Dolomiti di Fassa – 5 (5-6) (AG 1964-020)
(dal mio diario, 1964)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
14 agosto 1964. Dalla guida del Tanesini: “ore 5.15; IV+; forte esposizione con scarse possibilità di assicurazione. Questo itinerario, aperto il 26 agosto 1912 da Kurt Kiene e Oswald Gabriel Haupt, richiede una perfetta tecnica di roccia; esso utilizza la parte inferiore della via dei camini Schmitt fin sotto al Pulpito, indi percorre una caratteristica fessura diagonale di 160 m che solca da destra a sinistra il massiccio centrale delle Cinque Dita in tutta la sua lunghezza fino alla Forcella dell’Anulare, giungendo poi in vetta per la fessura Schuster”.
Oggi siamo in tre. Franco Mangia non ha potuto venire, perché gli fa male un ginocchio. La giornata è bella e noi, come al solito, siamo presi dalla bramosia di arrampicare. All’attacco, la gialla fessura strapiombante fugge ai nostri sguardi. Per primo parto io. Devo superare una specie di cengia facile e poi la fessura, che in questo punto non sale ancora ma si limita a traversare. La supero tutta alla Dülfer e arrivo a un terrazzino dove è un chiodo. Faccio salire i miei due compagni, Paolo Cutolo e Pio Baldi. D’ora in poi faremo così, anche se ci metteremo più tempo: sia Paolo che io vogliamo andare davanti, pertanto alla fine di ogni lunghezza dobbiamo ritrovarci tutti e tre assieme (allora non si usava proprio che il primo facesse salire due compagni contemporaneamente, NdA). Ora parte Paolo: qui la fessura sale, verticale. Trova un chiodo e dopo 15 metri arriva a un grande terrazzo, dove si ferma. Quando lo raggiungiamo, riparto io. Qui le difficoltà aumentano, c’è un passo di V-. Questo tiro è molto lungo, e mi fermo su un grande masso incastrato. Riparte Paolo e trova la roccia straordinariamente ricoperta di sabbia. Si ferma in una nicchia. Da lì riparto io, supero un camino in appoggio, un altro camino in spaccata e infine un ultimo camino più stretto, nero e strapiombante (V-), uscendo su una bella e aerea terrazza. Pio e Paolo mi seguono. Vediamo dei sassi cadere dall’alto, a una trentina di metri in fuori! Questa parete strapiomba un pochino, a quanto pare…
Da lì, dopo due lunghezze per uno, arriviamo alla Forcella dell’Anulare. Ora vogliamo che Pio vada davanti sulla fessura Schuster; lui tenta ma non se la sente e torna giù, perché è completamente fuori allenamento. Infatti è la prima “gita” che fa in tutta quest’estate. Così vado io, che sono il meno stanco, e dopo un po’ ci stringiamo la mano in vetta, contenti di aver superato una così bella parete. Scriviamo commossi su un foglietto (perché il libro di vetta è esaurito) le nostre firme. Mangiamo, beviamo, facciamo i nostri porci comodi e poi scendiamo. Il giorno prima aveva fatto un po’ freddo e il 12 aveva nevicato. Così, sul versante nord, troviamo ghiaccio e neve. Il canalino tra Indice e Pollice lo scendiamo in doppia, ma la traversata per raggiungere l’altro chiodo me la faccio io, perché dei tre sono quello che ha maggiore esperienza di ghiaccio. Paolo mi scatta una foto (diapositiva) che dev’essere una cannonata. Da lì, sempre a doppie, fino alla Forcella Sassolungo.
