Di chi sono le Alpi?
si chiede Giandomenico Zanderigo Rosolo (storico, Belluno) in un curioso saggio curato da Mauro Varotto e Benedetta Castiglioni, pubblicato da Padova University Press per RETE MONTAGNA, Associazione internazionale di Centri di Studio sulla Montagna
L’incipit del saggio è: “Alla domanda: “Di chi è la montagna italiana?” risponderei che ormai non appartiene più ai montanari, che sono in via di estinzione. Non appartiene agli alpinisti, che da un centinaio d’anni percorrono i sentieri in quota ed impongono i loro nomi alle vette. Non la possiedono ancora del tutto le imprese turistiche intente a trasformarla in un grande parco giochi per la gente che, frustrata tra lunedì e venerdì dal lavoro, il sabato e la domenica gode la libertà incolonnandosi in strade e in piste da sci ed eleva il proprio spirito degustando i piatti “tipici” e le pagliacciate folkloristiche. Potrei dire che, banalmente ed emblematicamente, in questo nostro periodo di transizione la montagna appartiene ai fungaioli ed alle influenti logge micologiche“.
Un testo provocatorio e ben documentato, una serie di osservazioni e informazioni che conducono alla conclusione: “... La situazione montana assomiglia piuttosto a quella dei cassonetti dei rifiuti: persone anche distinte si aggirano appresso con aria furtiva, sistematicamente o casualmente, e recuperano oggetti che sono stati di altri. Chi in tal modo s’impossessa non fa un torto a nessuno ed ha la legge dalla sua parte; ma è l’oggetto che gli rimane sempre un po’ estraneo, perché non l’ha guadagnato col suo lavoro e perché, abbandonato, l’oggetto ha concluso una lunga storia e ne incomincia un’altra necessariamente breve e scialba e forse riserverà al nuovo proprietario qualche sgradevole sorpresa“.
Qui riporto la traduzione in italiano dell’Abstract in inglese che precede il testo. Ma è molto raccomandabile la lettura del testo integrale.
Montagna “res derelicta”? La montagna italiana può, per molte ragioni, essere definita come una “res derelicta” (Il vocabolario Treccani così definisce res derelicta: locuzione latina (propr. «cosa abbandonata»), usata in italiano come sostantivo femminile. Espressione del diritto romano, ma rimasta in uso nel linguaggio giuridico moderno, per indicare cosa che sia stata abbandonata dal legittimo proprietario con l’intenzione di rinunciare alla sua proprietà, e possa quindi divenire oggetto di occupazione da parte di terzi).
Negli anni ’50, con poche eccezioni, la montagna fu abbandonata dai suoi abitanti, scesi a valle oppure trasferitisi alle pianure (o anche all’estero) per abitarvi definitivamente. Lasciarono dietro di loro coltivazioni, allevamenti e quasi tutte le attività tradizionali. Ciò produsse ben più che un deterioramento dell’ambiente, si arrivò all’impoverimento e al declino del tessuto sociale.
Sulla negletta proprietà, individuale e collettiva, rocce incluse, un tempo oggetto di minuziose trascrizioni legali basate su tradizioni millenarie, cominciarono a definirsi differenti rapporti in nuove destinazioni d’uso (per lo più turistico-ricreative), in linea con i nuovi costumi sociali che, alla responsabilità collegata al diritto di proprietà, hanno sostituito l’immediatezza della fruizione dei beni.
Le montagne sono “derelitte” anche perché la legge forestale del 1923, quella speciale del 1952, le loro faticosissime conferme di rito del 1971 e del 1994, perfino l’attuale progetto di legge in discussione al Parlamento, sono stati espressioni scialbe di non avvaloramento. A volte le regole e il reperimento di fondi pubblici, invece d’essere processi virtuosi, sono stati il mezzo per furberie ripetute e processo di espropriazione di beni e autonomie. Un esempio di questo andazzo è l’istituzione negli anni ’90 del Parco Naturale delle Dolomiti di Ampezzo che, grazie ai finanziamenti regionali, è gestito sempre dalla vecchia Comunità in accordo con i nuovi bisogni.
Come oggetti inutili e ingombranti, molte montagne sono “selvagge” e marginalizzate. Chiunque può appropriarsene, perché il proprietario è un po’ che non se ne cura, in quanto a livello locale e nazionale vi è una totale assenza di governo, nessuno prende le decisioni necessarie per evitare responsabilmente ritardi e danni e per impedire usi impropri.
In queste condizioni, l’assenza d’un segretario può paralizzare l’attività di un piccolo Comune. E non ci si sorprende che, a vent’anni dalla Convenzione delle Alpi, il denaro pubblico è ancora usato per sostenere progetti sui quali le autorità competenti non hanno fatto alcuna seria valutazione di sostenibilità.
Anche le montagne, esattamente come la pianura e le città, hanno bisogno di gestione: non in regime di “specialità”, bensì di attenta normalità.
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Ecco un bell’esempio di appropriazione di cima da parte di ente regionale, che investe 6 milioni di euro del contribuente per devastare una bellissima cresta panoramica, ricca di flora e di biodiversità, che verrà cancellata dalle ruspe e dal cemento, il tutto per essere utilizzato per 3, massimo 4 mesi all’anno (negli anni in cui nevicherà), con il pretesto che tanto lì è già stato devastato tutto.
https://www.fornidisopra.it/component/k2/item/253-nuovo-piano-di-investimenti-promoturismo.html
molto prosaicamente….con che diritto un gruppo di persone, o associazioni varie di privati decidono di illuminare una croce da anni esistente si una cima, installando canalette e pannelli solari, ed ora, dopo squallidi atti di vandalismo, decidono di installare una telecamera ?L’articolo è di una brutalità e purtroppo verità sorprendenti. Antonio Badano