Sulle recenti “opere forestali” nella zona del Resegone abbiamo pubblicato tre post: Bravo Stefano Valsecchi! (21 luglio 2023), Le faggete del Morterone tagliate “a tappeto” (28 luglio 2023) e Ancora sui tagli al Morterone (3 ottobre 2023). La recente pubblicazione di un articolo sul Notiziario del CAI Lecco sta riattizzando la polemica. Pubblichiamo qui di seguito l’articolo in questione, cui facciamo seguire la risposta di Mario Covini.
Boschi, strade, persone
(riflessioni tecniche sulla contestata strada forestale di Morterone)
di Sergio Poli (dottore forestale)
(pubblicato su Notiziario del CAI Lecco, n.1-2023/n.2-2024)
Nel piccolo borgo di Morterone (LC) l’estate del 2023 sarà ricordata come l’estate della strada. Dove per strada non si intende la tortuosissima SP63 che collega il paese al resto del mondo, ma la nuova strada forestale realizzata per il taglio del bosco sul versante orientale del Resegone. Morterone è piuttosto abituato a stare sotto i riflettori della cronaca come “Comune meno popolato d’Italia”, ma un’esposizione mediatica così ampia e prolungata non se l’aspettava nessuno. Ci permettiamo di parlarne ancora su questa rivista per dare una lettura obiettiva, e non “di pancia”, a questo fatto di cronaca dopo qualche mese da quegli avvenimenti, perché il bosco ha i suoi tempi lenti, diversi da quelli immediati e frenetici dei social, e anche per fornire qualche indicazione più approfondita su una materia così poco conosciuta come quella forestale. Si chiede perdono in anticipo per la trattazione un po’ tecnica – e forse per questo indigesta – dell’argomento, ma adesso, a mente serena ci sembra proprio arrivato il momento.
Il taglio del bosco, una pratica antica
Veniamo ai fatti: già dal 2022 un imprenditore boschivo locale ha ottenuto da Regione Lombardia un finanziamento sul Piano di Sviluppo Rurale (PSR). per poter intervenire su un ampio settore del Resegone, operando una “conversione all’altofusto” del bosco. La cosa non sorprenda: una ditta viene pagata dall’Europa (i fondi in effetti arrivano da lì) per tagliare il bosco, lasciandogli pure la legna! Come possibile? Il motivo sta proprio nel tipo di taglio che viene effettuato: i boschi su cui la ditta è intervenuta erano vecchi cedui di faggio, cioè boschi che un tempo venivano tagliati regolarmente ogni 20 anni circa per produrre legna da ardere, lasciando in piedi poche piante più grandi – le matricine – destinate a produrre seme per rinnovare il bosco, mentre ciò che restava delle altre piante, cioè le ceppaie, generavano nuovi getti – i polloni– per il ciclo successivo.
Basta fare un giro sui sentieri del Resegone, leggendo con occhio attento ciò che si trova ancora sul terreno, per capire che questa pratica, questo uso del territorio montano, sui nostri monti è durato per secoli. Sono innumerevoli infatti le aie carbonili (ajàl) che si incontrano lungo i sentieri, testimoni di quell’antica arte che era la produzione del carbone di legna destinato alle voraci industrie siderurgiche lecchesi. Un esempio di carbonaia (pojàt), ricostruita a scopo didattico, si incontra proprio sopra Morterone sul sentiero che va dalle Forbesette alla Costa del Palio.
E lì vicino, sempre su quel sentiero, si trova una vecchia fornace (calchéra), destinata appunto a produrre calce da costruzione a partire dalla roccia calcarea, materiale che ovviamente abbonda sui nostri monti; e ancora una volta il combustibile era la legna ricavata dai boschi vicini.
Insomma, ci dobbiamo immaginare i nostri monti non come li vediamo oggi, coperti da fitti boschi fin quasi alle creste sommitali, ma pressoché completamente pelati (lo dice anche Leonardo a proposito della Grigna) per l’intenso sfruttamento forestale cui erano sottoposti. Con le conseguenze di smottamenti ed erosione dei versanti che si possono facilmente immaginare. A questo proposito, oggi compie cent’anni la Legge Forestale Italiana (Regio Decreto n. 3267 del 1923), nota come “Legge Serpieri” dal nome del suo ideatore, che ha riconosciuto al bosco la sua importantissima funzione di protezione mettendolo sotto tutela con il vincolo idrogeologico. Ed è tuttora in vigore! Auguri…
Per non parlare degli alpeggi: anche lì l’uomo ha eliminato il bosco per far posto ai pascoli, destinati all’alimentazione stagionale del bestiame. Insomma, il bosco ha sempre dovuto pagare un caro prezzo per convivere con l’uomo, e oggi si sta prendendo una bella rivincita, almeno in montagna (in pianura la partita è molto più ardua), riconquistando ampie superfici da cui un tempo era stato rimosso.
