ma forse porterà a casa qualche emozione in più. Claudio ed io, superstiti esploratori degli anni ’70, vogliamo lasciare questo spazio libero alla vostra scoperta, come l’abbiamo trovato noi, seppur addomesticato dal comodo sentiero, dalle soste e dalla pulizia dei tiri.
Gian Piero Motti, in contrapposizione con l’alpinismo eroico, diceva “Le montagne non si conquistano, si amano” e citava Gary Hemming, ”di una via portatevi via solo il ricordo e le fotografie”. I ragazzi dell’Eagle Team, e Matteo stesso, per un giorno hanno colto questi messaggi e a fine giornata nessuno parlava di gradi, ma di bellezza, impegno, avventura.
Valle dell’Orco-Noasca
Falesia diffusa: Piccolo Half Dome, Prima e Seconda Torre di Noasca
L’Half Dome, la mezza cupola, è una delle più riconoscibili e sorprendenti montagne della Yosemite Valley in California. Chi sale il sentiero sopra il cimitero di Noasca, dopo circa mezz’ora può intravvedere una struttura rocciosa che da lontano ricorda la famosa montagna americana. Le dimensioni sono ben diverse, il Piccolo Half Dome della Valle dell’Orco è esattamente in scala 1:10. L’originale ha pareti di 600 metri, la versione nostrana non supera i 70 metri sul lato sud.
Cosa rara per una parete di granito, il Piccolo Half Dome si presta magnificamente ad una scalata in stile falesia, con monotiri naturali di grande bellezza e brevi vie multipitch di respiro scenografico. Volendo, il primo tiro delle vie multipitch si può scalare come monotiro. Consigliamo comunque di percorrere le vie nella loro interezza, spesso completando l’esperienza in un ambiente spettacolare.
Ci auguriamo che il Piccolo Half Dome e le pareti limitrofe possano rappresentare una buona alternativa alle splendide falesie trad, di respiro internazionale, dei cugini dell’Ossola. La caratteristica più evidente della nostra falesia diffusa, che la rende particolarmente interessante, è la grande varietà dei tiri e di stili. Dai muri fessurati fino ai tetti strapiombanti trad della Seconda Torre, un insieme prezioso di rarità naturali.
Lo stile è vario, dalle vie interamente trad a quelle miste. Tutto il campionario della rude scalata sul granito è rappresentata. Gli apritori Andrea Giorda e Claudio Battezzati hanno scommesso più sulla qualità che sulla quantità, privilegiando le linee naturali più evidenti.
Anche i palati più esigenti saranno sorpresi da alcune vie che hanno richiesto solo un’accurata pulizia e una sosta, come la Piccola Disperazione, fessura diagonale simile alla più grande del Sergent o il tiro simbolo sulla pala della parete Sud, Il Clandestino. Ma anche le lunghezze miste non deludono, come Kalos Kai Agathos, che unisce in armonia assoluta la placca e la fessura, o l’aereo Éperon du Bloc Coincé.
I gradi
I gradi sono da definire con le future ripetizioni, ma in luoghi come questo sono quasi superflui, occorrerebbe concentrarsi sulla bellezza del posto e sulla entusiasmante sensazione che il granito della Valle dell’Orco sa regalare, l’aspetto sportivo/prestazionale è secondario.
Viviamo subissati di informazioni, lasciare spazio alla valutazione personale e all’avventura non garantirà sempre il successo sui tiri, ma regalerà forse qualche emozione in più. Evitiamo anche di precisare le misure dei friend, così come non vogliamo conoscere il finale di un film, concediamo qualcosa all’intuizione e all’immaginazione. Vorremmo che chi arriva in questo posto potesse scoprire le vie, seppur ora pulite e con soste, così come le abbiamo scoperte noi.
La falesia diffusa si sviluppa oltre che sul Piccolo Half Dome anche sulle vicine Prima e Seconda Torre di Noasca.
Accesso
Chi ha tante energie e tiri nelle mani, può raggiungere la falesia scalando la Prima Torre di Noasca. Dalla cima si scende per pochi minuti sotto grandi tetti e si supera il canale erboso che separa la Seconda Torre dal Piccolo Half Dome.
Come per le Noasca Towers, si parcheggia al cimitero e si esce a piedi sulla strada e presa la direzione per Ceresole si svolta subito a destra ad una frazione da cui parte il sentiero segnato con bolli rossi. Giunti nel canale principale del Rio Arianas, per le Torri si sale; invece per il Piccolo Half Dome si scende brevemente in diagonale seguendo sempre i bolli rossi; un passaggio spettacolare (attenzione esposto) supera le balze rocciose a destra del canale, per puntare deciso alla parete della falesia. 45/50 minuti dal parcheggio del cimitero.