21 agosto 1964. Dopo una passeggiata con tutta la mia famiglia dal Passo di Costalunga nei boschi fino a Moena (16 agosto), ho avuto modo di andare due volte alla Palestra di san Nicolò, senza fare altro. Ma ora finalmente siamo al rifugio Vajolet, ancora in tre. Una certa apprensione ce l’abbiamo, perché la fessura Piaz alla Punta Emma, che ci strapiomba sopra, ci incute timore. Ma siamo certi di potercela fare bene e perciò saliamo all’attacco. Sono con Franco Mangia e Pio Baldi. Prima una traversata su cengia fin sotto alla fessura, poi su per rocce verticale fino alla fessura vera e propria. Parto io e, tenendomi nella fessura, guadagno una nicchia. Qui però non mi fermo e traverso a destra per una lievissima cornice fino a un chiodo. faccio venire Franco: il tempo è cattivo, nebbia. La fessura, nel suo punto più difficile, sarà un po’ bagnaticcia… e la danno di V grado asciutta. Comunque finora va bene e riparto per una parete di IV verso un posto di sosta, all’inizio del tratto difficile. Franco fa venire su Pio, poi viene da me.
E’ arrivato il momento, parto. La fessura è troppo stretta per potervi entrare, troppo larga per il piede solo. Bisogna andare in spaccata, tutto in fuori. Un’arrampicata magnifica, vertiginosa. Trovo tre chiodi lungo la fessura e procedo fino a che in spaccata è impossibile. Allora m’incastro un po’. La roccia è molto umida e non ho quella presa sicura che ci vorrebbe, che naturalmente ci sarebbe con altre condizioni. Faccio un po’ fatica, ma alla fine ne ho ragione e proseguo per un camino di IV+, con uscita ancora in strapiombo. Ora finalmente sono su un bel terrazzino ghiaioso. Uno per uno i miei compagni mi raggiungono, e Franco dichiara che per lui, sinceramente, quella è stata un’arrampicata al suo limite. Con altri due tiri di 40 metri siamo fuori, sulle roccette terminali, e da lì subito in vetta. Siamo felici e ci stringiamo le mani. Per noi è stata proprio una bella impresa. Ricorderò sempre le ultime due lunghezze di 40 m (tra il III+ e il IV-) perché sono magnifici.
Scendiamo per la via comune nella nebbia e, dato che non la conosciamo, impieghiamo un po’ a trovare i chiodi per le doppie. Giunti al Gartl, saliamo al rifugio Re Alberto I, dove Giovanni Baldi, Piero Badaloni e Cesare Badaloni ci aspettano per salire la Torre Stabeler per la via normale. Glielo abbiamo promesso, e non possiamo mancare. In sei, divoriamo la via normale di questa torre in 40 minuti. A doppie poi, nella pioggia, ma con qualcuno che in vita sua di doppie ne ha fatte solo una o due. Però, dopo la fessura Piaz, questo e altro!
Le Tre Torri del Sella da ovest. Sulla Terza, in rosso la via comune della Cengia a Spirale; in verde, la via Häberlein.
23 agosto 1964. Con Franco Mangia decidiamo di salire questa via poco conosciuta sulla cresta nord-ovest della Terza Torre di Sella, vinta a suo tempo da Simon Häberlein, Käthe Bröske e K. Spilka, il 27 agosto 1906. Il Castiglioni la dà di III grado e dice che il tratto chiave è una fessura di circa 50 m che sbuca sulla cengia a spirale. Questa via è lunga circa 400 metri. Subito le difficoltà si mantengono sul III e così anche quando passiamo ad arrampicare sulla cresta vera e propria. Spettacolo magnifico. Dopo parecchie lunghezze arriviamo sotto alla parete terminale, quella sotto la cengia a spirale, dove vediamo, invece che una, tre fessure. Quella di sinistra non è da prendere in considerazione, da tanto è strapiombante e friabile. Quella di centro, infossata in un diedro, potrebbe andare bene. Quella di destra è un po’ fuori mano e bisognerebbe traversare per raggiungerla. Così andiamo nel diedro centrale. Giunto più o meno a un quarto, trovo un chiodo con due cordini. Si vede che da qui hanno fatto una bella doppia. Mi scoraggio un poco, perché questo significa che è