Per concludere: l’uomo ha da sempre tagliato il bosco sui monti, eppure quello c’è ancora ed è tutt’altro che in sofferenza. Tutto sta infatti in una semplice parolina perché è una risorsa rinnovabile! E’ un capitale che ogni anno frutta il suo interesse, e che a tempo debito, e con i dovuti modi, è possibile raccogliere.
Per capirci: diverso invece è quanto succede nelle cave del Magnodeno o del Moregallo, dove la risorsa che viene sfruttata rinnovabile non è. Una differenza enorme.
Il punto da chiarire
Proseguiamo dunque nell’approfondimento. Quel tipo di taglio, cioè la conversione alla fustaia a lungo termine, porta ad un miglioramento del bosco, ed è appunto il motivo per il quale viene finanziato dalla mano pubblica. Infatti, a differenza del taglio classico del ceduo, con cui si portano via anche i tre quarti della massa disponibile lasciando il terreno pressoché nudo, con l’avviamento all’altofusto si porta via molta meno massa, rimane la copertura del terreno, e le piante hanno tempo di completare la loro crescita diventando grandi fusti che avranno un valore economico decisamente superiore. Non legna da ardere ma legname da opera, molto più pregiato.
E allora dove sta il problema? Perché dunque ci sono state così tante polemiche per il taglio di quel bosco, se è una pratica che è sempre stata fatta, e non comporta conseguenze permanenti al territorio? A quanto pare, il problema maggiore sembra essere stato la strada realizzata per portare avanti il lavoro.
Nota tecnica: si parla qui di strada perché avrà un carattere permanente, nel senso che rimarrà anche a lavoro finito, passando in gestione al Comune che ne regolamenterà l’uso, mettendo ad esempio una sbarra, consentendo il transito solo agli autorizzati ed ai mezzi di servizio. Strada, fra l’altro, realizzata a spese della ditta. Diverso è invece il caso delle piste di esbosco, che hanno carattere temporaneo e devono essere cancellate a fine cantiere, ripristinando il terreno come era prima del taglio.
Il taglio rappresenta solo la prima parte del lavoro; la questione fondamentale è come si porta fuori il materiale dal bosco. Nel caso in oggetto c’è stata una combinazione di tecniche: nella parte alta è stata utilizzata una teleferica che ha il vantaggio di non danneggiare le piante e non lasciare segni permanenti sul terreno una volta finito il lavoro (a parte i corridoi aperti per il passaggio della linea, che però in breve si coprono di rinnovazione). Nella parte bassa, invece, per poter raggiungere tutta la superficie boscata, è stata aperta una strada forestale, debitamente autorizzata (e ci mancherebbe…), ed è soprattutto quella che ha provocato la rivolta del rifugista del Resegone prima, e dell’opinione pubblica poi.
Agli escursionisti, infatti, non è andato giù il fatto che la strada, lunga poco più di un chilometro, ha in più punti tagliato lo storico sentiero per la vetta del monte, tanto che ora si fa fatica a riconoscerlo fin dalla partenza, e molte persone prendono il tracciato più invitante e ampio della strada invece del poco visibile sentiero, con conseguenti perdite di orientamento e di tempo.
Come sempre, la differenza nelle cose la fa il modo in cui vengono fatte: se una strada è ben costruita con giuste pendenze, canaline di sgrondo delle acque e corrette opere di protezione delle scarpate, se il sentiero è ben indicato, e le intersezioni con la strada sono ben visibili e adeguate, la cosa è molto più sopportabile. Ci aspettiamo che, a fine lavori, queste opere vengano realizzate.
La nostra sezione CAI ha inviato, nei tempi e nei modi previsti dalla norma, le sue osservazioni al Piano della Viabilità Agro-Silvo-Pastorale della Comunità Montana Valsassina, facendo notare che alcuni tracciati previsti dal Piano non erano indispensabili, e in alcuni casi erano ridondanti. Quel tracciato di Morterone doveva attraversare l’intero versante del Resegone, dalla Costa del Palio alla forcella di Olino, ed è stato invece ridotto alla sola porzione centrale, dove è poi stato realizzato.
Due considerazioni sociali
Finora abbiamo solo esposto i fatti, ora ci permettiamo di fare due considerazioni di carattere socio-economico, per completare la trattazione.