Per il settore Puppenhaus, prima di giungere al Piccolo Half Dome, si devia su una cengia a sinistra che porta alla base dei diedri evidenti della Prima Torre.
Periodo
La quota modesta (1300 metri) e le diverse esposizioni permettono di scalare tutto l’anno, se non c’è neve e le temperature lo consentono. L’esposizione è sud e ovest. La vie della falesia seguono perlopiù linee naturali che tendono a bagnarsi con piogge frequenti. Occorre un periodo ragionevolmente asciutto per percorrere tutti i tiri.
Attrezzatura e avvertenze
Consigliamo due serie complete di friend e una di nut, una serie di rinvii, corda da 80 metri, gri gri e discensore per le vie di più tiri. Occorre ovviamente anche attrezzatura specifica, come rinvii con cordini allungabili per evitare di ritrovarsi bloccati con le corde che non scorrono.
Nella scalata trad la capacità di valutare la tenuta delle protezioni fa parte delle difficoltà da superare. In ogni caso, consigliamo, in particolare a chi non è molto esperto, di valutare con estrema prudenza il limite al quale spingersi. Non si confonda poi la scalata trad esclusivamente con la scalata in fessura.
L’insieme delle vie, se fossero una sopra all’altra, comporrebbero una splendida big wall di molte centinaia di metri, occorre dunque molta prudenza, perché anche lo splendido gneiss granitoide della Valle dell’Orco, specie dopo le piogge, si assesta. Obbligatorio il casco e la massima attenzione.
Descrizione
Le linee di scalata sono distribuite su tre strutture, il Piccolo Half Dome, la Seconda Torre di Noasca e la Prima Torre di Noasca. Placchette in alluminio segnalano il punto di partenza delle vie.
Per una esperienza totale, è possibile trovare agevole sistemazione da bivacco al riparo degli enormi tetti alla base della Seconda Torre, denominato ironicamente Hotel G&B dalle iniziali del cognome degli apritori. E’ sufficiente avere materassino e saccopiuma, non accendere fuochi liberi e portare rifiuti a valle. L’acqua la si trova per gran parte dell’anno nel canale a destra, guardando la parete, del Piccolo Half Dome.
I gradi, come già detto, non sono indicati. Per agevolare chi è alle prime armi e vuole comunque conoscere e godere di questo luogo, suggeriamo le vie sul grado 6 che sono: Regular Route, Desaparecido, Puppenhaus e un gradino superiore Kalos Kai Agathos. Attenzione, il grado francese non dice tutto, non sottovalutate che si tratta di vie dove occorre comunque capacità di proteggersi con friend e nut.
Tutte le vie sono state realizzate da Andrea Giorda e Claudio Battezzati tra l’ottobre 2023 e il maggio 2024, salvo eccezioni segnalate nel testo.
Piccolo Half Dome (monotiri e brevi multipitch)
Parete ovest
Da sinistra a destra:
1) Piccola Disperazione: spettacolare regalo della natura, una fessura sale come la sorella maggiore con andamento da destra a sinistra fino in cima alla parete. Tiro interamente trad, per disattrezzarla si consiglia di percorrerla in top rope. La partenza spesso è umida, in Galles, regno del trad, nessuno ci farebbe caso, basta superare i primi metri per un viaggio indimenticabile. Da non perdere.
2) Regular Route: celebre nome ripreso dal vero Half Dome. Bellissima linea che cerca la minor resistenza della parete. Tiro interamente trad. Dove la fessura si dirama la via va a sinistra. Difficoltà di base.
3) Kalos Kai Agathos: la citazione in greco riassume bene la grande armonia e il respiro di questo tiro che unisce la placca e la fessura. Tiro misto, finita la placca non ci sono più spit fino in sosta. Tenersi sempre sulle fessure a sinistra, il diedro a destra ha roccia instabile. Non semplice, ma difficoltà abbordabili.
4) Éperon du Bloc Coincé: elegante scalata sul filo dello sperone, che a metà si caratterizza per un grande blocco incastrato. La prima metà più difficile protetta a spit, poi dal blocco fino in catena scalata trad a completare l’estetica del tiro.
Parete sud
Da sinistra a destra:
5) Me Gustas tu
L1: dopo una partenza trad su un tetto fessurato che richiede una certa perizia e attenzione, si sbuca su una oceanica placca, protetta a spit (i primi tre si possono saltare se si ha confidenza con le protezioni veloci, inizialmente erano fessure intasate dall’erba). La scalata si fa sempre più difficile in crescendo, fino in catena. Se si vuole scalare il secondo tiro, non fermarsi alla prima sosta ma andare alla sosta successiva al termine della cengia, S2;
L2: placca aerea su roccia bellissima. Non perdetevi l’arrivo in cima al Piccolo Half Dome. Discesa in doppia.