difficile. ma già dall’aspetto questo si poteva dedurre. Non ci sono chiodi in vista. Proseguo in spaccata, su difficoltà di IV. Ora sono a circa metà del diedro. Cerco di piantare un chiodo, ma riesco solo a infiggerne uno che terrebbe ben poco. Comunque proseguo. Ora la fessura strapiomba e la roccia si fa più friabile. In posizione faticosa cerco di piantare chiodi, ma senza riuscirci. Non disarmo. Qui è V grado e non ho alcuna assicurazione. Continuo a non piantare nulla, perciò smetto i miei tentativi e proseguo risoluto verso la cengia a spirale, che raggiungo proprio al termine della corda. Faccio venire Franco che non riesce a capire come ho fatto a passare senza avere una corda davanti. Per arrivare in cima, seguiamo la via normale (sulla Rivista Mensile del CAI del febbraio 1965 pubblicai una relazione di quella che ritenevo una variante diretta alla Häberlein, avendo pensato che le forti difficoltà da me riscontrate su quel diedro non potessero essere in alcun modo classificate di III grado e ritenendo quindi che la via originale passasse nella fessura di destra delle tre. La guida del Gruppo di Sella di Fabio Favaretto e Andrea Zannini (1991) non avallò questa mia ipotesi, in quanto gli autori disponevano dell’informazione che Peter Holl, il 3 agosto 1966, aveva percorso proprio quella fessura di destra, classificandola di III. E allora i casi sono due: o anche Häberlein e compagni sono passati a destra (e in questo caso Peter Holl non ha aperto alcuna variante), oppure sono passati nel diedro centrale, ma allora il Castiglioni qui fa un grosso errore, sottovalutando eccessivamente le indicazioni date dai primi salitori sull’Oesterreich Alpen Zeitung del 1906, pag. 293. NdA).
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Racconti fantastici..di Alessandro ” che leggo sempre con grande passione.!
Be’, Castiglioni di errori ne ha fatti pure lui. Nella sua (bella) guida liquida con del III grado passaggi che oggi sono almeno V, come per esempio la normale alla terza Torre di Sella che attacca presso l’intaglio esposto a NW tra seconda e terza Torre. Alla partenza del secondo tiro (oggi attrezzato con fittoni resinati per le calate) ci sono ca. 4m che posso garantire che sono di V grado. Lo dico perché ci ho accompagnato decine di clienti che conoscevo e di cui sapevo i limiti e lì… li hanno dovuti ampiamente forzare aiutati dalla mia corda. Tant’è continuavano a pensare di essere degli scarsoni che trovavano il III grado così duro. Infatti nessuno (io no di certo) osa contraddire la bibbia del buon Ettore, ma a quei tempi la scala di difficoltà era talmente compressa che l’errore era il minimo. Infine posso assicurare che molte guide alpine sottovalutavano una via se questa era comoda da fare con i clienti e presentava un passo un po’ rognoso che poteva essere superato con l’aiuto della corda “ben tesa”. In Dolomiti gli esempi non mancano e dico questo senza voler criticare perché e cosa che faccio pure io senza vergogna. A molti sembrerà scandaloso ma è professionismo.
Comunque i racconti di Alessandro sono belli e sfrontati (facciamo i nostri porci comodi…), complimenti.
Porta all’alpinismo, il movimento che cambia lo stato di cose presenti. 🙂
Questi racconti di Alessandro, oltre ad essere belli, sono un vero e proprio percorso formativo…un mattoncino sopra l’altro.
Chissà dove porterà….?
Bel ricordo di una interessante via che non so quanto oggi sia frequentata; con mio fratello Renzo la facemmo proprio in quei giorni. Allora ci parve di tentare una scalata ardimentosa, ricordo una notte agitata; la descrizione della guida del Tanesini non era propriamente incoraggiante, per chi era alle prime armi. Tanto maggiore fu la soddisfazione.
e mi sa che non hai tutti i torti perchè con i gradi di Castiglioni c’è da andarci un pò cauti.