Primo, la viabilità. Nessuno si è scandalizzato, a suo tempo, quando vennero realizzate le strade a servizio dei paesi di montagna, togliendoli dal loro isolamento e consentendo anche a quegli abitanti di poter raggiungere i servizi, le scuole, i negozi pur continuando a vivere nelle loro belle località e a presidiare il territorio. Quelle strade, invece, si è poi scoperto, sono servite a far scendere gli abitanti a valle e a restarci, di fatto spopolando la montagna – e Morterone è il più classico dei casi. Perché il problema – lo sappiamo ormai – non sono le strade, ma le condizioni di vita che lassù sono molto più severe che in città. Ma adesso quelle strade servono a noi escursionisti – cittadini – per raggiungere i nostri amati monti senza troppa fatica evitando estenuanti marce di avvicinamento e consentendoci di cambiare meta ogni settimana. Il tutto sta nel sapersi fermare ad un certo punto con la realizzazione delle strade, senza volere a tutti i costi raggiungere ogni più nascosto angolo delle nostre vallate.
Secondo, il presidio. Per quanto detto sopra, l’abbandono della montagna è figlio anche della mancanza di lavoro, o meglio del fatto che il lavoro in montagna c’è ma è molto più impegnativo e faticoso che in città, e dunque non concorrenziale. Per questo la maggior parte dei montanari, soprattutto i (pochi) giovani rimasti, decidono alla fine di scendere a valle, abbandonando così quel presidio del territorio che tanto fa comodo all’intera comunità. Dovremmo dunque essere contenti se, ogni tanto, qualcuno riesce a rimanere in montagna, utilizzando le risorse del territorio – la legna, ad esempio, o i pascoli – per vivere, e mantenendo vivo anche quel paese, quella vallata.
Semplificando al massimo per noi escursionisti, cittadini, il bosco è rigenerazione fisica e mentale, contemplazione, relax una volta alla settimana. Per chi vive di quello, il bosco è la possibilità di rimanere a casa sua lavorandoci tutti i giorni e campando dignitosamente.
Il tutto sta nel trovare un corretto equilibrio fra queste due opposte esigenze.
Conclusioni
Con le considerazioni più sopra esposte non si pretende di aver sciolto tutti i dubbi e gli interrogativi sorti sulla vicenda, ma si spera di aver fornito qualche elemento oggettivo in più per valutare correttamente la questione.
Si ritiene infatti che sia sempre necessario informarsi, approfondire le cose, prima di esprimere giudizi pubblicamente e immediatamente su questioni così complesse e delicate quali quelle che riguardano la montagna e chi ci vive.
Si ringrazia per la pazienza se siete riusciti ad arrivare in fondo all’articolo, col quale speriamo di essere stati utili. “Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’é fatto apposta”.
La risposta
di Mario Covini
Foto di Mario Covini
Spett. CAI di Lecco,
a seguito dell’articolo “Riflessioni tecniche sulla contestata strada forestale di Morterone” comparso sulla vostra rivista di marzo 2024, anche esortato da diversi amici escursionisti ed amanti della Natura, mi sento in dovere di commentarlo come segue.
Innanzitutto non è assolutamente vero che le polemiche di cui parlate siano, come titola l’articolo e come ribadite all’interno, solo sulla strada, bensì anche:
- sulla modalità e risultati del taglio dei boschi;
- sul fatto che i tagli riguardano solo i faggi (guarda caso!);
- sulla assoluta mancanza di manutenzione delle faggete stesse laddove non si taglia per profitto;
- sulla assoluta mancanza di manutenzione di altri tipi di essenze quali carpini e noccioli (di nessun valore economico), seppur in molti casi più bisognose delle faggete, proprio per gli escursionisti;
- sul fatto che i tagli siano stati fatti “a verde” sin da maggio, distruggendo quindi massivamente nidi, uova e piccoli di uccelli in riproduzione;
- sul fatto che si è tentato goffamente di far passare la strada come una pista tagliafuoco;
- sul fatto che Sindaco o Amministrazione di Morterone non abbiano dato nessuna risposta convincente alle numerose prese di posizione sui quotidiani (io stesso ho scritto 2 PEC a luglio e settembre 2023 all’Amministrazione, ma non ho avuto nessuna risposta).