6) Bongo Bong
L1: partenza trad poi muretto difficile con 2 spit, roccia un po’ friabile che ha richiesto di consolidare due prese naturali che non avrebbero retto il passaggio. Poi si segue la fessura di roccia bellissima (trad) fin sopra il tetto, stile rude e spettacolare;
L2: si prosegue in fessura e poi su placca, quindi un diedro fessurato porta in cima al Piccolo Half Dome, ambiente stupendo, vista sulla Valle e sul Courmaon. Discesa in doppia.
7) Orcoextreme (Project)
Linea trad futuristica (forse più di una). Sarà pane per gli specialisti trovare la soluzione per scalare in libera questo magnifico muro solcato da piccole crepe e fessure. Chi vuole provare si faccia avanti, senza mettere spit, please ???? se non la sosta, che possiamo fornire noi.
8) Clandestino
L1: tiro spettacolare e da manuale nella scala alta delle difficoltà, interamente trad. La linea maestra si snoda su due fessure parallele (a tratti sfuggenti) che solcano un magnifico muro di granito rossastro leggermente inclinato.
Se si fa unicamente il primo tiro fermarsi alla prima sosta, se si vuole percorrere l’intera via, proseguire sulla placca appoggiata fino alla sosta successiva con due spit da collegare;
L2: breve muretto;
L3: splendida placca su granito chiaro.
9) Desaparecido
L1: curiosa fessura che parte di mano per poi allargarsi in stile off-width. Molto scenografica e di difficoltà di base (trad);
L2 o L2 bis a seconda dell’uscita che si desidera fare;
L3 o L3 bis: entrambe le soluzioni presentano un’arrampicata divertente e remunerativa.
10) Extrema Ratio
Unico tiro attrezzato interamente a spit. Bel muro a piccole prese.
Seconda Torre di Noasca (monotiri e brevi multipitch)
Un canale erboso separa a sinistra il Piccolo Half Dome dalla Seconda Torre di Noasca, vi è la possibilità di effettuare monotiri e brevi multipitch anche su questa struttura.
Da sinistra a destra:
1) Noasca Towers Gran Traversata: è il primo tiro della Seconda Torre della Gran Traversata delle Noasca Towers. Sulla linea vecchi spit messi da anonimo nei primi anni ’90, da ignorare per chi vuole scalare trad questo incredibile tiro, ora ripulito e caratterizzato da stranissime fessure orizzontali!
Giunti allo spit nuovo girare lo spigolo e raggiungere la sosta per calata. Per disattrezzare è consigliato che lo salga un secondo in top rope. Volendo, invece di calarsi, con altri due tiri a spit si raggiunge la cima della Seconda Torre e poi con due doppie sul lato sud (non sulla via!) si guadagna la base.
1a) proseguendo dritti sul primo tiro si percorre una vecchia via a spit di autore non identificato. Un po’ lichenata, da pulire, non testata, ma sembra interessante.
2) Il Volo dell’Aquila: già scalata da Carlo Cassine e Sandro Zuccon con mezzi tradizionali (A3) nel 1981. Attualmente un po’ lichenata, ripetuta recentemente da Filippo Ghilardini. L’attrezzatura a spit è opera di Giuseppe Petrassi, Giampiero Dematteis, Marcellino Merlo nel 2001.Termina in cima accanto ad un pino monumentale. La linea protetta a chiodi e spit con soste collegate con vecchi cordini, interessante.
I Tre Tetti trad
3) Bolted Crack: curioso sistema di piccole fessure che termina su un tetto orizzontale con buoni incastri. Spittata nei primi anni ’90 da un chiodatore non identificato. Consigliata solo con protezioni veloci. Nel 2024 durante i lavori è stata riscoperta, ripulita e messa la sosta che mancava. Il nome che la descrive è di nostra fantasia, per rispetto a chi ha tentato il tiro, ad ora, non sono stati rimossi gli spit. In futuro si vedrà. Intanto, in linea con lo stile della falesia, si può non usarli.
4) No Bolted Crack: Speculare alla precedente. Linea interamente trad. La fessurina centrale richiede attenzione. Spesso umida.
5) Now and Then: Scalata super fisica su tetto fessurato, uscita delicata. Interamente trad.
6) Il Traverso infinito: un gioco per allenarsi a mettere friend in traverso. Alla base dei tetti una lunghissima fessura orizzontale traversa tutta la parete a partire da Now and Then. Con un po’ di ironia… la versione trad della traversata Gary Hemming in Calanques.