Le teorie esposte nell’articolo, inoltre, mi sembrano piuttosto attempate e obsolete rispetto alla realtà odierna e da quanto sta avvenendo a Morterone, a Culmine di San Pietro, Cremeno e in Valsassina…
Tecnicamente giuste, ma riferite a boschi “un tempo tagliati ogni 20 anni” cioè valide fino agli anni ’70 o ’80, dimentiche del fatto che nel frattempo sono avvenuti cospicui cambiamenti climatici, con la tempesta Vaia in Trentino e con il bostrico che sta attaccando gli abeti a più non posso…
Se non si prende atto che, con temperature estive nelle Prealpi pari oggi a quelle che quaranta anni fa erano solo in Puglia, e che occorre cambiare qualche paradigma, credo non si faccia un gran bene alla gestione forestale.
L’unico modo, a mio avviso, sarebbe quello di tagliare il bosco in modo molto, molto graduale, come avveniva una volta perché, questo incredibilmente il vostro articolo non lo dice, un tempo i boschi venivano tagliati a mano o con tecniche molto più rispettose e sostenibili, in modo da lasciare sempre il suolo e sottobosco protetti da ombra e al riparo da piogge battenti… Invece oggi, con piogge torrenziali e temperature bruciahumus che dovrebbero indurre ad una cautela ancora maggiore nei tagli, questi sono stati fatti con disboscatori, ruspe, teleferiche specifiche e macchine automatizzate che hanno asportato in pochi giorni ettari ed ettari di bosco! Una precisazione non secondaria e che non trovo nel vostro articolo: i tagli, per rispetto, un tempo venivano fatti nel riposo invernale del bosco, non “a verde”.
Il risultato, come una moltitudine di escursionisti ha potuto vedere e commentare e di cui sono stato spesso mesto testimone in loco, è che, con i tagli fatti in passato, ancorché la massa asportata fosse stata “inferiore ai tre quarti di quella disponibile”, non si è avuta “conversione ad altofusto” come scritto nell’articolo, ma una “conversione a sterpaglia”!
Inoltre, dei “corridoi che si riempiono di innovazione” non si vedono tracce perché, con temperature così alte, le povere matricine possono gettare tutti i semi, e le ceppaie i polloni, ma la crescita di faggi è battuta sul tempo da vegetazione opportunista e il sottobosco si riempie di cespugliame e piante più termofile prima dei “tempi lenti” della faggeta, devastandola e vanificando, ahimè, la vostra bella parolina “rinnovabile”.
E comunque, al di là di teorie e di paroline o paroloni scientifici, quelli che contano sono i risultati: basta andare a vedere! E a questo proposito mi viene un dubbio: siccome parlate dei tagli attuali come “una pratica che è sempre stata fatta e non comporta conseguenze al territorio”, siete andati a vedere come è lo stato dei boschi nei quali sono stati effettuati qualche anno fa i tagli?
Io mi reco là, impegni permettendo, quasi tutte le settimane, e allego delle foto, alcune forse già proposte ma mi ripropongo di farne altre, doverose per spiegazione, con una considerazione importante, in primis per gli abitanti di Morterone: rotto l’equilibrio, i loro boschi ridotti così non torneranno mai più allo stato originale, con la conseguenza inoltre che l’aspettativa di crescita di valore economico di cui il vostro articolo parla diventerà una chimera.
Passando al tema strada, certamente, come dice l’articolo, “nessuno si è scandalizzato quando vennero realizzate strade a servizio dei paesi di montagna, togliendoli dal loro isolamento”, ma mi è impossibile trovare il nesso tra un’esigenza, anche qui obsoleta, degli anni ’50, ’60 o ’70 (quando le necessità e la sensibilità verso l’ambiente erano diverse, tant’è che ne paghiamo ancora oggi, ahimè, le conseguenze, e per fortuna nessuno rifarebbe più certe scempiaggini mangiasuolo) e la pista realizzata attualmente, che ha distrutto un avvallamento una volta splendido e di avvio verso il Resegone.
Ma ciò che mi stupisce di più, è leggere un articolo di questo tenore sulle pagine del Notiziario del CAI Lecco, in totale dissonanza con le opinioni della moltitudine di escursionisti amanti della montagna che il CAI dovrebbe sempre rappresentare. Il tenore di questo articolo è del tipo “il taglio del bosco c’è sempre stato”, “le strade si sono sempre fatte”… come a dire: “dove è il problema?”: potrebbe suonare quasi una asseverazione di codeste spicce attività con finalità lucrativa, non certo care agli alpinisti. Per il beneficio di una sola impresa.
Non si capisce neppure dove voglia andare a parare il vostro articolo: vuole forse dire “ripartano pure i tagli anche quest’anno e, se serve qualche aggiunta di strada, la si faccia pure con buonapace di tutti”?
Su questo, credo, ci aspettiamo invece tutti una vostra risposta di chiarimento con presa di posizione netta in merito.
Mi sarei aspettato due parole sul fatto che i tagli sono stati fatti a maggio, con la distruzione di nidi, uova e piccoli di uccelli in nidificazione, mi sarei aspettato qualche commento sul fatto che non si fa manutenzione nei boschi e boscaglie ove transitano i sentieri se non tagli economici, mi sarei atteso ben altra presa di posizione sulla distruzione dei sentieri rispetto a: “ci aspettiamo che, a fine lavori, queste opere vengano realizzate”… aspettiamo pure… se dopo un anno l’Amministrazione non risponde neppure alle domande poste…
Nel rispetto sempre e comunque di opinioni diverse dalle mie, alla fine, un articolo come questo mi convince ancora di più che abbia ragione il rifugista del Resegone (che in moltissimi non smetteremo mai di ringraziare per avere portato alla luce i problemi), e invito il CAI, di cui i miei genitori e la mia famiglia erano sempre stati soci e abbonati a Lo Scarpone anche quando, per l’età, non andavano più in montagna “perché si sostiene una associazione che difende la montagna”, a prendere delle posizioni più nette e, perché no, mettendoci anche un po’ “di pancia” se serve, quando la natura e la montagna vengono minacciate.
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Il DR Poli ha tenuto una relazione al convegno sui 150 anni del Cai Lecco lo scorso 5 giugno.
Ha mostrato l’attività di Ersaf con cui lavora ed ha mostrato quanto successo a Morterone.
Se ho ben capito, il tratto di nuova strada agro silvo pastorale oggetto delle discussioni avrebbe dovuto innestarsi sul percorso del sentiero Olino Costa del palio, che non ho capito se oggetto di allargamento futuro per diventare un tracciato agro silvo pastorale.
Il Dr Poli ha mostrato una slide con questo tracciato, non essendo stato possibile fare interventi sarebbe utile che il DR Poli possa fare chiarezza su ciò.
In qualità di tecnico Ersal ipotizzo conosca bene la tematica e il caso specifico.
Rimaniamo in attesa dei suoi chiarimenti
@6
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Amo i boschi , ma sottoscrivo quello che dici.
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In una certa *ingenua* lettura , i boschi lasciati a se stessi sono la miglior cosa…
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Dipende.
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Vengo da una settimana in boschi “vergini” da almeno mezzo secolo , il bosco ha infiltrazioni importanti di rovi , nocciolo selvatico e termofile ; molti alberi sono morti in piedi oppure schiantati in un processo di marcescenza del tutto naturale : lo status del bosco allo stato naturale , salvo particolari casi e’ cosi : una selva impenetrabile dove la biologia delle piante occupa ogni spazio.
Boh. Solita tempesta in un bicchiere d’acqua. Non posso che applaudire a interventi silviculturali visto il degrado e l’ incuria in cui versano gran parte dei boschi alpini. Abbandonati a sé stessi diventano boscaglia. Non so se l’ intervento a Morterone sia stato fatto a regola, si vedrà…ma pensare che i boschi siano un paesaggio “naturale” è un’ingenuità. Forse sarebbe opportuno andare di persona a vedere (io l’ho fatto) e approfittare della giornata per percorrere poi il bellissimo “sentiero dei grandi alberi” e rendersi conto del fatto che quei monumenti naturali siano il prodotto e la conseguenza del sistematico taglio del bosco. In Italia la superficie boschiva è in costante rapido aumento.. non si può dire lo stesso della qualità delle essenze che la compongono. E non si può dire che sia un bene.
Il boscaiolo taglia nel suo interesse per vendere, se fosse per lui raderebbe al suolo tutti i faggi che trova. Sta a chi gli dà i permessi stabilire limiti e modalità.
In ogni caso, fatevi una passeggiata a Morterone o a Culmine di San Pietro e guardate le faggete tagliate (si riconoscono per i pochi faggi in piedi qua e la’) e poi fatemi sapere: la mia mail è in fondo all’articolo.
Sono stata diverse volte al Morterone e concordo con Covini, perchè ho potuto constatare che i boschi non sono piu’ curati come dovrebbero essere ma sono stati tagliati senza un criterio naturalistico che li ha ridotti a sterpaglia. Al Morterone è stato fatto un vero scempio e tutto questo puo’ solo intristire chi era abituato alla bellezza dei boschi e del sottobosco.
Covini vs Poli
1-1
Sono piu’ dell’idea di Poli.
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Unica concessione a Covini , il fatto che la ricrescita tumultuosa delle termofile sia un grosso problema , certamente non imputabile al boscaiolo.
Che dire….. . .Mario Covini.
Parole sante le tue…..
Poi .il tempo sentenzierà…..