Prima Torre di Noasca, Settore Puppenhaus (monotiri)
Dal sentiero principale, prima di arrivare al Piccolo Half Dome si devia a sinistra su una cengia (esposta) che porta agli evidenti diedri del settore Puppenhaus. Piccola corda fissa. Settore interamente trad.
Da sinistra a destra:
1) Grave Digger: impegnativo, richiede perizia per proteggersi in uscita. Possibile provarlo preventivamente in Top Rope raggiungendo la sosta da Puppenhaus.
2) Puppenhaus: molto scenografico, difficoltà abbordabili.
3) Do it well: tiro in camino off-width, molto breve ma divertente. Fessura sul muro per proteggersi.
4) Chicken Wings: brevissimo tiro su fessura larga, sosta in comune con la precedente.
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Confesso che ho sempre trovato fuori luogo mettere in mostra ferite derivanti da attività che si svolgono per il proprio piacere personale, considerando che c’è gente che torna da lavoro conciata solo per guadagnarsi un tozzo di pane.
@6Grazie Fabio.
Ci dovrebbe pensare il Padrone di casa … pardon … di sito, vero Alessandro ? 🙂
Grazie Fabio.
Ci dovrebbe pensare il Padrone di casa … pardon … di sito, vero Alessandro ? 🙂
@ 5
Giuliano, si tratta di un problema sorto qualche mese fa.
Io ero un grande appassionato di faccine, che usavo a profusione. All’improvviso queste incominciarono a trasformarsi in punti interrogativi. Per esempio, digitando tre faccine uscivano invece dodici punti interrogativi. Mannaggia!
Se vuoi continuare a inserirle, devi ricorrere ai tasti, come si faceva una volta.
Ps ogni tanto l’editor trasforma l’emoj con l’occhietto che strizza in punti interrogativi. Ci tenevo a dirlo in qto “a valle” del “chissene” nn avevo messo nessun punto interrogativo in qto non avevo (e nn ho) nessun dubbio in merito !
Parole sante Elio.
E complimenti agli “scopritori” anche per l’omaggio a Manu Chao e alla sua eterna “Me Gustas Tu”. E se è troppo da boomers … un bel “chissenefrega” ci stà tutto-tutto ????.
Eh beh è ben vero che nessuno lo chiede ma dopo aver passato giornate e mesi intieri a scovare delle perle come questa è difficile non innamorarsi delle proprie creature. Trovo che sia molto più facile fare dell’ ironia sull’ opportunità, sulla prosa o sugli aggettivi usati per pubblicizzare la propria creatura che mettersi a ritracciare un sentiero perduto o ad attrezzare una falesia. Fortunatamente però quel che in fondo resta è un nuovo giocattolo gratuito che senza se è senza ma ci viene donato. Ad Andrea i miei complimenti e il mio grazie.
Giorda ci regala un’altra “falesia più bella del mondo”. L’anello di congiunzione che mancava tra Catteisoft e il Capitain.
L’entusiasmo è una bella cosa, però famtozzi è un po datato, fa ridere al massimo i boomer: bisognerebbe aggiornare l’apparato retorico.
Altra “zampata canavesana” dell’Accademico Andrew che con “maneriana” ostinazione scopre sempre angoli nuovi in quella mecca di pietra che è l’Orco Valley. Qke considerazione “di colore”.
1) Bella l’idea di proseguire nella toponomatisca (mi pare anch’essa “maneriana”) di ispirazione yosemtica, per cui dopo i “sottufficiali” Caporal e Sergent, adesso abbiamo anche un piccolo tenero (tenero ?) Half Dome. Però, oltre che “piccolo” direi anche “mezzo .. di mezzo” Half Dome (almeno, per come me lo ricordo io … 😉
2) Da “cit” (o da “masnà” che dir si voglia) mi piaceva molto il mondo dei motori (poi qdo ho capito che ci andava troppa money … l’hai n’caminà n’dè n’muntagna). Ricordo però quello che dicevano i piloti circa la “sensibilità” e la differenza nn la faceva tanto la pancia, qto … quella parte bassa della schiena che cambia nome 😉
3) Meno male che qke “dritta” sulle valutazioni cmq alla fine è venuta fuori (dopo un po’ di filosofia giustificazionista … ). Altrimenti mi veniva da pensare “andreotticamente” che l’assenza di valutazione avesse l’obiettivo recondito di … recuperare qke freind e qke rinvio usato per le calate disperate …
Ed è anche riuscito a farla “asseggiare”, qsta muova location, agli aquilotti di Della Bordella. Pí che parej cot völe ? 🙂